Ecco la terza parte di “Just like a spell”!

Ripeto che i personaggi sono frutto della mia personale fantasia, tutto il mondo fantasy l’ho rubacchiato a quel gran genio di Terry Brooks…

Un baciotto

An-chan^^

Just Like a Spell

parte III

di Antares


L’ High Master delle Terre di Confine camminava nervosamente, seguendo un sentiero immaginario su e giù per la sua stanza.

Il viso contratto in una smorfia pensierosa, continuava a rimuginare su quanto era appena accaduto… più volte aveva tentato di convincersi che fosse stato tutto un incubo; già, solo un sogno abortito, un grido d’oscurità nato dalle pieghe di un sonno tormentato… ma gli bastava gettare un sguardo al letto intatto per capire che stava cercando di illudersi.

E poi c’erano le sue labbra… quelle stesse labbra che gli bruciavano come tizzoni ardenti… era stato solo un fugace contatto, uno scontro, eppure…

Dei, e il suo cuore, che non accennava a riprendere il normale ritmo, un cavallo che gli galoppava sfrenato nel petto…

Scosse irritato la testa.

Maledizione!

Come poteva essere stato così dannatamente stupido da lasciarsi prendere dal panico!!!

E come aveva potuto gettare in faccia a Myst i suoi sentimenti in una maniera così rozza!

Gli aveva gridato, urlato che lo amava.. e poi lo aveva anche baciato.

Baciato, per tutti gli dei!

Unito le labbra alle sue in quella erotica carezza degli amanti!

Si sedette con un tonfo per terra, prendendosi la testa fra le mani, frastornato.

Quelle labbra… che l’avevano ammaliato, poi incantato, imprigionato, infine crocifisso… labbra dolci, invitanti come il peccato…

Sprofondò ancora di più la testa fra le mani, soffocando un gemito.

E adesso?

Abissi di vuoto gli si aprirono davanti… cosa sarebbe accaduto?

Se Myst avesse rivelato a qualcuno la cosa.. no, preferiva non pensarci.

Già l’idea che il meta-elfo potesse non rivolgergli più la parola lo faceva stare male…

*Ma non ti ha scacciato… forse hai ancora una poss..*

“Taci!!” gridò, rivolto a quell’interlocutore immaginario che gli bisbigliava direttamente nell’anima, quella strana entità chiamata coscienza.

No, il meta-elfo, non l’avrebbe mai ricambiato con il tipo d’amore di cui lui aveva bisogno, con quell’amore che lui voleva disperatamente ma al contempo aborriva.

Si può volere una cosa tanto da stare male e al contempo odiarla?

Alex prese a piangere in silenzio, annegando il dolore nelle lacrime, gocce di sofferenza.

Fuori il vento prese ad ululare piano il suo eterno tormento, eco così simile alla disperazione del ragazzo, che, accasciato sul pavimento freddo, cercava di trovare un po’ di calore abbracciando se stesso.

 

***

Myst vagava... non c’era un termine più adatto per descriverlo.

Proseguiva come un’anima in pena, come uno di quegli esseri ultraterreni costretti a ripercorrere all’infinito lo stesso snervante sentiero, senza una meta, senza un perché.

Vagava, un po’ camminando, un po’ correndo… esplorando il grembo della notte, che si era fatta fonda, nera, densa… un incubo di novembre.

Un solo nome gli rimbombava nella mente, una sola voce, tre semplici parole che avevano avuto il potere di sconvolgerlo, di gettare nuova luce… e nuove ombre.

Sospirò, e per la prima volta dopo molte ore, rimise a fuoco il mondo attorno.

Sussultò violentemente.

Si ritrovò a fissare la Zona del Limbo…

Desolazione e silenzio e solitudine… un tetro monumento alla disperazione.

Quella distesa di inquietudini era la Foresta Sussurrante, il cuore nero delle Terre di Confine, sottile linea che separava il loro mondo dai Territori Arcani.

Era una landa illusoria, abbandonata e fredda, ricolma di pensieri e creature della mente umana, e la sua vicinanza ai Territori contribuiva a lasciare una tale quantità di magia latente nell’aria così potente da essere sufficiente a fare da catalizzatore alle emozioni più forti dell’animo umano e trasfigurarle in pallide realtà viventi…

Una cassa di risonanza per gli incubi.

