NOTE: i personaggi sono miei!
In nome del
padre parte
VII
di Dhely
= dal diario di Mark
Martedì 7 dicembre
Esistono molti modi in cui vivere, e scegliere quale di queste strade
percorrere non è mai semplice. Troppo spesso la scelta viene compiuta
sconsideratamente, quando si è troppo giovani per comprendere e
successivamente ci si abitua, semplicemente, ad assumere per vero e
assoluto il proprio punto di vista. Ogni tanto, ad alcuni uomini
fortunati, possono capitare avvenimenti che ti domandano di cambiare, o ti
costringono a pensare.
Una scelta consapevole è merce rara e preziosa. Tanto più preziosa
quanto misconosciuta dalla maggior parte della gente. Ben pochi sono
coloro che, non solo sanno riconoscerla, ma che addirittura ne conoscono
l'esistenza. Un élite rara che si identifica appena con uno sguardo e
soprattutto, riconosce chi non ne fa parte. Jessy, nonostante appartenga
alla massa non ragionevole, che trascina la propria vita senza porsi
eccessive domande ed obbligandosi a subire la tirannia dei sensi e del
cuore, è comunque un individuo singolare.
Vive la sua vita in una sorta di perenne, assurda altalena. Con ogni suo
gesto, con ogni respiro o sguardo, corteggia la Morte, la lusinga senza
mai invocarla, credendo di fare tutt'altro, inconsapevole del fine ultimo
a cui i suoi gesti fluidi tendono. Mi pare l'incarnazione di una di quelle
danze medievali fatte per distrarre la Nera Signore senza chiamare il suo
nome perché evocarla è sempre pericoloso_ e lui, nella sua spontanea,
assoluta innocenza riesce a percepirlo, come a livello inconscio.
Lo si vede da come vive: una luce pura e forte emana da lui quando sorride
e quando, senza pensare, si abbandona al flusso del tempo. Quando si
aggrotta pare che una nube abbia oscurato appena il sole, quando è
confuso, indeciso, e cammina a metà strada fra il pensiero e il dubbio, e
domande lo sfiorano e ribolle di sensazioni che non ha tempo di registrare
e ricordi che non vogliono smettere di fuoriuscire dalla sua mente_ ecco,
allora mi pare di guardare un'alba nebbiosa su una città dalle mille
foschie come Venezia. Un luogo che può avere infinite prospettive, per
orientarsi nella quale non basta una frettolosa occhiata.
Jessy simile a Venezia_ curioso paragone tra un ragazzo che trovo acerbo
ed esasperante nella sua mancanza di riflessione e una città che mi
innervosisce per il suo eccessivo mistero che nasconde semplicemente
fondamenta marce e vuoto. Eppure come Venezia quel ragazzo mi appare come
ghiacciato in un'immagine affascinante che sa di leggerezza e malinconia
insieme_ un vecchio merletto_ quando la malinconia prende coscienza di sé
e si accorge che per essere più splendente deve sforzarsi di vivere e
rivivere una medesima menzogna, un sogno che è un passato mai esistito.
Jessy è bloccato dietro, e sotto, strati di lacca lucida che rimandano a
qualcosa che lui stesso non conosce ma che è scintillante tanto quanto la
sua irrazionale sete di vivere. Ed è sete e fame simile a quella di un
esteta: il desiderio di una forma, una figura leggera senza consistenza
come un pallido rimando, un simbolo muto di se stesso.
Eppure questo desiderio inespresso che agli occhi di molti pare un vezzo
da piccolo fanciullo decadente, mi pare realmente irrazionale. Non una
posa dell'intelletto o una sofferenza dell'anima, no. Qualcosa di
puramente, totalmente irrazionale, nel suo tendere in continuazione tra la
vita assoluta e la morte estrema, che non sono che la stessa cosa. Il suo
dibattersi cercando la morte, cantando la vita, muovendosi nell'oscura
notte di un artefatto romanticismo che è ventre materno, denso di
infinite promesse di rinascita, non pare altro che un modo per esprimere
tramite nervi e muscoli e vene tutta quella luce, quella pura vitalità
che gli scintilla dentro.
