Disclamer: penso che le Clamp con Clover abbiano superato se stesse e sarò loro per sempre grata per avermi donato l'emozione di un manga così bello. Certo non dovrei ricambiarle scrivendo delle simili fetecchie, ma non ho saputo resistere. Comunque a parte il raccapriccio suscitato nei miei possibili lettori, non ci guadagno nient'altro con questa fic. 
Nota: dedico questo racconto a tutte le nuove entrate nella ml che non ho avuto il tempo di salutare e a tutti coloro che tra ottobre e novembre hanno fatto il compleanno, scusandomi di non aver fatto loro gli auguri (Hai capito Jar? Comunque a mia lieve discolpa posso dire che anch'io ho fatto il compleanno il 29 dello scorso mese e non ho avuto tempo di farmi gli auguri ^____^).Soprattutto però la dedico a Lucertola che ha avuto la pazienza di leggerla e di commentarla (positivamente, bontà sua) quando ancora era un abominevole abbozzo. Luce, cara, questo è il risultato, spero di essere riuscita dopotutto a migliorarla.

 


Inprinting

di Petra


Piove.
Cade una pioggia leggera, sempre uguale. Una cadenza lenta ed ossessiva, come certi ricordi, che si annidano dentro la mente e non vogliono saperne di svanire.
Ran osserva la pioggia e ascolta. Sente i suoi passi da lontano, persino nel profondo della notte più buia riconoscerebbe quel ritmo.
Anche se non sorride si sente felice. Le ombre della sera si allungano nella stanza, oramai fa buio presto. Ran accende la sua lampada e canticchia fra sé. Aspetta.

Il ritorno.
Gingenstu sale le scale senza fretta. Tutto è umido di pioggia e il freddo ha scavato un vuoto dentro le sue ossa. Dalle fessure della porta trapela una luce tenue. È la lampada che Ran accende ogni sera, la luce che il ragazzo divide con lui. Ed oramai è passato un anno.
Rimane fermo a lungo, immobile e rigido a respirare quell’emozione che fa paura. Dietro la porta Ran lo aspetta, lui che sa già tutto. Lui che sa sempre tutto. Appoggia la testa allo stipite e sospira. Un’altra sera, un’altra notte. Come resistere?

Pentimento.
Gingetsu è pentito. Non avrebbe mai dovuto accogliere Ran. Non avrebbe mai dovuto legarlo alla sua vita.
Ripensa al momento in cui lo ha incontrato per la prima volta. Un bambino triste sotto la pioggia. Un bambino pericoloso, capace di uccidere. Un bambino esausto.
Se avesse saputo quanto in fretta sarebbe cresciuto quel corpo infantile, non lo avrebbe mai preso con sé.

Ricordi leggeri come farfalle
Il vecchio Shu ha dovuto ordinargli di tenerlo al sicuro. E lui ha finto di ubbidire a malincuore, mentre la sua anima si illuminava di una gioia bianca, sfavillante, come gocce di pioggia attraversate da un unica lama di luce.
Ran allora era ancora Ce, una preda facile, leggera come una stilla di sangue. Legato ad un morto e ad un assassino. Ce che aveva paura. Ce che aveva deciso. Di rinascere.
E’ bastato guardarlo negli occhi una sola volta e il silenzio è calato sul mondo.

Paura del sole
Ran lo vede entrare. Si toglie il soprabito fradicio di pioggia e lo saluta serio, come sempre. Ran non sorride perché sente il suo turbamento e sa che è una cosa strana per un uomo come Gingetsu. Sente anche la sua ira, e questo lo addolora più profondamente. Perché quell’ira se lo sta portando via e lui non vuole. Rimane fermo seduto sul davanzale della finestra, appoggiato al freddo del vetro e non si muove. Freddo e ghiacciato anche lui, rigido come se non fosse una cosa viva, ma solo un immensa spugna che ascolta e assorbe la confusione dell’uomo che ha promesso di proteggerlo fino alla fine. Un ricevitore di onde bianche e nere, di pezzi di pensieri e di emozioni che fanno male al cuore, questo solo è Ran adesso.
Gingestu si muove nella casa senza far rumore, con quei gesti silenziosi da cacciatore. Si toglie gli abiti bagnati ed indossa un’altra divisa, nera e rigida, un’armatura anch’essa. Gli occhiali sul viso sono la maschera che lo difende. Dalla sua unica paura. Dalla paura del sole.

