GENERE: Drammatico

SERIE: Il Signore degli Anelli

PAIRING: Ancora Aragorn/Legolas. Il racconto che segue è in realtà il proseguimento di “L’ultima notte”. Alla fine della storia Aragorn rimaneva in attesa di Arwen (brutta befana dalla bocca rifatta!) e Legolas si apprestava a partire. Ma dopo avere ascoltato “Into the West” ho capito che, insomma, non potevo mica lasciarli così!

DISCLAIMERS: I personaggi sono di papà Tolkien.

RATING: NC17.



 


 

Into the West

di Fatina

 

VERSO OVEST

 

Posa

Il tuo dolce e stanco capo

La notte sta calando

E tu sei giunto alla fine del viaggio

 

Dormi ora

Sogna – di coloro che vennero prima

Essi chiamano

Da una spiaggia lontana

 

Perché piangi?

Cosa sono queste lacrime sul tuo viso?

Presto vedrai

Ogni tua paura svanire

 

Al sicuro fra le mie braccia

Tu stai dormendo

Che cosa vedi all’orizzonte?

Perché i bianchi gabbiani chiamano?

 

Al di là del mare

Sorge una pallida luna

Le navi sono arrivate

Per condurti a casa

 

E tutto si trasformerà in uno specchio d’argento

Una luce sull’acqua

Ogni anima attraversa

 

***

 

Il sole stava sorgendo all’orizzonte, pallido e bianco. Le nuvole sfumate di rosa e azzurro si stavano disperdendo nel vento tiepido del mattino e Legolas ancora non aveva trovato in sé la forza di rientrare nel palazzo.

 

Fra poche ore si sarebbe tenuta l’incoronazione di Aragorn, alla fine della quale gli Elfi sarebbero partiti. Il momento di salpare verso Ovest si stava avvicinando sempre più velocemente. Legolas aveva rimandato la sua decisione all’infinito, desideroso da un lato di partire con il suo popolo, di tornare nei luoghi da cui la sua gente era venuta, millenni prima, curioso di vedere i posti di cui aveva sentito soltanto raccontare e cantare nelle antiche leggende. Dall’altro di rimanere per continuare a vivere accanto all’Uomo che aveva scoperto di amare, per essere ancora e per sempre suo amico e compagno d’arme, se il destino non avesse deciso per lui qualcosa di più. 

 

Soltanto poche ore prima un soffio di speranza si era agitato dentro di lui, quando le mani del Re si erano posate sul suo viso. Aragorn lo aveva baciato, gli aveva chiesto di passare la notte con lui. Per un solo, brevissimo istante, l’Elfo aveva sentito forte la tentazione di cedere all’illusione, di credere, anche solo per un attimo, che Aragorn lo amava. Amava lui. Poi tutto era andato in frantumi. Quando aveva comunicato al Re l’arrivo di Arwen, Aragorn non aveva saputo fare altro che guardarlo con gli occhi pieni di gioia e poi voltarsi e tornare nel palazzo. Senza una parola, un saluto. Senza nulla che potesse mantenere in piedi anche solo un pezzetto dell’illusione che Legolas si stava creando.

Gli sarebbe bastato un ultimo bacio, anzi meno, una carezza. Sentire per l’ultima volta quelle mani calde sul suo viso.

 

Seduto sul muricciolo di cinta, si strinse forte nel mantello. Poi scese e si incamminò verso il palazzo. Non aveva che poche cose  da raccogliere per la partenza, ma era meglio farlo ora che ancora tutti dormivano. Meno persone lo vedevano fare i bagagli, meno domande imbarazzanti ci sarebbero state.

 

La stanza che gli era stata assegnata appena giunto a Minas Tirith era grande in modo esagerato, e semivuota. Le poche suppellettili che la arredavano la facevano sembrare ancora più grande e fredda. Tutti i suoi averi stavano richiusi in un fagotto di stoffa ormai grigio e sporco, legato con una corda che serviva anche per tenere quello zaino improvvisato a tracolla. Lo svuotò sul piccolo letto ancora intatto, dal momento che non vi aveva mai dormito, e si accinse a ripiegare con calma i pochi indumenti che conteneva. Tuniche e pantaloni, un tempo bianchi e ora di un colore fra il grigio e il marrone, come l’acqua sporca di uno stagno fangoso. Afferrò il mantello di ricambio, anch’esso sporco e rattoppato, e nel farlo sentì una puntura al dito. Osservò il manto e vide qualcosa luccicare. Raccolse il piccolo oggetto, una spilla di fattura elfica, a forma di foglia. Legolas si sentì stringere il cuore. Non potè fare a meno di riflettere su quanto le cose fossero cambiato da quel giorno ormai lontano

