I personaggi di Saint Seiya appartengono agli aventi diritto ecc. ecc.

 


In ricordo di un Cavaliere

di Kai Harn


PROLOGO:

Hyoga si avvicinò silenziosamente alla cripta del santuario con passo esitante. 

Si sentiva sempre un estraneo in quel luogo. Aveva paura di turbare quell’atmosfera di pace che vi regnava.

Da mesi e mesi ormai, cinque nuove lapidi erano sorte in quel luogo solitario sul retro del santuario. Cinque bianche tombe, che si distinguevano dalle altre per il loro doloroso luccichio, segno della recente costruzione.

 

Il cavaliere del cigno entrò con il cuore in gola, sfiorando con lo sguardo le tombe di marmo dinanzi a lui.

Quale lutto, si diceva. Le osservava, pensando che i loro occupanti erano giovani morti nella piena giovinezza. Il più giovane, venti anni appena, il più vecchio neanche trenta.

La prima era quella di Saga,  che, invano aveva cercato di fuggire alla propria parte oscura , mortale nemico di una penosa guerra.

Poi Shura, che tanto aveva fatto per il suo amico Dragone, giungendo al punto di tramandargli la mitica excalibur, sacro dono della dea.

Aphrodite, amante della sublime bellezza sino alla morte. 

Death Mask, morto senza pentirsi dei peccati, ma fedele strenuamente ai propri ideali.

E infine, la tomba più difficile anche solo da guardare. Hyoga sentì le lacrime bruciargli gli occhi.

“Come potrai mai perdonarmi mio maestro?” disse ad alta voce, lasciando scorrere il pianto sul proprio viso.

Era difficile per il giovane riuscire ad accettare con serenità la morte dell’uomo cui doveva i poteri di cavaliere, e che per fargli acquisire il settimo senso aveva scelto la morte.

Il più grande rimpianto di Hyoga era di non aver potuto mai esternare la gratitudine nei suoi confronti.

Era da mesi che voleva recarsi in Grecia ma non riusciva ancora a dominare il senso di colpa. Come se la mente si rifiutasse di affrontare il solitario mausoleo del santuario.

 

“Come ho potuto?” ripeté, senza accorgersi che un’altra persona era nella sala.

“Salute cavaliere del cigno” disse una voce, molto nota a Hyoga. 

Senza voltarsi, il ragazzo rispose al saluto e si inginocchiò di fronte alla tomba del maestro.

L’uomo alle sue spalle si avvicinò e posò una mano sulla spalla del giovane sussurrandogli “La ferita brucia ancora vero? Ma non sei l’unico a soffrire per la sua scomparsa”.

Hyoga si voltò verso la presenza, con un triste sorriso.

“Almeno tu non vivi con la consapevolezza di averlo ucciso, Milo” disse, rivolgendosi al custode dell’ottava casa.

“Sai perfettamente che non sei tu il suo assassino Hyoga, perché frastornarti ancora? Nessuno ti considera tale” ribatté il cavaliere dello scorpione.

“Milo…io….”

“Usciamo fuori giovane amico, non turbiamo questo luogo con vani sproloqui” mormorò, trascinando Hyoga fuori dalla cripta.

Lo condusse sino all’esterno, dove, simile a voluto contrasto con la penombra della cripta, splendeva un tiepido sole.

“Guarda cavaliere, le rose d’Aphrodite fioriscono ancora nonostante la scomparsa del loro custode” disse Milo, osservando la fioritura rigogliosa della natura. Nonostante i lutti e le tragedie essa non si fermava mai, pronta sempre a rinascere, più fiorente di prima.

“Milo, tu credi che mi abbia perdonato?” sussurrò  il cavaliere del cigno chinando la testa verso terra.

“Io credo di si. E del resto non credo che ti abbia mai voluto rimproverare qualcosa”

Hyoga annuì in silenzio. Milo sembrava conoscere così bene Camus. Provò quasi invidia. Di lui sapeva solo quel che gli aveva raccontato il Crystal Saint e poi basta. Sentiva che doveva essere stato un grande uomo, se il suo maestro nutriva per lui un sentimento simile all’adorazione.

“Milo, parlami di lui te ne prego. Una volta sola l’ ho incontrato ed è stata fatale” disse Hyoga abbassando lo sguardo, quasi ad implorare il cavaliere che gli stava innanzi.

