Kabuto Gaiden
Capitolo 6: 再現 (Saigen) (Ritorno)
di Hana-bi
-La cerimonia che sanciva il passaggio degli studenti al rango pieno di ninja medico era tradizionalmente tenuta nella sala grande del Palazzo del Fuoco, alla presenza delle autorità del villaggio e di una piccola folla di amici e parenti. Eravamo in tre a essere stati promossi, e io ero stato l'ultimo a essere chiamato. Ero avanzato con la dovuta solennità verso l'Hokage, che avrebbe dovuto consegnarmi i miei simboli di graduato. Avevo preparato con cura l'incontro con lui, chiedendomi che atteggiamento si aspettasse da me: avevo optato per una espressione di timido nervosismo. Sarutobi mi aveva accennato un sorriso paterno, come per dire di rilassarmi, che ormai quel che era successo tempo fa era dimenticato. Avevo sorriso anch'io. Non da me, vecchio. Poi si era voltato verso i presenti, aveva fatto un cenno con la testa. E tra il mormorio generale, mio padre era avanzato per prendere il suo posto nella cerimonia. Tutti sapevano il significato tradizionale di quel gesto. Rendendomi medico con le sue mani, mio padre di fatto compiva un passaggio di consegne, dichiarando pubblicamente il ritiro dalla professione. E sanciva in quel modo anche la sconfitta del mio clan, che doveva rinunciare alla direzione della divisione medica per mancanza di candidati adatti: era infatti impensabile che potessi subentrargli, così giovane e di fresca nomina com'ero. Il ruolo di capo dei ninja medici passava dunque al collaboratore più esperto, e gli Yakushi sarebbero stati suoi subordinati. Ero rimasto scosso da quella decisione, anche se ormai tutti se l'aspettavano. Da tempo anche lo spirito di mio padre aveva cominciato a decadere: quando si era reso conto che la sua malattia era giunta troppo presto per i suoi progetti, e io non avevo mostrato la genialità o la fortuna sufficiente per correre più veloce di essa. Lo scandalo del cuore rubato mi aveva scalzato dall'eccellenza scolastica, e avevo finito l'anno ripassando di malavoglia e piazzandomi tra gli studenti più ordinari. E poi avevo fallito ancora la prova dei chuunin, anche se stavolta ero stato attento a non farmene attribuire la colpa (troppi fallimenti sarebbero stati sospetti): avevo semplicemente organizzato un tragico incidente per un membro della mia triade, che aveva avuto la pessima idea di rimarcare in modo insultante la mia origine straniera. Il risultato era stata l'eliminazione del gruppo ridotto a due candidati. Quindi... mi ritrovavo ad essere ancora un genin. E Hiashi Hyuuga non aveva nemmeno voluto ricevere i sensali che mio padre gli aveva mandato: le motivazioni erano state fredde al limite dell'insulto, come se io non fossi stato nemmeno degno di essere preso in considerazione. Non ero affatto rimasto sorpreso: sapevo bene che Hiashi si rammaricava della frattura in due rami del suo clan, e accarezzava l'idea di chiuderla con un matrimonio pressoché incestuoso tra Hinata e il primo cugino Neji, in modo da fissare il Byakugan nella discendenza con buona pace dei geni recessivi. Era uno sviluppo interessante, perché questo avrebbe scatenato il risentimento della piccola Hanabi, anche lei in possesso dell'abilità innata del clan, e tenevo d'occhio la situazione per un possibile vantaggio di Orochimaru; ma per mio padre quel rifiuto era stato un brutto colpo alla sua idea di prestigio personale. E si era arreso. Provavo pena a vedere il suo dolore: doveva muoversi aiutandosi con un bastone, invecchiato di dieci anni nel giro di un rivolgersi di stagioni. Ma aveva ancora una grandissima dignità. E un silenzio pieno di commosso rispetto era calato nella sala quando lui, invece di darmi i doni tradizionali dell'Hokage, mi aveva passato i propri segni della professione. Si era spogliato davanti a tutti del suo corto saio scuro, per infilarlo sulla mia tunica candida da allievo. Me l'aveva stretto in vita con la sua fusciacca, allacciandola nel modo obliquo tradizionale per nascondere il fodero della kodachi premuto sul mio fianco sinistro. Quindi mi aveva passato la sua cintura con la borsa contenente l'attrezzatura di soccorso, l'ultimo gesto che faceva di me un ninja medico. Infine, con la faccia bagnata di lacrime, si era inchinato formalmente davanti a me, ed io avevo fatto altrettanto con lui. E tutti i presenti, Hokage compreso, avevano chinato la testa in segno d'omaggio. Mio padre si era girato intorno, un'ultima volta. Quindi si era allontanato, reggendosi al suo bastone, con quella tunica bianca che lo faceva apparire di colpo etereo e vulnerabile. Nessuno aveva osato avvicinarsi a lui, per non fargli pesare la compassione. E nemmeno io l'avevo fatto, perché non l'avrebbe gradito.
