Ipse
Dixit
Capitolo
II
di Vitani
SON GOKU
-1-
Goku aprì gli occhi di scatto.
Non avrebbe saputo spiegare perché.
Non aveva avuto incubi, ma una strana sensazione d’inquietudine l’aveva
svegliato.
Si drizzò a sedere sul letto, scostando le coperte e cercando di
tranquillizzarsi.
Che cos’era accaduto?
Non stava male, ma in quel momento era come se tutto il sonno che l’aveva
spinto a dormire fosse di colpo scomparso.
Il blu fulgido del cielo lo abbracciava attraverso la finestra chiusa della
stanza d’albergo in cui si trovava a passare la notte, e mentre lo fissava
iniziava lentamente a ricordare ciò che, effettivamente, l’aveva strappato dai
sogni.
Una sensazione, un’insieme di sensazioni, di immagini così potenti ed intense
che le aveva vissute quasi come se le sentisse sulla pelle, con un nodo di
angoscia che gli serrava lo stomaco e minacciava di non andarsene più.
Aveva sentito la consistenza della terra sotto i suoi piedi mentre correva,
aveva sentito l’odore forte del vento che gli sferzava i capelli, la
freschezza dell’acqua sulla pelle… lui aveva
vissuto tutto quello!
Rivedeva ancora tutto quel sangue dal tremendo odore di ferro, sentiva il
viscido sudiciume delle interiora umane fra i suoi artigli, la sua bocca
emettere un grido inumano fra le lacrime…
Fu scosso da un forte conato di vomito.
Cercò di trattenersi, sentendo il sapore acre della bile salirgli alle labbra.
Tentò di alzarsi in piedi, ma le sue gambe traballanti si rifiutarono di
reggerlo e ricadde all’indietro sul morbido materasso del letto.
Si voltò allora su un fianco, in posizione fetale, stringendo convulsamente
fra le dita le lenzuola e cercando di fermare i tremiti.
In quel momento i raggi della luna lo abbracciarono con la loro pallida luce,
poiché l’astro aveva fatto capolino nello scorcio di cielo notturno che Goku
poteva scorgere dalla finestra.
Restò incantato, suo malgrado, ad osservare quella luna il cui chiarore
contrastava così delicatamente col blu intenso del cielo.
Già una volta l’aveva osservata così… sì, lo ricordava… la luna era stata la
prima cosa che i suoi occhi dorati avevano scorto appena aperti…
E in quel momento ritornò tranquillo, perfettamente tranquillo.
Come se quel malessere profondo di cui il suo corpo e il suo spirito erano
stati pregni non fosse mai esistito.
Non riusciva a capire cosa stesse accadendo al suo essere, al suo cuore.
Ma si era calmato.
Era quello a contare.
E ora… aveva solo alcune domande da porsi: di chi erano quei sogni, quelle
immagini, quei ricordi?
Possibile che fossero… ricordi del suo passato?
Non poteva essere altrimenti… troppo vive, troppo reali quelle situazioni,
quei paesaggi! Non poteva non aver vissuto quei momenti!
Si sentiva inquieto, e il sonno non ne voleva sapere di tornare.
Era forse il caso di parlarne con gli altri, l’indomani?
No… avrebbero liquidato tutto dicendo che era stato solamente un sogno, anche
se estremamente verosimile.
Ma… oh, voleva parlarne.
Forse era meglio uscire a fare una passeggiata.
Scese dal letto e si infilò un paio di pantaloni sotto la maglia che usava per
dormire.
Passeggiando si sarebbe schiarito le idee e avrebbe passato un po’ di tempo in
attesa dell’alba.
Aprì la porta della stanza e si avviò lungo il corridoio, stando bene attento
a fare piano per non svegliare nessuno degli ospiti.
Non aveva idea di che ore fossero.
Era una nottata stupenda, e il cielo era di un blu scuro intensissimo,
spruzzato appena con qualche nube grigiastra screziata di giallo dalla luce
della luna.
Goku inspirò a pieni polmoni la tiepida brezza che spirava dolcemente
scompigliandogli i corti capelli castani.
Così bella, quella notte…
Iniziò a camminare.
Così bella…
Così bella la natura, così bello il poter muoversi su quella sua adorata
terra!
Se solo ripensava alla sua prigionia – e ci pensava, oh se ci pensava! –
considerava un autentico miracolo essere di nuovo libero.
Ricordava che, nei primi tempi dopo la liberazione, aveva dovuto praticamente
abituarsi a vivere… che strano era pensarci così, dopo ben otto anni.
Non gli capitava tanto spesso di mettersi a riflettere su quei tempi passati…
non che non volesse, solo che sentiva di non avere motivo di parlarne.
Aveva aperto gli occhi in quella grotta nel monte Gogyo, era certo di aver
passato un’infinità d’anni là dentro, ma fin da subito quello stato di cose
gli era sembrato strano.
