Kabuto Gaiden
Capitolo 2: 贋 (Nise) (Falsità)
di Hana-bi
"Perdonami, padre!" In ginocchio sul pavimento, le mani a terra, la testa china, stavo davanti a lui come il ritratto vivente dell'avvilimento. "Smettila di umiliarti così, sono sicuro che hai fatto del tuo meglio." "Non posso sopportare l'idea di averti deluso!" "Ah, Kabuto..." Mi si era avvicinato, si era chinato per prendermi per le spalle, con gentilezza. "Non mi hai deluso affatto. L'esame di chuunin è molto duro, e se ti propongo per farlo è solo per via della tradizione di famiglia. Io stesso mi ritengo fortunato di aver raggiunto questo rango, ma è stato tanto tempo fa... quando era necessario essere guerrieri oltre che medici." Un sorriso. "Ma ora Konoha è in pace, e tu sei fuori posto tra i combattenti: il tuo animo è troppo gentile e le tue doti marziali trascurate, e questo perché sei un medico nato, fatto per dare la vita, non per toglierla... non devi affliggerti se sei stato bocciato, prendi l'esame di chuunin come un'occasione per aumentare la tua esperienza, e riprova." "Oh padre... ti prometto che un giorno sarai orgoglioso di me!" Mi aveva abbracciato. "Ma io sono già orgoglioso di te, Kabuto. La mia esistenza era un deserto di solitudine e tu l'hai riempita dandomi tutte le gioie che può aspettarsi un padre. Ricorda sempre una cosa: che tu sia genin o chuunin non ha per me la minima importanza. Sei mio figlio... questo mi basta." Padre... Avevo chiuso gli occhi, autenticamente commosso. Mentre una parte segreta, nascosta dentro di me ripensava a quell'esame. E lo considerava un vero successo, anzi: un trionfo. Partecipa e analizza con attenzione tutti i partecipanti, mi aveva ordinato Orochimaru. Raccogli informazioni sulle persone che ritieni più notevoli. Osserva i jounin che saranno al lavoro per valutare i candidati: siano loro ad essere esaminati da te e non il contrario. E fallisci, cosicché tu possa ripresentarti all'esame successivo e ripetere l'esperienza, e informarmi su evoluzioni e cambiamenti. La cosa più difficile per me era stata farmi bocciare: mi ero reso conto che le arti del mio maestro stavano affilando le mie armi naturali portandole a un livello quale mai avrei potuto sperare. Ognuno degli esami che mi erano stati imposti mi era risultato di una facilità addirittura imbarazzante. Mi ci era quindi voluto uno sforzo deliberato per sbagliare alcune domande, fingermi goffo e un po' codardo, e pateticamente inadatto al combattimento. In una prova di taijutsu mi ero lasciato abbattere da un genin mediocre, che si era pure dispiaciuto per me. Mi aveva aiutato ad alzarmi, mentre mi dichiaravano sconfitto, e io mi ero inchinato a lui con un sorriso rassegnato. Avrei potuto ucciderlo in undici modi diversi. Nessuno poteva immaginarlo, ma Orochimaru mi aveva già iniziato all'arte di togliere la vita. Spiegandomi, mentre mi vedeva studiare anatomia, la fragilità intrinseca del corpo umano, e le molte maniere in cui si recide quel legame sottile ed elastico che divide l'esistenza dalla non-esistenza. Incontrandomi come per caso, mentre andavo nella foresta per raccogliere erbe medicinali, cogliendo un fiore, e intanto parlando degli infiniti veleni che la natura sa donarci. Soprattutto spiegandomi che la compassione, al contrario di quanto si insegnava, era un sentimento che non andava distribuito con facilità. Non devi pensare che siamo tutti uguali, Kabuto. E