NOTE: tutti i personaggi sono solo, tutti
esclusivamente miei! Ovviamente i diritti della poesia non sono miei! La poesia
è di Holderlin ( Lauffen su Neckar 1770/ Tubinga 1843) 'Le Linee della Vita'
pubblicato su 'Poesie della Torre' ed Feltrinelli.
In nome
del padre
parte I
di Dhely
Fuoco.
Fuoco bianco e terribile che scivola nelle vene, che taglia in due il
corpo, che guizza in ogni angolo, in ogni cellula ,in ogni singolo atomo
del corpo, in silenzio. Solo il ritmico TU - TUM del cuore che batte e
batte e singhiozza, canta la sua canzone, simile alla pioggia che bagna i
vetri di quella finestra troppo stretta perché da essa si possa vedere
davvero il cielo.
Ed è terribile. Perché quel fuoco al calor bianco, simile a lava, simile
all'esplosione di una stella, lascia il corpo freddo, gelato, come se
fosse una statua, un sudario dimenticato lì da chissà chi, da chissà
quanto tempo.
Quando finisce l'arcobaleno indefinito dell'universo che si torce e
penetra tutto in quel corpo trasparente al mondo, tutto torna freddo e
nero. Scuro. A tal punto che la triste luce di novembre che scivola da
quel quadrato di vetro sembra un mezzogiorno d'estate.
Non importa.
Non ha proprio alcuna importanza.
Qualcosa dentro, all'altezza del buco nero che è il suo cuore, si torce e
geme come un animale ferito. Dov'è il fuoco, il caldo che scaccia il
gelo, la solitudine? Dov'è il sole che irradia la terra e fa fiorire
l'anima in un giardino perfetto di gigli, i rododendri e rose? Dove sono i
colori?
Tutto questo è perduto, scivolato via in uno scarico scuro, insieme
all'acqua che scioglie il sangue, strisce rosse sulla porcellana
immacolata, violentata e insozzata a morte da quel colore carminio, troppo
violento da sopportare, troppo assurdo per riuscire a fissarlo davvero.
Un tempo quel liquido denso aveva portato via la pena, il dolore, aveva
lavato la paura, ora, invece anche lui non basta più, non serve più il
suo viscido, lento strisciare lungo pareti troppo lisce, non serve il suo
lento gocciolare al di fuori di una ferita carminia. Non basta più
fissare una lama di coltello che sorride nella penombra, sorridente come
una fiera che si nutre lasciandosi accarezzare dal sangue.
No.
Adesso svuotarsi non basta più.
Adesso bisogna riempirsi.
Il bisogno è divenuto tale che bisogna colmare il vuoto che c'è dentro.
E c'è qualcosa che riesce a dargli ciò che vuole.
Calore.
Oblio.
E il fuoco che gli stria la pelle. L'anima.
Il fuoco è ciò che vuole, per scintillare come una stella, per bruciare
la propria vita come vuole.
Bruciare. Un incendio che divampa e accende la notte.
E distrugge tutto.
Roma brucia mentre Nerone canta.
===
I ragazzi sollevavano appena la testa al suo passaggio. Nessuno si
aspettava l'arrivo di un nuovo studente, in quel periodo, anche gli
stranieri, lì in vacanza studio, di solito non organizzavano quel viaggio
a novembre.
Stava piovendo da due settimane, ininterrottamente, e non c'era alcun
motivo perché smettesse proprio ora.
Mark lo vide arrivare, in piedi di fronte all'ampia vetrata che faceva
terminare il corridoio del campus, le mani in tasca, non stupito.
Dopo tutto lo stava aspettando.
Strinse appena gli occhi verdi nell'analizzare, rapido, quel passo leggero
lungo l'acciottolato grigio e umido, nervoso, fluido, quei capelli chiari
appiccicati alla fronte. Da quell'altezza, dal primo piano, non riusciva a
vederlo in volto, ma quello non era un gran male, non avrebbe aspettato
poi molto prima di avercelo davanti e, temeva, l'avrebbe visto fin troppo
spesso, da ora in poi.
