Kabuto Gaiden

 

Capitolo 1: 始めに Hajimeni (Principio)

 

di Hana-bi

 


 

La mia vita è cominciata con due occhi magici che mi chiamavano.

Dormivo. E una voce dolce mi diceva di svegliarmi. Scaldava il freddo del mio corpo. Potevo stupirmi alla magia dei miei sensi che si dispiegavano, come i petali di un fiore. Lenti e solenni, tremuli e avidi.

Ahhhhhhhhh...

Un bambino dalla testa rasata e fasciata apriva gli occhi, per rincontrare quelle schegge di infinita tenerezza davanti a sé.

E molte voci sorprese e ammirate:

"Orochimaru-sama!"

Orochimaru...

Una donna bellissima mi guardava, con una strana espressione di disappunto.

"Ce l'hai fatta," mugugnava. "Non pensavo che saresti riuscito dove io ho fallito."

"Nemmeno io, Tsunade... ma tante sono le variabili in questo universo, che la sorpresa è sempre alle porte."

Una carezza soave e fredda su quella che scoprivo essere la pelle delle mie guance.

"Hai un nome, ragazzino?"

Che cos'è un nome?...

"Non può ricordarlo," diceva la donna. "Il danno alla memoria ormai è definitivo."

"Allora ti chiamerai... Kabuto."

 

 

Ero stato trovato su un campo di battaglia, poco più che bambino, in mezzo ai morti. Non so perché fossi lì, non so nulla delle mie origini. Qualcuno mi aveva colpito alla testa e tutto il mio passato se n'era andato. Non potevo nemmeno sapere se avessi da piangere una famiglia, e a quale villaggio appartenesse...

Il ninja medico mandato a raccogliere i feriti aveva da poco perso moglie e figlio, a causa dell'attacco di un demone chiamato Volpe a Nove Code. Così, quando si era accorto che un bambino nemico era ancora vivo, il suo cuore non aveva avuto la forza di dare il colpo di grazia, com'era la prassi in quei casi. Mi aveva invece portato a Konoha, per essere curato; ma le mie condizioni erano critiche e sembrava che non mi sarei mai risvegliato...

... se quegli occhi magici non mi avessero chiamato.

L'essere benevolo mi aveva dato quel nome, Kabuto.

E Kabuto sarebbe rimasto.

Il ninja medico aveva infatti mantenuto quel nome, aggiungendo quello della sua casata. Ed era diventato mio padre. Un padre che non era il mio, né di sangue né di spirito. Ma che rispettavo, perché la sua pietà mi aveva dato la vita e tutto quello che da essa potevo aspettarmi.

Compresa la compagnia di quell'uomo straordinario che mi aveva risvegliato.

Orochimaru...

Per questo non mi lamentavo del mio destino, né indagavo sul mio passato; ma studiavo le arti mediche, secondo la tradizione della mia famiglia putativa. Il mio nuovo padre mi guardava con orgoglio perché la mia abilità cresceva di giorno in giorno. E diceva che ero ormai più che degno di perpetuare il nome degli Yakushi, anche senza esserne diretto discendente.

Orochimaru seguiva con compiacimento il mio avanzamento negli studi. E un giorno mi aveva sussurrato:

"Sei molto bravo, Kabuto-kun."

"Grazie, Orochimaru-sama."

"E la tua bravura eccita la gelosia, lo sai?"

L'avevo guardato, colpito.

"Chi sarebbe geloso di me, signore?"

La sua mano aveva danzato indicando tutt'intorno.

"Coloro che non sono alla tua altezza. Qualcuno non dimentica che sei uno straniero."

"Konoha ormai è la mia patria," avevo mormorato. "Non conosco altro..."

"Lo conoscerai." Un sorriso. "Nei tuoi occhi vedo viaggi, esperienze e avventure. Non c'è in te la quiete di chi si accontenta."

Avevo tremato, perché era così.

"Accetteresti un consiglio da me?"

"Ne sarei onorato! Un così grande ninja come voi che si degna..."

Un dito davanti alle mie labbra a farmi tacere.

Un sorriso remoto, e la sua voce si era abbassata, come se dovesse dirmi un segreto.

"Dissimula, ragazzo."

Dissimulare?...

