Kabuto Gaiden
Capitolo 3:毒 (Doku) (Veleno)
di Hana-bi
Fissavo il pavimento, i cocci della tazza da tè, la stella irregolare del liquido schizzato in tutte le direzioni. Che ho fatto... L'uomo che chiamavo padre era trasalito, mi guardava stupito. "Mi dispiace," avevo mormorato. E mi ero chinato a raccogliere i frammenti di ceramica, con dita tremanti. "Non ti è mai caduto un oggetto di mano da quando ti conosco, Kabuto. Ti senti bene?" "Sì... forse sono solo un po' stanco." "Sono troppe le notti che non dormi, figliolo. Lo so perché lo vedo nei tuoi occhi, quando stai alzato a studiare fino a tardi..." ... o quando passo le notti al servizio di Orochimaru. "E non va bene: sei ancora nell'età dello sviluppo e hai bisogno di riposare." Sentivo la sua mano, calda, sulla mia spalla, e lottavo per non ritrarmi. "Adesso voglio che tu vada a casa, faccia un bel bagno caldo, e poi ti infili nel futon." "No," rispondevo, scuotendo la testa. "Ho così tante cose da fare..." Devo scoprire chi è che sta seguendo il mio maestro, credendo di sfuggire alla sua attenzione. Devo spiare chi lo spia, e senza farmi notare a mia volta. "Ti ordino di riposare. Oggi niente studio e niente lavoro." Un sorriso. "Non voglio che ti ammali, non sta bene un medico infermo a sua volta. Poi ricorda che la stanchezza genera l'errore, e noi non possiamo permettercelo." No, hai ragione. Non possiamo permettercelo. E con un panno asciugavo la chiazza di liquido verde. Il tè che avevo così delicatamente avvelenato, per provocare un disturbo epatico che mascherasse il vero veleno che avevo in serbo. Un piano a cui avevo pensato per giorni, documentandomi su dozzine di libri polverosi... "Lascia stare, chiamerò qualcuno perché pulisca." "No, ho già finito. Scusa se ti ho disturbato." "Per una tazza?... O perché mi sono accorto che lavori troppo? A volte esageri, ragazzo mio. E' come se tu volessi sempre dimostrarmi qualcosa, ma non ce n'è bisogno. So quel che sei e quel che vali." Una preda di guerra, e in qualche altro villaggio avresti potuto vendermi... Avevo evitato il suo sguardo, con uno sforzo. E lui se n'era accorto. "Kabuto, c'è qualcosa che ti turba." "No, non è nulla..." "Non è vero." Mi si era avvicinato. "Perché non me ne parli, figlio mio?" Figlio mio! Qualcosa mi aveva afferrato il respiro. Come una morsa nei miei polmoni. "Mi chiami... figlio, ma non pensi mai al fatto che... io in realtà... non lo sono?" Lui mi aveva guardato, stupito. "No." Poi, con un sorriso: "E perché dovrei pensare una sciocchezza simile? Perché ti ho adottato?... Che differenza fa? Il mio patrimonio genetico non ha nulla di speciale." Una scrollata di spalle. "Gli Yakushi non possiedono abilità innate come altri famosi clan di Konoha: hanno solo una discreta capacità come guaritori, e tu ce l'hai addirittura superiore, quindi sei forse più Yakushi di me. In quanto al resto, dimmi: in tutti questi anni che abbiamo vissuto insieme, ti ho mai dato un solo motivo per farti credere che... ti avrei amato di più se ti avessi generato io?" Ero caduto a sedere sullo sgabello, prendendomi la testa tra le mani. Ecco perché ho lasciato cadere quella tazza... "Perdonami," avevo mormorato, con voce strozzata. Perdonami, ma devo vendicare i miei veri genitori! Perdonami, ma tu li hai uccisi! Perdonami, ma sono uno shinobi! "Ssst... ora basta, Kabuto. Questi cattivi pensieri ti vengono perché sei stanco." Mio padre mi aveva posato le mani sulle spalle, con calda tenerezza. "Solo quando si è esausti, quella voragine oscura dentro di noi ci attira per farci soffrire. Lo so per esperienza: i pensieri come questi sono i demoni che ci assalgono quando siamo più deboli..." Cosa significa, essere debole? Mi aveva reso più debole Orochimaru, rivelandomi l'altra faccia della verità, o mi rendeva debole adesso mio padre, che mi confortava mentre chinavo la testa, e mi lasciavo andare ad un pianto silenzioso? Piangevo, e mi vergognavo di farlo. Piangevo, perché non riuscivo a odiarlo, nonostante tutto. Piangevo perché avevo pensato di ucciderlo, e perché sapevo che avrei dovuto farlo e non ci ero riuscito...