Era legato ad una catena, ed era certo di aver già provato in passato quella
sensazione di freddo e pesantezza. Conosceva quella cosa chiamata
terra, che lo avvolgeva come un caldo
grembo materno, così come ricordava i meravigliosi raggi d’oro del sole, a cui
guardava con una strana sensazione nel petto… malinconia?
Ricordava il suo nome, Goku.
Ricordava di aver avuto qualcuno da proteggere, molto, molto tempo prima.
Ma non ricordava chi.
Doveva per forza esserci un passato.
Doveva.
Era come essere morti, là dentro.
Né più né meno.
Non provare la fame, non crescere, e sopravvivere nonostante tutto.
Sapere di essere al mondo e allo stesso tempo non esserci.
E nessuno che potesse capirlo.
Nessun altro al mondo avrebbe mai provato un qualcosa di anche solo vagamente
simile.
Ne era sicuro.
Nemmeno lui capiva come avesse fatto a tirare avanti, diviso fra la devastante
solitudine, la frustrazione della prigionia e il terrore per una colpa che non
ricordava… sentimenti morbosi che avevano straziato la sua anima per molto
tempo, e che non avrebbe dimenticato mai.
Ancora adesso finiva per tormentarsi durante momenti di malinconia come
quelli, e al terrore dell’ignota colpa, talmente grave da meritare come
punizione il totale annullamento – dei ricordi come del corpo -, si aggiungeva
il terrore di essere abbandonato un giorno o l’altro, il terrore di trovarsi
di nuovo solo e, più di ogni altro, il terrore di impazzire.
Non era cosa semplice, per lui, vedere i demoni perpetrare uccisioni e
nefandezze di tutti i tipi, non più consci del loro corpo e della loro mente,
pregni soltanto della loro pazzia.
Non era cosa semplice la sua certezza di appartenere alla loro razza e, come
tale, poter perdere definitivamente la testa prima o poi.
Già… perdere la testa…
A lui era successo, più di una volta.
Una volta sola l’aveva voluto, per salvare Sanzo.
Le altre volte era sempre stato… contro la sua volontà.
Sì, durante la trasformazione era come se non avesse più volontà.
Vedeva solo tante immagini, nella sua testa.
Immagini che riguardavano una persona in particolare, una persona di cui non
ricordava il nome ma che aveva lo stesso familiare sguardo di Sanzo, le stesse
meravigliose iridi viola e lucenti come ametiste, gli stessi stupendi capelli
biondi, scintillanti come il sole.
Queste immagini vorticavano e alla fine svanivano inghiottite da un mare di
bianco.
E lui non era più nulla.
Chiuse gli occhi e sospirò.
Non era da lui essere così giù di corda, non era proprio da lui.
Si era allontanato più del previsto dal villaggio in cui alloggiavano.
Sopra di lui ormai c’erano solo le scure chiome di alcuni alberi, fitti ma non
abbastanza da nascondere il cielo, che si era tinto di un viola appena più
scuro di quello degli occhi di Sanzo.
Era quasi l’alba.
Poco prima dell’alba il cielo assumeva sempre quella tinta.
Era bella, ma molto fredda.
Come Sanzo.
Come Sanzo, che continuava a vivere nel buio di quel suo passato a lui ignoto,
nonostante gli mancasse solo un passo per poter tornare alla vita.
Alla luce.
Anche l’aria si era fatta più fredda.
Sì guardò attorno.
Oramai era interamente nella foresta, benché vedesse ancora le ultime case del
villaggio dietro ai tronchi degli alberi.
Si guardò attorno.
Solo silenzio.
All’improvviso i suoi occhi dorati captarono una leggera luminescenza, fra gli
alberi poco lontano da lui.
Preso dalla curiosità, si avvicinò.
C’era un laghetto.
Bene, avrebbe potuto fare un bagno.
Si tolse velocemente i vestiti e si buttò nell’acqua calma e per nulla
limacciosa del lago, avvertendone la freschezza contro la pelle.
Come in quello strano sogno…
Tutt’a un tratto gli parve di scorgere, come adagiato sul fondo dello specchio
d’acqua, un qualcosa di grosso e lucente.
Tornò in superficie, prese fiato e si immerse nuovamente, avvicinandosi.
Era un oggetto dalla forma rettangolare, verticale.
Rifletteva la luna e il lievissimo movimento dell’acqua.
Dovette usare tutta la sua forza per strapparlo al lago e trascinarlo fin
sulla riva.
Che cos’era?
Uno… specchio…
Un grandissimo specchio.
Appena un po’ rovinato dall’acqua, ma comunque decisamente in ottimo stato e
privo di cornice.
Chissà come ci era finito in fondo ad un lago?