non devi pensare che tutti gli scopi siano uguali. Chi vive senza sapere di vivere, è nient'altro che un sacco di visceri e membra che deambula in un universo che non capisce... del tutto indistinguibile da un animale qualsiasi. E una notte mi era apparso alla finestra, pallido e senza età, vestito di nero con una cintura di corda artisticamente annodata, e il coprifronte che serrava i lunghi capelli sciolti. Mostrandomi il guerriero leggendario che nascondeva sotto la sua solita figura compassata e quasi languida. Andiamo a caccia di animali, Kabuto-kun. L'avevo seguito col cuore in gola, balzando nell'oscurità, usando al limite le mie forze fisiche, e bramando le sue che sembravano infinite. Gli animali a cui si riferiva erano degli sbandati senza patria, che erano scesi dalle montagne per rifugiarsi nella foresta intorno a Konoha. Orochimaru li aveva spiati con la freddezza di un rettile in agguato. Poi mi aveva guardato, e le sue dita si erano mosse nel linguaggio silenzioso dei ninja. Uccidili, ma non rovinare i loro organi interni. Avevo paura. Non di quel che poteva succedermi, ma di quella barriera che stavo per deflorare. Ma sapevo che dovevo farlo, che avevo giurato di mettermi in gioco. E sapevo che Orochimaru mi avrebbe guardato mentre avrei ucciso per lui... La mia prima volta. La prima volta di un amore. Dopo pochi minuti, del campo dei banditi non era rimasto che un cimitero, ed io ansimavo, scioccato, sconvolto, ma anche... esilarato. Colto da uno strano delirio, mi ero strappato di dosso i vestiti fradici di sudore e sangue, e avevo rovesciato la testa in un urlo silenzioso di trionfo. Ora sì che sono un vero ninja! Quando avevo abbassato lo sguardo, mi ero accorto che Orochimaru mi contemplava col respiro rotto dall'eccitazione. Non vale la pena di essere vivi, Kabuto? Gli avevo sorriso: era vero. E solo con lui mi sentivo vivo. Il ricordo di quella notte - di molte notti che poi erano seguite, a caccia di reperti umani per gli esperimenti del mio maestro - mi eccitava segretamente, quando intercettavo il mio riflesso su qualche superficie liscia, e invece di quel magnifico assassino non vedevo altro che un ragazzo candido, ordinato, sorridente, occupato a macinare erbe curative e a studiare medicina. Il fatto di aver saputo nascondere il mio vero essere persino agli occhi attenti dei jounin mi riempiva di un ironico divertimento. Al maestro Orochimaru avevo consegnato un pacchetto di quelle che sembravano anonime carte da gioco. "Ecco quanto mi avete richiesto, signore." Avevo concentrato il chakra tra le mani, componendo i sigilli segreti che mi aveva insegnato. Quindi avevo posato le dita sul mazzo di carte, e si erano animate di immagini, date, simboli. "Oh... hai adattato le tecniche della scrittura segreta, codificandola attraverso il tuo chakra." Un sorriso di approvazione. "Molto astuto." "Queste sono tutte le informazioni che ho raccolto sui genin migliori, sui chuunin e sugli jounin di questa sessione." Le mani fredde del mio maestro avevano preso le mie, intrappolandole sul mazzo di carte. "Bravo, Kabuto-kun." Un sorriso. "E prudente. Senza le tue mani nessuno può leggere queste carte..." Una stretta feroce alle mie dita, che mi aveva fatto trasalire. "Nemmeno io." Avevo affrontato il suo sguardo. "Avete dubbi sulla mia fedeltà, signore?" Un'occhiata intraducibile persino per me. "Sei la mia creatura."