"Ho fallito, signore." A testa bassa, in ginocchio davanti a Orochimaru, aspettavo la sua punizione. "Fallito in cosa?" "Mio padre..." "Ah." Un gesto distratto. "Non ha importanza. Ci sono cose più urgenti." Mi sono angosciato per niente? Non gli interessa più il destino di mio padre? Il mio maestro camminava per la stanza, tra un fruscio nervoso di vesti, le mani affondate nelle lunghe maniche. "Abbiamo una difficoltà." "Signore?" "Sarutobi." Il Terzo Hokage? "Ha osato chiamarmi al Palazzo del Fuoco, per chiedermi una relazione sui miei studi. Una relazione!... Gli ho risposto che era perfettamente inutile, dato che nessuno a Konoha, e tantomeno lui, era qualificato a comprendere i misteri che sto indagando. E lui mi ha minacciato: bada, Orochimaru, non passare il segno, altrimenti..." Si era fermato in mezzo alla stanza. "Altrimenti cosa?! Mi crede ancora il suo allievo di un tempo? Quel... bonsai che cerca disperatamente di esistere tagliando le radici degli alberi intorno a lui! Che è arrivato a tradirmi preferendomi quel... miserabile Minato come successore, per non rischiare di avere un Hokage che oscurasse la sua fama! Maledizione, posso accettare di avere dei nemici, ma li vorrei grandi, non piccoli... uomini... mediocri!!!" E con un calcio aveva rovesciato il lindo tavolino davanti a sé, e tutto il servizio da tè che c'era sopra. Non avevo osato nemmeno respirare. "Ha bisogno di una lezione." Si era voltato verso di me. "Le spie che mi ha mandato?" Obbediente, avevo estratto dalla tasca le mie carte da gioco, combinato i sigilli e attivato il chakra. Quindi avevo estratto dal mazzo tre carte, presentandole al mio maestro. Una rapida occhiata, un sorriso tagliente. "Mi considera così poco!" "Sono tre ninja di alto livello." "Si sono fatti scoprire da te, Kabuto. Non meritano di vivere." Con un gesto lirico, Orochimaru si era aperto il kimono sul petto e sfilato una manica, scoprendo la spalla e il braccio sinistro. Era la prima volta che vedevo qualcosa di più del suo volto e delle sue mani. I suoi muscoli erano affusolati e rilevati come quelli di un uomo senza età. La sua pelle candida era magnificamente tatuata fino al polso, con disegni serpentini e simboli arcani. Mentre li fissavo, pieno di meraviglia, avevo sentito il fruscio della seta, un sibilo brevissimo, lo spostamento d'aria sul volto... ... e poi un bruciore intenso, e il calore di qualcosa che scendeva pigramente. Mi ha attaccato?! Avevo fatto per portarmi le dita alla guancia, ma Orochimaru mi aveva intimato: "Fermo!" Ero rimasto immobile, col fiato sospeso. Poteva uccidermi senza che neanche me ne accorgessi! Il mio maestro si era chinato su di me. Il suo volto splendeva di ferocia appassionata. Aveva avvicinato la bocca al mio viso, ed avevo tremato di emozione... Un caldo contatto sulla mia ferita. La cosa più prossima a un bacio che avessi mai ricevuto da lui. Si era staccato da me, e la sua bocca ora scarlatta era andata al tatuaggio sul braccio. Con la lingua aveva tracciato una riga di sangue sulla pelle. Poi, così rapidamente da non permettermi di vedere tutti i sigilli che formava, le sue mani avevano danzato, e infine con un'invocazione si erano abbattute sul pavimento. Per un lungo istante era rimasto così, immobile, con le mani premute a terra, gli occhi chiusi. Avevo sentito il suo potentissimo chakra concentrarsi, esplodere nelle braccia, disperdersi a terra; sul pavimento erano apparsi simboli fantasma, luminescenti ed effimeri come lucciole, una corrente di energia che si dipartiva in cerchio come l'onda d'urto di un'esplosione. E poi... tutto era finito. I suoi occhi dorati si erano riaperti, mi avevano fissato con un sorriso maligno. "Ecco di cosa ha paura Sarutobi. Dell'ignoto." E noi no.