Il vuoto nelle mani.
Gingestu si siede sul divano e finalmente lo guarda. Ran si riscuote dal torpore, torna vivo, un essere di carne e sangue e sorride.
- Vuoi cenare? – chiede, anche se conosce già la risposta, ma desidera sentire la voce dell’uomo non più solo dentro la propria mente.
-Ho cenato insieme a Kazuhiko, spero che tu non mi abbia aspettato.
Ran scuote la testa e fissa lo sguardo su di lui. Lo tiene sotto il raggio sottile dei suoi occhi, anche se sa che a lui non piace, anche se sa che adesso in lui l’ira monterà ancora di più. Lo vede irrigidirsi, infatti, e le mani che si chiudono con uno spasmo. Il soldato non ne è consapevole, ma è così che tradisce le sue emozioni, con quelle mani che si chiudono nel vuoto, come ad afferrare ciò che non si può trattenere. Ran sente una gran voglia di piangere, quando lui serra le mani, sopraffatto dalla pena per quella disperazione che non sa esprimersi a parole.

Ran adesso è stanco.
Stanco di non sapere cosa vuole Gingestsu. Di non capirlo nonostante i suoi poteri. Se esistesse davvero il quadrifoglio, il mito della sua infanzia prigioniera, forse lui saprebbe risolvere il mistero di quell’animo che si agita e grida così forte da far male. Si copre le orecchie con le mani, per non udire quell’urlo che gli squarcia il cuore, mentre il dolore lo piega in due.
-Ran, che succede? Stai male?

A repentaglio

Si è accostato al ragazzo, osserva il suo corpo fragile scosso dai tremiti. Ma non lo tocca, non può toccarlo.
Ha smesso di essere un bambino troppo presto Ran. Non è più al sicuro, ma questo lui nemmeno lo sospetta. Ran che della vita conosce solo le immagini che gli giungono attraverso i suoi poteri di clover, come frammenti di un sogno incoerente. Ran che non sa che dietro l’ombra c’è sempre un’ombra più oscura e che persi in mezzo ad essa siamo senza difese, arrischiati nella tempesta dei nostri desideri.

Il dubbio
Possibile che sia già la fine? Il vecchio Shu aveva pronosticato cinque anni di vita. Possibile che si sia consumato così in fretta questo corpo amato come mai niente prima? Gingestu sente l’urlo bianco della paura salire da un luogo profondo e nascosto, salire ed accecarlo. Non ci sono protezioni, né scudi, non bastano armature, né maschere contro quella luce. È più luminosa di qualunque sole. Gingestu si è perduto in essa, naufragando.

Abbraccio
Lo ha preso tra le braccia, è fragilissimo, sotto le vesti morbide sembra di stringere niente. Lo ha preso tra le braccia e ascolta il suo respiro.
-Ran – lo chiama e teme che sia l’ultima volta, perché quando lui sarà morto tornerà ad essere Ce, per sempre.
Ma il ragazzo alza il viso e lo guarda in silenzio, gli occhi limpidi, colmi di lacrime, non hanno uno sguardo d’agonia. Non ancora. Ancora ci si può illudere che il momento della fine sia lontano, che manchi un’intera vita. Ma è la vita delle falene e di ogni essere fragile, che nell’arco di un giorno brucia un’intera esistenza.
Ran chiude gli occhi. Poi si appoggia a lui, il viso annidato dentro il suo collo e lo serra forte contro di sé, circondandolo con le fragili braccia.
-Scusami, - gli sussurra nell’orecchio – non volevo farti preoccupare.
-Se smetto di preoccuparmi tu smetterai di abbracciarmi?
-No.
-E allora continua. – dice Gingetsu, stringendolo al petto.

Occhiali
Ran si stacca gentilmente e lo guarda in viso, la sua mano sale a sfiorargli le labbra, lentamente lo accarezza sulla gota e finalmente senza preavviso gli toglie gli occhiali e li lascia andare. Cadono per terra con un lieve rumore di vetro.
Gli occhi di Gingentsu, il suo sguardo dritto, spezza il cuore. Ran non sa come sopportarlo. Ci sono cose che non basta un’intera esistenza per impararle. Allora rovescia la testa indietro e offre all’uomo le sue labbra. È la prima volta che compie quel gesto, eppure un istinto irresistibile lo guida e quando sente la bocca di Gingestu chiudersi sulla sua sa che non deve far altro che lasciarsi penetrare dalla lingua calda.

Ma il cuore
Il cuore è un’altra cosa. Segue un suo ritmo che Ran non può controllare. Non basta al cuore che il ragazzo si abbandoni, lasciando che il soldato lo ami come meglio sa. Deve agire, battersi a suo modo, ordinare al suo corpo di inarcarsi verso l’altro, offrirsi alle sue carezze ed accarezzarlo, baciare e suggere, ancora e ancora, anche a costo di frantumarsi in mille pezzi.

