NOTE: i personaggi sono miei, le cliniche qui nominate sono esistite di certo
nella Germania degli anni '20 '30, non ho idea se ora ci siano o no però per
licenza poetica ho deciso che non avrebbero dovuto o potuto chiuderle!
In nome del
padre parte
VI
di Dhely
Immanuel si appoggiò
pesantemente alla scrivania su cui Mark stava studiando nella sala comune,
una strana espressione sul volto.
"Mi devi dire qualcosa."
Mark non sollevò neppure un occhio, terminando un'equazione con uno
sbuffo per poi riprendere in mano un altro libro, di fisica pareva, per
controllarne i risultati.
"Non mi pare."
"La mia non è una domanda, se non hai inteso bene l'intonazione. -
la voce di Immanuel si abbassò divenendo secca e decisa - E'
un'affermazione. Posso giocare al tuo gioco, ma voglio conoscere le
regole."
Mark lo fissò da sotto in su.
Gli sorrise appena, un ghigno di scherno, come se se lo fosse aspettato,
poi si passò una mano fra i capelli alzandosi in piedi, lentamente. Lì a
pochi metri un ragazzo più giovane aveva il capo chino fra le carte,
maledicendosi per dei conti che non tornavano.
"Ron? Sto via due minuti."
L'altro annuì senza farci troppo caso, Mark sollevò una mano indicando
ad Immanuel di seguirlo.
Uno dei corridoi meno utilizzati dagli studenti, solo inservienti di corsa
e alcuni ragazzi di fretta, in ritardo per una lezione. La luce, lì, non
entrava a fiotti, bellissima e orgogliosa dalle ampie finestre sempre
pulite, sembrava più un corridoio di servizio, le aperture piccole, pochi
angoli verdi ma una unica, assolutamente peculiare vista sul giardino
interno. Un punto di vista poco conosciuto ma incantevole.
Mark sospirò appoggiando la schiena al muro candido, di lato a una delle
piccole finestre, guardando fuori e seguendo Immanuel con la coda
dell'occhio.
L'altro era. .pareva indeciso. Era stato di certo battagliero quando era
venuto a chiedergli spiegazioni ma ora, come spesso, tutti i suoi
propositi evaporavano lentamente, lasciandolo ben fisso intorno a duee o
tre domande delle quali pretendeva risposta. Se l'era aspettato.
Mark sorrise.
"Jessy."
Immanuel, preso contro piede si aggrottò stringendosi poi nelle spalle.
"Sì. - si umettò le labbra. - Sai molto *molto* più di quello che
i hai fatto intuire e ci sono delle cose di lui che .."
"Che ti affascinano."
Uno sguardo asciutto, privo di espressione, Immanuel scosse il capo con
rabbia.
"No. Che non capisco. Che a questo punto vorrei sapere."
Mark sorrise di nuovo stringendosi le dita dietro la schiena.
"Allora Jessy ti ha davvero colpito .. me l'aspettavo."
Di fronte al sussulto di Immanuel non fece altro che lanciargli uno
sguardo tranquillizzante.
"Non è come credi, Mark."
"Non importa quel che credo io, importa quel che. . sta succedendo
tra di voi."
"Ma perché! - Immanuel scosse il capo, incredulo. - Non capisco! Non
è ..non è la prima volta che io e te giochiamo così e lo sai che non ho
mai avuto dei problemi, non m'è mai importato .. "
"Ma con Jessy è diverso, no?"
No! Quella affermazione che Immanuel aveva lì sulla punta della lingua
gli si incastrò in gola, e non riuscì a dirla, non con l'enfasi che
avrebbe voluto, non con la sicurezza, non *come* avrebbe voluto dirglielo.
Per un attimo sentì il panico sommergerlo. Jessy gli faceva tenerezza, sì,
ed era anche attraente, solo un idiota non avrebbe provato il desiderio di
stringerlo, non fosse altro per consolarlo un po' di quel passato che
ancora si portava dietro. E poi era così bello . . ma se Jessy
significava perdere Mark, se significava non .. se significava rovinare
qualcosa, o perdere tutto, no, nessuno valeva quello. Era un gioco
pericoloso, quella volta.