La vita che non collima affatto con l'intelletto_ Jessy ne potrebbe essere
un meraviglioso esempio se non che, come tutti gli individui, è
imperfetto. Non può essere un freddo rispecchiare un ideale, per quanto
carnale.
Questo è un bene.
Mentre passavo le mie giornate nelle aule di questo istituto a attenderlo,
e la mia curiosità cresceva, mi domandavo spesso in che modo potessero
unirsi le notizie scarne _dati senza anima_ che avevo raccolto sul suo
passato, con la conoscenza che avevo per interposta persona _niente
oggettività_ di suo padre, per formare una persona reale.
Ora questa persona tanto cercata e analizzata e rincorsa e studiata l'ho
di fronte e come al solito mi ritrovo stupito di quanta perfezione si sia
riversata in un essere talmente _irrazionale_ come Jessy. Irrazionale: non
riesco a trovare un altro termine che sia più calzante per indicarlo.
Inutile come una farfalla, ma altrettanto bello.
===
Raul piegò le labbra in un gesto amaro posando il telefono. Era tardi, il
sole era calato dietro i grattacieli di New York da qualche ora,
cancellando come per grazia divina, la vista di quelle macerie oscenamente
esposte al cielo. Le Twin Tower che giacevano smembrate, simili a resti di
dinosauri estinti. Ora però, nel buio, il vuoto lasciato dal loro venir
meno era quasi una mancanza solida, un fastidio che si provava, fisso,
alla bocca dello stomaco. Non aveva alcuna importanza, ora, che cosa
avessero rappresentato, prima, quell'ammasso di rovine, detriti e polveri;
ora erano solamente un buco, un buco che urlava come solo gli oggetti
infranti nella loro identità potevano fare.
Ricordava Berlino alla fine della guerra: il vuoto, il silenzio, la pace
irreale. Come se si fosse improvvisamente rotto in un ingranaggio tanto
complicato che non erano bastati anni e costruzioni, e investimenti e
nuove vite per, se non rimetterlo in moto, almeno farlo del tutto a pezzi,
farlo tacere da quel suo perpetuo stridio cigolante. Anche ora, a tornare
in Germania, quelli con l'orecchio fino come lui, quelli che sapevano cosa
cercare, potevano ancora udire ogni tanto, ovunque, come un singhiozzo
trattenuto, un lamento lugubre, quel canto funebre che mai era cessato.
L'America in questo era vergine, quel popolo giovane e ingenuo era colpito
e spaventato da quel vuoto violento sparato al cuore del proprio paese,
gli europei s'erano abituati lungo i secoli, a sopportare i gemiti della
terra violata. Raul sapeva per esperienza che in alcuni luoghi, però, il
dolore e la sensibilità rimanevano troppo vivi ancora dopo anni, decenni,
o secoli, come se si fosse trattata di una ferita che mettesse alla luce
un nervo scoperto. Ora, dopo tanti anni si trovò a pregare che quella
ferita si rimarginasse, almeno lì esistesse un luogo ove le urla a lutto
della terra non cancellassero la nenia mesta delle stelle, nelle notti
rilucenti d'estate.
Per lui cercare di riempire il vuoto con il rumore non era mai stata una
risposta accettabile. Non aveva mai compreso quel suo figlio con la sua
propensione per le urla, per i fasci di luce accecante, per i rumori quasi
solidi in grado di annientare quasi una personalità nel ritmare
ossessivo. C'erano memorie che meritavano rispetto e non esisteva rispetto
che nel silenzio. Suo figlio era uno scellerato, oltre ad essere stupido,
nel credere che il dolore si potesse affogare fra gli strepiti. Eppure di
quel figlio doveva render conto, di fronte agli uomini e di fronte a se
stesso, e se anche era l'unico fallimento che Raul si sentiva pesare sulla
coscienza, pur sempre un fallimento era. Doveva assolutamente cercare di
rimediare almeno in parte, di sforzarsi di recuperare ciò che, magari,
era rimasto. Non si sarebbe dato per vinto così in fretta.