Sentì, alle sue spalle, i passi veloci di alcuni studenti, e delle voci
conosciute che si alzavano nell'immobile grigiore di quella terribile
mattinata.
"Die Linien des Lebens sind verschieden
Wie Wege sind, und wie der Berge Graenzen.
Was hier wird sind, kann dort ein Gott ergaenzen
Mit Harmonien und ewigem Lohn und Frieden.
[Le linee della vita sono varie
sono come strade e crinali di un monte.
Cioè che qui siamo, là un Dio può completare
Con armonia, compenso eterno e pace.] - Mark sorrise appena a Immanuel
che, con un libro in mano, da giorni stava cercando di insegnare a Renè
come cadenzare le poesie di Holderlin in maniera almeno decente. Vide il
ragazzo scuotere il capo, affranto, e poi sollevò appena una mano in
saluto, vedendolo. - Heilà, Mark! Ti vedo assorto .. non hai
lezione?!"
Renè si ritrasse d'un passo, quasi spaventato, di fronte a lui, che gli
sorrise caustico.
"Fra una mezz'ora. - scosse appena il capo a indicare il cortile
vuoto scheggiato appena dalla pioggia interminabile - Mi godevo il
panorama."
Immanuel, uno sguardo strano negli occhi d'ambra cerchiati dall'argento
della montatura leggera, si strinse nelle spalle, voltandosi di nuovo
verso il suo compagno più giovane, poi sospirò, sapendo bene che da
quello non avrebbe cavato fuori nulla di buono. Non sarebbe *mai* stato in
grado di parlare in tedesco come si doveva, figurarsi quando si metteva a
declamare versi! Scosse di nuovo il capo, sospirando. Dannazione al
Rettore! Di tutte le punizione che poteva affibbiargli per l'ultimo
disastro che lui e Mark avevano combinato, quello era di sicuro il
peggiore!
"Non riesco ancora a concepire che davvero quell'uomo ci abbia
affidato dei compiti così ingrati! - sbuffò nel vedere Renè che si
allontanava, dopo averli salutati frettolosamente -Odio perdere tempo! Tu
lo sai che questa è una perdita di tempo! E sono certo che anche lui lo
sa!"
Mark rise.
"Tu almeno non devi fare l'assistente nel laboratorio di chimica ai
ragazzi del primo anno per tutto il semestre!"
Immanuel sollevò una mano, infilando un dito in una di quelle morbide
onde in cui i capelli del suo compagno si piegavano, mandando tutt'intorno
quei riflessi strani, rossi, ramati, sul castano caldo che era il suo
colore di base, che facevano voltare tutti quelli che incrociavano il suo
cammino. Li strattonò un poco, e sorrise, portandoseli alle labbra.
"Non sono io il genio del gruppo, mi pare! - sorrise di nuovo, di
fronte al gesto seccato, e solito dell'altro. Mark non era una persona
facile, proprio per nulla. Il fatto che fosse il più bel bastardo
egocentrico e pieno di sé di tutto lo stato aveva certo aiutato a
incrementare il suo interesse per quello che pareva essere uno dei
migliori futuri scienziati del paese, ma ogni tanto gli spigoli di quel
suo caratteraccio gli risultavano davvero odiosi. Non in quel preciso
istante, perlomeno, la qual cosa era già un vantaggio - Bhè, è meglio
che vada, perché se mi vede quel Gehassig del rettore . . "
Mark lo pese per un polso.
"Stai dando dell'idiota al mio patrigno! " rise di nuovo, poi
scosse il capo.
"Sei *davvero* un genio come dicono, non ti si può proprio nasconder
nulla!"
"Lascia perdere, idiota! Vieni con me, ti devo far vedere
qualcuno."
Sorrise, quell'espressione ferina che lo rendeva irresistibile. Immanuel
annuì.