E per quanto contorta e deforme, era davvero una foresta i cui  alberi si contorcevano gli uni addosso agli altri, avvitati su se stessi come bestie torturate... forme gobbe e mostruose, che ammiccavano dall’oscurità… agonizzanti statue.

Rami ormai del tutto spogli artigliavano l’aria, inconsapevoli mani adunche protese verso il cielo a imprecare, supplicare, ululare... le voci, mute, erano sospese in aria come fumo.

Il metaelfo, con il cuore pesante come una pietra di Leach, si incamminò guardingo verso la schiera esterna di alberi, sapendo nell’intima segreta dell'animo perché il suo istinto lo avesse trascinato lì.

Proseguiva svelto e leggero, sembrava quasi levitare, i suoi piedi che a malapena sfioravano il terreno brullo e accidentato.

Mano a mano che avanzava, fecero la loro comparsa le prime serpeggianti spirali di nebbia, che si infiltravano fra le basse e secche sterpaglie, scialli di lana eterea, distrutta, sfilacciata....

Quella terra desolata, che Alex una volta aveva definito “post apocalissi nucleare” (Myst non aveva afferrato il senso delle parole, ma lo sguardo spaventato di Alex lo aveva colpito… e si, anche inquietato) era il posto adatto per perdersi nella propria mente, per creare il vuoto dentro di sé e cercare di dimenticare.

Vuoto.

Mente pulita e silenziosa.

I pensieri rinchiusi a doppia mandata nella cassaforte del cuore… creare pace dentro di sé proprio per restare vivi… concentrarsi a dimenticare per non plasmare incubi…

Si sedette su un masso scuro, che sporgeva dal terreno come un dente cariato.

Accucciato lì sopra, sembrava una grossa pantera acquattata…

Una luna mannara ululava dal cielo, e la sua luce inquietantemente infetta tingeva quella terra devastata di una malata sfumatura di bianco.

Una sciarpa leggera di luce lattiginosa e opaca.

Myst sospirò.

Nemmeno la luna riusciva a salvarsi dal venefico influsso di quelle terre senza dio.

Fece scorrere lo sguardo, incatenandolo per qualche attimo alle strane ombre viscide che sembravano avvicinarglisi, come dotate di una vita propria.

“Tetra ides” sussurrò, tracciando una veloce runa in aria; un simbolo antico quanto la terra apparve per un istante, fiammeggiante icona di fuoco blu… brillò e si spense in un respiro, ma bastò.

Le ombre si ritrassero, inorridite, tornando a rintanarsi nei loro oscuri nascondigli.

Il metaelfo ricominciò a guardarsi attorno, già dimentico di quei vampiri fatti di buio.

Quelle lande erano vive, nonostante tutto... vita nascosta e strisciate, esseri che cercavano di celare il loro orrore nell’orrore.

Se si fosse distratto quelle fameliche creature l’avrebbero attaccato, e gli avrebbero succhiato la vita, l’essenza stessa di ciò che lo rendeva umano.

All’improvviso pensò che forse non era stata una buona idea venire lì… aveva moltissimi pensieri che gli lottavano in testa e… cos’era stato?

Tutti i sensi scattarono, all’erta.

Le sue orecchie aguzze fremettero, e gli occhi dorati come un lago di sole si fecero d’un tratto uno specchio d’argento… lastre di ghiaccio così fredde da gelare il cuore.

Un cacciatore.

Un guerriero.

Un elfo.

Il retaggio della stirpe fatata prese il sopravvento.

E si lasciò guidare dall’istinto.

Eccola, ancora…

Myst si alzò rapido dal masso su cui era seduto.

Quell’ombra… gli era familiare…

Felino, la seguì, pedinò quella forma indefinita, scura, sicuro di sé, dimentico dei pericoli insiti in quella terra.

Quel lampo di nero che saettava fra gli scheletri degli alberi.. era come se gli urlasse di seguirlo, di non preoccuparsi.. tanto la caccia sarebbe durata poco, perchè voleva essere preso.

Oh, si.

In un attimo il metaelfo gli fu addosso.

L’ombra si voltò.

E Myst fu perduto.

 

 

Alex?

Che diavolo ci faceva Alex lì?

