I should tell you

di Kitty Pryde

 

Era cominciato tutto banalmente, durante un pomeriggio di allenamenti non tanto più leggero di altri, ma più rilassato; un pomeriggio nel quale i tennisti del Seishun Gakuen, come giovani animali in cattività, sentivano l’avvicinarsi dell’estate e Tezuka si esibiva in una serie di maldestri tentativi di riprodurre su se stesso l’immagine altera e seriosa che per tre anni di scuola tutti avevano avuto modo di vedergli dipinta addosso, ma con risultati assolutamente non degni della fama del buchou del Seigaku. Per quanto la sua attenzione interessasse in buona parte il lavoro della squadra, di tanto in tanto, lanciava brevi sguardi di compiaciuta approvazione al campo numero tre, dove Fuji si stava gloriosamente scontrando con Kaidoh; Tezuka supponeva di essere, in queste sue distrazioni millimetriche, abbastanza discreto da riuscire a non farsi notare, ma la sua prudenza non era nulla a confronto del cipiglio inquisitorio di Inui, il quale, impassibile nella sua opera di raccolta e archiviazione a bordo campo, finiva per appuntare sul suo temutissimo quaderno anche dati assolutamente non necessari allo scopo ultimo della sua crociata… o almeno questo era ciò che, dopo tre anni di scuola, molti erano arrivati a pensare.

Era cominciato tutto quando Tezuka aveva chiamato il resto della squadra con l’alibi di una “pausa costruttiva” atta a dialogare sull’andamento della giornata e si era invece ritrovato messo all’angolo da quell’inquietante espressione di Inui che riusciva a spaventare anche oltre le lenti degli occhiali

“Durante la prima parte del pomeriggio Tezuka è riuscito a voltarsi verso Fuji ad intervalli più o meno regolari di quattro minuti e mezzo per un totale complessivo di quattordici volte” molti avrebbero pagato per vedere l’espressione del capitano in quel momento, e anche noi stavamo aspettando soltanto un ulteriore cenno di Inui, o un riflesso significativo sulle lenti dei suoi occhiali per scoppiare a ridere, ma lui sembrava inspiegabilmente serio nel suo discorso e, in quella manciata di secondi, Syusuke fu l’unico ad avere una reazione; con un rumoroso, ma composto sorriso esaurì il tempo che la pausa contemplativa di Inui ci aveva concesso per infierire sul buchou che, ancora paonazzo, attendeva stoicamente la sua condanna ben sapendo di non poter in alcun modo negare l’evidenza dei fatti

“Tutto questo ritrovato romanticismo mi ha portato a distrarmi dagli allenamenti per portare la mia attenzione su qualcosa di ben più astratto del tennis…” notammo tutti che, nonostante l’enigmaticità dei suoi sguardi, fu soddisfatto nel vederci tutti discretamente attenti o, per meglio dire incuriositi dal suo discorso, che poteva risultare più o meno inquietante a seconda di cosa ognuno di noi si stesse aspettando; Inui calcolò qualche istante per aumentare il pathos e, con la precisione matematica che era solito usare in tutto ciò che faceva, espose la sua solenne domanda

“Che cos’è l’amore?”

Non fu tanto meglio di quanto ci aspettassimo, ma tirammo ugualmente un sospiro di sollievo constatando che, nella sfortuna, poteva sicuramente andarci molto peggio. Fu quando ci fummo tutti rassicurati che ci rendemmo tristemente conto che, per quella domanda, Inui pretendeva una risposta, presumibilmente da ognuno di noi per elaborare una media sulla quale rimuginare per le ore a seguire.

Era cominciato tutto con quella banale, inaspettata domanda… o forse, tutto era cominciato molto tempo prima e con quella banale, inopportuna domanda era finito; Fuji ripeté quel suo rumoroso sorriso di circostanza e non sorprese nessuno quando rispose, voltandosi con rassicurante dolcezza in direzione di Tezuka

“Commozione,” disse semplicemente, e quando il silenzio di Inui gli chiese maggiori spiegazioni lui socchiuse gli occhi e sorrise di nuovo “Quando uno sguardo, un movimento qualsiasi, il vederlo mangiare un panino o leggere un libro… sono gesti che ti commuovono.”