Jessy era fragile e attraente, Immanuel attratto e scisso in due, l'unico
che pareva sapere benissimo come le cose si sarebbero dovute svolgere era
Mark e in quel momento Immanuel aveva bisogno di sentirsi dire che non era
l'inizio di un addio.
Si morse un labbro.
"Tu sai molte cose su di lui, e io no. Voglio che me le dici."
"Sembra un ordine."
Mark era palesemente divertito, Immanuel iniziò a sentire dolore
all'altezza del cuore, troppi pensieri che parlavano di allontanamento,
troppa paura di non trovarsi più al fianco quel ragazzo che, in due anni,
aveva stravolto completamente la sua vita, il suo modo di pensare, ogni
cosa.
"Non lo è, Mark. - abbassò la voce, e gambe che gli tremavano
leggermente - E' solo ..una preghiera .."
Lo stupore di Mark lo stupì a sua volta. Lo vide tendersi a sfiorargli il
capo, quegli occhi verdi come spalancati da una reazione che non si era
aspettato poi un sorriso silenzioso e le dita ad affondare nei suoi
capelli, tirandolo vicino in un abbraccio casto, in cui i calori dei due
corpi si mischiavano ma non succeda altro.
Gli sfiorò la guancia con i polpastrelli, leggeri.
"Non essere sciocco, Immanuel! - bastò quella frase, e le sue dita
che gli asciugarono leggere gli angoli degli occhi, ora umidi di lacrime
che non voleva versare. - Non te l'avrei mai chiesto se avessi saputo che
ti saresti lasciato coinvolgere così tanto."
L'altro sospirò abbassando appena il capo.
"Non mi lascio coinvolgere! - aggrottò la fronte. - Ma nel passato
di Jessy ci sono molte cose senza nome. Non ho capito."
Mark gli strinse una mano fra le sue.
"Ovviamente sai che queste sono informazioni riservate, no? - di
fronte all'annuire serio di Immanuel continuò. - Ho controllato la sua
carriera scolastica precedente al suo arrivo qui: un disastro."
Immanuel lo fissò, stupito.
"Ma non è possibile! Questo è un collegio in cui puoi entrare solo
se dimostri avere determinate. . doti!"
Mark annuì lentamente.
"Ma dalla sua ha delle doti quasi uniche direi. - sollevò una mano.
- Suo padre, per esempio. E' ricco. Ma non come riusciamo ad immaginarci
noi due. E' stato lui a donare la nuova biblioteca, e quei testi del XII
secolo, tanto per cominciare."
"Ma ..scosse il capo - Ma perché?! Jessy non sembra interessato per
nulla a questa scuola e poi il rettore, tuo padre .."
Mark annuì socchiudendo gli occhi.
"E' tanto ricco che ha potuto perfino comprare la parola, l'onore e i
convincimenti del mio patrigno. - uno sguardo luminoso, quasi allarmato -
Ma questo non è ancora sufficiente. Ho messo le mani sui suoi referti
medici. Ha passato tre mesi al centro di ricerche neurologiche e per la
cura di malattie nervose Hecksher di monaco in Baviera, un anno e mezzo
nell'istituto di cura ed assistenza di Taufkirchen sulla Vils, più
un'infinita sfilza di istituti e case di cura per la disintossicazioni.
Direi che per essere uno sguardo generale e approssimativo è
sufficiente."
Immanuel scosse il capo, stupefatto.
"Cosa?! - spalancò gli occhi. Non sembrava un tipo instabile . .
pericolosamente instabile, almeno - Ma tutto questo per . . cosa ha
fatto?"
"Droga. - Immanuel si sentì assurdamente tirare un sospiro di
sollievo - Eroina, precisamente, e altre schifezze chimiche, ma queste
ultime, secondo i rapporti, senza soluzione di continuità."
Immanuel lo fissò, per un attimo interdetto, silenzioso. Stupito? Forse.