Perduto
Gingetsu ha saputo di essere perduto, nel preciso istante in cui ha sentito le dita di Ran sfiorargli le guance. Vorrebbe fermarsi, perché il ragazzo non ha coscienza di ciò che può accadere. Lui non sa nulla di cosa vuole il corpo di un uomo adulto, travolto da un desiderio che è più forte di qualsiasi pensiero o ragione. Ma ci sono cose che non possiamo chiedere a noi stessi senza rimanerne annientati.
Lo bacia ancora dentro la bocca, cerca la sua lingua e la invita a danzare, la succhia piano tra le labbra, la lingua di Ran dolce come cannella.
E riesce a pensare solo a quanto lo ama, questo ragazzo smarrito dentro la sua vita. Questo ragazzo che ha giurato di proteggere e a cui adesso farà del male. Egoisticamente, perché non può fare a meno di quel corpo, perché un giorno ancora sotto la luce di quegli occhi e lui morirà di desiderio. Deve averlo, sotto di sé, intorno a sé. Possederlo, stritolarlo, violarlo, non ci sono altre vie di scampo per lui.
Lo solleva tra le braccia e lo conduce fino al suo letto. Lo depone sopra e nemmeno per un istante la sua bocca cessa di deporre piccoli baci golosi sulle sue guance, sulle labbra, sul collo, sugli occhi. Ran geme piano, come un cucciolo felice e quel suono lo fa impazzire di allegria e di tenerezza.

Un amore lungo
Ha deciso, sarà un amore lungo quello loro, come l’anno in cui ha atteso, accontentandosi solo di averlo vicino, svelto ed agile, nei suoi vestiti sempre troppo grandi.
Glieli toglie adesso con una calma ipocrita, spiando le sue reazioni, eppure lo sa che non riuscirà mai a tirarsi indietro, nemmeno davanti alla paura, nemmeno davanti al dolore.
Ma Ran gli accarezza piano i capelli e con le mani incerte lo aiuta a liberarsi della giacca. Come se sapesse davvero cosa sta per fare, lui che nella sua vita ha conosciuto solo un altro amore, pericoloso e disperato, da cui fuggire per non dover sopportare il peso di terrori troppo grandi e di colpe che annientano.

L’avventura
Spogliare Gingetsu non è facile, ha cinghie, fibbie, cinture sparse per tutto il corpo, più volte devono interrompere i baci e le carezze, ma con gli occhi non si abbandonano nemmeno per un attimo.
Gingetsu sotto lo scudo dei vestiti è di un bianco abbagliante, rovente come se stesse ardendo di una febbre misteriosa. Profuma di cuoio e di ogni essenza cupa e selvaggia, ha durezze inimmaginabili, anfratti in cui rifugiarsi, curve e rilievi da esplorare. È un’avventura, un cosmo che riflette la ricchezza del mondo intero. Ran è colpito dal pensiero che gli basterà conoscere quel corpo per essere ricompensato di ogni di ogni assenza o estraneità sofferta nella sua esistenza di cavia, temuta ed intrappolata.

La bocca e il sesso
Sono nudi entrambi adesso, legati l’uno all’altro con braccia, mani e gambe ed ogni membro. Le bocche che si cercano e poi si abbandonano per assaporare la pelle, frammento per frammento.
Gingetsu scopre il sapore dei capezzoli di Ran, ne è incatenato, indugia a lungo, tracciando con la lingua segni intricati, succhiando e mordendo piano, ancora e ancora, sembra non stancarsi mai.
Ma poi scende lungo il corpo del ragazzo, ammirandolo con gli occhi, brano a brano. È di una bellezza che fa male al cuore Ran, come ogni cosa troppo fragile. Da ogni brandello di quel corpo spira un senso struggente di effimero, si farà appena in tempo a stringerlo tra le mani prima che si dissolva. Come sopportarlo? Baciandolo piano, forse, scaldandolo fra le braccia, stringendolo forte, facendolo gemere e vibrare di piacere, affinché almeno l’intensità del possesso ripari quella maledetta brevità.
E Gingetsu solleva le gambe di Ran sulle sue spalle, si china e bacia il suo sesso, mentre Ran quasi urla e si inarca verso di lui, alla ricerca di soddisfazione per un piacere che è diventato insopportabile. Chiude gli occhi, tanto è abbagliato dalla luce che sembra propagarsi da ogni fibra del suo corpo, mentre brividi sconosciuti si moltiplicano dal centro di sé stesso, racchiuso dentro la bocca umida e calda del soldato, per esplodere infine ovunque, o solo nella parte più profonda della sua mente.