Era stato esauriente, anche troppo; Kaidoh e Taka-san avevano farfugliato qualcosa e se ne erano andati, non sarei stato l’unico ad astenersi a quella scomoda domanda, che fosse per imbarazzo o paura a loro che importava? Alzai le spalle ostentando indifferenza e mi allontanai roteando la racchetta con un nervosismo che non avevo mai sperimentato.

Egoismo, ecco che cos’era l’amore, l’egoismo di rovinare la cosa più grande che avevo, per amore… eppure ero abbastanza vigliacco e abbastanza autolesionista da allontanarmi quanto bastava per non rispondere e riuscire comunque ad ascoltare; restai a palleggiare contro il terreno di gioco come un bambino autistico, senza aumentare di velocità o di potenza, senza rabbia o nervosismo, regolare come una lancetta dei secondi, avevo solo bisogno di un alibi, di una distrazione, perché ammettere a me stesso che volevo ascoltarlo rispondere era tanto, troppo di più di quanto fossi disposto a sopportare.

Quando da compagno di gioco, Ooishi, era stato promosso al rango di migliore amico, il passaggio era stato taciuto da entrambi, e non perché fosse una cosa di vergognarsi, ma più semplicemente perché, come tante altre volte, non c’era stato bisogno di dirsi nulla… quando da compagno di Oishi nei doubles approdai alla consapevolezza di essere innamorato del mio migliore amico il passaggio non era stato particolarmente traumatico, all’inizio si perdeva tutto in un’atmosfera di bollicine, frizzante da far solletico al naso, leggera leggera come un’allucinazione. Ma non c’era alcuna suggestione in quel qualcosa che mi sentivo addosso, nelle mani appiccicose di sudore o nel prurito sotto il naso, non c’era nessuna incertezza nel fatto che Shuuichiro fosse, inevitabilmente, il ragazzo che amavo e io fossi, altrettanto inevitabilmente, il suo migliore amico.

Avevo diagnosticato tutto, analizzato ogni dettaglio, ogni cosa che non sarei riuscito a nascondere e ogni altra che sarebbe stata naturale, come sempre; avevo deciso a tavolino che il mio sentimento era inequivocabilmente unilaterale, che non dovevo permettermi di rovinare la nostra amicizia, e mi ero persuaso di essere abbastanza forte, di avere abbastanza coraggio per affrontarla, una situazione come quella, ma non avevo applicato il mio infallibile piano teorico alla realtà dei fatti...

“Commozione.” ripetè Inui masticando la parola con soddisfazione crescente, poi, come se avesse aspettato quel momento da anni, si voltò verso chi aveva spronato la sua mente a quelle strane domande senza lasciargli possibilità di astenersi “E tu, Tezuka?” il capitano ebbe un momento di comprensibile esitazione prima di imbastire la sua risposta, condita da una massiccia dose di imbarazzo

“Accorgersi che una persona ti è diventata… indispensabile.”

Pensai che non fosse mai stato così sincero in vita sua, e non potei fare a meno di pensare l’esatto contrario di me.

“Banale, ma innegabilmente vero” gli fece eco Fuji, quasi come per punzecchiarlo a seguito di quella sua tanto plateale quanto obbligata dichiarazione, ma per quanto avessi potuto gradire la pubblica sbugiardata del capitano, continuavo ad aspettare che Ooishi, diligente come al solito, esponesse la sua confessione, ordinata come un compito in classe, dandomi un motivo in più per farmi soffrire.

Ma quello che seguì lo scherno di Fuji nei confronti del suo capitano e il bacio che si scambiarono quasi di nascosto, davanti a tutto il resto del club, furono le parole di un Ooishi disturbato, un Ooishi che improvvisava sul momento

“L’amore è quando ti accorgi di non pensare più a te stesso come un individuo unico e indipendente, ma come un essere composto di due metà, di cui l’altro rappresenta la parte più importante e preziosa...” farfugliava parole senza averle pensate, senza averle studiate, buttandole lì, come se non dovessero avere un ordine logico; comuni, senza originalità, senza l’estro che lui era solito usare nei suoi discorsi, senza la correttezza e la brillantezza grammaticale che erano così fondamentali “La parte che devi difendere, ad ogni costo, perché è quella che ti è più cara…” un Ooishi imbarazzato, che non riconoscevo “…è capire che faresti tutto per proteggere la persona che ami” concluse, e non lo avrei dimenticato mai “Perché è al di sopra di tutto, è più importante anche di te stesso”.