 

***

 

Finalmente Aragorn decise che era venuto il momento di riposare. Una piccola macchia di alberi e cespugli rompeva la monotonia del paesaggio. Dopo giorni di corsa ininterrotta fra colline e valli ricoperte solo d’erba, picchi rocciosi e letti di fiume sassosi, quella inaspettata oasi fu una tentazione troppo forte. Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma era lui quello più stanco di tutti. Legolas poteva contare su una costituzione leggera e sul suo modo particolare di muoversi, tipico degli elfi, che gli permetteva di risparmiare energia. Gimli, reso più lento dalla bassa statura e dalla stazza pesante dei Nani, era però dotato di una resistenza praticamente senza fine. Aragorn invece era soltanto un Uomo, benché avvezzo alla fatica e alle difficoltà, e la sua resistenza si stava esaurendo già da parecchio. Legolas lo vedeva sempre più spesso inciampare e dare sempre più l’impressione che le sue ginocchia stessero per piegarsi da un momento all’altro. Era più volte stato sul punto di pregarlo di fermarsi almeno per un intero giorno, quelle poche e brevi soste non erano sufficienti per ristorare il suo corpo, ma sapeva che il suo consiglio avrebbe umiliato l’orgoglio di Aragorn, quindi aveva taciuto e si era limitato a tenerlo d’occhio, pronto a dargli una mano di fronte a qualsiasi difficoltà.

 

Si fermarono al centro della piccola oasi verde, dove i rami più bassi degli alberi crescevano ad un metro circa dal suolo, creando un riparo naturale sotto cui sdraiarsi e dormire qualche ora al sicuro da sguardi indiscreti. Si sdraiarono direttamente sull’erba, avvolgendosi nei mantelli e si addormentarono immediatamente. Avevano deciso che era inutile che qualcuno facesse la guardia, darsi il cambio avrebbe portato via preziose ore di sonno e riposo, inoltre i nemici non li inseguivano, anzi, erano loro ad inseguirli. Legolas ebbe appena il tempo di domandarsi se i due piccoli Hobbit fossero ancora vivi, poi il buio lo avvolse e cadde in un sonno profondo e senza sogni.

 

Quando si svegliò il sole stava tramontando. Aragorn e Gimli stavano parlando seduti uno accanto all’altro. Il Nano indicava da qualche parte intorno e Aragorn scuoteva la testa, come se non fosse d’accordo con qualcosa che Gimli stava dicendo. Infine però sembrò acconsentire, anche se di malavoglia, e il Nano si alzò e si allontanò.

 

-          Cosa è accaduto? – chiese l’Elfo, avvicinandosi silenzioso all’Uomo che gli voltava le spalle, immerso nei proprio pensieri.

 

-          Ha! – esclamò Aragorn, voltandosi di scatto. – Sei tu, non mi ero accorto che fossi sveglio. –

 

Legolas sorrise. Poi si sedette accanto al compagno.

 

-          Dov’è andato il Nano? – chiese.

 

-          Ha detto di avere notato non molto lontano una polla d’acqua, quindi ha deciso di andare a controllare se è potabile e ha portato con sé due borracce. In effetti siamo a corto di acqua ma non mi piace l’idea di quel testone solo in queste lande desolate. –

 

Legolas si guardò intorno.

 

-          E’ vero, gli Orchetti e gli Uruk-hai sono lontani davanti a noi, ma dietro potrebbe esserci qualunque altra cosa.– rabbrividì.

  

-          Inoltre questo non fa che farci perdere ulteriore tempo. – disse Aragorn.

 

-          Per questo non ti devi preoccupare – rispose Legolas. – Anche i Nemici di saranno dovuti fermare, almeno per un po’. Inoltre non possiamo continuare senza acqua. –

 

L’Elfo si  alzò e raggiunse il suo zaino. Ne tolse qualche pezzo di lembas e ne diede una parte ad Aragorn, che lo ringraziò.

