NOTE: i personaggi sono miei!
In nome del
padre parte
V
di Dhely
Silenzio.
Il suono unico che fa la mancanza assoluta di rumori, il vuoto dentro di sé.
L'idea che è lì, sempre fissa in mente anche se, come sempre, si
nasconde, tentando di smarrirsi fra le pieghe del sentirsi tremare le vene
e i polsi.
E il sussurro diventa urlo e l'urlo un richiamo a cui non si può
resistere, una sirena senza voce in cui ritrovare i lineamenti perduti
d'un sogno che è fisso nell'anima.
Ma quando la mano si allunga e afferra ciò che il corpo desidera ecco di
nuovo il ricordo. Di nuovo il sapersi più forte, di nuovo il dirsi che è
una volta, solo una volta ancora, che non esiste sostanza della quale uno
spirito libero può sentirsi in schiavitù . . ma il giuramento lega la
coscienza con spire d'acciaio, il passato pesa sulle spalle.
L'immagine dell'ago sottile che brilla freddo sotto la luce al neon.
Il suono inconfondibile della confezione sterile che si strappa.
Il risuonare di quel sorriso intriso di aspettativa che si riverbera in
tutta la stanza.
I gesti ormai abituali.
Il tremare intorno all'ignoto..
E poi il piacere, i sogni che si mischiano in un'unica tavolozza, i
contorni che svaniscono .. essere davvero uniti, nel peccato, nella
follia, nell'oblio come mai nulla altro avrebbe potuto unire. Rendere, di
due, uno.
Amore?
Non si sa. Nessuno dei due lo sa. Non ci sono parole per dirlo, le
sensazioni troppo vivide accecano lo sguardo, troppo certe per porre ad
esse delle domande, i colori troppo netti e luminosi. E' come quei due
corpi fossero solo due sacerdoti che stessero officiando chissà che
messa. . una preghiera di ringraziamento per la loro dolcissima dea.
Forse.
La luce al neon riflessa dal metallo si fa opaca. Il giuramento pesa. La
promessa presente nella mente opprime il cuore, insieme alle palpebre.
Il passato svanisce lentamente.
Il silenzio assoluto si satura del suono affannato del proprio respiro, e
del battito veloce del proprio cuore.
La mano si ritrae.
Il passato è legame e argine.
===
Immanuel scosse appena il capo sospirando portandosi alle labbra il
bicchiere pieno per metà di birra rossa, dall'aroma pungente e
inconfondibile. Soppesò Jessy, seduto di fronte a lui, con una lunga
occhiata morbida che ebbe come risposta uno strano scintillio azzurro da
quelle iridi così chiare da sembrare quasi finte . . ma nessuna finzione
avrebbe potuto colorare gli occhi in quel modo. Era lievemente
imbarazzato, forse anche lievemente ubriaco, pareva non essere in grado di
sopportare un lungo discorso in cui il protagonista principale fosse lui.
Non era abituato ai complimenti, pareva.
"Hai mai letto nulla della Kristoff? Agota Kristof, ungherese."
Jessy si prese fra le dita una ciocca di capelli e iniziò a giocarci,
quasi soprappensiero, felice forse di non dover più sentir parlare di sé.
"No, mai. Me lo consigli?"
Immanuel posò il bicchiere, fissandolo serio negli occhi, poi intrecciò
le dita sotto il mento, puntando i gomiti sul tavolo grezzo del pub
fumoso, ormai mezzo vuoto visto l'orario.
" 'La trilogia della città di K.'. . è come guardare in un
cristallo, su cui la luce si rifrange in mille prospettive, - mosse una
mano di fronte al volto chiaro di Jessy senza sfiorarlo - in cui la
finzione si distorce, in cui la realtà non è altro che un qualcosa di
astratto che è possibile ricostruire solamente dopo aver letto tutto il
libro, solamente dopo aver messo insieme tutti i punti di vista, tutti i
diversi vissuti che vengono narrati. Ed è incredibile raffrontarsi con la
diversa immagine che un medesimo avvenimento ottiene in ciascuno dei
personaggi. E non ha importanza che si voglia distorcere la realtà in
maniera conscia o no . . sembra davvero che non esista una 'realtà'
cruda, ma solo come la si vive."
Jessy spalancò con forza gli occhi.
"Detto così sembra meraviglioso .. "
"E' meraviglioso. - sorrise - Ecco, i tuoi occhi, a volte, sembrano
dei prismi in cui la luce si riflette e si distorce in un modo che mi ha
fatto tornare in mente quel libro. In un modo incredibile."
Jessy si ritrasse come se fosse stato punto, mordendosi un labbro,
arrossendo.