Magari qualcuno del villaggio se n’era disfatto gettandolo laggiù.
Ma chi avrebbe mai desiderato disfarsi di un oggetto tanto bello?
Aveva qualcosa di affascinante quello specchio…
Vi appoggiò sopra una mano, e solo allora notò la sua immagine riflessa.
Ma…
Il respiro gli si mozzò in gola e, se pure avesse voluto urlare, emise
soltanto un gemito strozzato.
Non aveva mai potuto vedere se stesso quand’era privo di dispositivo di
controllo.
Non aveva mai potuto farlo, e nemmeno l’aveva mai desiderato… eppure in quel
momento le sue iridi dorate erano fisse su una creatura che mai, mai avrebbe
creduto di poter vedere.
Perché era lui, quello.
Ne era più che certo.
Nonostante non l’avesse mai visto, quello poteva essere solamente lui.
Solo lui poteva avere delle iridi così particolari.
Solo lui!
Una creatura dai lunghissimi capelli castani e occhi color dell’oro, che lo
fissava a sua volta, come per schernirlo, come per ricordargli che anche lui…
…c’era.
Gettò via lo specchio come se quella vitrea superficie lo scottasse.
Forse urlò, o tentò di farlo.
Si mosse, per quanto le sue gambe inaspettatamente tremanti glielo
consentissero.
Cadde seduto a terra, strisciando freneticamente per allontanarsi da quell’immonda
visione, sporcandosi dell’umidiccio fango di quel lago improvvisamente
maledetto.
Atterrito, osservava ancora quel suo riflesso che ora stava cadendo fra l’erba
alta.
Il riflesso che lo guardava con quegli occhi dannati, temuti, odiati.
Identici ai suoi.
Ma felini, e pazzi.
Scomparso.
Inghiottito dal verde.
Goku si tastò appena la fronte, parte con frenesia, parte con paura.
Si tranquillizzò un poco, quando le sue dita sudate toccarono il freddo del
dispositivo di controllo: lo indossava ancora…
Ma allora…
Le sue iridi dorate tremarono, fissando il punto in cui lo specchio doveva
trovarsi, divise fra una curiosità indefinibile ed una paura altrettanto
indescrivibile.
Il cuore gli martellava nel petto, tanto forte che credeva di sentirlo
esplodere da un momento all’altro.
Immerse le mani nella fanghiglia, gattonando come un bambino verso quell’oggetto
sepolto nell’erba, sentendosi improvvisamente lontano dal suo corpo come se
una qualche entità estranea a se stesso lo stesse muovendo.
Un silenzio improvviso era calato sulla sua anima, un silenzio profondo solo
quanto il rombo del suo cuore.
Poi lo vide ancora, sotto di sé.
Lui in ginocchio sulla liscia superficie dello specchio, l’altro riflesso
esattamente sotto di lui, nella medesima posa.
L’altro lo guardava con la stessa emozione negli occhi, la stessa sorpresa.
Lentamente le sue mani iniziarono a scorrere su quel viso e su quel corpo,
seguite passo passo da quelle dell’altro.
Un viso identico al suo, liscio e dalla carnagione scura, col naso sottile e
le labbra carnose. Capelli del suo stesso castano, lunghi e un po’ spettinati
come li aveva avuti da bambino. Stesso corpo, identico. Lunghe orecchie a
punta. Si assomigliavano molto, eppure c’era qualcosa di estremamente diverso.
Sembrava più adulto, molto più adulto di lui.
Gli occhi.
Ancora una volta, gli occhi.
Erano gli occhi a distinguerli veramente.
Occhi dell’identico color dorato, ma lui li aveva appena più allungati,
coronati da folte ciglia nere e attraversati da una sottile pupilla a fessura,
un po’ dilatata.
Ma stesso sguardo, in quel momento, stesse labbra socchiuse, lui vestito di
un’armatura bianca.
Non riusciva ancora a spiegarsi il motivo per cui lo specchio gli stava
mostrando il riflesso di quel “altro se stesso”, eppure…
Eppure ora che lo osservava bene, ora che si era calmato… ne era quasi
affascinato.
Era affascinato da quel volto squisitamente cesellato, da quel corpo avvolto
dal vestito bianco… era diverso da come se l’era sempre immaginato.
Aveva sempre creduto che la sua trasformazione lo rendesse un mostro, un
essere indegno perfino d’essere guardato. Era sempre stato terrorizzato
dall’idea stessa di quella sua metamorfosi. Era sempre stato terrorizzato
dall’idea che Sanzo avrebbe avuto di quel suo altro io su cui lui, Goku, non
aveva alcun controllo.
Tuttavia non vedeva nulla di malvagio, nulla di perverso nell’immagine
riflessa.
Solo una vaga emozione, forse la stessa che provava lui.
Avrebbe potuto guardarlo per ore, senza che il suo batticuore cessasse.