Il giorno dopo non avevo un segno, la mia faccia era intatta. Mi hai servito bene, Kabuto, perciò ti ho fatto un regalo. E aveva preso la mia mano tra le sue, conducendola sul taglio della guancia. Concentra il chakra e chiama le tue cellule. Chiamale alla vita. Avevo obbedito. Ed ero trasalito, scoprendo quel potere in me. C'è sempre stato, Kabuto. Ti ho solo aperto la via. Sorpreso, avevo fissato a lungo le mie mani. Potevo diventare il più grande medico del mondo... Ma per il momento ero ancora un semplice allievo. E tra i miei compiti, c'era quello della raccolta delle erbe rare. Mio padre mi aveva lasciato una lista di specie da portargli, e sapevo più o meno dove trovarle. Mi ero quindi armato di barattoli e bisaccia, e mi ero messo in cammino con l'aria più serena del mondo, salutando cortesemente le sentinelle alla porta del villaggio. "Buongiorno, Kabuto-kun!" mi avevano risposto, allegramente. "Se segui il corso del fiume, può darsi che tu veda uno spettacolo piacevole." "Quale spettacolo?" "Yukiko e le sue amiche. Dicevano che andavano a fare il bagno..." Mi permettevo di arrossire, mentre ridevo assieme a loro. Mi ero addentrato nella foresta. Con goffa naturalezza, come c'era da aspettarsi da un innocuo raccoglitore di erbe senza pratica guerriera. Anche se non percepivo nessuno a spiarmi, non facevo l'errore di fidarmi dei miei sensi. Che io avessi una sorta di adorazione per Orochimaru era abbastanza noto, anche se la cosa era lecita e spiegabilissima col fatto che il Sannin mi avesse salvato la vita. E se era diventato un osservato speciale, c'era la possibilità che lo fossero anche tutte le persone in relazione con lui... Me compreso. Per cui mi muovevo senza precauzioni, senza nascondere le mie tracce né la mia presenza. Mentre in realtà il mio hara scandagliava lo spazio intorno a me, alla ricerca di nemici che avessero commesso l'errore di sottovalutarmi. E alla fine una presenza l'avevo sentita. Da qualche parte davanti a me. E non faceva nulla per nascondersi: anzi, gemeva e singhiozzava. Una ragazza? Incuriosito, ero avanzato tra i cespugli, e avevo trovato invece un ragazzino in lacrime, addossato a un tronco d'albero. "Ehi!" avevo detto, raggiungendolo. "Che ti succede?" "Laggiù," mi aveva detto, indicandomi un punto della foresta. "C'è... un morto." Il sorriso mi era caduto di dosso. Mi ero voltato verso quel punto. "Resta qui." E mi ero messo a correre in quella direzione. Non ci avevo messo molto a trovare il cadavere. E che fosse tale era chiaro: un corpo umano ormai freddo e rigido, orribilmente rigonfio, come se qualcosa l'avesse riempito dall'interno. Le fattezze erano sconvolte e mostruose, rendendo difficile il riconoscimento: si vedeva che aveva l'uniforme di chuunin, e che era un maschio adulto... Una delle spie che seguivano Orochimaru!... Ero arretrato, inorridito. La morte che il mio maestro aveva promesso era giunta, misteriosa e terrificante. Avevo dovuto respirare a fondo, ritrovare la calma, pensare a cosa avrei dovuto fare. Poi avevo compreso di dover dare l'allarme. Il sistema noto era un fumogeno, che tutti i genin avevano in dotazione per le emergenze. L'avevo acceso, sperando che il vento non disperdesse il fumo prima che le sentinelle lo notassero. Quindi ero tornato dal ragazzino, l'unico per cui avrei potuto ancora far qualcosa. Era rimasto lì dove l'avevo lasciato, e cercava coraggiosamente di darsi un contegno. Era un marmocchio con grossi capelli neri legati a treccia dietro alla schiena, e aveva perso un sandalo: la caviglia era gonfia come un melone. "E' morto davvero?" mi aveva singhiozzato, felice di rivedermi. "Sì," avevo detto, chinandomi su di lui e accarezzandolo per calmarlo. "Ma adesso pensiamo a te: ti sei fatto male..." "Avevo paura e volevo correre al villaggio, ma sono... caduto in una buca." "Fammi vedere." Avevo preso quel piede tra le mani, e mi ero concentrato.