"Smettila! Non mi piace che si continui a .. "
"Parlare di te? - Immanuel sorrise di nuovo - Ma se sei l'unica novità
degna di nota di questo intero anno accademico! Ti ho visto bene la
settimana scorsa, con Fred."
Jessy sbuffò.
"Non ho fatto assolutamente nulla per istigarlo!"
Immanuel si trovò sul punto di ridere ma si imitò a scuotere il capo.
"No. Intendevo la tua reazione. Stavi per saltargli alla gola, non è
vero? Te lo si leggeva negli occhi."
Il ragazzo che gli era seduto di fronte si ritrasse di nuovo.
"Ma che centra? Io . . bhè, credo che chiunque sarebbe stato
irritato."
Un lieve sorriso gli sfiorò le labbra come a cercare conforto. Un
conforto che non venne.
"Tu non eri irritato. Se gli fossi saltato *davvero* alla gola non mi
sarei stupito."
Lo vide stringersi nelle spalle con un gesto fluido, che non lo faceva
parere né piccolo né fragile, ma solo ..confuso. Deliziosamente confuso.
E quella parte di lui che era uscita alla luce durante quel particolare
discorso lo stuzzicava.
"Non so .. "
"Come lo avresti colpito? Con un pugno?"
"Scusa?!"
Sembrava davvero stupito ma Immanuel sapeva come giocare con le parole.
Non come un artista, ma come uno che aveva letto migliaia di libri, e che
aveva imparato a trafugare immagini e assorbire stati d'animo dalla carta
per dar loro voce e nuova vita. Nessuno poteva essere migliore di lui a
quel gioco.
"Te lo si leggeva negli occhi, sembravi una belva. L'avresti anche
potuto uccidere . . non è vero?"
Jessy sbatté un paio di volte le palpebre poi arrossì di nuovo. Immanuel
sapeva di aver rischiato, di stare rischiando, la loro confidenza era
ancora molto fragile e se avesse affondato con troppa fretta, con troppa
forza, Jessy avrebbe potuto ritrarsi per non lasciarli più altro
appiglio. Eppure era giunto il momento di rischiare un poco di più se
voleva ottenere qualcosa.
"Bhè, la tentazione era forte.. "
Immanuel sorrise di nuovo chinando il capo di lato. Non sarebbe servito
molto altro oramai .
"Lo avresti preso a pugni? O cosa?"
Jessy strinse le palpebre premendosele col dorso delle mani. Lo avrebbe
sgozzato, avrebbe dovuto. . sospirò, s'infilò quasi con fatica una mano
nella tasca come se sotto lo sguardo inquisitorio di Immanuel non potesse
far altro. O forse solo perché una parte di sé *voleva* farlo. Voleva
stupirlo. Magari anche farlo scappare. Spaventarlo. Vederlo ritrarsi e
lasciarlo finalmente da solo . . era una prova, ma per Immanuel o per se
stesso? Era per vedere se quel ragazzo dal volto mobile e intelligente,
sottile e attraente insieme meritasse la sua compagnia? Era questo? O era
una richiesta muta e disperata di aiuto, la solitudine un peso troppo
ingombrante da reggere, alcune volte? Era un 'stammi vicino' o un 'vattene'?
Un pezzo di metallo pesante sul palmo, un movimento che assurdamente gli
era divenuto familiare, una lama d'acciaio gli comparve fra le dita
scattando con il classico click della molla. Non si stupì per nulla nel
notare i profondi occhi nocciola dell'altro ragazzo fissarsi sul sottile
coltello serramanico che gli riposava sul palmo, lampeggiando allarmati,
ma si sarebbe davvero atteso una reazione differente da quella che venne
poi.
La mano tiepida di Immanuel posata sulla sua, un sorriso trasparente,
gentile, le sue dita che si strinsero intorno al coltello e con gesti
misurati, ritrasse la lama.
"Non ti sta bene addosso."
Jessy scosse il capo, non certo di aver compreso bene. Immanuel si limitò
a sorridergli. Aveva avuto la conferma delle sue intuizioni, ora poteva
rilassarsi, e permettersi di essere gentile.
"I tuoi occhi, Jessy. - sorrise di nuovo prendendo la mano fra le
sue, stringendola - Diventano tristi e opachi quando sfoderi quella lama,
ho notato, e la cosa è un vero peccato."
Jessy lo fissò ritrovandosi incapace di aprire la bocca per ribattere
alcunché. Una risposta simile . . non aveva neppure potuto immaginare che
qualcuno gli potesse rispondere in quel modo. Si limitò a fissarlo,
distratto, mentre Immanuel posava il coltello, chiuso, sul tavolo scuro e
scheggiato del pub e poi la sua mano ritornare sulle sue, stringendole
leggermente.