Il festeggiamento non era stato così sobrio come il rito, né così malinconico. Ero in buona compagnia con i miei giovani colleghi. Avevamo chiesto il permesso di passare la notte fuori dalle mura, nel quartiere dei divertimenti, e ci era stato accordato senza problemi. E dopo scherzi, cibo e sakè in quantità, e un conto da pagare a carico dei neopromossi, si era proposto di prosciugare il resto del denaro in compagnia di belle cortigiane. Ed io ero stato perfettamente d'accordo. Povero Kabuto: con quella testa da anziano e quella faccia da ragazzino, è l'unico modo in cui puoi avere una ragazza: pagandotela... Tutti avevano riso alla battuta, io avevo solo sogghignato. Si sbagliavano, non era l'unico modo che avessi. Ma era il più comodo e il più semplice, senza legami incompatibili col mio ruolo segreto, senza pretese di sentimenti. E alla fine eravamo finiti alla casa dei fiori più vicina, a visitare le nostre prime pazienti (così ci dicevamo): sparendo nelle varie stanze ognuno con una ragazza diversa, tutte felici della loro buona ventura con clienti giovani e di buona famiglia. Una volta chiusa la porta della sua stanza per rimanere sola con me, la yuujo mi aveva studiato per capire l'approccio giusto. Poi aveva optato per una smielosa, volgare cortesia. Ero stato al gioco, lasciandomi riverire, svestire e massaggiare; e avevo guardato col giusto stupore la ragazza che slacciava l'obi perché i suoi kimono si aprissero uno dopo l'altro, come prometteva di fare tutto il suo corpo... All'improvviso i suoi occhi si erano spalancati. E poi era caduta rigidamente su un fianco, come una marionetta dai fili spezzati. "Ehi!" avevo esclamato, stupito. Le ero andato accanto, avevo posato due dita sulla sua gola. Respirava, il cuore batteva lento... ma gli occhi erano fissi, vuoti, con le pupille dilatate. E poi avevo sentito la presenza. Un brivido nella schiena, così violento da essere sensuale... "E' passato molto tempo, Kabuto-kun." Mi ero voltato di scatto. Le ombre gettate dalla lampada disegnavano una bizzarra figura geometrica in un angolo della stanza: era un uomo magro con un cappello di paglia in testa, e i vestiti di un prete shinto. Due dita ad alzare quel cappello, e uno scintillio di occhi magici mi aveva salutato, con un sorriso tagliente... "Orochimaru-sama!" avevo mormorato, felice. Ed ero balzato da dov'ero, per inginocchiarmi davanti a lui posando una mano davanti ai suoi piedi. "Oh? Vedo che ti ricordi ancora di me." Come potrei dimenticarvi?! "Ho tanto desiderato rivedervi, signore!" Avevo alzato la testa, col cuore in gola. "E' passato più di un anno..." "Cercavo da tempo l'occasione di incontrarti, e la tua lussuria oggi me ne ha procurata una perfetta." Era avanzato nella stanza, gettandosi il cappello di paglia sulle spalle. "Questo è proprio un luogo adatto per un incontro clandestino." Si era imposessato del cuscino scarlatto, sedendoci sopra, e con un calcio noncurante aveva allontanato da sè il corpo inerte della yujo. "Nessuno entrerà in questa stanza finché non lo chiederai tu, e questa donna non ti tradirà... l'ho ipnotizzata e non ricorderà nulla, se non quel che ti piacerà farle credere. E' come se fossimo soli." In quel momento non mi interessava nulla della ragazza. Non avevo occhi che per il mio maestro. Aveva scelto l'aspetto di un asciutto quarantenne, qualche ruga sul volto pallido, gli occhi sempre penetranti e il vigore evidente in quel corpo flessibile e duro come una frusta. Il suo sguardo era andato al mio saio, disposto con garbo sul pavimento. "Sei diventato medico, dunque. E hai preso il posto di tuo padre, anche se ora il tuo clan è subordinato a un altro." "Voi... lo sapete?" "Non sei il mio unico agente a Konoha." Un'improvvisa tensione in me, e con stupore avevo riconosciuto il sentimento. Gelosia... "Ma sei il migliore, Kabuto." Avevo sorriso, e per un istante il mio cuore era salito negli occhi. "Siediti qui, davanti a me, e parlami dei jounin che sono rimasti nel villaggio: ci sono variazioni nel loro numero? E quanti chuunin sono