Un led luminoso lampeggiò sulla scrivania della sua segretaria che venne
avanti muovendosi leggera sulla moquette spessa dell'ufficio con un
sorriso artefatto, rispondendo in silenzio al richiamo di Raul; gli pose
della carte avvisandolo che alcun clienti stavano aspettandolo in sala
riunioni.
Una busta attirò la sua attenzione, aveva la consistenza di un biglietto
d'auguri, strano in quel periodo senza ricorrenze.
Strappò la busta poi voltò le spalle alla segretaria.
"Dica ad Anderson di occuparsi dei clienti. Mi prenoti l'aereo per
domattina, devo essere in Europa il prima possibile."
La donna mormorò qualcosa, una richiesta di spiegazioni da elargire o
qualcosa di simile, ma Raul non ci fece caso.
Il biglietto non era altro che una cartolina delle Alpi Bavaresi, sul
retro una semplice frase: non dimentico mai quando suonavi il violino solo
per me. Niente firma, non ce n'era bisogno.
Raul sospirò scuotendo il capo. Ora aveva altro a cui pensare, aveva la
netta sensazione che non potesse procrastinare oltre l'impegno preso di
occuparsi di suo figlio, e che fosse giunto il momento di sistemare
finalmente le cose. Le cartoline provenienti da un altro mondo, da un
passato troppo lontano per poter essere messo a fuoco, potevano occupare
un solo luogo.
Sbuffò sfiorando il pulsante che metteva in moto il piccolo distruggi
documenti. Il cartoncino colorato non fu altro che un minuscolo mucchietto
di coriandoli lucidi.
===
Jessy pareva un piccolo sole, Immanuel non riusciva a trovare un altro
paragone che fosse altrettanto calzante. Era felice, radioso, sorrideva al
mondo, e pareva stare camminando a due palmi da terra.
"Non hai fame?"
Quegli occhi celesti si misero lentamente a fuoco su di lui, scuotendo
appena il capo. Quel gesto lieve incantò almeno la metà dei ragazzi che
condividevano la stessa aula.
"No .. non mi pare. Devo portarmi avanti con gli studi, perché . .
"
"Dopo hai le prove, lo so, - gli sorrise conciliante. Probabilmente
lo sapevano ormai anche i muri - ma ho notato che non hai pranzato con gli
altri."
Jessy lo squadrò stupito prima di far cadere la sua attenzione
sull'orologio che portava al polso.
"Già le cinque! Non mi ero accorto fosse così tardi!"
Immanuel accarezzò con lo sguardo il libro che il ragazzo aveva aperto di
fronte e si stupì nel conoscerlo bene. 'Introduzione alla filologia
Romanza'.
"Non sapevo che fosse nel programma di economia!"
Jessy rise agitando una mano nell'aria.
"Infatti non lo è. E' solo . . quello che mi piace. Dopo tutto la
retta l'ho pagata e ho pensato che ai prof non infastidisse avere uno
studente in più a lezione!"
Immanuel si ritrovò di novo a sorridergli, sedendoglisi accanto,
assumendo una posizione un po' da chioccia che non gli era solita.
"Se avessi bisogno di una mano sai che puoi chiedere a me."
"Non osavo chiedertelo! - spalancò quegli occhi incredibili in una
gioia incontenibile - So che sei il migliore del corso e io . . -
arrossì, smorzando l'entusiasmo - sono così indietro. Sai negli ultimi
anni di superiori non . . mhm . . non sono stato molto concentrato ..
"
Immanuel ricordò tutto quello che Mark gli aveva detto di lui, del suo
passato e assurdamente si obbligò a mascherare la troppa dolcezza che
rischiava di tradirlo. Al fianco di Jessy, immobile, silente come una
statua era seduto Renè che non aveva ancora detto una sola parola. Pareva
perso semplicemente nella contemplazione di quel loro compagno più
giovane eppure ora, come se fosse stato colpito sul vivo si scosse,
arrossendo anch'egli.