"Che ne dici se andiamo, Jessy? Siamo lontani, e prima che siamo al
collegio sarà domattina."
Annuì in silenzio mettendosi in piedi lentamente.
"Non . . è da un sacco che non bevo. Non sono più abituato."
Un sorriso timido che ebbe come risposta un movimento leggero di spalle,
noncuranza. Poi Immanuel gli si pose al fianco, passandogli un braccio
attorno alla vita.
"Aggrappati, sei sicuro di riuscire a stare in piedi?"
Jessy arricciò appena il naso in un gesto seccato ma non si scostò da
quel tocco.
"Non reggo la birra, tutto qui! Se tu mi avessi fatto bere la vodka
che volevo ti saresti accorto che io l'alcol lo reggo benissimo!"
Immanuel rise.
"Sì, sì, se avessi ordinato vodka saresti già da ore scivolato sul
pavimento a dormire! - scosse il capo guardandolo con la coda dell'occhio
spingendolo fuori dalla porta del locale - Ma se sei un bambino! Scommetto
che puzzi ancora di latte!"
Jessy sorrise ma non disse altro. L'aria fredda della notte gli sfiorò il
viso, facendogli tremare la spina dorsale ma dandogli un piacere sottile,
strano. Ci fu un altro tipo di piacere a sentire il calore dell'altro
ragazzo stringersi accanto a sé e sospirò appena.
L'immagine che quel movimento faceva sorgere alla mente non era un
qualcosa che desiderasse e, stranamente, riuscì ad allontanare l'idea di
Matt quasi immediatamente.
Sbatté un paio di volte le palpebre fissando distante la strada che si
srotolava dai suoi piedi. Il collegio non era vicino, ci voleva quasi
un'ora a piedi, ma era una bella notte e la strada era ben tenuta,
circondata da verde, da un parco curato, e il pericolo di fare brutti
incontri era quasi ridotta a zero. La criminalità, in quel paesino
sperduto in una innominabile valle svizzera era quasi del tutto
inesistente. Forse era per via del fatto che l'unico agglomerato urbano
della zona era quel paese che contava poco più di cento abitanti, forse
perché la città più vicina era a tre ore e mezzo di macchina lungo
quelle stradine tutte curve che anche se non si spingevano mai troppo in
alto avevano tornanti e anse, non lo sapeva.
Nessuno aveva paura a ritornare al collegio a piedi, e la cosa non
capitava mai troppo raramente visto che l'ultimo bus che passava da lì
per il collegio partiva appena dopo l'una di notte. Erano le quattro e la
strada era vuota e silenziosa tanto quanto il cielo sopra di loro. Uno di
quei posi che avrebbe dovuto odiare con tutto se stesso, non incontrando
per nulla i suoi gusti. Eppure ora, lì, con Immanuel non stava poi tanto
male.
Era piacevole camminare così, in silenzio. Immanuel sembrava non provarci
in maniera troppo pesante, gli teneva una mano sulle spalle, lo stringeva
appena senza aumentare la pressione, e ora non parlava neppure più. Ogni
tanto si voltava a guardalo, poi si sorridevano in silenzio e ritornavano
entrambi a fissare il cielo o i rami degli alberi che frusciavano
tutt'intorno.
Strano. Gli aveva fatto quella che gli era parsa una corte serrata per
tutta la serata, senza mai essere per un solo attimo né invadente né
inopportuno. Non aveva mai conosciuto un ragazzo così. Non ci aveva
neppure 'provato' nel senso stretto del termine. Avevano solo parlato. Ed
era bello sentirsi . . apprezzato, per una volta.
Jessy sapeva di essere attraente, gliel'avevano detto tutti quelli che
avevano avuto la sorte di incrociarlo, però di solito si sentivano tutti
autorizzati ad allungare le mani, senza perdere troppo tempo a chiedergli
che ne pensasse. Non che, se l'avessero fatto, lui avrebbe avuto spesso
qualcosa da ridire, di solito quello era un buon modo per dimenticare la
solitudine, il buco freddo che sentiva dentro, l'insensatezza che gli
bruciava il cuore, ma gli piaceva essere almeno . . considerato, ecco. Con
Immanuel aveva l'impressione che finalmente esisteva qualcuno a cui
importasse cosa diceva, cosa provava, cosa pensava . . perché anche se
nessuno pareva crederci, anche lui *pensava* . . già. E aveva pure dei
sentimenti. Cosa a cui di solito nessuno importava, tanto meno a suo padre
che non aveva mai capito e non aveva mai voluto accettare il fatto che
qualcuno potesse volere qualcosa di diverso da quello che voleva lui. Quel
maledetto bastardo egocentrico!