“Sapevo di questo tuo cuore tenero. Ebbene, se vuoi conoscerai la sua storia, e anche la mia, poiché sono legate a doppio filo” .

“Così profonda era l’amicizia che vi legava?”

“Profonda si, e anche molto”. Pronunciate queste parole Milo si sedette accanto a Hyoga, cominciando a parlare con voce piana e dolente.

CAPITOLO 2: IL RACCONTO DI MILO

 

Lo conobbi un giorno di tanti anni fa. Quasi quattordici ormai. Eravamo ancora bambini, appena ordinati cavalieri d’Atena. 

Lui era un bambino….come dire, singolare. Non aveva la seriosità di Mu, ne la compostezza di Shaka. Non era arrogante come Death Mask e neppure possedeva l’egocentrismo d’Aphrodite. Era un ragazzino vivace con due enormi occhi blu e un carattere molto allegro. Saltellava da un lato all’altro del santuario parlando sempre nella sua lingua che non capivo molto bene, un problema che del resto affliggeva molti. Non tutti parlavano il greco come me o Aiolia; per fortuna alla fine riuscivamo a intenderci quasi del tutto.

 Divenimmo subito amici, nonostante le diversità. Io ero considerato serio e scorbutico, e forse era davvero così. Camus invece era molto divertente e riusciva a farmi ridere persino quando ci allenavamo. Tanto ero taciturno io, quanto chiacchierone lui. Mi raccontava sempre del suo paese natale, una verde e ridente città francese, e sperava sempre che la sua famiglia non si dimenticasse di lui. 

Una altro punto di differenza tra noi era la nostra condizione familiare. Io ero orfano, mentre lui aveva una numerosa famiglia cui era molto legato.

 

Ben presto però il sacerdote iniziò ad assegnare a noi Gold Saint diverse missioni. Lui fu inviato in Siberia come istruttore del Cristal Saint; così per molto e molto tempo non ci vedemmo. 

Sentii molto la sua mancanza, del resto era l’unico amico che avessi. E purtroppo non tornò quasi mai in Grecia, se non rarissime volte. Io me ne tornai per un po’ nella mia selvaggia isoletta, richiamato di tanto in tanto al Santuario dal Sacerdote.

Mi capitava spesso di pensare a lui e di chiedermi cosa stesse facendo e se al suo ritorno si fosse ricordato ancora di me.

Trascorsero degli anni, non so quanti. Finché un giorno, che mi ero attardato, lo vidi tornare, da solo al santuario. 

Chissà perché, ma sentii che ero felice. Il mio amico prediletto era finalmente di nuovo con me. Gli corsi incontro felice come non mai e lo abbracciai. 

Lo guardai in viso, e mi accorsi che il profondo blu dei suoi occhi era offuscato da tristi pensieri. Mi raccontò dei suoi funesti presagi sul futuro. Sentiva che qualcosa stava per accadere. Non riuscivo a capire cosa volesse dire. 

Per me l’importante era che il mio migliore amico fosse di nuovo in Grecia. Non me ne fregava nulla neanche di quegli impostori che sostenevano la causa d’una sedicente dea che proveniva dal Giappone.

 

Stolto che fui. Non sapevo ancora cosa sarebbe successo. Voi arrivaste qua al santuario per sfidare apertamente Saga, ma ero sicuro che, poiché guidati da una falsa divinità, avreste perso.

Ricordo lo sguardo di Camus, dopo che ti rinchiuse nella teca di ghiaccio alla settima casa. Fu un modo per preservare un cavaliere che non conosceva, ma che si sentiva in dovere di proteggere in ogni caso, per rispetto al suo prediletto allievo Cristal.

E ricordo il dolore che provò quando sentì che ti eri liberato. 

Fu quella l’ultima volta che ci vedemmo e ci parlammo. Mi disse con voce dolente “So che non uscirò vivo da questa battaglia. Sento già la morte su di me, ma non ne ho paura, se Hyoga mi batterà significherà che ho raggiunto il mio scopo di creare un sì forte allievo. Se sopravvivrò dovrò cercare ancora. Eppure, perché mi sento così? Solo a te Milo, amico fraterno posso dire la verità. Un’angoscia mi stringe il cuore senza ragione alcuna”.

Mi commosse questo suo discorso d’addio e non riuscii a dir nulla.