Mio padre fissava il cadavere, nudo, sul tavolo delle autopsie. Io stavo al mio posto lungo la parete, assieme ai due assistenti, vestito di bianco come loro. Un jounin barbuto dall'aria cupa contemplava la scena, con le braccia incrociate sul petto. "Ebbene?" chiedeva. "Veleno," rispondeva mio padre. "Non c'è alcun dubbio, è una tossina di origine animale. Sembra il morso di un serpente." E indicava due forellini sul collo del cadavere. "Ma se fosse così dovrebbe essere stato enorme, lo spazio tra i denti non corrisponde a nessuna specie conosciuta intorno a Konoha." "Un serpente proveniente da un altro paese?" "Non sono competente per risponderti, Asuma-san. Posso solo dirti che... questo corpo all'interno è devastato, come mai mi è capitato di vedere da quando ho addosso la veste del medico. Non c'è organo che sia rimasto intatto. L'emorragia è stata massiccia e immediata. L'agonia non dev'essere durata per più di qualche secondo... forse un minuto. Ma credo di poter affermare che è stata dolorosissima." "Altri segni?" "Nessuno. Tracce di vecchie ferite, nient'altro." "Vado a fare rapporto all'Hokage," aveva detto il jounin, e se n'era andato. Mio padre aveva fatto un segno, e i due assistenti avevano portato via l'orribile corpo sfigurato. "Non è stato un bello spettacolo, Kabuto," aveva sospirato. "Questo è il lato del mio lavoro che mi piace di meno." "Conoscevi quest'uomo?" "Di vista, sì. Come conosco quasi tutti a Konoha." "Pensi che si sia trattato di un incidente?" "Lo penserei... se non avessi saputo che due ninja sono scomparsi nel nulla, e non si riesce a ritrovarli. E non erano in missione." Mi ero finto adeguatamente turbato. "Quindi il supposto morso del serpente..." "Probabilmente è un'arma fatta per imitarlo. Abbiamo un nemico intorno al villaggio... o un assassino al suo interno. Ma non sono cose che riguardino noi medici." Si era voltato verso di me. "Soltanto, voglio che per un certo tempo tu non vada più da solo nella foresta. Se devi andare in cerca di erbe, organizzati con una squadra." "Va bene, padre." "Ora lasciami, devo scrivere anch'io il mio rapporto." Mi ero ritirato, chiudendo con garbo la porta alle mie spalle. Anch'io devo fare rapporto. Al mio maestro.
Ero riuscito a raggiungere Orochimaru in un tempio, dove era andato a bruciare incenso. Se ne stava immobile, inginocchiato di fronte alla statua della divinità: una chiazza bianca e nera nella flebile luce delle lampade. Io ero tutt'uno con l'ombra. "Dunque il serpente ha respinto una delle vittime," diceva, con voce monotona e bassa. "Doveva avere addosso qualche amuleto, o essere di un clan segnato da un incantesimo." "Gli altri due?" "Li ha divorati," era l'asciutta risposta. "Speravo che tutti e tre sparissero allo stesso modo, ora abbiamo un problema." "Non è possibile risalire a voi, signore..." "No, ma il sacrificio ora è incompleto. Il patto col Grande Serpente ha le sue regole ed occorre purificare la sua vittima." "Come?" "Mi serve il suo cuore." Un brivido elettrico nel sangue. Il suo cuore?... "Non ti sarà difficile procurarmelo." Orochimaru aveva acceso un altro bastoncino d'incenso, e la fiamma aveva danzato un attimo nei suoi occhi. "Fino a domani il suo corpo è a tua disposizione, e tuo padre ha già praticato l'autopsia. Estrai il cuore senza lasciar tracce, e portalo tra sei ore nel mio quartiere." "Sì, signore." I suoi occhi dorati avevano scintillato verso di me. "Quel che farai per me.. io non lo dimenticherò." L'avevo lasciato, con quello sguardo inchiodato nella mia memoria, e il cuore che mi batteva forte... Ed ora, nel colmo della notte, ecco che scivolavo silenziosamente tra i muri e sui tetti del villaggio. Per te, maestro. In un contenitore sotto la tunica portavo il cuore che un'ora prima avevo segretamente estratto dal cadavere della spia: era l'unico organo che avesse