Appoggiò il capo sulla spalla di Immanuel con un piccolo sospiro che gli
tremò sulle labbra.
"Grazie."
Piano piano, appena sussurrato. Il braccio che gli passava sulle spalle si
strinse appena, in un movimento che sembrava insieme consolatorio e
affettuoso.
"Di cosa?"
Si voltò verso di lui, uno sguardo strano, non propriamente stupito, non
del tutto incredulo, semplicemente in attesa.
"Sei gentile. Con me, intendo."
Lo disse e si morse un labbro dandosi immediatamente dell'idiota. Aveva
utilizzato un tono dolce, la sua voce solo un sussurro come se fosse sul
punto di spezzarsi, la malinconia che non era riuscita ad ingoiare. Ora
non l'avrebbe biasimato se si fosse messo a schernirlo, era solo ciò che
si meritava.
Sobbalzò appena quando Immanuel lo fece fermare, voltandolo verso di lui.
Appoggiò la fronte contro la sua fissandolo negli occhi. Era tranquillo,
sorrideva, si limitava a guardarlo, come se volesse trovare chissà che
risposta nelle sue iridi, facendo sentire Jessy nudo come mai era stato.
Arrossì ma non riuscì a sfuggirgli.
"Non dovresti mai permettere che qualcuno non sia gentile con te.
Dovresti pretendere più rispetto."
Jessy sobbalzò allontanandosi d'un passo, stupefatto oltre ogni dire.
Rispetto? Chi era quel ragazzo che parlava di avere rispetto di se stesso?
A lui?! Era una frase che pareva appena uscita dalle labbra di suo padre,
ma il tono . . il tono era completamente diverso. Non c'era il rigore, la
freddezza solita non la quale aveva imparato a convivere. Non c'era quello
sguardo senza pietà, lampeggiante di disgusto per la delusione che quel
figlio gli aveva fatto provare. No.
Gli passò le mani fra i capelli e gli sorrise ancor più dolcemente.
"Sì hai . . ragione."
"Lo so."
===
Da dietro li colpì il fascio di luce dei fari di una macchina che stava
percorrendo veloce la strada diretta al collegio. Immanuel e Jessy si
spostarono un poco sul ciglio della strada volando appena la testa. Ai
ragazzi non era permesso avere a disposizione un'auto ed essendo piena
notte era strano che qualcuno corresse in quel modo verso il collegio, la
struttura in cui quella strada terminava, non portando da nessun'altra
parte.
L'auto li superò, rallentando, poi si fermò, e dalla portiera posteriore
uscì qualcuno. Immanuel socchiuse appena gli occhi, nella penombra
riusciva appena vederne i contorni. Jessy sorrise.
"Mark!"
Già.
Indossava uno smoking. La giacca con la coda slacciata, la camicia rigida
di troppo amido stropicciata in più punti, il colletto aperto e la
striscia scura del papillon disfatto che gli si appoggiava sul petto.
Anche i capelli erano lievemente scomposti, gli cadevano ribelli sul volto
e il suo sorriso era così luminoso che si riverberava negli occhi verdi,
limpidissimi. Il cuore di Immanuel perse un paio di battiti prima che il
ragazzo potesse ritornare davvero padrone di sé.
"Buonasera! - sorrise muovendosi lentamente verso di loro, le movenze
eleganti di un felino sempre pericoloso ma che in quel momento pareva
essere sazio. - Cosa fate in giro a quest'ora di notte?"
Immanuel sorrise in risposta.
"Tornavamo a casa, e tu?"
"Volete un passaggio? - non attese risposta, ritenendola già ovvia.
Quando si voltò sui tacchi ritornando verso l'auto dove l'autista lo
stava aspettando, sbuffò leggermente. - Io? Sono in ritorno da una festa
all'ambasciata israeliana di Ginevra. Mio padre non poteva esserci e ha
mandato me."
Uno sguardo strano, che sapeva di pericoloso, poi un nuovo sorriso appena
accennato. Gli altri due ragazzi gli si sedettero al fianco e Jessy tenne
gli occhi fissi sui tappetini ai suoi piedi.
Gli tremava perfino il cuore a solo tentare di immaginare . .
Immanuel vide il sorriso di Mark farsi più ampio.
"Anche tuo padre non c'era."
Jessy tremò, stringendo gli occhi con forza, ringraziando l'oscurità
ovattata dell'abitacolo. Non voleva che Mark gli vedesse il viso, non ora.
.
La mano di Immanuel si posò leggermente sulla sua, stringendola appena.
Ma Mark continuò.
"E' un vero peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerlo, Jessy."
Solo il silenzio in risposta.
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