"E' l'arte più sottile," aveva continuato lui, suadente. "Mai mostrare quel che si è e mai mostrare quel che si vuole. Impara il segreto, impara il dolce piacere dell'inganno, mostra a tutti il tuo cuore, ma fa' sempre che ci sia un cuore segreto dentro di te, noto a te solo."

E quegli occhi straordinari mi avevano sorriso, inchiodandosi nei miei...

"Sì, Orochimaru-sama," avevo mormorato, sentendo qualcosa dentro che esultava.

Dissimulerò.

 

 

Mi esercitavo, in segreto e in silenzio.

Tenevo care dentro di me tutte le parole che colui che ormai chiamavo maestro nel mio cuore si degnava di dirmi. E una volta, mentre spiavo la perfezione dei suoi gesti durante un cha no yu, si era voltato verso di me, i lunghi capelli sciolti nel vento, un sorriso che veniva da molto lontano.

Ricorda, Kabuto-kun, che la via per la perfetta libertà passa dalla perfetta disciplina...

Ed io la applicavo.

Dissimula.

Mi guardavo allo specchio per ore, e pensavo, e analizzavo le mie espressioni e come mi tradivano.

Dissimula.

Usavo le tecniche mediche che avevo appreso per autoinfliggermi i vari gradi del dolore, e studiavo come mantenere un'aria allegra nonostante la sofferenza. Quando avevo un piacere cercavo di assumere un'espressione triste, quando ero furibondo imparavo a ridere.

Dissimula.

Quel dominio di me mi dava un piacere particolare, intenso e sottile, che non avrei mai immaginato. I momenti di abbandono che mi concedevo quando le mie facoltà erano esauste diventavano sempre meno necessari. Finivo per godere dello sforzo, e considerare la dissimulazione come una mia seconda natura, naturale come un cambio di respiro. Non mi dava poi tutto questo sollievo il momento di chiudermi nella mia stanza e lasciarmi andare alle mie emozioni autentiche. Era l'ammissione della mia debolezza, a cui solo la mia mente di scienziato era disposta a credere.

Ma fuori di qui, sono impenetrabile.

Oltre a questo lavoro su me stesso, studiavo attentamente coloro che mi circondavano, i loro gesti e le loro parole, i dettagli più minuti che tradivano i loro pensieri e le loro emozioni. Non mi era difficile scoprire i loro segreti, ora che sapevo nascondere i miei. Me ne impadronivo col piacere con cui altri collezionano gioielli e manufatti antichi. Accatastavo le informazioni nel mio cervello e inventavo sistemi per criptarle e metterle a mia disposizione.

E la cosa più facile era sapere alla perfezione quel che tutti si aspettavano da me. Mi divertivo quindi ad usare le mie nuove abilità per sembrare la più innocua delle persone, un bravo ragazzo precocemente sbiancato per via di un triste trauma, tutto casa e studio, l'amico che tutti vorrebbero avere, dolce e comprensivo e non troppo sveglio...

Kabuto Yakushi? Oh, un ragazzo semplice. Tranquillo. Paziente. Affidabile. Gentile. Buono.

Persino mio padre ci credeva.

Orochimaru mi aveva aperto un nuovo universo.

Lo incontravo spesso, tra i corridoi della casa della Medicina, dove si diceva che fosse alle prese con arditi esperimenti per aumentare e potenziare la vita umana. Lui, e lui soltanto, aveva l'aria di sapere cosa ci fosse in me. Il suo sorriso pallido me lo diceva, quando i nostri sguardi si incrociavano. Automaticamente dissimulavo anche con lui, sapendo che il mio gioco era scoperto: era come se mi lasciassi esaminare, e ambivo a un suo riconoscimento.

Mostrami cosa sai fare, Kabuto-kun.

E mi osservava mentre lavoravo sui pazienti, fortificando cellule danneggiate. Mentre riequilibravo energie interne secondo i percorsi segreti del corpo umano, studiati su carte polverose e manichini di argilla di ere antiche. Mentre praticavo le mie prime operazioni chirurgiche senza tagli, usando il mio chakra come un bisturi e sudando nello sforzo di mantenere la concentrazione.

E se commettevo un errore, erano le sue mani a intervenire per sistemare il danno e insegnarmi la posizione corretta.