 

Mangiarono lentamente e bevvero un sorso della poca acqua rimasta. Poi rimasero in silenzio, seduti uno accanto all’altro, mentre la luce diminuiva e un vento freddo iniziava a soffiare. Si strinsero nei mantelli e rimasero in attesa, ognuno immerso nei propri pensieri. Il silenzio non pesava a nessuno dei due. L’Elfo non era abituato a parlare, se non quando aveva qualcosa di importante da dire, mentre Aragorn era per carattere una persona riservata e silenziosa. 

 

Ad un certo punto Aragorn estrasse da una tasca la sua lunga e sottile pipa e decise di accenderla. Il poco fumo che emanava non avrebbe certo attirato l’attenzione di nessuno, mentre avrebbe contribuito a scacciare gli insetti che la sera aveva attirato fuori dai loro nascondigli. Legolas lo osservò mentre accendeva con due pietre un piccolo mucchio di sterpaglie secche e con uno di quei ramoscelli accendeva la poca erba pipa stipata nel fornelletto. Senza volere, l’Elfo notò quanto il compagno fosse dimagrito in quegli ultimi tempi. Nuove linee solcavano il suo viso, mentre le vecchie erano ora più profonde. Il suo sguardo una volta soltanto fiero, aveva preso un’espressione dolente, mentre le sue labbra si erano assottigliate e stavano spesso strette, e i rari sorrisi che vi fiorivano avevano una piega triste. Notò come le sue spalle, anche se larghe e imponenti, fossero più curve, come se troppi pesi vi fossero stati appoggiati per lungo tempo. I capelli, lunghi, mossi e neri, erano ora inargentati da numerosi fili bianchi.

 

Legolas sentì qualcosa nascere dentro di lui e accendere uno strano calore proprio sotto lo sterno. Per la prima volta si trovò a pensare che Aragorn era bello, di una bellezza ruvida e cupa, molto diversa da quella luminosa e argentea degli Elfi. Ma comunque una bellezza straordinaria. Soprattutto in quel momento, mentre i suoi lineamenti erano stravolti dalla stanchezza, la sua pelle era sporca di polvere e sudore e i suoi occhi grigi erano socchiusi e fissi sul fornelletto della pipa, lontani nel tempo e oscurati da pensieri cupi.

 

Quasi senza rendersene conto alzò una mano e passò le dita fra i capelli di Aragorn, dalla tempia alla nuca, per poi rimanere fermo, senza più riuscire a staccare la mano dalla pelle calda, increspata per un attimo da un leggero brivido. Aragorn si voltò lentamente e fissò lo sguardo grigio scuro negli occhi viola dell’Elfo. I suoi occhi contenevano una domanda, ma ancor più una richiesta. Senza dire nulla tolse la pipa dalla bocca e a sua volta alzò una mano e la posò sulla guancia dell’Elfo. Con il pollice prese ad accarezzare lo zigomo bianco e morbido. Rimasero così per un po’, senza sapere cosa fare o cosa dire, ma incapaci entrambi di sottrarsi a quel momento, imbarazzati e allo stesso tempo tranquilli, come se ciò che stava accadendo fosse la cosa più naturale del mondo.

 

Fu Legolas a spezzare l’incantesimo, avvicinandosi al compagno per abbracciarlo e posargli il viso su una spalla. Improvvisamente aveva sentito il bisogno di compiere quel gesto, e ora si godeva il calore di quell’abbraccio. Aragorn rimase un attimo immobile, poi, lentamente, avvolse le sue braccia intorno ai fianchi sottili dell’Elfo.

 

-          Cosa stiamo facendo?- sussurrò in elfico.

 

Gli parve che solo quell’idioma dolce fosse adatto a ciò che stava accadendo e a ciò che stava provando. Perché il corpo di Legolas così vicino al suo gli stava donando una serenità che non provava da tempo. 

 

Legolas sollevò il viso e fissò lo sguardo in quello dell’Uomo.

 

-          Cosa desideri? – chiese, e le sue parole furono un soffio di vento primaverile sopra una terra ricoperta dal ghiaccio.

 

-          Cosa desidero? – chiese Aragorn, stordito. Una certezza improvvisa e inaspettata si stava facendo strada dentro di lui. – Questo – rispose, con la voce vibrante di emozione – soltanto questo – disse, e come se lo avesse fatto decine di volte, posò le labbra su quelle dell’Elfo.