Ma si ritrovò più stupefatto del sentirsi di nuovo perso. In quel
discorso, nel labirinto che erano le aspettative di Mark che si univano ai
propri desideri, in quegli occhi. Nel ricordo di un ragazzo con cui aveva
solo parlato, di cui aveva intuito una ferita profonda, alla quale però
non aveva voluto dare un nome. Nella *propria* confusione che era anche
attrazione e simpatia e . . dispiacere.
Si passò una mano fra i capelli.
"Ho sempre pensato che chi si ficcasse in un casino simile fosse un
coglione e che non si meritasse nulla, tantomeno la mia pena."
"Adesso cos'è cambiato?"
Mark non aveva utilizzato un tono arrogante, eppure Immanuel si sentì
come se l'avesse schiaffeggiato in pieno viso. Si sentì arrossare le gote
e riuscì a lanciargli uno sguardo lampeggiate prima di chinare di nuovo
il capo.
"Nulla! Cosa dovrebbe essere cambiato?"
L'espressione di Mark, sapeva, gli avrebbe parlato di incredulità e del
lieve tono di derisione che assumeva sempre di fronte cose in cui non
credeva. Eppure gli fece il favore immenso di non insistere, limitandosi a
passargli una mano sulle spalle, avvicinandosi a lui.
Immanuel si morse un labbro affondando la fronte sul suo petto. Era sempre
così tiepido e ..confortante.
"Perché . . - riuscì a domandargli con la gola stretta in una
morsa- . . perché vuoi che giochi con lui, allora?"
Come risposta ebbe solamente uno sguardo, la mano di Mark che gli circondò
il mento con una carezza lenta, e un bacio affamato e lieve insieme, un
tocco rapido sulle labbra, la sicura violenza di quelle braccia che si
strinsero intorno a lui per poi lasciarlo.
Mark si allontanò di un passo, tranquillo come se non fosse successo
proprio nulla.
"Devo ritornare in aula. Devo occuparmi degli studenti che sono
indietro con il programma."
===
Jessy appoggiò la fronte al vetro fresco della finestra della sua camera.
Fuori, il buio era calato avvolgendo tutto, le luci della costruzione in
cui si trovava erano ormai quasi tutte spente, permettendogli di osservare
meglio l'oscurità che premeva loro intorno. L'oscurità che gli premeva
sul cuore. Aveva freddo.
Non gli era mai piaciuta la montagna, troppo gelo, faceva subito venire in
mente di brezze gelide e di puri laghetti ghiacciati. Invece il mare. .
anche d'inverno sapeva di tepore, il vento anche forte era sempre
temperato, e sapeva di salsedine e vita, e profumava di morte e il sole ..
il sole.
Chiuse gli occhi stringendosi nelle spalle. Aveva freddo. E ora non c'era
nessuno che lo scaldasse. Nulla.
"Matt."
Sussurrò, quel nome conosciuto si spense in fretta appena dopo aver
diradato appena la solitudine che lo circondava. Ora non aveva nessuno che
lo stringesse, che lo scaldasse. Non c'era nessuno che lo facesse
sentire.. importante, e . . desiderato. Per Immanuel era facile parlare,
di rispetto, di pretendere un determinato comportamento, di esigere stima.
Non era mai stato importante per nessuno, prima di Matt.
Per sua madre era una colpa, per suo padre un increscioso errore non
all'altezza delle aspettative, una delusione su tutta la linea, per i suoi
due fratelli neppure una sbiadita pietra di paragone. Non gli piaceva
pensare della sua patetica vita familiare! Non aveva senso .. non c'era un
senso in tutto quello. Matt aveva ragione: tendeva alla commiserazione,
era . . debole? Non ne era certo, forse sì.
Forse.
Ora era stanco, e aveva freddo.
Non voleva sentire freddo.
Non era lontana da lì la stanza di Immanuel. Lui che era stato così
gentile . . gli aveva chiesto di andare da lui se avesse avuto bisogno e
ora. . chiuse le palpebre con forza. Ma avrebbe potuto esserci Mark con
lui.