"Mi spiace, io faccio solo quel che posso . . "
Un'espressione così assoluta e smarrita comparve sul volto di Jessy, poi
un nuovo sorriso, e una mano tesa a sfiorargli appena una spalla.
"Ma no Renè! Sei stato molto gentile con me, moltissimo, solo che
hai visto anche tu, sono un disastro!"
Risero insieme e Immanuel sentì qualcosa di irreale stringerglisi nello
stomaco. Gelosia? Bhè, Renè non era certo il suo compagno preferito . .
e poi era un superficiale. Era certo che Jessy meritasse qualcosa di
meglio di quel bambolotto sotto vuoto spinto . . ok, era geloso, anche se
non ne aveva alcun motivo. Lui e Jessy erano appena lontanamente
definibili 'amici', non avrebbe dovuto permettersi un pensieri simile. In
fondo era positivo che Jessy, sempre così schivo, con quei suoi
sottintesi problemi di legare con i compagni, fosse riuscito a stringersi
intorno a sé delle persone. Solo che Immanuel sapeva benissimo a cosa
stava puntano Renè ed ora era intossicato dal desiderio folle di
spaccargli le braccia . .
Cercò di schiarirsi le idee. Renè, semplicemente, non era il tipo giusto
per Jessy. Appena un attimo dopo aver formulato questo pensiero si trovò
a chiedersi cosa gli desse il diritto di decidere chi fosse 'giusto' per
qualcuno. Oltretutto la consapevolezza del fascino naturale che Jessy
spandeva intorno avrebbe dovuto renderlo più cauto. Avrebbe dovuto
imporsi dal girargli alla larga, almeno dal punto di vista . .
sentimentale, ecco. Jessy gli aveva fatto tenerezza ma da lì a
preoccuparsi per lui era davvero troppo!
Stava il fatto che non li piaceva il modo sudicio in cui Renè faceva
passare lo sguardo acceso sul corpo nervoso di Jessy. Immanuel si stupì
nel ritrovarsi disgustato e dal non riuscire a non pensare allo sguardo
spaurito che Jessy aveva indossato quella sera in cui avevano parlato, e
in cui aveva visto un dolore e un'amarezza difficili da reggere. Eppure
era quello stesso ragazzo che ora si lasciava guardare *così*.
Jessy gli sorrise posandogli una mano su un braccio, scuotendolo da quei
pensieri.
"Verrai a sentire le prove, comunque? Siamo giù in auditorium. Ci
terrei."
Riuscì ad articolare una specie di sorriso mentre ingoiò la rabbia di
fronte alla mano di Renè che gli solcò, confidente, la schiena, come in
una carezza d'amante, sicuramente possessiva, un gesto che non pareva
domandare nulla ma solo pretendere.
"Ma certo Jessy! Non vedo l'ora! - Renè sorrise - Non è vero
Immanuel?"
===
"Mi sembri pensieroso."
Mark chiuse con delicatezza il registro su cui i comitati studenteschi
programmavano le loro attività e guardò Immanuel con la coda
dell'occhio. Stava seduto davanti al pc da almeno mezz'ora con, di lato,
degli appunti e il pezzo da consegnare al giornale entro due ore ancora
tutto nella sua testa.
"Non riesco a scrivere! " Sbottò chinando indietro il capo, gli
occhi semichiusi.
Il che era grave per un critico d'arte che vantava già una mezza dozzina
di contratti per riviste del settore e una collaborazione continuata con
la casa d'aste Sothesby. E ancor di più per uno come Immanuel che non
aveva mai patito i capricci del suo talento, non essendo esso, per natura,
volubile.
Era grave, Mark pensò, e stranamente in contemporanea con l'affezione
mostrata per Jessy. Sorrise senza che l'altro se ne accorgesse: aveva
sentito parecchie cose sul loro giovane compagno ma era incredibile vedere
con quanta rapidità e naturalezza ci si legava a lui. Era certo di non
sbagliare nell'indicare una causa a quella confusione.
"E' inutile che tu mi fissi con quell'espressione da gatto
soddisfatto! - lo guardò acido - Sto solo cercando lo stile!"
Mark annuì in silenzio.