stati promossi?" Ero corso a prendere il mio inseparabile mazzo di carte. Così agitato da dover fare due tentativi, prima di riuscire a concentrare il chakra per attivare la scrittura segreta. Orochimaru aveva letto con attenzione le carte che gli porgevo, una dopo l'altra: l'elenco dei ninja più notevoli, delle missioni dei vari gruppi, le notizie delle famiglie, i pettegolezzi. Un anno di paziente lavoro che veniva scorso in pochi istanti, e passava nella memoria prodigiosa del mio maestro. "Molto bene, Kabuto." Aveva alzato lo sguardo. "E adesso dimmi cosa sai di me e dei miei piani." Non mi aspettavo quella domanda, ma ne capivo il senso. Sei una spia, avrai spiato anche me. Non avevo abbassato lo sguardo, pensavo di poter osare un po' di baldanza. "Ho solo le informazioni che ho potuto ricavare qui a Konoha... e nei diretti dintorni, dove occasionalmente siamo stati mandati in addestramento. Si dice che un nobile locale del paese del Riso ha organizzato una secessione ai danni del daimyo, e dopo rapide battaglie ha ottenuto l'indipendenza. Il nuovo feudo è chiamato paese del Suono, dicono per via delle campane dei suoi templi." Orochimaru aveva annuito. "In realtà dietro a questo nobile... so che ci siete voi, signore." Un sorriso remoto. "Voi avete suscitato la ribellione, circuendolo, e voi avete armato il suo esercito con un gruppo di ninja potenti, che gli hanno dato il vantaggio decisivo contro le forze del daimyo. Ma il vostro coinvolgimento è soltanto sospettato, non esistono prove, e io lo conosco solo perché di questo progetto me ne avevate parlato in passato. E... non dovete temere che abbia mai tradito questo segreto. Quando sono stato arrestato, ho confessato tutto quel che mi riguardava, ma... non ho detto una parola di quanto riguardava voi." "Lo so. Konoha non ha mosso un dito per fermarmi. Sarutobi si è accontentato di quanto avevi detto, ritenendo inutile interrogarti. Per tua fortuna ti ha scambiato per uno dei genin rammolliti che è riuscito finora a produrre, e non per il ninja che sei. Se avessero insistito, avresti parlato anche di me... e saresti morto come mio complice." Una sorriso tagliente. "E invece sei vivo, nonostante tutto. La tua vita stessa mi prova la tua innocenza." Un brivido mi era sceso nella schiena. "Che si dice a Konoha a proposito dei ninja del Suono?" "Che è una comunità di shinobi appena insediatasi nel nuovo paese, e non si tratta di nunekin fuggiaschi, ma membri di vecchi clan della Pioggia che si erano dispersi durante l'ultima guerra segreta, e che si sono riorganizzati. Hanno mandato un'ambasceria sia qui che nel villaggio del Vento, per ottenere un riconoscimento dai paesi più forti e iniziare relazioni diplomatiche. Sarutobi ha apprezzato la cosa ed ha concesso anche ai membri di questa comunità l'accesso alle prove per il prossimo esame di chuunin." "Molto bene, Kabuto-kun." Orochimaru aveva infilato una mano nella veste, e mi aveva posato davanti un oggetto. L'avevo preso tra le mani con riverenza. Un coprifronte col simbolo del Suono! "Oh, signore..." L'avevo guardato. "Davvero me lo state offrendo?" "E' tuo, se solo lo vuoi. Puoi diventare un ninja del Suono anche tu." Mi ero immediatamente strappato dalla testa il simbolo odiato di Konoha. "Ma... dopo l'esame di chuunin, Kabuto. Ho bisogno ancora di te come genin della Foglia." Avevo posato di nuovo sul tatami il coprifronte del Suono, con riluttanza. "Sono ai vostri ordini, signore." "La sessione di quest'anno sarà molto interessante." Orochimaru aveva fissato la composizione di fiori nel tokonoma, con evidente disprezzo per la sua ineleganza. "I rampolli delle migliori famiglie di Konoha parteciperanno all'esame. Voglio che tu li osservi per me. Specialmente... l'ultima gemma rimasta sul tronco bruciato degli Uchiha." "Sasuke?" Avevo estratto dal mio mazzo la sua carta. "Le premesse sono buone, signore. Ha passato l'esame dell'accademia al primo tentativo e col massimo dei voti. E' stato messo in squadra con una kunoichi senza ascendenze particolari, e il peggior