Per un momento Myst si sentì profondamente irritato.. arrabbiato…

“Cosa fai qui??” sibilò.

Alex si limitò a fissarlo, impaurito.

I capelli gli ricadevano umidi attorno al volto, appiccicati alla fronte ed al collo….

Gli occhi, incredibilmente grandi, lo fissavano, quasi chiedendogli aiuto… goccioline d’acqua

(o erano lacrime?)

gli tremolavano sulle ciglia…

E lui se ne restava lì, un pulcino bagnato, ridicolmente piccolo nell’ampio mantello in cui si era sepolto… lì, a fissarlo in silenzio.

Il cuore di Myst si sciolse.

L’impulso improvviso di prenderlo fra le braccia e riscaldarlo contro di sé, e proteggerlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene… la voglia di allungare la mano e cancellargli quelle gocce di pioggia

(lacrime)

che cominciavano a rotolargli sulle guance…

Era semplice amicizia questa?

Era affetto?

Era… amore?

Con un gemito il mezz’elfo chiuse gli occhi.

*Non so cosa sia, ma mi fa impazzire*

 

“Io ti amo”

Rotte, come il sospiro del vento, le parole lo colpirono.

Rotte, con i bordi frastagliati, gli ferirono il cuore e lo fecero sanguinare.

*Io… cosa provo io?*

Incollò gli occhi a quella figura tremante, senza realmente vederla.

Scivolò leggero nella corrente dei ricordi, rivedendo sé stesso un anno prima raccogliere un ragazzino spaventato ai bordi della foresta… rivide se stesso… e Alex…

 

###

 

Uno strano cavaliere impaludato in un mantello scuro, risaliva piano il viottolo, imprecando a mezza voce contro gli uomini in generale e contro quelli che avevano progettato quel sentiero in particolare… 

Le disdicevoli condizioni di quella miserabile stradina erano davvero qualcosa di inconcepibile!

Il cavaliere non potè trattenere un sorriso amaro: tutto quello che la dannata razza toccava non poteva essere buono… gli umani erano talmente inetti.

Sbuffò. Se rapportato ai loro canoni quel sentiero era quasi perfetto… a detta di tutte le altre razze (in particolare quella dei nani genieri…) era invece un capolavoro di demenza.

Sperare che una semplice striscia di terra battuta potesse essere sufficiente a guidare i numerosi viandanti lungo i territori dell’Ovest era semplice pazzia.

Da tempo ormai gli umani si erano decisi a permettere agli altri popoli di commerciare con loro, rinunciando così alla tanto amata gabbia di isolamento… ma di certo con quelle strade non invogliavano i pellegrini a proseguire il viaggio!

Stupidi umani.

Tornò a sbuffare piano, tra sé, sperando che gli zoccoli del suo cavallo non si scheggiassero… l’unico pensiero che lo rincuorava era che tra non molto sarebbe arrivato a casa.

Ringraziò Galen di essere stato così benevolo da concedergli di sbrigare i suoi affari in meno di una giornata.

L’idea di passare la notte in mezzo agli umani non lo allettava per nulla… nonostante il loro giuramento di fedeltà al Consiglio delle Terre, non avevano ancora fatto nulla di concreto per dimostrare la loro amicizia.

Tutte le guerre erano state combattute e vinte dall’unione delle razze… gli umani si erano sempre tenuti fuori, applaudendo a distanza i successi, bene attenti che nulla sfiorasse il loro regno.

Ma adesso… adesso, era diverso.

La minaccia che gravava era più pesante, più vera.. per tutti.

Per ogni forma vivente.

Il cavaliera dubitava che I Principi del regno dell’Ovest avessero accondisceso all’alleanza per motivi che andassero al di là del mero interesse politico.

E avrebbe messo una mano sul fuoco, e con lui pure ogni nano o gnomo o troll dell’intero continente, che l’apporto delle truppe umane al contingente dell’ Alleanza sarebbe stato minimo… un infimo drappello di uomini lanciati allo sbaraglio, una forza simbolica, atta a mantenere i patti.. 

*Come al solito, dovremmo vedercela da soli.. e morire da soli… combattere e soccombere per salvare anche le loro insulse vite*

Digrignò i denti.