 

Le mosse piano, in attesa di una risposta. Neppure per un istante si era aspettato un rifiuto da parte di Legolas. La risposta non si fece attendere. L’Elfo rispose al bacio e Aragorn si sentì travolgere da una tempesta di sensazioni sconosciute. La bocca dell’Elfo era dolce come il più dolce dei frutti, e calda e morbida come nulla a cui lui la potesse paragonare. Si spinse sempre più a fondo, spingendo contemporaneamente l’Elfo giù, sull’erba fredda.

 

Legolas non si era aspettato quel bacio. Eppure, quando aveva sentito le labbra di Aragorn sulle sue si era reso conto che era ciò che doveva accadere. Non era mai stato baciato da un Uomo, né mai lo aveva desiderato. E le labbra dell’Uomo erano come il suo viso e le sue mani. Forti e ruvide, spaccate dal vento e dal sole. Eppure si muovevano con dolce violenza sulle sue e la sua lingua lo stava esplorando in profondità, come un uomo assetato che immerge le labbra in una fresca sorgente. Non sapeva ancora cosa Aragorn fosse per lui, ma sapeva con certezza che in quel momento lui era tutto per Aragorn. Tutto ciò di cui aveva bisogno. Cibo per la sua fame. Acqua per la sua sete. Calore per il suo gelo. Speranza per la sua disperazione. Riposo per la sua stanchezza.

 

Quando le mani lo spinsero a terra, Legolas si lasciò andare, felice e tranquillo. Sentì le mani e la bocca di Aragorn sul suo corpo, e quando lo sentì entrare in lui lo accolse con gioia, fiero di poter essere in qualche modo importante per quell’Uomo che aveva imparato ad ammirare e rispettare più di qualsiasi altro. L’Uomo il cui destino avrebbe cambiato per sempre il destino della Terra di Mezzo.

 

Quando Gimli tornò, trovò i compagni già in piedi e pronti a partire. Notò che Aragorn stava appuntando il mantello di Legolas con la sua spilla, poichè quella dell’Elfo era stata smarrita durante la lunga corsa. L’atmosfera fra i due sembrava strana, leggera, molto più complice di quanto lo fosse mai stata. Aragorn aveva un’espressione tranquilla, molto più riposata che non qualche ora prima, quasi sorridente. E l’Elfo sembrava emanare luce nel buio sempre più profondo. Li osservò ancora per un attimo. Poi scosse la testa. “Non fare domande inutili e non riceverai risposte che non vuoi sentire” pensò.

 

Consegnò ai due compagni le borracce piene. Poi, in fila indiana, con Aragorn davanti, l’Elfo subito dopo e per finire il Nano, ciò che restava della Compagnia dell’Anello ricominciò a correre.

 

***

 

Legolas continuò a rigirarsi la spilla fra le mani. Si, era davvero cambiato molto da allora. Dopo quello strano rapporto, consumato sotto i rami degli alberi di quella piccola e inaspettata oasi, stretti sotto i loro mantelli, mentre il sole tramontava e il vento portava con sé un cielo buio e senza stelle, nessuno dei due ne aveva mai più accennato. La loro amicizia era continuata esattamente come prima, fatta di stima reciproca e lealtà, e fiducia totale uno nell’altro. Ognuno di loro avrebbe messo la propria vita nelle mani dell’altro senza il minimo timore.

 

Eppure, lentamente, senza alcun segno esteriore, giorno dopo giorno, momento dopo momento, qualcosa in Legolas stava cambiando. Spesso si scopriva a pensare ad Aragorn, a ricordarlo come era quel giorno, chino a fumare la pipa, alla luce di un freddo tramonto. Si sorprendeva a immaginare le sue mani mentre lo accarezzavano, la sua mente gli faceva dire parole che, lo sapeva bene, il Re mai avrebbe pronunciato. Almeno non a lui. Sapeva che il cuore del Re apparteneva soltanto ad Arwen, figlia di Elrond. La Stella del Vespro, la più bella fra le Dame elfiche. Legolas non avrebbe mai potuto competere con lei. Lei aveva offerto al Re persino la sua immortalità. Era disposta a invecchiare e morire pur di rimanere accanto all’Uomo che amava. Spesso si chiedeva se lui sarebbe stato disposto a fare altrettanto, e non ne era affatto certo.

 

-          Ti stai preparando per partire? – chiese una voce inaspettatamente.

 

Legolas sobbalzò, per l’ennesima volta quella notte. Voltarsi verso la porta e vedervi appoggiato Aragorn gli bloccò per un attimo il respiro in gola.

