Note sulla storia:
Questa storia mi mette sempre addosso un gran magone ed è una delle mie
preferite in assoluto. Ammetto candidamente che non è nata come shonen-ai,
all’inizio, perché quando l’ho scritta non avevo l’amore che ho adesso per il
pairing Roy/Ed, ma tutti continuavano a vederci del gran pre-slash al
punto che ce l'ho visto anche io!
Scusate la traduzione, in latino facevo schifo! ù_ù
Ingemisco
di
RizafromKeron
E' sincero il dolore
di chi piange in segreto.
J.B. Lacordaire
Per qualche motivo a te
totalmente ignoto le immagini più vivide che hai di tuo fratello Alphonse del
periodo antecedente alla vostra trasmutazione fallita sono di un bambino in
lacrime.
Sotto il porticato.
Le ginocchia strette al petto e la testa affossata nell'incavo delle cosce a
scuotere le spalle disperato dopo un tuo dispetto.
Dietro la finestra della vostra camera.
I palmi e il naso dolorante di febbre premuti sul vetro appannato, a fissare
te e Winry che giocavate, col labbro tremulo e la fronte aggrottata.
Da piccolo se ti chiedevano di che colore avesse gli occhi rispondevi "rossi".
Tu invece non ricordi di aver pianto neppure alla morte della mamma, e se
forse hai versato qualche lacrima per sbaglio di certo non sono mai stati
singhiozzi.
Perché Winry e Alphonse ti hanno sempre battuto sul tempo.
Perché detesti essere banale.
E perché, diciamocelo...
Non sei mica il tipo!
*
Però non sei tipo neppure da
startene in ospedale, eppure adesso ci sei costretto. Dalla tua scomoda sedia
di legno ti puntelli i gomiti sulle ginocchia e ci poggi il viso, fissando
torvo il divano da cui ti hanno scacciato: perché il divanetto deve essere
offerto alle signore, perché i bambini possono sopportare qualche
inconveniente, e perché ti è stato precluso dal momento che ti hanno trovato a
ronfarci saporitamente sopra.
Avevi scacciato persino Al, mandandolo in sala d'aspetto.
Ti aveva svegliato un urlo da madre adirata.
Tu eri lì solo a patto di fare la guardia.
Ma non è successo niente!
Volevi solo dormire.
Un pochino.
"Mangia qualcosa, Edward."
Te ne stai un po' in disparte, imbronciato.
Il Tenente stavolta ha portato caffé e dolcetti, a parte il solito mazzo di
fiori freschi che si premura di lasciare ogni giorno sul davanzale. Sono lì,
invitanti, sul basso tavolinetto che hai di fronte.
Ti guardano tutti.
Al seduto per terra accanto alla finestra, che sa che non mangerai perché sono
giorni che cerca di portarti panini e altre cose buone e trova tutto nascosto
nel sacco dei rifiuti, ma ci spera dall'inguaribile ottimista che è. Il
Tenente Hawkeye che non dovrebbe neppure essere qui (come te del resto). Il
Sottotenente Breda che non ha fatto complimenti e si è già versato una tazza
fumante.
Il Sottotenente Havoc preferisce fissare il vuoto con la solita aria svagata e
vagamente infastidita che assume quando non può fumare. Tiene in bocca una
penna rubata molto probabilmente a un'infermiera.
Perché insistono ogni volta?
Tu il caffé non lo bevi.
Però hai fame. Così fame che ti divoreresti l'Automail, ma l'idea di star lì a
fare salotto ti urta.
"Non mi va."
Lo stomaco ruggisce.
Senti le guance bollenti, ora.
In questo momento vorresti riavvolgere gli eventi e non sembrare sempre così
cocciuto e petulante, ma se potessi dominare il tempo credi che ci sarebbero
cose ben più importanti da correggere. E' un pensiero che ti ha sempre
ossessionato ma di recente sembra che tu non riesca a pensare ad altro che a
questo.
L'alchimia non può aiutarti.
Sei inutile quanto chiunque altro nella stanza, e il pensiero in qualche
maniera morbosa ti consola. Perché adesso sei una persona normale che non può
far altro che attendere assieme agli altri. Perché l'ultima volta che hai
creduto di poter fare qualcosa lo sai com'è finita.
Lo sapete tutti.
Soprattutto tuo fratello.
Lui non può piangere, adesso.
Ma poi perché diamine dovrebbe farlo?