Ancora non basta
E c’è un’altra cosa. Lontano nel buio, dietro ai suoi occhi chiusi, insieme alle mille lucciole accese dentro alle palpebre, Ran avverte il desiderio di un altro essere. È Gingetsu che vibra intorno a lui, ed è come il rifrangersi di un’onda, il movimento ritmico di una goccia d’acqua che cade nello specchio limpido di un lago troppo fermo. Ran guizza e si solleva per incontrare nel buio quell’immagine riflessa di se stesso.
Ora è la sua carne più nascosta che sta per essere assalita con dolore. Lo sa perché lo ha letto dentro quella mente, che mai come adesso è aperta ai suoi poteri. Sa, anche senza averlo visto, che Gingetsu si è lubrificato il pene col seme uscito dal suo corpo, e adesso entrerà dentro la sua carne, perché questo è il modo che gli dei hanno offerto all’uomo per unirsi ad un altro uomo. Ed è un dono spaventoso che viola ogni legge, ma nello stesso tempo dolce, un veleno soave come il miele, che incatena e distrugge e fa rinascere.

Tradimento
Ran stringe i denti per non urlare, mentre la sua carne si spacca per accogliere il sesso del soldato dentro di sé. Per un momento vorrebbe essere lontano, non aver mai abbandonato la fondazione, non aver mai incontrato quel soldato dal volto crudele. Per un momento lo tradisce e tradisce se stesso, completamente dilaniato di fronte a quello spasmo tremendo. Ma le mani calde di Gingetsu gli asciugano il volto madido di lacrime, raggiungono le sue labbra, e un dito gli preme sulla bocca. Ran lo azzanna con forza, imprime su di esso i segni dei piccoli denti aguzzi fino a farlo sanguinare e poi lo accoglie dentro, succhiandolo e accarezzandolo con la lingua, ricevendone il sapore misto di miele e ferro. L’altra mano dell’uomo, intanto, ha continuato la sua strada, scendono ad accarezzare il torace del ragazzo, a tormentarne ancora i capezzoli e giù, fino ad impossessarsi del suo membro eccitato. Comincia a muoversi lungo la sua asta, avanti ed indietro, con un ritmo lento e profondo e Ran esala il suo piacere con un sospiro leggerissimo, mentre le sue anche si avvolgono intorno alla vita del soldato attirandolo a sé.

Il segreto
È tutto dentro di lui adesso, come un serpente di fuoco, che si è aperto la sua strada e lo ha marchiato fino in fondo. Ran non riesce a credere che il canto che si eleva dal centro di sé sia il suo stesso corpo a innalzarlo. È un trucco incredibile che dietro a tutto quel dolore, a tutto quello stridere di ossa e dilaniare di carne si nasconda l’immensità di un godimento così perfetto, seppellito nel luogo più intimo della sua carne, come il più misterioso dei segreti. E mentre Gingetsu si muove, sempre più veloce, sempre più in fondo, il bacino di Ran gli corre incontro con spinte ogni volta più vigorose, col respiro che si mozza e i gemiti che sfuggono dai polmoni privi d’aria. E anche Gingetsu geme forte e spinge, con le mani che afferrano il ragazzo sotto le natiche e lo stringono a sé come se volesse assorbire la sua carne, come se nessuna vicinanza potesse mai bastargli. E poi sente il cambiamento, Ran che si solleva ancora verso l’alto, con tutto il suo corpo che s’irrigidisce immobile, in un tempo che sembra infinito. Ed un urlo esce dalle sue labbra aperte, subito soffocato dalla bocca di Gingetsu che non vuole che niente di lui possa fuggire via, nemmeno quel suono leggero.
L’orgasmo del soldato segue immediatamente e riempie i lombi di Ran e solo dopo essersi svuotato lo abbandona. Il ragazzo distrutto, si sente cadere in un vuoto che non sembra avere fine, ma sono le braccia di Gingetsu che lo accolgono e lo riparano. Esausto, recupera con affanno il suo respiro, con gli occhi preoccupati dell’uomo puntati sul volto intriso di sudore e lacrime. Sorride per tranquillizzarlo e solleva stancamente una mano ad accarezzargli il viso di un bianco accecante nella penombra. Con un ultimo sospiro chiude gli occhi e si accuccia contro il suo petto. Solo allora Gingetsu sorride a sua volta e si rilassa, disteso accanto a lui. Subito chiude gli occhi e aspetta il sonno che lo trascinerà via, dentro un mondo dove il sole non ferisce.

Inprintig
Nel cuore di quella stessa notte, stretto tra le braccia di Gingetsu addormentato, Ran ricorda una storia che ha udito, non sa bene quando, sugli uccelli, conquistati per tutta la vita dal primo essere su cui, appena nati, posano gli occhi. E pensa che è una cosa bellissima con lo stesso gesto venire al mondo ed innamorarsi. E pensa anche (e sorride al paragone) che è come un inprintig quell’amore assoluto che nel momento della sua rinascita, con un unico sguardo, lo ha legato a quell’uomo troppo serio e taciturno. Per sempre, fino a quando non arriverà il momento della fine.

Owari



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