Più controllo, Kabuto-kun. Il controllo è tutto.

Le nostre dita allora si sfioravano ed io sentivo... brividi. Qualcosa di seducente e freddo scendermi lungo il collo. Non era una sensazione erotica, non almeno nel senso fisiologico del termine. Era il sapore della conoscenza, di uno scopo superiore, a paragone del quale ogni cosa che a Konoha si definiva importante non aveva il minimo peso. Io sentivo in Orochimaru qualcosa che mi liberava da una vita preordinata, dove io sarei stato il successore del mio padre adottivo, e avrei passato il resto della mia vita all'ospedale di Konoha, rammendando i corpi degli shinobi feriti e aiutando donne a partorire, obbedendo agli ordini e sottomettendomi alle politiche del Consiglio e dell'Hokage di turno...

No.

Non volevo quel destino, non volevo sentirmi in gabbia. Volevo volare libero, come la vita mi aveva liberato dal passato.

Ma non era ancora tempo...

Dissimula, ragazzo, insisteva Orochimaru.

Ed io dissimulavo.

Sorridi, Kabuto Yakushi, o chiunque tu sia. Sorridi e sii mansueto e paziente. Mostrati vile, quando vorresti estrarre un bisturi e tagliare la gola di chi ti sta di fronte. Mostrati stupido, davanti agli stupidi che non sanno vedere la tua grandezza.

E... gioca con loro.

Allora il mio sorriso diventava sincero.

 

 

Giocare era un piacere. Sempre più pesante.

Il mio desiderio sessuale era forte. Una ragazza altezzosa era a disposizione per l'esperimento. Le avevo fatto una corte goffa, a cui lei aveva risposto:

Non sono una che si mette con un medico da quattro soldi.

Quel che non sapeva era che mi ero già preso quel che volevo di lei. Senza che se ne accorgesse, l'avevo drogata, e poi mi ero divertito a fondo con lei, e infine le avevo cancellato la memoria.

A me piacciono i ragazzi svegli, attivi...

Fosse stata lucida in quei momenti, forse non mi avrebbe definito poco attivo. Mi ero accoppiato con lei come una tigre, ripetutamente e fino allo sfinimento; ma quel piacere fisico alla fine era quasi trascurabile, rispetto a quello di vederla dopo credersi ancora in grado di guardarmi dall'alto in basso, mentre mi fingevo col cuore spezzato...

Mi spiace, Kabuto. Non sei il mio tipo.

Ero fuggito da lei con le lacrime agli occhi, suscitando la compassione di quelli che si credevano i miei amici; per poi chiudermi nella mia stanza e piangere davvero, ma dalle risate.

Ah che stupida, che stupida!

"Ha avuto quel che meritava, vero?"

Quella voce mi aveva fatto trasalire.

Dalle ombre più fitte era avanzato Orochimaru. Era lì che mi attendeva, misteriosamente. Non avevo percepito la sua presenza, non avevo percepito niente.

Ma un Sannin sa come ingannare i sensi di un semplice genin come me...

"Signore," avevo balbettato, realmente confuso.

"So quel che hai fatto."

Mi ero sentito avvampare.

"Che cosa..."

"E' un po' che ti tengo d'occhio, aspettandomi la tua logica mossa."

Terrore.

"Lo sai come si chiama, la tua impresa, Kabuto-kun?... Stupro."

Mi ero gettato in ginocchio davanti a lui. "No, signore, no..."

"Le conseguenze potrebbero essere diverse a seconda di chi venisse a saperlo per primo."

"Signore, vi prego..."

Aveva alzato un dito. "Uno: la famiglia di lei dichiara una faida contro gli Yakushi e uccide te e tuo padre..." Aveva alzato un altro dito. "Due: l'Hokage ti fa fustigare e rinchiudere in una segreta, e perdi la tua posizione come ninja medico..." Altro dito. "Tre: vieni scacciato da Konoha e dichiarato fuorilegge."

"Signore!" Ero disperato.

"Ssst..." Orochimaru aveva portato il dito alle labbra, e la sua voce si era abbassata ad un sussurro suadente. "Non ho intenzione di dire niente, quella sciocca non lo merita."

"No?..."

"No. Però adesso rialzati, e... spogliati."