 

-          Si, stavo sistemando le mie cose. E’ buffo – sorrise, dando un’occhiata ai suoi abiti logori e sporchi – non so neppure perché lo sto facendo, dal momento che butterò via tutto appena tornato a Lòrien. –

 

Aragorn sorrise a sua volta, osservando lo sguardo pieno di nostalgia che l’Elfo stava donando a quei logori panni.

 

-          Io ci ho provato, ma non ce l’ho fatta. I vestiti che ho portato durante il Viaggio da Gran Burrone a qui, li ho messi da parte, e credo che li terrò come ricordo. Ogni strappo, ogni macchia di fango, mi ricorda qualcosa. Cose tristi e dolorose, ma anche momenti belli. – sospirò, e i suoi occhi si spostarono sul viso di Legolas.

-          Mi dispiace – disse. – Mi spiace di averti lasciato solo, là fuori, questa notte. Quando mi hai detto dell’arrivo di  Arwen, non ho più saputo cosa dire, né fare. Sono stato assalito da una cascata di sentimenti contrastanti… -

 

-          Non importa – disse Legolas. – Io ti capisco. Mi fa male, ma ti capisco. – L’Elfo si sedette sul letto, accanto alle sue vesti ripiegate. Le sue dita toccarono di nuovo la spilla.

-          Guarda – disse, mostrandola ad Aragorn. – Te la ricordi? – chiese.

 

Aragorn sorrise. Si avvicinò a Legolas e gliela prese dalla mano.

 

-          Si. Questo è il ricordo di un momento bello. Per me ha significato molto. Mi piacerebbe sapere cosa ha significato per te. –

 

Legolas sospirò.

 

-          E’ stato un momento pieno di dolcezza. Nulla di più. Solo dopo molti giorni, dopo molti pericoli affrontati al tuo fianco, ho capito appieno cosa ha significato per me. – L’Elfo fece una pausa e poi - Io ti amo. – sussurrò, e alzò lo sguardo per controllare la reazione di Aragorn a quelle parole.

 

Lo vide avanzare verso di lui e sedersi sul letto accanto a lui. Le loro ginocchia si sfioravano e Legolas sentì forte l’istinto di allontanarsi.

 

-          E’ questo che intendevi, quando parlavi dei tuoi sentimenti per me. – disse il Re, mentre la sua voce tremava leggermente. Prese delicatamente una mano dell’Elfo fra le sue e se la portò alla bocca, per depositarvi un leggero bacio.

 

Legolas resistette solo qualche secondo, poi la strappò via dalle mani dell’amico.

 

-          No, ti prego – gemette – non capisci che mi fai male? – L’Elfo scattò in piedi e si allontanò dall’Uomo.

-          Non hai sentito le mie parole? Io ti amo! E questo significa che vorrei essere tuo, tuo per sempre. E vorrei che tu fossi mio, ma non è così! Tu non mi appartieni, appartieni ad Arwen e lei sta arrivando. Sta venendo qui per stare con te fino alla fine della tua vita. – L’Elfo misurò la stanza a passi lunghi e veloci. Aragorn dal letto lo fissava ad occhi spalancati.

-          Questo mi fa male – continuò Legolas – Il pensiero che fra poco la stringerai fra le tue braccia mi fa male. Il tuo essere qui in questa stanza mi fa male. Il tuo viso, i tuoi occhi, la tua bocca, il tuo odore mi fanno male. Quando mi tocchi io sento dolore. Vorrei scappare fuori da questa stanza perché la sola tua vicinanza mi impedisce di respirare! – Legolas si afferrò la gola con le mani, come se davvero gli mancasse l’ossigeno.

 

Aragorn si alzò, sconvolto. Si avvicinò veloce all’Elfo, come se temesse di vederlo fuggire via, e lo strinse forte fra le braccia. Legolas gridò e cercò di divincolarsi, ma l’Uomo lo teneva stretto e continuò a tenerlo imprigionato cullandolo dolcemente, sussurrando parole di conforto e affetto in elfico, fino a quando non lo sentì rilasciarsi e aggrapparsi a lui, scoppiando in un pianto dirotto. A quel punto non seppe fare altro che sedersi di nuovo sul letto e posarsi l’Elfo sulle ginocchia, continuando a cullarlo ripetendo il suo nome.