"Credo ti servirebbe forse pensare ad altro. - accolse l'occhiata di
Immanuel con una scrollata di spalle. - Per fare conversazione, abbiamo
trovato il modo per mantenere l'associazione studentesca nel budget
stabilito."
Immanuel si scosse, quasi grato di avere un altro soggetto per i suoi
tempestosi pensieri.
"Davvero? Ma è una specie di miracolo! Come ci sei riuscito? Con la
festa di fine semestre pensavo non avremmo potuto non andare in
rosso!"
Sospirò estraendo da un cassetto il libro contabile, cercò la pagina su
cui erano elencate le spese per la festa e la mostrò a Immanuel.
Una lunga, dritta linea rossa traversava la pagina verso il fondo, tirata
sulla voce: Melian.
"Un taglio drastico agli ingaggi."
La voce contrappuntata di Mark era sottile, quasi sussurrata. Non sembrava
del tutto contento della cosa ed era strano, di solito riusciva a
manipolare gli avvenimenti a suo capriccio. Immanuel però non disse nulla
stringendo le labbra.
Al fianco di quella cancellazione la firma del rettore e il timbro
dell'istituto. Un ordine dall'alto, dunque. Ma perché? Sollevò lo
sguardo per chiederglielo ma di fronte a quegli occhi scintillanti non vi
riuscì.
===
Al quinto squillo una voce lievemente impastata si degnò di rispondere.
"Hallo?"
"Sono Mark, il presidente dell'associazione studentesca del .."
"Ah sei tu! Sì mi ricordo di te, che diavolo vuoi ancora?!"
Mark sospirò appena tentando di non perdere il tono di glaciale
condiscendenza con cui stava parlando.
"Vorrei avere un colloquio di persona con te, Matt."
"Se vuoi porgermi nuovamente le tue fottutissime scuse a nome del
vostro cazzo di rettore .. "
"Volevo Parlarti di Jessy. - finalmente riuscì a farlo tacere -
Perché tu conosci Jessy, no?"
Matt sbatté un paio di volte le palpebre prima di riuscire a ritornare in
sé.
Jes?! Quel ..quell'odioso figlio di puttana arrogante e indisponente
conosceva Jes?! Com'era possibile?! Lo sapeva che studiavano nello stesso
posto, ma . . questa era una sciocchezza! Era geloso! Dannazione era
*geloso* di un tipo che non aveva mai visto in faccia! Geloso . .non si
poteva essere insieme a uno come Jes e soffrire di gelosia! E poi lui non
era insieme a nessuno, tantomeno a Jes! Si sentì assurdamente divorare
dall'ansia. Odiava quando si sentiva così. Detestava quando era qualcun
altro a farlo sentire così. Non sopportava l'idea che.. che quella
*troia* di Jes magari con sto tizio già c'era andato a letto!
"Cosa centra Jes in questa storia?"
Quell'altro non mutò di una virgola il tono della sua voce.
"Jes centra, non fosse altro che doveva essere il cantane durante la
nostra festa. Ma non era di questo che dovevo parlarti."
Matt si passò una mano fra i capelli corti. Come diavolo si chiamava
questo tizio? E perché diavolo ce l'aveva con lui? Con tutto quel dannato
carisma e quella sicurezza in grado di farlo sentire a disagio anche solo
a parlargli al telefono! Matt piegò le labbra in un ghigno amaro.
"Non posso immaginarmi di cosa vuoi parlarmi tu."
Un sorriso acre, invisibile, dall'altra parte.
"Questioni spiacevoli da trattare al telefono. Voglio vederti in
faccia. So che a Colonia suoni spesso al Blau Engel. Incontriamoci lì
mercoledì prossimo, dopo lo spettacolo."
"Non è un club per signorini perbene!"
Una risata pastosa, appena trattenuta sotto i denti.
"Non ti facevo uno che si potesse preoccupare per la mia reputazione.
Ti assicuro che non importa ad alcuno i locali in cui vado. Ci
sarai?"
Un grugnito indispettito come risposta.
"Ci lavoro, ci sarò per forza. . "
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