"E' arrivato?"
===
Jessy si scrollò le spalle con leggerezza, in silenzio in quell'enorme
edificio grigio, guardandosi intorno, titubante. Che palle. Sembrava più
un carcere che una scuola!
Anzi, non sembrava affatto una scuola.
Torse appena le labbra in un ghigno porgendo la lettera a un bidello che
era immobile, appena al di là della soglia.
"Il rettore la sta aspettando, Mr. Von Fohnsthad."
Ok, era giunta l'ora del giudizio, pareva. Si strinse di nuovo nelle
spalle seguendo l'uomo lungo un corridoio che sembrava non finire più.
Già quando lo chiamavano 'mister' lo facevano sentire un allenatore di
una squadra di calcio, poi quell'occhiataccia che gli aveva lanciato! Non
aveva tutti i torti, pensò.
Dopo tutto sapeva che lì c'era l'obbligo della divisa e lui, vestito
com'era ..bhè, da quanto tempo non vedevano un ragazzo vestito normale,
lì dentro?! Pareva, sinceramente, da un sacco di tempo.
Scosse di nuovo il capo. Aveva la camicia fradicia, aveva freddo, l'ultima
cosa che volesse era mettersi a fare una lunga e pallosa chiacchierata con
il Rettore di quella cosiddetta scuola. Voleva un bel bagno caldo, dei
vestiti asciutti, e un posto tiepido davanti alla tv, non era pretendere
troppo, no?
Sollevò appena il capo, non traeva molto diletto ne guardarsi intorno,
tutto era grigio e freddo, e lui odiava cordialmente i posti così,
finché non lo vide.
Assurdo.
Di persone così ne aveva sempre e solo letto sui libri, credeva
fortemente che fossero solo un'invenzione di artisti in carenza di
ispirazione che scrivevano romanzetti di infima categoria per adolescenti
con gli ormoni sovraeccitabili.. non che i *suoi* ormoni non fossero in
crisi da superlavoro, ma almeno non era più un adolescente!
Già.
Era un .. aguzzò lo sguardo. Un professore?
Un professore che lo stava fissando dal fondo del corridoio con
quell'espressione sul viso e le braccia incrociate e quello . .*quello*
sguardo.
Verde.
Dannazione, era là in fondo eppure riusciva a vedergli gli occhi? Non era
possibile! Era come se . . ok, era decisamente sovraeccitato, questo non
era possibile.
Indossava la divisa della scuola, grigia scura, la giacca che si apriva
sulla camicia bianca e immacolata. Uno studente, allora? Sì.
I capelli medio lunghi si piegavano in morbidi riccioli, castani e caldi,
una strana sfumatura rossa, quasi metallica, che non sarebbe stato strano
se fosse stata finta. Magari una tinta? E perché lo stava guardando
*così*?
Il bidello si voltò fermandosi di fronte a una porta a metà del
corridoio.
"Mister? Di qua. La stanno aspettando."
===
Biondo.
Di un colore così chiaro da sembrare bianco. Un biondo platino e
purissimo quel caschetto sfilato che ricadeva morbido intorno al volto
morbido, assolutamente, totalmente espressivo. Le labbra arricciate in
un'espressione quasi seccata che faceva da contrappunto con
l'abbigliamento. Degli inenarrabili jeans tagliati e sdruciti che gli
scivolavano giù dalla vita, la camicia rossa appiccicata al petto
sottile, le spalle snelle, fradicia, le mani pesantemente infilate nelle
tasche, gli occhi lampeggianti d'ira o fastidio o collera o va a sapere
cosa, ma comunque pieni. E chiari.
Azzurri.
Potevano essere morbidi come un cielo di primavera oppure rigidi come
ghiaccio scheggiato. Pozze di mercurio liquide che avrebbero potuto
trasmettere tutta la felicità, l'eccitazione del mondo. O tutta l'ira
furiosa di un dio offeso.