Mark. Così bello. Così sensuale.
Matt sarebbe impazzito per uno come lui. L'avrebbe odiato dopo un solo
sguardo, e dopo un respiro sarebbe stato suo. Ai suoi piedi.
E Mark . . Mark faceva domande, Mark pareva 'sapere' . . e lui non voleva.
Non voleva che incontrasse suo padre. Non voleva che sapesse nulla di lui
. . voleva andare lontano, lontano da lì e da tutti . .lontano abbastanza
anche da se stesso, per non incontrarsi più, per non soffrire. Per non
avere più freddo.
E l'unica cosa che fosse mai riuscito a scaldarlo era solo un amore che
forse non era più vero che uno di quelli descritti in una canzone. Forse
era solo .. .forse era tutto finto. Matt . . se avesse avuto ragione suo
padre? Se quello non fosse stato amore? O se l'amore stesso, anche quello
vero, non fosse stato che un inganno, una finzione che gli uomini si
raccontavano per sentirsi importanti quando era ovvio che non valevano
nulla?
E Matt . .
Affondò le dita nei capelli tirandoseli con rabbia. Sentiva le lacrime
pungergli gli occhi quando due botti secchi lo fecero scuotersi da quel
baratro in cui era caduto.
Qualcuno bussava alla sua porta.
Jessy si corrugò, nascondendo la testa fra le braccia incrociate. Non
voleva vedere nessuno. Non voleva sentire nessuno. Non . .
"Jessy? - la voce gentile ma sicura, un tono che dava poche speranze
di sfuggirgli, di qualcuno che conosceva. - Jessy, sono Mark."
Jessy sentì un assurdo sollievo dentro di sé. Stranamente era certo che
se ci fosse Mark doveva esserci anche Immanuel e adesso aveva bisogno di
parlare con uno come lui, con uno che magari fingesse di preoccuparsi, ma
che almeno non lo facesse sentire freddo per un po'.
Mark gli comparve di fronte, terrorizzante, con gli occhi luminosi e .
.amichevoli. Questo era quello che, chiaramente volevano trasmettere, e
anche il suo sorriso elegante, non arrogante, non sfacciato ma dolce,
gentile. Jessy non capiva. Si limitò a salutarlo, insieme a Immanuel che,
al suo fianco, pareva un po' pallido.
"So che sei qui da poco, Jessy, ma ho sentito cose meravigliose su di
te, e sai . . - si passò una mano fra i capelli, guardandosi velocemente
intorno.- . . fra un mese ci sarà la festa che sancisce la fine del primo
semestre. Sarebbe meraviglioso se potessi cantare durante il concerto. Che
ne dici?"
Jessy aggrottò la fronte. Cantare? Cantare era . . bello. Era
dimenticare. Era . .
"S . . sì, perché no? Ma in un mese . . spero di riuscire a
preparare tutto quel che si deve."
Mark scosse una mano nell'aria mostrando un plico spesso di fogli.
"Non preoccuparti! Fino a due anni fa il collegio aveva una specie di
banda musicale, adesso si è sciolta visto che i ragazzi si sono laureati
la scorsa stagione, per cui abbiamo contattato una band da fuori. - lo
guardò e il suo sorriso divenne più ampio. - Una band abbastanza famosa
nel giro dei club di mezza Europa, i Melian. Credo che tu li conosca già."
Jessy si sentì morire. Spalancò le labbra per dire qualcosa, qualsiasi
cosa, purché fosse almeno lontanamente intelligente e invece non riuscì
a far nulla che stare lì a fissare i due più anziani di lui con una
faccia da ebete. Lo sapeva! Sapeva *anche* questo! I Melian erano . .
erano il *suo* gruppo! L'aveva formato Matt . .
"Il compositore del gruppo ha dato la loro adesione, anche se hanno
avuto poco preavviso, ma ha avvertito che suoneranno solo cover di
successi famosi. - porse a Jessy dei fogli bianchi - Le canzoni che scrive
lui, di cui un paio di inedite, ha detto che vuole che le canti una
persona in particolare. - una pausa, una frazione di secondo in cui Jessy
si sentì nudo sotto quello sguardo verde e improvvisamente pericoloso -
Adesso vedi tu."