Le informazioni che procuravo a Orochimaru erano complete e ricche di dettagli. Ero in una posizione dove non mi era difficile scoprire certe cose: a un medico si confidano molti segreti, e alcuni non si sentono vivi se non regalano i segreti degli altri. Ma anche Orochimaru aveva dei segreti con me. Non mi permetteva di condividere i suoi esperimenti più arditi. Dovevo attenderlo fuori dalla porta, e vederlo uscire dal suo laboratorio col il volto orribilmente pallido, quegli occhi magnifici disperati. "Non c'è dunque soluzione? Bisogna rinunciare al corpo per sconfiggere la morte?" "Tutto quello che ha forma perisce," recitavo automaticamente dai sutra. "Non posso permettermelo," insisteva. "Non posso permettermi di morire! Ho bisogno di più tempo... più tempo!" "E più potere, maestro?" "Per avere più potere, ho bisogno del tempo. E ho bisogno del potere per avere più tempo!" E del potere era un accanito ricercatore. Rotoli antichi e segreti stipavano ogni angolo del suo quartiere. Ne andava a caccia con una passione assoluta. Se sapeva dell'esistenza di un ninjustu sconosciuto, non aveva pace se non ne carpiva il segreto. La sua sete di conoscenza non aveva limiti. Si sentiva prigioniero delle regole ferree di Konoha che di limiti, invece, ne imponevano. Vietare i sacrifici umani! esclamava, scandalizzato. Che ipocrita follia. Il Quarto Hokage ha sacrificato se stesso e un bambino innocente, e il suo volto è inciso sulla montagna di Konoha come quello di un eroe. In che cosa siamo diversi il Quarto e io? Mi dicono, nello scopo. Ma allora è lo scopo in questione, non la regola. E perché non si osa discutere, di questo scopo, e si preferisce censurare le conoscenze? Per paura, politiche e convenienze. Nell'epoca della mia gioventù c'erano bambini prodigio capaci di diventare chuunin prima ancora di cambiare la voce. C'erano fanciulli che imparavano prima a uccidere che a leggere un testo. E Konoha era temuta da tutti. Ora è un villaggio senza futuro, rammollito nella sua prosperità, che si permette il lusso di fare discorsi etici, quando l'unica etica che conta per uno shinobi è quella del successo. E siccome la situazione d'equilibrio tra i potentati ninja sembrava stabile, il mio maestro si figurava di fondare un regno tutto suo, sotto il naso dei grandi stati del paese. In questo "villaggio del Suono" che stava creando in segreto, lui sarebbe stato l'equivalente di un Kage, e nessuno avrebbe potuto limitare la sua ricerca dell'immortalità. Era un'idea così grandiosa da rasentare la follia. Ma era quella follia che mi aveva conquistato... Non esiste l'impossibile, Kabuto. Non esiste un limite che non si possa superare. Ogni tanto il mio maestro scompariva per settimane e a me toccava attenderlo, occupandomi della mia vita ordinaria, fatta di piccole cose, piccoli piaceri e dispiaceri. Come aveva predetto, la mia vista era peggiorata e non era curabile: potevo soltanto esercitarmi a utilizzare il mio chakra per correggere il difetto in caso di necessità. Avevo scelto di mettere degli occhiali rotondi, palesemente inadatti a qualsiasi scopo marziale, e che mi davano un'aria da quieto erborista: il mio gesto abituale era sistemarmeli sul naso, specie quando mi si facevano domande alle quali preferivo rispondere con cortesi bugie. Ed ero grato all'anonima uniforme di allievo medico, che sceglievo più grande del necessario, in modo che nascondesse lo sviluppo del mio corpo. Così infagottato e nascosto dietro le mie lenti ero una figura quasi invisibile e sorridente, il beniamino dei pazienti di mio padre che mi riempivano di complimenti affettuosi. Ah, quel giovane Yakushi! Che ragazzo gentile, sempre disponibile ed educato, e che mani! Riesce a capire cosa non vada solo toccando una parte del corpo... Non ero neanche infelice, con quella vita. Ma quando Orochimaru tornava, il mio cuore batteva più forte. Lui intercettava il mio sguardo tra i tanti, e faceva uno di quei sorrisi remoti che chiamavano il vero ninja che era in me. Sotto ai vestiti sentivo i miei muscoli tendersi e i miei desideri più intensi riemergere, e il piacere di dominare quella tempesta inchinandomi correttamente e impeccabilmente era tra i miei preferiti. Nessuno ovviamente trovava niente di strano nel mio comportamento