neopromosso, un trovatello di cui si parla solo in termini spregiativi. Il loro maestro è Kakashi Hatake, e sembra che la scelta sia stata fatta da Sarutobi in persona." "Non vuole rischiare di ripetere con Sasuke l'errore che è stato commesso con Itachi." Un sospiro. "Che imperdonabile spreco." Quale errore? E quale spreco? Sapevo che era meglio trattenere quelle domande, le risposte sarebbero venute da sole. "Signore..." avevo azzardato, invece. "Sarà il mio ultimo esame di chuunin?" Orochimaru aveva spostato lo sguardo su di me. "La tua domanda ne contiene un'altra. A che punto è il vostro piano per castigare Konoha?" Forse aveva ragione. Dopo aver visto la fine di mio padre... "Io... non osavo chiedervi questo, signore." Avevo abbassato la testa. "Ma mi è duro restare qui... da solo. Lavorando per voi, rischiando la vita per voi, e temendo che mi abbandoniate un'altra volta..." "Io non ti ho mai abbandonato." "Più di un anno senza vedervi!" avevo esclamato. "Senza... nemmeno un messaggio..." "Perché rischiassi che fosse intercettato? Un solo sospetto che ti ricolleghi a me, e sai cosa ti succederebbe." Ero ammutolito. "E' vero, signore, perdonatemi. E' solo... che mi siete mancato." E avevo rialzato lo sguardo, lasciando libere le mie emozioni. "Anche tu mi sei mancato," aveva risposto lui, benevolo. Il cuore aveva cominciato a battermi più forte. "Sei la spia più efficiente e abile che abbia saputo creare..." Non sono soltanto una spia! "E la tua... crescita è uno spettacolo da cui è stato duro separarmi." Uno sguardo al mio corpo mezzo svestito. "Sei rimasto armonioso come quando ti ho lasciato, solo più maturo..." Le sue mani si erano tese verso di me, e mi avevano gentilmente tolto gli occhiali. "E poi nessuno dei miei sottoposti sa imitare quel modo delizioso in cui i tuoi occhi diventano obliqui, quando sorridi pensando a uccidere... o ad accoppiarti." Niente al mondo avrebbe potuto impedirmi di avvampare, come se mi avesse dato fuoco. Orochimaru-sama! Eravamo in una casa dei fiori. Soli e chiusi in una stanza, in segreto. Faticavo a respirare all'idea di quel che avrebbe potuto succedere, e stavolta senza dubbi sul sogno e la realtà... "Ahhhh... ecco di nuovo quello sguardo eccitante!" Un rapido sfiorarsi le labbra con la lingua, l'espressione dolcemente avida. "A cosa stai pensando adesso, Kabuto? Alla morte... o all'amore?" Forse a tutte e due le cose... Orochimaru aveva sorriso, e con squisita crudeltà aveva sussurrato: "Non mi hai mai detto se gli Anbu che ti hanno visto in questo stato provocante... hanno ceduto al desiderio di violentarti, prima di consegnarti ai torturatori." Ero trasalito, come sotto un colpo di frusta. "Allora?" Tono canzonatorio, feroce. "L'hanno fatto?" Avevo chinato la testa, comprendendo con uno spasimo di dolore che il mio maestro aveva indovinato perfettamente cosa provavo per lui. E questa è la punizione per la mia presunzione. "Volete... saperlo, signore?" Mi aveva posato in grembo gli occhiali. "No." Avevo chiuso gli occhi, con amara gratitudine. Era seguito un pesantissimo silenzio. Poi Orochimaru si era rialzato, senza alcun rumore. Era arretrato di nuovo verso la parete, confondendosi con le ombre. "Kabuto..." Avevo lottato per non far tremare la voce. "Sì, signore?" "Ci rivedremo presto, molto presto. Al prossimo esame di chuunin, che sarà anche l'ultimo. Non temere, la tua vendetta è vicina... come la mia. E le nostre vendette insieme saranno terribili. Te lo prometto." Avevo alzato lo sguardo, intercettando solo uno scintillio dorato nell'ombra. "Non voglio darti più di questo, Kabuto. E' il patto che abbiamo stipulato tra noi due. Il resto... sono soltanto illusioni." "Non è la vita intera... un'illusione?" Avevo sorriso tristemente. "Me l'avete insegnato voi..." "Ti ho insegnato anche che nessuna illusione dura a lungo. Come la bolla d'aria nel torrente, prima o poi emerge e scoppia. Quando saprai accettare la sua morte... capirai cosa vuol dire, essere veramente libero."
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