ancora una forma riconoscibile nel marasma repellente delle sue interiora. Avevo usato la massima attenzione: un bisturi di chakra per un lavoro pulito, e la mia nuova abilità per saldare l'esterno dei tessuti... solo un segno simile alla più vaga delle cicatrici era rimasta sul torace dell'uomo, che avevo poi rivestito per il funerale. Non se ne accorgerà nessuno, nemmeno i suoi parenti! Alla fine ero arrivato al quartiere di Orochimaru: una grande casa sobria e antica sprofondata in un giardino squisito, nei cui sotterranei segreti il mio maestro custodiva i suoi testi, i suoi reperti e i suoi esperimenti. Avevo scavalcato il muro con facilità, saltando a terra senza disturbare nemmeno l'erba. Passi rapidi tra le ombre dei cespugli odorosi, e poi in ginocchio davanti alla porta. Con garbo infinito, l'avevo fatta scorrere senza un suono. La sala si era aperta davanti a me. Era buia e vuota. "Orochimaru-sama?..." avevo sussurrato. Nessuna risposta... Mi ero alzato, avevo fatto un passo prudente in avanti. "Orochimaru-sama!" Avevo sentito il pericolo nello stesso istante in cui avevo capito che era già troppo tardi. Un agguato! Qualcuno mi aveva afferrato per un braccio, torcendomelo violentemente dietro alla schiena. Mi ero teso per reagire ma non ne avevo avuto il tempo, mi ero trovato avvolto da un vortice di movimento ed ero finito rudemente a terra, con la faccia premuta contro il pavimento. Era già così vicino a me, e non l'ho percepito! Braccio. Ginocchio. Avevo la posizione del corpo del mio attaccante, chiunque fosse. Gli aghi avvelenati erano fuori portata, alla mia cintura, ma avevo un bisturi nascosto nel guanto, e lo sentivo quasi bruciare sulla pelle. Dovevo prepararmi a concentrare il chakra nella schiena... No! In un istante, avevo compreso che quello non era un nemico ordinario che avrei potuto uccidere così facilmente. Quest'assalto così sicuro e silenzioso... non può essere che un jounin! "Fermo." Una voce adulta, sicura sopra di me, appena soffocata da una maschera. E qualcosa di gelido al collo. "Non muoverti." I miei muscoli si erano rilassati, simulando un terrore maggiore di quel che provavo. Non ho scelta che arrendermi, e sperare che abbassi la guardia per colpirlo e fuggire. L'uomo sopra di me però non aveva nessuna voglia di sottovalutarmi. Sempre tenendomi schiacciato sotto di lui, aveva emesso un fischio modulato, come il canto di un uccello notturno. Molte luci avevano invaso la stanza, riflettendosi sulle composizioni calligrafiche del mio maestro. E alcune persone erano improvvisamente apparse ai miei occhi. Maschere di animali fantastici sul volto, braccia nude e armature sul petto. Mi ero sentito tremare. La squadra Anbu?! "Orochimaru?" chiedeva uno di loro. "E' fuggito," rispondeva l'uomo che mi teneva prigioniero. "Almeno un'ora fa, se le tracce non sono false." "Male, Kakashi-sempai." Avevo spalancato gli occhi. Kakashi? Quel Kakashi?! L'idea che per un attimo avessi pensato di battermi contro un ninja così famoso mi faceva rabbrividire... "E questo ragazzo?" "E' venuto a cercare Orochimaru, forse è il suo complice." "No!" avevo esclamato, spaventato. "Io... sono solo uno studente..." "Forse." La voce di Kakashi aveva preso un lieve tono canzonatorio, al mio orecchio. "E forse no... guerriero." Lo stomaco mi si era fatto di ghiaccio. Ha percepito forse la mia intenzione di combattere?... "Perquisitelo." Gli Anbu mi avevano afferrato per trascinarmi in piedi e frugarmi tra i vestiti. Non ci era voluto molto a ritrovare il contenitore che avrei dovuto consegnare al mio maestro. L'avevano dato all'uomo con la maschera, che l'aveva aperto, ci aveva dato un'occhiata, e poi l'aveva richiuso. "Come ti chiami, ragazzo?" "Yakushi... Kabuto," avevo risposto, sudando freddo. "Yakushi Kabuto, sei nei guai."
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