Li conosceva benissimo, conosceva ogni minima, minuta espressione che
poteva dipingersi in quelle iridi. In quelle iridi lui aveva fatto sorgere
di tutto: amore, passione, gioia, fastidio . . odio.
Tutto quello era accaduto una vita fa, sì lo sapeva. Quando non era
ancora il rettore rispettato e temuto del miglior istituto universitario
del *mondo*, di cui era il fondatore, il creatore, il sovvenzionatore. Ora
i privati e anche gli organi degli stati facevano la fila fuori dal suo
studio per poter avere come dipendenti i ragazzi che uscivano da lì .. ma
ora non aveva importanza.
Non importava nulla quanto fossero rigidi i criterio di selezione dei
ragazzi. Non contava quanti pochi vi fossero ammessi. Tutto il suo
presente improvvisamente terminò di avere una qualche importanza, un
qualche peso, per essere assorbito nel passato. In quella parte del suo
passato che racchiudeva, forse, i giorni migliori della sua vita.
Guardò il foglio che aveva di fronte. Von Fohnsthad, Adler Egon Friedrich
Niccolaus Jessy, 19 anni. Il figlio di Raul.
Il Rettore Blaise Brown intrecciò le dita nelle dita, appoggiando i
gomiti sulla scrivania, guardando quel ragazzo quasi scioccato.
Chissà se qualcuno gli aveva mai detto che assomigliava in una maniera
così dannatamente incredibile a suo padre.
Lo stesso fuoco nello sguardo, la stessa espressione aggressiva e sicura
da leone, quella strana arroganza inesplicabile. Quella bellezza da
mozzare il fiato.
Gli sorrise appena.
"Benvenuto nel nostro istituto, Mr. Von Fohnsthad."
Il ragazzo si strinse nelle spalle, guardandosi intorno con *quello*
sguardo. Blaise trattenne un tremito chiudendo gli occhi.
===
IN NOME DEL PADRE
___
PARTE: 1/?
SERIE: original
AUTORE: Dhely
RATING: per ora nulla, ma è solo il primo capitolo!
NOTE: tutti i personaggi sono solo, tutti esclusivamente miei! Ovviamente
i diritti della poesia non sono miei! La poesia è di Holderlin ( Lauffen
su Neckar 1770/ Tubinga 1843) 'Le Linee della Vita' pubblicato su 'Poesie
della Torre' ed Feltrinelli.
___
Fuoco.
Fuoco bianco e terribile che scivola nelle vene, che taglia in due il
corpo, che guizza in ogni angolo, in ogni cellula ,in ogni singolo atomo
del corpo, in silenzio. Solo il ritmico TU - TUM del cuore che batte e
batte e singhiozza, canta la sua canzone, simile alla pioggia che bagna i
vetri di quella finestra troppo stretta perché da essa si possa vedere
davvero il cielo.
Ed è terribile. Perché quel fuoco al calor bianco, simile a lava, simile
all'esplosione di una stella, lascia il corpo freddo, gelato, come se
fosse una statua, un sudario dimenticato lì da chissà chi, da chissà
quanto tempo.
Quando finisce l'arcobaleno indefinito dell'universo che si torce e
penetra tutto in quel corpo trasparente al mondo, tutto torna freddo e
nero. Scuro. A tal punto che la triste luce di novembre che scivola da
quel quadrato di vetro sembra un mezzogiorno d'estate.
Non importa.
Non ha proprio alcuna importanza.
Qualcosa dentro, all'altezza del buco nero che è il suo cuore, si torce e
geme come un animale ferito. Dov'è il fuoco, il caldo che scaccia il
gelo, la solitudine? Dov'è il sole che irradia la terra e fa fiorire
l'anima in un giardino perfetto di gigli, i rododendri e rose? Dove sono i
colori?