 

-          Perdonami, Legolas – disse. – Io non sapevo di causarti tanto dolore. Mio dolce amico, mio caro compagno. Ma io non posso lasciarti partire così. Non riesco a tollerare il pensiero di non averti più accanto. L’idea di non rivedere mai più i tuoi occhi viola, e i tuoi capelli di seta, di non posare più le mie mani sulla tua pelle e la mia bocca sulle tue labbra, mi distrugge.-

 

Legolas sollevò il viso bagnato di lacrime, un sottile filo di speranza gli illuminava lo sguardo.

 

-          Davvero?- chiese. Il Re annuì. – Tu mi ami? – chiese ancora. Aragorn lo fissò, tristemente.

 

-          Darei tutto ciò che possiedo, rinuncerei a tutto ciò che ho conquistato, se questo mi permettesse di amarti. Ma purtroppo non è così. Io amo Arwen. E’ lei che amo e con lei voglio finire i miei giorni. Ma quello che provo per te è altrettanto forte e brucia la mia anima come un fuoco. –

 

Legolas si sentì annientato da quelle parole.

 

-          Ti rendi conto di cosa dici? – chiese. Lacrime di dolore e rabbia scendevano sulle sue guance. – Con poche parole hai distrutto il mio mondo! Con una sola frase hai frantumato qualsiasi mia illusione. Hai calpestato le mie speranze come fossero erba secca. Cosa provi per me, dunque? Dai un nome a questo fuoco che ti brucia l’anima!- gridò, disperato.

 

-          Non gli so dare un nome, Legolas. Potrei dire che è desiderio, ma sarebbe come chiamare margherita una rosa. Quello che provo per te è molto diverso da quello che provo per Arwen. Lei è l’Alba e il Tramonto, è la Primavera, l’acqua limpida di una sorgente. Tu sei fuoco e tempesta, sei le onde del Mare, Legolas. Lei porta pace al mio cuore e serenità ai miei sensi, tu infiammi l’uno e gli altri. E io non so dare un nome a tutto questo. So solo che non voglio vederti andare via. Voglio che tu rimanga qui. –

 

-          E perché mai? Perché dovrei restare? Per vederti ogni giorno accanto a lei? Per vedervi vivere insieme, invecchiare insieme, avere magari dei figli? E io cosa sarei? Cosa ne sarebbe di me? Faresti di me il tuo amante? Davvero credi che mi farei bastare una cosa tanto squallida? –

 

Aragorn rimaneva seduto sul letto con la testa bassa e le mani abbandonate sul lenzuolo.

 

-          Hai ragione, sarebbe tutto assurdo – disse. Poi alzò la testa e lo sguardo fiero di Aragorn, figlio di Arathorn, l’Erede di Isildur e futuro Sire di Gondor tornò a brillare nei suoi occhi. – Ma non ti lascerò andare via così. – e in un lampo fu in piedi e afferrò l’Elfo per le spalle. Poi lo strinse con tutta la sua forza e gli imprigionò le labbra con le sue.

 

Legolas fu colto alla sprovvista e tentò di divincolarsi, ma presto sentì chiaro che il bacio di Aragorn non era un semplice bacio. L’Uomo stava mettendo in quel gesto tutto sé stesso, tutta la sua rabbia e la sua passione. Tutta la sua anima. E in quel momento capì che Aragorn era disperato di perderlo. E capì anche che Aragorn, nonostante le sue parole, lo amava. Forse di un amore diverso da quello che provava per Arwen, ma altrettanto intenso e travolgente. Un sentimento di cui nemmeno lui si rendeva conto.

 

Come quella sera di mesi prima, Aragorn spinse Legolas a terra, adagiandosi sopra di lui, facendogli sentire tutta la sua forza e il suo desiderio. Continuò a baciarlo, sulle labbra, sulla fronte, sulle guance, sul mento, mentre con le mani lo spogliava e si spogliava il più velocemente possibile, gettando i vestiti dove capitava e staccando la bocca solo quando era strettamente necessario. Non erano ancora completamente svestiti che già i loro bacini si muovevano in sincrono, premendo uno contro l’altro, dandosi veloci stoccate, allontanandosi per tornare subito a cercarsi. Aragorn si alzò in piedi per liberarsi dai pantaloni, poi si chinò per aiutare Legolas a liberarsi dei suoi, strappandoli via mentre l’Elfo sollevava il bacino.