Poi un suono improvviso, che lo costrinse ad alzare gli occhi verso il cielo,
verso le chiome degli alberi. Un suono flebile, appena udibile, ma che
evidentemente andava avanti già da un po’.
Un canto. Qualcuno cantava.
Goku si alzò lentamente in piedi e si mosse, guidato da quella voce.
Era un qualcosa di così delicato come mai aveva sentito prima: la melodia
veleggiava sul vento senza parole, sapientemente modulata da una voce tenera,
dal timbro femminile eppure lievemente più bassa e rauca, una voce così
morbida e sensuale che nessuna donna avrebbe mai potuto avere. Sembrava di
sentir cantare un angelo.
“Che cos’è…?” si chiese Goku.
Poi la vide, dall’altra parte del lago.
Una figura che camminava lungo la riva, scalza, con la grazia di una ninfa.
Era snella, piccola, non più di un metro e settanta di altezza. Aveva lunghe
gambe magre ma forti, e i suoi fianchi erano circondati da una lunghissima
gonna di fine seta azzurra, riccamente decorata da motivi geometrici e frange
dorate. La sua carnagione era scura, bronzea, e i suoi capelli erano
lunghissimi, almeno fino a metà coscia, finissimi e corvini, leggermente
ondulati. Le sue mani piccole ed affusolate sfioravano il tessuto della gonna,
sollevandolo per impedire che si bagnasse.
Goku tentò di vederne meglio il viso: femminile, aggraziato, dalle labbra
carnose e vermiglie, occhi grandi contornati da ciglia scure e folte, di un
color azzurro chiaro e vivido, così brillanti ed intensi da creare un
piacevolissimo contrasto con la sua pelle e i capelli scuri. Aveva orecchie a
punta. Certamente non era una creatura umana. Era forse una demone, una
ragazza?
No.
Era a torso nudo, e non aveva seno; per quanto il suo corpo possedesse
un’armonia e delle proporzioni tipicamente femminili, la muscolatura piuttosto
forte, benché non eccessiva, e la linea della mascella appena più robusta,
denotavano la sua appartenenza al genere maschile.
Il canto cessò, e il giovane, chiunque fosse, si voltò verso di lui e gli
sorrise.
Aveva un viso così bello, così dolce!
Goku si sentì avvampare, e non poté far altro che voltarsi e scappare,
tornando alla locanda.
Il giovane continuò a guardarlo sorridendo, mentre il vento fresco della notte
gli scompigliava i lunghissimi capelli corvini.
“Che cos’hai visto nello specchio, ragazzo?”
Un sussurro di quella voce flautata, perso nell’aria della sera.
Un sussurro che non venne mai udito da Son Goku.
Una domanda che sarebbe stata ripetuta molte e molte volte, e che avrebbe
influenzato il destino di molte anime.
******
Si gettò sul letto, quello stesso letto che aveva abbandonato tempo prima.
Non riusciva ancora a credere a ciò che aveva visto e sentito, quasi si fosse
trattato di un’allucinazione. Stentava ancora a calmarsi, ed era scappato via
come un bambino di fronte ad un sentimento che non era terrore, una sensazione
sconosciuta a cui non riusciva a dare un nome. Strinse fra le dita le
lenzuola.
Chi mai era quello? Quel ragazzo, quella… quella creatura? Era assolutamente
inesatto chiamarlo ragazzo, perché gli era sembrato molto più femminile di
molte delle donne che avevano incontrato durante il loro viaggio.
Forse doveva parlarne agli altri, ma… come essere certi che non si fosse
trattato del frutto della sua immaginazione? Toccò ancora una volta il
dispositivo di controllo sulla sua fronte. Non era cambiato, così come non era
cambiato il suo ricordo.
Aveva veramente toccato quella superficie liscia, pesante e fredda, così come
aveva fissato l’altro, riflesso su di uno specchio.
Voleva andare da Sanzo, parlargliene.
Ma che gli poteva dire? “Ascolta Sanzo, stanotte sono uscito, per caso ho
trovato uno specchio in cui ho visto riflesso… l’altro… e poi ho visto una
specie di angelo che cantava dall’altra parte di un lago!”
No, non reggeva.
Decisamente, non reggeva.
Sanzo gli avrebbe dato del visionario.
Non sapendo cosa fare, si alzò e andò in bagno.
C’era un solo specchio, piccolo e rotondo, sopra il lavabo.
Era lui, stavolta.
Non c’erano capelli lunghi né armature bianche.
Ma non poteva far finta di niente.
Non poteva, perché non avrebbe mai dimenticato quegli occhi così identici ai
suoi, perfino nell’emozione…
Appoggiò la fronte contro lo specchio, chiudendo gli occhi con fare stanco e
sospirando: “Ma chi sei tu, eh?”
|