Tutto questo è perduto, scivolato via in uno scarico scuro, insieme
all'acqua che scioglie il sangue, strisce rosse sulla porcellana
immacolata, violentata e insozzata a morte da quel colore carminio, troppo
violento da sopportare, troppo assurdo per riuscire a fissarlo davvero.
Un tempo quel liquido denso aveva portato via la pena, il dolore, aveva
lavato la paura, ora, invece anche lui non basta più, non serve più il
suo viscido, lento strisciare lungo pareti troppo lisce, non serve il suo
lento gocciolare al di fuori di una ferita carminia. Non basta più
fissare una lama di coltello che sorride nella penombra, sorridente come
una fiera che si nutre lasciandosi accarezzare dal sangue.
No.
Adesso svuotarsi non basta più.
Adesso bisogna riempirsi.
Il bisogno è divenuto tale che bisogna colmare il vuoto che c'è dentro.
E c'è qualcosa che riesce a dargli ciò che vuole.
Calore.
Oblio.
E il fuoco che gli stria la pelle. L'anima.
Il fuoco è ciò che vuole, per scintillare come una stella, per bruciare
la propria vita come vuole.
Bruciare. Un incendio che divampa e accende la notte.
E distrugge tutto.
Roma brucia mentre Nerone canta.
===
I ragazzi sollevavano appena la testa al suo passaggio. Nessuno si
aspettava l'arrivo di un nuovo studente, in quel periodo, anche gli
stranieri, lì in vacanza studio, di solito non organizzavano quel viaggio
a novembre.
Stava piovendo da due settimane, ininterrottamente, e non c'era alcun
motivo perché smettesse proprio ora.
Mark lo vide arrivare, in piedi di fronte all'ampia vetrata che faceva
terminare il corridoio del campus, le mani in tasca, non stupito.
Dopo tutto lo stava aspettando.
Strinse appena gli occhi verdi nell'analizzare, rapido, quel passo leggero
lungo l'acciottolato grigio e umido, nervoso, fluido, quei capelli chiari
appiccicati alla fronte. Da quell'altezza, dal primo piano, non riusciva a
vederlo in volto, ma quello non era un gran male, non avrebbe aspettato
poi molto prima di avercelo davanti e, temeva, l'avrebbe visto fin troppo
spesso, da ora in poi.
Sentì, alle sue spalle, i passi veloci di alcuni studenti, e delle voci
conosciute che si alzavano nell'immobile grigiore di quella terribile
mattinata.
"Die Linien des Lebens sind verschieden
Wie Wege sind, und wie der Berge Graenzen.
Was hier wird sind, kann dort ein Gott ergaenzen
Mit Harmonien und ewigem Lohn und Frieden.
[Le linee della vita sono varie
sono come strade e crinali di un monte.
Cioè che qui siamo, là un Dio può completare
Con armonia, compenso eterno e pace.] - Mark sorrise appena a Immanuel
che, con un libro in mano, da giorni stava cercando di insegnare a Renè
come cadenzare le poesie di Holderlin in maniera almeno decente. Vide il
ragazzo scuotere il capo, affranto, e poi sollevò appena una mano in
saluto, vedendolo. - Heilà, Mark! Ti vedo assorto .. non hai
lezione?!"
Renè si ritrasse d'un passo, quasi spaventato, di fronte a lui, che gli
sorrise caustico.
"Fra una mezz'ora. - scosse appena il capo a indicare il cortile
vuoto scheggiato appena dalla pioggia interminabile - Mi godevo il
panorama."
Immanuel, uno sguardo strano negli occhi d'ambra cerchiati dall'argento
della montatura leggera, si strinse nelle spalle, voltandosi di nuovo
verso il suo compagno più giovane, poi sospirò, sapendo bene che da
quello non avrebbe cavato fuori nulla di buono. Non sarebbe *mai* stato in
grado di parlare in tedesco come si doveva, figurarsi quando si metteva a
declamare versi! Scosse di nuovo il capo, sospirando. Dannazione al
Rettore! Di tutte le punizione che poteva affibbiargli per l'ultimo
disastro che lui e Mark avevano combinato, quello era di sicuro il
peggiore!