E forse fu perché Inui si reputò soddisfatto, o perché gli era passata la voglia di infierire, o fu il gesto di Tezuka che ci richiamò all’ordine dopo quella manciata di minuti in una dimensione parallela; non si resero conto subito di aver parlato con il cuore in mano, né delle conseguenze che quella loro spregiudicata sincerità avrebbe potuto portare… e io non mi resi conto subito del magone che avevo ingoiato, mentre trattenevo il respiro ascoltando Ooishi parlare, del peso che non si muoveva né in su né in giù e che mi avrebbe accompagnato per la seconda parte di quel torrido pomeriggio di allenamenti, senza pietà.

Egoismo, ecco cos’era l’amore, l’egoismo di volergli stare vicino nonostante tutto.

 

“Eiji e Ooishi al campo numero due contro Tezuka e Fuji”

“Cos’è? Un nuovo tipo di punizione Inui?” domandai cercando di riacchiappare per la coda il buonumore che scivolava via a una velocità impressionante e riuscendoci, a giudicare dallo sguardo complice di quell’Ooishi che prima mi aveva tanto stupito con tutto quel trasporto e che ora tornava ad adagiarsi nelle espressioni che mi erano tanto familiari, a tornare mio

“Eiji ha ragione” aggiunse Fuji “ammetterai che hai scelto una formazione quantomeno singolare” ma Inui si limitò ad aggiustarsi gli occhiali sul naso tenendo in mano la matita

“Lo potremmo definire un esperimento…” e i suoi esperimenti non ammettevano lamentele, ma quando già avevamo preso posto nel campo, glissando il particolare che Inui sembrava aver dimenticato, lui recuperò alla sua grave mancanza aggiungendo ciò che un po’ tutti temevamo di sentire

“Ah, naturalmente chi perde…” sentenziò sventolandoci davanti al naso un bicchiere di liquido dal sinistro colore, stavolta tendente al giallastro. Sia io che Ooishi lo guardammo, imploranti, pregandolo di evitare quell’ulteriore tortura dato che potevamo indovinare con una precisione infallibile chi avrebbe dovuto subire l’ennesimo Inui Juice, ma noncurante delle nostre suppliche, Inui alzò il dito indice come per aggiungere un ulteriore variazione alla condanna

“Solo un bicchiere, sarà la coppia sconfitta a decidere come ripartirne il contenuto.”

“Io non mi ci voglio neanche avvicinare.” miagolai nascondendomi dietro la schiena di Ooishi, di nuovo così confortante; non avrei giocato bene quel giorno, con il magone a metà del petto che mi appesantiva i pensieri e i movimenti, ma c’era una sola cosa che nessuno avrebbe mai potuto rinfacciare al Golden Pair, e non si trattava della sincronia dei movimenti, delle intuizioni infallibili di Ooishi, ma dell’intesa perfetta che non dipendeva dai costanti allenamenti, ma dalla sincera amicizia che ci legava, ecco cos’era l’amore.

Il risultato non sorprese nessuno, nonostante Tezuka non fosse sicuramente tagliato per giocare in doppio la superiorità di quei due era evidente a tutti, ma sebbene fosse tutto deciso prima di cominciare a giocare, avevo coltivato una labile speranza di evitare quel mezzo bicchiere di Inui Juice che spettava di diritto a ognuno dei due sfidanti e che il nostro risoluto compagno non aveva mancato di propinarci non appena il match era stato assegnato a Tezuka e Fuji.

“Nyaaahh!” la schiena di Ooishi era il mio rifugio, qualcosa a cui non ero disposto a rinunciare, come la sua voce che mi rassicurava… mi mostravo volutamente piccolo, indifeso per nutrire le mie abitudini, per farmi coccolare senza il bisogno di chiederlo.

“E' solo metà bicchiere Eiji…” ma insistetti nello scuotere con forza la testa; più che per il reale voltastomaco che mi dava l’idea era per il gusto di fare i capricci, di attirare l’attenzione su di me, quella di Ooishi.

Shuuichiro sospirò, sentii la massa muscolare delle sue spalle che si alzava e ricadeva rassegnata, forse era un po’ di più di quanto ero disposto a sopportare ma non ci feci caso, il mio ego pestifero non era autorizzato a farmi ingoiare altri macigni, stavo troppo bene in quel momento, in quel posto; Shuuichiro sospirò, prese il bicchiere dalle mani di Inui con eroica prontezza di spirito e deglutì, sorso dopo sorso, l’orribile miscuglio, la nemesi di tutto il Seigaku Tennis Club, sorso dopo sorso fin che non ne rimase che un alone giallastro.