 

Tornò ad adagiarsi sul corpo bianco e flessuoso dell’amante, e ricominciò a baciarlo, mentre il contatto fra le loro carni, ora libere da qualsiasi barriera, si faceva sempre più intollerabile.

 

-          Legolas, non ce la faccio…- singhiozzò Aragorn, - Ti desidero troppo… io sto per… - e con un’ultima stoccata contro il bacino dell’Elfo, Aragorn esplose con un grido rauco, e subito si accasciò al suo fianco, ansimando rumorosamente. – Mi… mi dispiace… perdonami…-

 

Legolas si sollevò su un gomito e prese ad accarezzare i capelli neri del Re, come aveva fatto quella notte, dalla tempia alla nuca.

 

-          Shhhh… - fece – Va tutto bene – sussurrò, e si piegò a baciare il volto di Aragorn, dolcemente, lentamente, non tralasciando neppure un centimetro di pelle. – Non è ancora finita.-

 

Quindi si sollevò e prese un pezzo di stoffa per pulire ciò che Aragorn aveva sporcato. Quindi lo fece sdraiare supino e si mise a cavalcioni su di lui. Con le mani iniziò ad accarezzarlo, con gesti lenti e circolari, partendo dalle spalle contratte e scendendo poi sulle braccia. Raggiunse le mani e poi riprese a salire, su fino al collo, per poi scendere di nuovo lungo il torace.

 

Aragorn si sentiva come se ad accarezzarlo fossero le onde di un mare tiepido e profumato. Legolas, su di lui, emanava una luce bianca e calda, come un piccolo sole primaverile. I suoi capelli scendevano a coprirgli le spalle e parte del viso, mentre il colore degli occhi cambiava, passando dal rosa di un tramonto estivo al blu di una notte rischiarata dalla luna. La luce sembrava passare dalle mani dell’Elfo per penetrare nella sua pelle, che rimaneva leggermente fluorescente per alcuni secondi prima che la sensazione di calore e pizzicore se ne andasse. 

 

-          E’ così che fa l’amore un Elfo? – chiese. Legolas si limitò a sorridere.

 

Il suo sesso a riposo fu presto di nuovo pronto, e Aragorn si chiese cosa avrebbe provato quando le mani di Legolas si fossero posate su di esso con la loro luce. Ciò che provò lo fece quasi gridare. Poi vide Legolas sollevare leggermente il bacino e Aragorn si preparò ad affondare di nuovo in quel corpo che già aveva posseduto tempo prima, in una situazione e in un modo del tutto diversi. Quando accadde il piacere fu talmente intenso da fargli quasi perdere i sensi. Questa volta non potè trattenersi dal gridare. Si sentì improvvisamente debole, desideroso soltanto che quella sensazione non finisse, o almeno non subito. Chiuse gli occhi, rimanendo prigioniero delle mani di Legolas, che continuavano a percorrere il suo corpo senza pietà, e del suo bacino che lo travolgeva come un mare in tempesta. Una voce lo raggiunse, fuori dal tempo e dallo spazio.

 

-          Aragorn – echeggiò, poi si fece più chiara – Aragorn, apri gli occhi.- ordinò la voce.

 

Il Re li aprì con uno sforzo immenso, sentendo che non gli sarebbe stato permesso disobbedire all’ordine. Rimase a guardare l’Elfo, meraviglioso, più bello di qualsiasi cosa avesse mai visto, più del tramonto e dell’alba, più di un bosco fiorito, di una montagna coperta di neve, più del sole e della luna e di tutte le stelle del cielo. Le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. Poi si coprì il volto con le mani. Ora capiva. E non poteva sopportarlo.

 

-          Legolas, basta, ti prego… - la voce uscì roca e soffocata.

 

L’Elfo non si fermò, anzi, la luce si fece più bianca e Aragorn sentì il suo corpo quasi spezzarsi dal piacere.

 

-          Basta! – gridò – Ti prego, fermati! – continuò singhiozzando, sentendo venirgli a mancare l’aria.

 

Sentiva il piacere crescere ancora e ormai non capiva più se l’orgasmo fosse vicino o se lo avesse già superato. Era come se il culmine, invece di esplodere in tutta la sua violenza per un solo, fugace attimo, continuasse nel tempo. Il piacere era al di là di qualsiasi immaginazione, e Aragorn non capiva nemmeno se provenisse da un solo punto per irradiarsi in tutto il corpo oppure se fosse direttamente generato da ogni sua cellula. Sentiva che era ad un soffio dal perdere i sensi, quando, dopo un picco ancora più acuto che fece contrarre tutto il suo corpo in un ultimo violento spasmo, sentì il seme uscire e, come attraverso una nebbia di pulviscolo luminoso, vide il corpo di Legolas inarcarsi all’indietro, i suoi capelli frustare l’aria e il suo seme trasparente come rugiada andare a posarsi sul suo petto, sulla sua gola e sulle sue labbra.