"Non riesco ancora a concepire che davvero quell'uomo ci abbia
affidato dei compiti così ingrati! - sbuffò nel vedere Renè che si
allontanava, dopo averli salutati frettolosamente -Odio perdere tempo! Tu
lo sai che questa è una perdita di tempo! E sono certo che anche lui lo
sa!"
Mark rise.
"Tu almeno non devi fare l'assistente nel laboratorio di chimica ai
ragazzi del primo anno per tutto il semestre!"
Immanuel sollevò una mano, infilando un dito in una di quelle morbide
onde in cui i capelli del suo compagno si piegavano, mandando tutt'intorno
quei riflessi strani, rossi, ramati, sul castano caldo che era il suo
colore di base, che facevano voltare tutti quelli che incrociavano il suo
cammino. Li strattonò un poco, e sorrise, portandoseli alle labbra.
"Non sono io il genio del gruppo, mi pare! - sorrise di nuovo, di
fronte al gesto seccato, e solito dell'altro. Mark non era una persona
facile, proprio per nulla. Il fatto che fosse il più bel bastardo
egocentrico e pieno di sé di tutto lo stato aveva certo aiutato a
incrementare il suo interesse per quello che pareva essere uno dei
migliori futuri scienziati del paese, ma ogni tanto gli spigoli di quel
suo caratteraccio gli risultavano davvero odiosi. Non in quel preciso
istante, perlomeno, la qual cosa era già un vantaggio - Bhè, è meglio
che vada, perché se mi vede quel Gehassig del rettore . . "
Mark lo pese per un polso.
"Stai dando dell'idiota al mio patrigno! " rise di nuovo, poi
scosse il capo.
"Sei *davvero* un genio come dicono, non ti si può proprio nasconder
nulla!"
"Lascia perdere, idiota! Vieni con me, ti devo far vedere
qualcuno."
Sorrise, quell'espressione ferina che lo rendeva irresistibile. Immanuel
annuì.
"E' arrivato?"
===
Jessy si scrollò le spalle con leggerezza, in silenzio in quell'enorme
edificio grigio, guardandosi intorno, titubante. Che palle. Sembrava più
un carcere che una scuola!
Anzi, non sembrava affatto una scuola.
Torse appena le labbra in un ghigno porgendo la lettera a un bidello che
era immobile, appena al di là della soglia.
"Il rettore la sta aspettando, Mr. Von Fohnsthad."
Ok, era giunta l'ora del giudizio, pareva. Si strinse di nuovo nelle
spalle seguendo l'uomo lungo un corridoio che sembrava non finire più.
Già quando lo chiamavano 'mister' lo facevano sentire un allenatore di
una squadra di calcio, poi quell'occhiataccia che gli aveva lanciato! Non
aveva tutti i torti, pensò.
Dopo tutto sapeva che lì c'era l'obbligo della divisa e lui, vestito
com'era ..bhè, da quanto tempo non vedevano un ragazzo vestito normale,
lì dentro?! Pareva, sinceramente, da un sacco di tempo.
Scosse di nuovo il capo. Aveva la camicia fradicia, aveva freddo, l'ultima
cosa che volesse era mettersi a fare una lunga e pallosa chiacchierata con
il Rettore di quella cosiddetta scuola. Voleva un bel bagno caldo, dei
vestiti asciutti, e un posto tiepido davanti alla tv, non era pretendere
troppo, no?
Sollevò appena il capo, non traeva molto diletto ne guardarsi intorno,
tutto era grigio e freddo, e lui odiava cordialmente i posti così,
finché non lo vide.
Assurdo.
Di persone così ne aveva sempre e solo letto sui libri, credeva
fortemente che fossero solo un'invenzione di artisti in carenza di
ispirazione che scrivevano romanzetti di infima categoria per adolescenti
con gli ormoni sovraeccitabili.. non che i *suoi* ormoni non fossero in
crisi da superlavoro, ma almeno non era più un adolescente!