deferente verso un Sannin maestro di arti magiche. Il quale raramente mostrava di accorgersene: la distaccata condiscendenza con cui occasionalmente si degnava di rivolgersi a me era vista da mio padre come un suo successo personale. In segreto, le cose andavano diversamente. Potevamo sembrare due amanti, e in certi frangenti c'era effettivamente come una tensione erotica tra noi, un gioco delicato di sguardi e fisicità che mi eccitava più di ogni banale rapporto sessuale. Ma le cose non erano così semplici, così ordinarie, e lo sapevo. Non c'era affetto per me nell'interesse che Orochimaru mostrava per la mia persona, né ero sicuro che l'avrei voluto: la mia vita era più semplice, se riconoscevo le sue crude verità e non mi facevo illusioni. Sapevo che il mio maestro mi trattava come si tratta una parte del proprio corpo, con la stessa cura e la stessa sensazione di dato per scontato. Ero un suo arto, un suo braccio, un suo membro. Badava che fossi sano, forte, pulito ed efficiente. Mi accarezzava compiacendosi di vedermi diventare bello nel senso che voleva lui, ma allo stesso modo in cui curava la disposizione delle pieghe del suo kimono quando si inginocchiava sul tatami. Ed io non chiedevo di più da lui. Mi basta appartenergli... Ma non avevo ancora idea di cosa avrebbe chiesto lui da me. "Orochimaru-sama..." "Dimmi, Kabuto." "Mio padre chiederà di ritirarsi non appena avrò superato l'esame per diventare chuunin." "Non è ancora il momento, mi servi ancora come spia in quella sede, e tuo padre non è così vecchio." "Se si ritira, però, io potrò diventare ninja medico al suo posto e avrò più possibilità di raccogliere informazioni." "Potresti prendere il suo posto anche senza passare l'esame di chuunin." "Come?" "Basterebbe che tuo padre morisse..." Il cuore aveva perso un colpo nel mio petto. Mio padre... morto?! "Maestro," avevo mormorato, con voce strozzata. "Tu lo ami, vero?" Un vago sorriso. "Lo chiami padre, ma non lo è." "Questo lo so! Ma lui è l'uomo che.." "... ha ucciso i tuoi veri genitori." I miei occhi si erano spalancati, inorriditi. Che cosa?!... Il sorriso di Orochimaru era carico di dolce veleno. "Non te l'ha mai detto, vero, Kabuto-kun?... Allora te lo racconto io. Ha trovato i tuoi genitori feriti gravemente, sulla piana di quel villaggio distrutto. Erano coscienti. Da degni guerrieri quali erano, quando hanno visto il suo coprifronte con la Foglia, hanno capito che era finita e non hanno chiesto di essere risparmiati... gli hanno solo domandato di uccidere pietosamente l'intera famiglia, per poter restare uniti anche nell'aldilà. Due colpi di kunai, e tuo padre e tua madre sono andati nel Grande Vuoto... ma quando si è trattato di te, l'egoismo ha avuto il sopravvento." Non l'amore?... "Quell'uomo ti ha guardato, a lungo, con la tua testolina spaccata tra le mani. Il tuo volto infantile, seppur coperto di sangue, prometteva intelligenza. Ho perduto un figlio, diceva una voce avida nel suo animo. Qui c'è un bel bambino ancora vivo Perché gettarlo via, in onore di una promessa verso nemici morti? Lo prenderò con me. Sarà mio, una preda di guerra come una lancia, una pentola, un sacco di monete. Me ne impossesserò... per farne ciò che desidero. Ne farò il figlio che i miei lombi aridi non sono sicuri di poter fare, l'erede di un clan che non avrei il tempo di rifondare con un'altra donna. Alleverò questo bambino a mia immagine e somiglianza, farò del figlio di due splendidi shinobi un degno Yakushi nel corpo e nello spirito. Spegnerò il suo fuoco guerriero con l'acqua dello studio e della meditazione, castrerò la sua anima naturalmente assetata di sangue, annienterò i feroci desideri della sua carne con un placido matrimonio combinato... trasformerò il vero ninja perfetto che ho portato via da un campo di battaglia, in un pigro medico di un paese senza spina dorsale!" Freddo. Sentivo tanto freddo. "Io non ti ho creato dal nulla, Kabuto. Ti ho solo... scoperto." Una carezza sul mio volto, per togliermi gli occhiali. Un dito a sfiorare una lacrima dalle mie ciglia. "Non merito un premio per questo?" Occhi chiusi, un gemito nella mia gola. "Oh, ssssssì," mormorava Orochimaru. E la sua voce era come il sibilo di un serpente.
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