Jessy sentì le dita intorpidite afferrare quei pezzi di carta. Chinò
appena il capo intravedendo la scrittura veloce di Matt su quei fogli, le
parole che correvano sotto il pentagramma, musica e lettere insieme.
Voleva. .voleva che le cantasse *lui* . . lo sapeva anche se non era
esattamente quello che Mark aveva detto. Lo avrebbe saputo nonostante
tutto, a dispetto di qualunque cosa. Deglutì annuendo lentamente col
capo, a un passo dal crollare, i nervi a pezzi.
"Io credo che . . posso . . posso farlo. . "
Mark non disse altro, continuò solamente a sorridere vedendo le spalle
sottili di Jessy contrarsi e tremare, i suoi occhi farsi lucidi. A un
soffio dal mettersi a piangere.
"Bhè, hai una settimana per decidere, poi fammi sapere."
Si voltò, dirigendosi verso la porta. Immanuel fissò Jessy ma si accorse
che il ragazzino non lo stava vedendo, troppo concentrato e chiuso su sé
stesso.
"Andiamo Manuel."
"Non possiamo andare! - sussurrò- guarda che faccia che ha! Sta per
sentirsi male!"
Mark non rispose nulla. Spinse la porta trascinandoselo dietro per una
manica della giacca. Solo quando richiuse la porta riprese la sua solita
maschera indifferente.
"Non mi pareva necessario, era solo . . troppo felice, probabilmente.
Certe cose non vanno condivise con nessuno, non credi?"
Immanuel scosse il capo. Condividere?! La rabbia lo stava per soffocare,
stava appena per domandarsi cosa ne sapesse lui di condivisione, visto che
lasciava un ragazzino ovviamente così fragile in un momento simile . .però,
in effetti ..lui non era amico di Jessy, lo conosceva da così poco.
Magari aveva ragione Mark, lui che pareva sapere tutto di tutti, magari
era davvero meglio lasciarlo solo, magari era davvero . . sbuffò.
Era preoccupato? Certo che lo era! Come avrebbe potuto non esserlo? Jessy
era così fragile, sempre, e ora, quello era un colpo che avrebbe potuto
fargli male. Molto, troppo per riuscire a superalo da solo. Si obbligò a
essere razionale: ci aveva parlato una volta sola, non sapeva nulla di lui
che non fossero cose che gli fossero state riportate, e ora . . ora,
forse. . non era detto che in un momento di crisi Jessy volesse lui, al
fianco. Eppure Mark, che tendenzialmente non era una persona crudele, ora
non pareva dare neppure il minimo peso alla cosa. Non lo vedeva un
problema, al contrario di lui. Allora forse si stava sbagliando.
Si voltò di nuovo a guadare quella porta chiusa, cercando almeno di
immaginare il dolore e la confusione chiusi al suo interno ma non vi riuscì.
Ed ebbe la netta sensazione di aver appena commesso un errore che avrebbe
ripianto poi per anni.
===
Era così felice!
Si ricordava di lui!
Voleva che fosse lui a cantare le sue canzoni!
Le ginocchia cedettero, sentendo male all'altezza del petto. Lo pensava .
.e sarebbe venuto a suonare *lì*. Con lui. Come quando erano insieme!
Un concerto . . ad un concerto l'aveva visto per la prima volta. Si era
trovato in un locale dove quel gruppo si esibiva senza neppure sapere chi
fossero e dopo tre canzoni era ai piedi del palco, rapito, innamorato del
bassista. Matt che sembrava un dio sul palco. Matt che, con i fari puntati
addosso l'aveva guardato per tutto lo spettacolo e poi l'aveva invitato
nel suo camerino.