 

La corsa composta di Ooishi alla disperata ricerca di acqua, non mi diede il tempo di rimanere stupito da quell’atto di coraggio, né tanto meno di farmi domande, ma d’altronde non era mia abitudine pensare prima di agire; quello che dovevo fare era correre fino ai rubinetti e fare qualcosa… fosse anche ridergli in faccia, dovevo fare qualcosa.

Non era un pronostico difficile da elaborare, Shuuichiro era seduto a terra, esattamente come un membro del Seigaku che aveva appena avuto il piacere di assaggiare i succhi energetici di Inui, e come previsto feci la prima cosa che mi venne in mente, piegandomi come un gattino in punta e guardandolo, ancora inorridito dal drink fuori programma

“Fa schifo eh?” lui annuì ridendo e non potei fare a meno di permettere al mio ego pestifero di deglutire un po’ di amarezza, su quel sorriso; dovevo sembrare piuttosto stupido osservandomi da fuori e sapendo quanto, in quell’allegria ostentata, io stessi in realtà soffrendo.

Riuscii a farfugliare qualcosa di insensato per sembrare meno irriconoscente, poi decisi che c’era una sola cosa che dovevo fare, e senza pensarci troppo, perché non era certo mia abitudine pensare prima di agire, gli misi una mano sulla spalla, che era tanto di più di quanto fossi disposto a sopportare, ma io stesso mi ero arreso davanti al mio inarrivabile desiderio di tenerezza

“Grazie…” dissi semplicemente, e lui, altrettanto semplicemente rispose

“L’ho fatto per te” deglutì rumorosamente qualcosa che, per lui in quel momento, non doveva essere dolore, ma assomigliava di più alla paura di fare un passo falso, e questo riuscii a sentirlo; una tensione che non si giustificava con l’amicizia, un guizzo inopportuno dello sguardo, un gesto azzardato della mano che, in un altro momento, poteva sembrare una carezza, un mezzo sorriso ingiustificato… mi sorpresi ad assaggiare ogni movimento, scoprendo quanto mi fosse chiara ogni intenzione che lo muoveva, e a pensare che l’amore, nel modo più convenzionale e universale che potessi conoscere era, per me, quell’abitudine ad osservare, quella premura nell’ascoltare il suo corpo in ogni sua trasformazione, anche la più breve, a trovare le parole nei suoi occhi prima ancora che si esprimesse, ancor prima che, con sforzo, con un filo di voce aggiungesse “Prima parlavo di te”.

Non fu tutto chiaro subito, il fondo di negatività cronica che si era adagiato sui miei pensieri come una protezione alle illusioni, in un primo momento non mi permise di capire con lucidità che Ooishi, con una semplicità disarmante, aveva detto di amarmi; non fu tutto chiaro subito, ma quella pausa, quel mutismo emozionato, quella gola secca sotto il sole torrido di quasi estate mi impedivano di parlare, e anche se avessi potuto… che altro dovevo dire?

Anche io, ma era così ovvio, così banale, e così rimasi zitto, per un tempo che doveva essere stato lunghissimo, a giudicare dall’espressione ansiosa di Ooishi; ma le parole per esprimere la sorpresa, la felicità… la commozione, non riuscivo a trovarle perché erano troppo grandi, troppo sincere, troppo aspettate e si sa, quando ci si prepara per tanto tempo a qualcosa che si desidera, si finisce sempre con il restare lì, imbambolati e rintontiti, senza dire nulla; ma quando vidi il viso di Ooishi farsi buio e capii che avevo trattenuto il fiato abbastanza per farlo preoccupare, improvvisai un sorriso goffo e lo guardai negli occhi; pensai di non essere mai stato così sincero in vita mia

 “Ci capiamo sempre senza dire nulla e invece ora… non ti senti stupido?” Ooishi rise, perché aveva capito e io lo guardai assaporando la strana sensazione di guardare ridere il mio ragazzo; Ooishi rise perché come tutte le altre volte, non c’era stato bisogno di dirsi nulla, perché anche lui, almeno un po’, si sentiva stupido e perché, anche quella volta, senza bisogno di dirselo, aveva capito cosa fosse, per me, l’amore.