 

Legolas si lasciò cadere, leggero, sul petto dell’Uomo, con le labbra a contatto della sua pelle. Il sesso di Aragorn se ne stava accucciato dentro il corpo caldo dell’Elfo senza la minima intenzione di uscire, lasciandosi accarezzare da deboli contrazioni.

 

-          Sei ancora deciso ad andartene? – chiese il Re, non appena riuscì a parlare.

 

-          Si – ripose l’Elfo.

 

-          Non posso lasciarti andare. – sussurrò. Legolas non parlò. – Ora ho capito. Io ti amo. Ti amo davvero. – disse di nuovo, la voce tremante e gli occhi che si riempivano nuovamente di lacrime.

 

L’Elfo non rispose. Avrebbe potuto dire che lo sapeva già. Avrebbe potuto dire che era felice. Avrebbe potuto rimanere. Ma non lo avrebbe fatto. Il silenzio li avvolse, pesante come un macigno.

 

-          Arwen sta arrivando – disse Legolas, dopo qualche minuto. – Sarà qui fra poche ore e allora sarà lei che stringerai fra le braccia. Quello che è accaduto ora è soltanto perché voglio che tu ti ricordi di me per sempre. –

 

-          Io non voglio ricordarti, voglio che tu rimanga – supplicò il Re. - Parlerò con Arwen, la convincerò a partire. – Prese fra le dita il mento dell’Elfo e lo costrinse a guardarlo. – Io scelgo te, Legolas. –

 

L’Elfo sorrise, tristemente.

 

-          Tu hai già compiuto la tua scelta, Aragorn. Hai scelto ancora da prima che ci conoscessimo. Lei è il tuo destino, nel libro della tua vita Arwen c’è dall’inizio e ci sarà alla fine. Io non sono altro che poche pagine. – poi si sollevò e posò un ultimo bacio sulle labbra bagnate di lacrime del Re di Gondor. – Ora è meglio che tu vada. Il tuo destino di attende e con esso il destino della Terra di Mezzo. –

 

Con infinita fatica, Aragorn si sollevò e lentamente raccolse i suoi abiti. Dopo un ultimo sguardo all’Elfo che si stava rivestendo voltandogli le spalle, uscì dalla porta.

 

***

 

L’incoronazione era iniziata e terminata. Dama Arwen era giunta e gli Elfi erano partiti. Ormai non erano altro che una lunga colonna che lentamente si allontanava e si confondeva con l’orizzonte. Legolas aveva lasciato Minas Tirith per ultimo e Aragorn lo aveva accompagnato per un tratto.

 

-          Addio, mio dolce amico. – lo salutò. Legolas gli porse la mano e il Re la strinse.

 

-          Addio a te, Sire di Gondor. – rispose.

 

-          Posso sperare in un tuo ritorno? – chiese ancora Aragorn. L’Elfo scrutò l’orizzonte, come se le colline appena visibili in lontananza contenessero la risposta.

 

-          Chissà? – sospirò. Poi voltò il cavallo e dopo un ultimo sguardo al suo amato, Legolas spronò il cavallo al galoppo.

 

Aragorn rimase immobile, fino a quando non lo vide scomparire all’orizzonte. Poi voltò la sua cavalcatura e tornò lentamente verso la Città, dove Arwen lo stava spettando.

  

***

 

Le speranze sbiadiscono

Nel mondo della notte

Attraverso le ombre che scendono

Fuori dalla memoria e dal tempo

 

Non dire

Che siamo arrivati alla fine

Le bianche spiagge chiamano

Tu ed io ci incontreremo ancora

 

E tu sarai fra le mie braccia

E dormirai

 

Che cosa vedi all’orizzonte?

Perché i bianchi gabbiani chiamano?

 

Al di là del mare

Sorge una pallida luna

Le navi sono arrivate

Per condurti a casa

 

E tutto si trasformerà in uno specchio d’argento

Una luce sull’acqua

Grigie navi attraversano

Verso Ovest