Lo sapeva, ora. Era abituato a farsi gli spettatori che lo attraevano,
solo che lui .. lui sapeva cantare. E, soprattutto, a Matt era piaciuta la
sua voce. Per quello aveva incominciato ad esibirsi. Per fare contento
Matt. Per stare sempre vicino a lui. Avrebbe voluto morire per lui .. ci
era andato vicino ma non era mai stato un problema.
E adesso Matt aveva detto, a uno sconosciuto come Mark, che le sue canzoni
voleva che fossero cantate da una persona in particolare, che fossero
interpretate da una voce con ben determinate caratteristiche.
Matt voleva lui. O almeno uno come lui.
Matt pensava ancora a lui!
Matt . .
Doveva chiamarlo, doveva *assolutamente* chiamarlo, e non gli sarebbe
importato di quello che avrebbe detto suo padre, di quello che gli avrebbe
fatto scontare per aver infranto una promessa. Voleva sentirlo, doveva
sentirlo. .
===
Blaise arricciò le labbra in disappunto.
"Ho detto che non è un problema che tu chiami a quest'ora di notte,
lo so che sei in America, solo che non posso accettare che tu voglia
interferire con una normale vita sociale dei miei ragazzi, e . . "
Silenzio.
Lo studio pareva pieno solo del ticchettare della pendola antica,
dall'altra parte dello scaffale. Blaise socchiuse gli occhi. Era tutta una
follia. Era sbagliato! La voce che sentiva dall'altra parte del telefono
dava ordini ..e li stava dando in un ambito che non doveva essere il
proprio.
Corrugò di nuovo la fronte.
"Raul! Ti ho già fatto un favore a prendere il tuo ragazzo alle
condizioni che hai voluto tu, ma ora, questo .."
La sua antipatica propensione a interrompere sempre i discorsi degli
altri!
" ..no, no, adesso ascolti me! Quel ragazzo non è affatto 'matto' .
. oh, lo so che lo sai! Forse è un suo modo di chiedere aiuto? Ci hai mai
. . No, Raul, no, non ti sto affatto dicendo come educare i tuoi figli,
anche se quello che ho educato *io* . . ."
Non voleva dirglielo, davvero! Non era così piacevole per lui rinvangare
certe parti del suo passato e, in più .. bhè, non era così semplice
neppure viverle. Con Raul furioso dall'altra parte della linea telefonica,
poi, era tutto decisamente . .
"Sì, hai ragione, scusa, solo che non puoi pretendere da ognuno le
stesse cose, è come .."
Blaise sospirò appoggiando la schiena alla poltrona.
"Parlare con te è peggio che parlare con un muro."
Un sospiro.
"D'accordo, d'accordo. Ci proverò."
I suoi ringraziamenti formali, dall'altro capo del filo, risuonarono come
uno scherno. Dopo tutto, lui era così stimato, i figli dei ricchi
rampolli della alta società europea facevano la fila per poter entrare
nel suo collegio e lui, imperterrito, era sempre resistito a qualunque
assalto, ma Raul .. era debole con lui, e non avrebbe dovuto farlo. Non
solo per sé stesso, ma anche per quel ragazzo ..
Sollevò gli occhi sull'antico albero genealogico che faceva riportare le
radici della sua famiglia a un ramo collaterale dei Valois di Francia e
gli venne da ridere. Quel maledetto borghese arricchito gli telefonava nel
cuore della notte per dargli ordini e lui li accettava in silenzio? I suoi
avi si dovevano stare rivoltando nella tomba.
Eppure Raul aveva ascendente sulle persone .. soprattutto su di lui. Ma
lui ..lui doveva proteggere i suoi ragazzi da certe pretese .. solo che ..
"Va bene, d'accordo. Ci sentiamo."
Prese la biro sulla scrivania e tracciò deciso un segno sul foglio che
aveva di fronte. Aveva solo cancellato la presenza di una band che non
pareva adatta all'ambiente della scuola. Non era una cosa grave, né una
disposizione eccezionale, era già successo che facesse cose simili.
I Melian non erano graditi.
Era in suo potere decidere chi e cosa far entrare nel suo collegio.
Ma questa volta. . sospirò.
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