I miei occhi si erano dilatati.

"Stai tranquillo," aveva sorriso lui, intuendo i miei pensieri. "Non ho intenzione di punirti con la tua stessa medicina. Te lo meriteresti, ma io non indulgo in questo tipo di vizi, sono troppo grossolani per i piaceri a cui aspiro. Ora che sei cresciuto, voglio esaminarti. Voglio che resti davanti a me completamente nudo. Come dovresti essere davanti al tuo... creatore."

E quegli occhi magici mi avevano fissato.

Orochimaru-sama...

Avevo obbedito, come in sogno; cominciando a sciogliere la fusciacca del clan Yakushi, e la tunica da aspirante medico. E poi via via tutto il resto, mostrandomi impassibile mentre dentro di me sentivo una tempesta...

Orochimaru mi si era avvicinato, in un fruscio di seta.

Il mio creatore.

La sua mano affilata e fredda aveva sfiorato la mia pelle, e avevo lottato per non ritirarmi. Mi aveva studiato a lungo, girandomi intorno, percorrendo i miei muscoli con quelle dita che vibravano di misteriosa energia, sondando nelle profondità del mio corpo come per assaporarne la salute.

"Vuoi sapere quanti anni hai, Kabuto-kun?..."

Non lo sapevo, ne avevo solo una vaga idea.

"No," avevo mormorato.

Non voglio nulla a cui aggrapparmi, né luogo, né tempo: esisto qui ed ora...

Orochimaru mi aveva tolto il coprifronte col simbolo della Foglia, e aveva slegato la coda obbligatoria che mi serrava i capelli, lasciandomeli ricadere sulle spalle. E poi mi aveva guardato, da vicino.

"Ecco, questo sei finalmente tu," aveva sussurrato, la sua mano delicata che si infilava tra i capelli, posandosi sul collo, seguendo la curva della mascella in una sorta di carezza. "Tu, senza simboli, senza legami, senza nulla.. se non la tua vera essenza."

La mia vera essenza...

Sotto il suo sguardo mi ero sentito ancora più nudo. Come se oltre al mio corpo avesse avuto davanti agli occhi anche la mia anima. Avevo scoperto in quel momento una nuova dimensione della vergogna... non priva di un certo fascino eccitante.

"Sei bravo a nascondere la tua bellezza segreta."

Mi trova bello... il mio creatore.

E nel mio corpo passava un'ondata molle e densa di calore...

"Sei quasi perfetto." Una carezza sull'arco delle sopracciglia. "Peccato per questa tua vista... stai cominciando a distinguere male gli oggetti lontani, vero?"

"Sì," avevo ammesso, anche se era un mio segreto. Ma non avevo più segreti per quell'uomo davanti a me, e lo sapevo.

"Non importa, posso insegnarti una tecnica del chakra per vedere bene nonostante questo difetto. Ma è faticosa, quindi userai degli occhiali per la maggior parte del tempo. Questo... ti aiuterà a dissimulare ancora meglio l'adorabile creatura senza scrupoli che sei," e un sorriso ineffabile mi sfiorava quasi le labbra.

Il mio respiro era accelerato, dolci scariche elettriche sulla mia pelle.

"Non hai più paura di me, vero?"

"No," avevo mormorato, ed era vero.

"Vuoi essere mio discepolo, Kabuto?"

"Sì."

Lo sono sempre stato...

Le labbra di Orochimaru si erano ritirate in un sorriso.

Bianchi denti balenavano in una bocca che emanava uno strano profumo di incenso. Aveva portato un dito tra di essi e lo aveva morso, con uno scatto deciso. Il suo sangue era colato, rosso e denso. L'avevo fissato, incantato.

"Bada, Kabuto," mi aveva ammonito, tenendo il dito ferito vicino alle mie labbra. "Se bevi alla mia fonte, non sarai mai dissetato. Cercherai per sempre la strada difficile dell'essere sovrumano. Dovrai mettere in gioco tutto quello che sei, tutto quello che hai, tutto quello in cui credi. Condividerai il mio paradiso e il mio inferno..."

E a che altro serve la mia vita, se non a questo?

Con avidità, avevo preso in bocca quel dito e l'avevo succhiato.

E così era cominciata la nostra strada insieme.

 

 

 

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