Simili pensieri non portavano a nulla, lo sapeva, ma non poteva impedirsi di condannare e disprezzare…

Un vento caldo soffiò via quei pensieri amari.

Il cavaliere aspirò grato il profumo di akrar rosso che riempiva l’aria, mormorando una preghiera ai suoi dei.

In quei tempi bui gli era di sollievo sapere che le armate del Caos non avevano ancora contaminato tutta la terra.

Il suo cavallo nitrì, inquieto.

“Permenel, flesà val?”

L’animale scosse la criniera, quasi a rispondere che no, non sapeva che cosa non andasse, ma che c’era comunque qualcosa di strano.

Sospirando, il cavaliere accarezzò il collo della bestia, per calmarla, sussurrando al contempo una strana litania nella sua lingua.

Il cavallo si quietò, un solo zoccolo che raspava per terra, unico segno visibile della sua inquietudine.

Il cavaliere si tose il mantello, per evitare che gli fosse d’impaccio, e mise mano alla spada.

I suoi sensi si tesero, si fusero con la natura d’intorno.

Per un momento lui divenna natura… divenne albero, foglia, erba… e vide.

Lesto scese dal cavallo e, a passi veloci e furtivi, si avvicinò ad una siepe di cespugli che schermava una piccola radura.

Guardingo, scostò i rami e spalancò gli occhi.

Un ragazzino stava seduto proprio al centro dello spiazzo d’erba.

Indossava degli strani vestiti, di una foggia che gli era completamente estranea, nonostante avesse pellegrinato per tutte le terre conosciute.

Rimaneva lì, le braccia attorno alle ginocchia, a tremare. 

Riusciva a sentire l’odore della paura che permeava l’aria.

D’un tratto il ragazzo si riscosse dalla trance in cui era caduto.

Si guardò attorno, gli occhi spalancati e grandi come monete, sembravano troppo grandi per quel visino smunto.

“Chi va là?” gridò, con una vocetta resa sottile e isterica dalla paura.

Il cavaliere sussultò, stupito.

Come aveva fatto ad avvertire la sua presenza?

Il giovane prese a tremare violentemente, girando frenetico la testa a destra e a sinistra.

Cercando di fare più rumore possibile, onde preavvisargli il suo arrivo, il cavaliere scostò le fronde e uscì al sole.

Il ragazzino singhiozzò.

“Non è possibile”.

Gli piantò addosso i suoi occhi increduli… e i due rimasero  lungo fermi, a fissarsi vicendevolmente.

Certo che quel piccoletto era davvero strano.

Il cavaliere piegò la testa di lato e si concesse di studiare quella figuretta rannicchiata con più attenzione.

A occhio e croce non poteva avere più di sedici inverni… ma non ci avrebbe giurato.

Aggrottò le sopracciglia.

“Igrem… Igrem ta-làs?” tentò.

Il ragazzo si limitò a fissarlo sperduto.

“Tfer nyinkas… ctùty gry-i-a?”ritentò.

Ancora quello sguardo vacuo.

Aveva usato entrambi i linguaggi parlati dagli umani, il Gelsico ed il Krateo, ma a quanto pareva il ragazzino non li conosceva.

Strano.

Sospirando, decise di fare un ultimo tentativo.

“Chi sei… come sei arrivato qui?”

Il ragazzetto spalancò gli occhi.

“Io ti capisco” sussurrò incredulo.

Che razza di discorsi! Sarebbe stato grave se non avesse saputo parlare neppure il Semplice, quella lingua imbastardita che veniva usata in tutto il continente dai mercenari e dai mercanti.

“Tu… sei… tu sei.. un…”

I tartagliamenti del ragazzo lo riportarono alla realtà.

“Un.. un elfooo!!!!”

Il cavaliere non riuscì a trattenere un sorrisetto.

“Mezz’elfo, straniero” puntualizzò.

Ma il ragazzo sembrava non averlo sentito.

Avvertiva i suoi occhi posarsi meravigliati sui suoi lineamenti, sulle sue orecchie a punta…

Il metaelfo sospirò.

Era abituato a simili ispezioni.

Essendo per metà uomo e per metà elfo aveva ereditato caratteristiche da entrambe le razze, creando un miscuglio di fisionomie.

Il suo viso era tipicamente elfico, gli occhi a mandorla, le orecchie a punta, le sopracciglia fini e delicate, i suoi poteri e gli occhi dorati.