Camus continuò a parlare “A te, se non ci sarò più, voglio chiedere un favore. Occupati tu di Hyoga, prenditi cura di lui, che rimarrà senza maestri e dunque senza guide. E una promessa che chiedo a te, mio unico……..”. La sua voce si spezzò e una lacrima scivolò lungo le sue guance. 

Nuovamente rimasi in silenzio con la schiena china. Non avevo la forza di rispondere. Il mio amico più caro, l’essere che più aveva contato per me stava per andare serenamente in contro al suo destino. 

“Addio” mormorò avvicinandosi a me e prendendomi una mano. Che stava succedendo? Mai si era spinto a tanto. E mi accorsi che le sue labbra si protendevano verso le mie, finché non le sentii. Fu una sensazione che mai avrei dimenticato. Quando si staccò da me non disse nulla. Solo una breve frase nella sua lingua “Adieu mon frere, mon ami, mon bien-amie manquè” (addio mio fratello, mio amico, mio mancato amante N.D. Kai Harn).

Che voleva significare quel bacio? Amicizia, amore? Ancora ora non lo so. So soltanto che fu quella l’ultima volta in cui lo vidi. 

Poco dopo morì e nell’istante nel quale sentii il suo cosmo svanire, il mio cuore andò via con lui. Un essere per me importante se n’era svanito per sempre e vivo è in me il rimorso di non aver mai conosciuto il vero significato delle sue ultime parole.

 

 

CAPITOLO 2: IL DOLORE DI DUE UOMINI

“E così, Hyoga, questa è la sua storia. Capisci ora perché ti dissi che eravamo legati?”.

Hyoga si asciugò le lacrime, posando lo sguardo su Milo, la cui tristezza nel rievocare quei ricordi dolorosi era ben visibile.

“Milo…io….scusami, non lo sapevo….non credevo che tra voi fosse un rapporto di tal genere”.

“Non fa niente, a volte fa bene parlare dei propri problemi. Sai, mi viene in mente quando noi cavalieri d’oro eravamo ancora bambini. Un gruppo di ragazzini che già avevano sperimentato la durezza della vita. In quei momenti avremmo dovuto essere il sostegno l’uno dell’altro. Invece solo io e Camus  divenimmo profondamente amici.

Eppure a pensarci adesso mi piange il cuore ad attraversare le case dello zodiaco, quasi tutte paurosamente vuote. Ora noi le abitiamo stabilmente, cercando di supplire alle mancanze. Mu cerca di interpretare la parte d’uomo saggio e Shaka predica la calma e la riflessione. Aiolia si occupa della sua Marin e Aldebaran, beh, prova a tenerci allegri. Tuttavia anche loro sentono la mancanza dei compagni ma non ne soffrono quanto me, che so di aver perso ben più che un compagno o un amico. Il nostro rapporto era più profondo e forse si, sarebbe potuto esserlo ancora di più”.

Milo s’interruppe sospirando, convinto ora di aver intristito Hyoga che ora, se ne stava immobile di fronte a lui, apparentemente intento ad osservare l’acqua della fontana.

Hyoga invece non era per nulla triste, anzi, si sentiva molto più sollevato.

“Era un uomo eccezionale. Io credo che ti abbia amato Milo. Tra voi c’era un sentimento che va ben oltre l’immaginazione”.

Il cavaliere dello scorpione alzò gli occhi di un azzurro intenso verso il cielo, sospirando   ”Chissà se mai lo rivedremo o se in questo momento lui ci sta ascoltando. Hyoga, tu lo credi?”

“Non lo so. Però….”. Hyoga s’interruppe stupito. Nonostante il cielo azzurrissimo, dei fiocchi di neve erano scesi dolcemente sui due cavalieri.

Milo capì ciò che stava accadendo e sorrise “Sai Hyoga, credo proprio che ci abbia ascoltato. Forse è il suo modo di salutarci”.

“Si, lo penso anch’io. E forse un giorno ci rivedremo” disse il ragazzo.

“Già <e forse me lo vedrò comparire davanti con i suoi occhi blu e quella sua voce dall’accento strano che mi chiama>” pensò Milo, raccogliendo nelle mani quei pochi cristalli di ghiaccio che ancora scendevano dal cielo. Il suo cuore e quello di Hyoga erano sereni ora. Uno sapeva che il suo maestro non lo odiava. Milo era felice di sapere che Camus era sempre con lui.

E avrebbero entrambi vissuto con quella consapevolezza adesso, liberandoli dai dubbi e dalle incertezze del passato.

 

FINE!

   


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