Già.
Era un .. aguzzò lo sguardo. Un professore?
Un professore che lo stava fissando dal fondo del corridoio con
quell'espressione sul viso e le braccia incrociate e quello . .*quello*
sguardo.
Verde.
Dannazione, era là in fondo eppure riusciva a vedergli gli occhi? Non era
possibile! Era come se . . ok, era decisamente sovraeccitato, questo non
era possibile.
Indossava la divisa della scuola, grigia scura, la giacca che si apriva
sulla camicia bianca e immacolata. Uno studente, allora? Sì.
I capelli medio lunghi si piegavano in morbidi riccioli, castani e caldi,
una strana sfumatura rossa, quasi metallica, che non sarebbe stato strano
se fosse stata finta. Magari una tinta? E perché lo stava guardando
*così*?
Il bidello si voltò fermandosi di fronte a una porta a metà del
corridoio.
"Mister? Di qua. La stanno aspettando."
===
Biondo.
Di un colore così chiaro da sembrare bianco. Un biondo platino e
purissimo quel caschetto sfilato che ricadeva morbido intorno al volto
morbido, assolutamente, totalmente espressivo. Le labbra arricciate in
un'espressione quasi seccata che faceva da contrappunto con
l'abbigliamento. Degli inenarrabili jeans tagliati e sdruciti che gli
scivolavano giù dalla vita, la camicia rossa appiccicata al petto
sottile, le spalle snelle, fradicia, le mani pesantemente infilate nelle
tasche, gli occhi lampeggianti d'ira o fastidio o collera o va a sapere
cosa, ma comunque pieni. E chiari.
Azzurri.
Potevano essere morbidi come un cielo di primavera oppure rigidi come
ghiaccio scheggiato. Pozze di mercurio liquide che avrebbero potuto
trasmettere tutta la felicità, l'eccitazione del mondo. O tutta l'ira
furiosa di un dio offeso.
Li conosceva benissimo, conosceva ogni minima, minuta espressione che
poteva dipingersi in quelle iridi. In quelle iridi lui aveva fatto sorgere
di tutto: amore, passione, gioia, fastidio . . odio.
Tutto quello era accaduto una vita fa, sì lo sapeva. Quando non era
ancora il rettore rispettato e temuto del miglior istituto universitario
del *mondo*, di cui era il fondatore, il creatore, il sovvenzionatore. Ora
i privati e anche gli organi degli stati facevano la fila fuori dal suo
studio per poter avere come dipendenti i ragazzi che uscivano da lì .. ma
ora non aveva importanza.
Non importava nulla quanto fossero rigidi i criterio di selezione dei
ragazzi. Non contava quanti pochi vi fossero ammessi. Tutto il suo
presente improvvisamente terminò di avere una qualche importanza, un
qualche peso, per essere assorbito nel passato. In quella parte del suo
passato che racchiudeva, forse, i giorni migliori della sua vita.
Guardò il foglio che aveva di fronte. Von Fohnsthad, Adler Egon Friedrich
Niccolaus Jessy, 19 anni. Il figlio di Raul.
Il Rettore Blaise Brown intrecciò le dita nelle dita, appoggiando i
gomiti sulla scrivania, guardando quel ragazzo quasi scioccato.
Chissà se qualcuno gli aveva mai detto che assomigliava in una maniera
così dannatamente incredibile a suo padre.
Lo stesso fuoco nello sguardo, la stessa espressione aggressiva e sicura
da leone, quella strana arroganza inesplicabile. Quella bellezza da
mozzare il fiato.
Gli sorrise appena.
"Benvenuto nel nostro istituto, Mr. Von Fohnsthad."
Il ragazzo si strinse nelle spalle, guardandosi intorno con *quello*
sguardo. Blaise trattenne un tremito chiudendo gli occhi.
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