Ma la corporatura non aveva nulla della fragile costituzione del popolo di sua madre.

Così pure i suoi capelli, neri, lucenti e forti…

E la durata della sua vita, tragicamente corta per un elfo, più lunga della media per un umano.

“Non è possibile.. tu non puoi esistere…”

Il mezz’elfo scosse la testa, irritato.

“Sei ubriaco, per caso, straniero!? Come puoi non aver mai visto un elfo?”

“No…” il giovane scosse caparbio il capo.

“Non so dove tu sia vissuto finora, ma, per Himglinel, in tutte le terre di confine è impossibile  che tu non abbia mai visto un elfo…”

“Terre di Confine?!”

Il cavaliere pestò un piede a terra, esasperato.

“Si, Terre di confine… dove pensi di essere??”

“O mio dio”

 

###

 

Ritornò in sé, lasciando sfumare il ricordo.

Già allora lo aveva colpito, stregato, ammaliato.

Non sapeva il perché, ma fin da subito aveva avvertito una corrente elettrica legarlo a quel ragazzetto sperduto.

Si era ripromesso di vegliare su di lui.

E l’aveva fatto… fino a quella sera.

E adesso…

Tornò a focalizzare lo sguardo su quella figura innanzi a lui.

Non doveva pensarci.

Si era giurato che avrebbe lasciato riposare la sua mente. E invece i suoi pensieri confusi cominciarono una lenta e subdola litania ai confini della coscienza, e per quanto lui tentasse di metterla a tacere, quella tornava, testarda.

L’immagine di Alex cominciò a sbiadire, tremolando piano.

L’unica cosa che sembrava rimanere solida erano gli occhi del ragazzo, che gli trapassavano l’anima, gioielli scuri, in cui brillava un fuoco rassicurante, una luce dolce che non bruciava, che non devastava.. era lì solo per scaldare, per proteggere.

Dei.

Myst si prese la testa fra le mani

*Devo essere pazzo*

Alex era l’high master…

E lui il suo cavaliere…

“Io ti amo”

Il metaelfo singhiozzò, una sola volta, accasciandosi piano sulle ginocchia.

La figura di Alex scomparve, dissolvendosi nell’aria.

*Sono questi i miei desideri? E’ questo quello che davvero voglio?*

Myst non lo sapeva.

La Foresta Sussurrante aveva portato a galla il suo lato più nascosto.. ora stava a lui capire se poteva accettarlo o meno.

 

Le ombre riemersero dai loro nascondigli, ghignando.

Il vivente era stanco, impaurito, sfinito… e loro potevano farsi avanti.

Sarebbe stato facile.

Cominciarono a strisciare verso di lui, bisbigliando orrendi segreti, racconti portati dalle burrasche d’inverno…

Cantilenarono cupe ninnananne, mentre si avvoltolavano le une sulle altre, strani serpenti fatti di fumo e buio.

Sentivano la sua forza, la sua giovane vita pulsare…

Piano, leggere si richiusero sopra il metaelfo.

 

Le sentiva arrivare, percepiva chiaramente la loro diabolica ingordigia… ma non voleva, non poteva fermarle.

Che venissero, che lo uccidessero.

Non gli importava più di niente.

Lui avrebbe dovuto proteggere l’High Master ed invece non aveva fatto altro che scappare… da lui, da se stesso.

Perché lo aveva sempre saputo, sempre, sin da quando era inciampato in quel piccolo straniero… l’aveva avvertito, il “clic” di un meccanismo che andava magicamente a posto.

E l’aveva ignorato.

*Sono un codardo* bisbigliò a se stesso.

In fondo non contava nulla e nessuno… né la razza, ne il lignaggio, tantomeno il sesso.

Niente, se non quello che gli portava la luce nel cuore.

Alex.

Il suo sorriso.

“TETRA IDES!!!”

Urlò l’incantesimo, attingendo a piene mani dalla magia che gli bruciava dentro.

I vampiri si dissolsero all’istante.

Sfinito, Myst giacque raggomitolato nel fango, per lungo tempo.

A pensare.

A capire.

A decidere.

 

Poi si alzò, e riprese la via del castello.

 

-Owari 3^ parte-

 


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