*
Ti arrivano solo stralci
sfilacciati di conversazione.
"... Ho parlato coi dottori..."
Giusto.
Parlare coi dottori...
Nemmeno ci hai pensato.
Te ne sei rimasto dentro quella stanza privata tutto il tempo a pensare a
quanto fosse stupida la faccia di Alphonse quando piangeva da piccolo, anche
se per la verità in quel momento non ricordavi proprio tuo fratello.
Non avevi in mente ricordi concreti di quando eravate bambini, immagini
precise di voi due che litigavate e vi prendevate a botte, di quando la mamma
veniva a cercarti chiedendoti dove fosse finito anche se in realtà lo sapeva
benissimo. Né ricordavi le guance rigate di lacrime, i capelli sudati, la
bocca spalancata in una smorfia ridicola o le mani che premevano sugli occhi,
strofinandovi sopra con forza.
Eri solo schiacciato da un unico pensiero.
Mio fratello adesso piangerebbe.
Dovrei farlo anch'io?
"Sono passati solo pochi giorni, in fondo...", senti ancora, e senza avere
il pieno e cosciente controllo del tuo corpo storci le labbra disgustato,
mostrando i denti e soffiando piano come un gatto sull'orlo di una crisi di
nervi.
C'è una crepa sul muro molto interessante.
Ha la forma tondeggiante di un Uroboro.
Guarda quella, è meglio.
Sbuffi ancora.
Non è tanto il fatto che quelli che vengono banalizzati come "pochi giorni" a
te sembrino quasi un anno (potere della mancanza di sonno). Di quello ti
importa relativamente, in fondo è un tuo problema. Tutti sembrano nutrire la
convinzione che tu lì non faccia che ronfare.
"... Ancora non si sveglia..."
Ma l'idea che ogni volta che ci si ritrova in una stanza con te debbano
sentirsi in dovere di tirare fuori argomenti strappalacrime ti è
insopportabile.
Non che ti vengano a sbattere sotto al naso pacchi extra-large di kleenex,
almeno quello fortunatamente te lo risparmiano, ma a volte sembra che non
saranno contenti finché non gli scoppierai a piangere davanti.
E perché, poi?
Non ha mica senso.
"... E' forte e se la caverà di certo..."
A quel punto scatti in piedi.
Basta.
"Io vado al cesso.", hai detto battendo i palmi sulle cosce come a pulirti
dello sporco immaginario dal tessuto. Poi esci dalla stanza sotto lo sguardo
biasimevole di più paia d'occhi che non hai avuto nemmeno la testa di
identificare. Incameri distrattamente la voce di tuo fratello che si scusa per
il tuo comportamento.
Al, la lacrimevole voce della mia coscienza...
Con le mani in tasca e la testa conficcata tra le spalle a fissarti le
punte del piedi, vaghi per corridoi tutti uguali senza una meta precisa,
pensando solo che hai davvero la vescica piena e ti ci vorrebbe una pisciata.
Entri in quello delle donne, che è il primo che incontri sul tuo cammino, con
una manata violenta.
Tanto sei piccolo e hai i capelli sciolti, chi vuoi che se ne accorga che sei
maschio se non ti si dà un'occhiata attenta?
Ti chiudi a chiave nel primo cubicolo con la porta accostata. Ti accasci sulla
tazza, senza slacciarti neppure i pantaloni.
Non c'era tutta questa urgenza.
Posi la tempia contro la parete fresca.
Fosse per te lì ci passeresti tutta la giornata.
Il bagno, a proposito, è di un insopportabile rosa confetto.
Di quei colori leziosi che non possono far altro che evocare per brevi istanti
calde e rassicuranti immagini di contentezza, lasciandosi dietro persino
canzoni che parlano di felicità.
A te il rosa ricorda solo il colore del sedere tuo e di tuo fratello dopo una
sculacciata di zia Pinako. Sei lì che pensi alla stupida faccia di Alphonse
che si strofina da sopra i pantaloni e, tanto per cambiare, piange, gemendo
con aria comica che non potrà più sedersi, che le chiappe non gli torneranno
più come prima...
Poi un secondo dopo sei lì che piangi a dirotto.
Più tardi, quando proverai a dare un senso a tutto questo, giungerai alla
conclusione che per quei cinque minuti che sei stato rinchiuso lì dentro non
hai fatto altro che accucciarti su te stesso a lasciarti scivolare le lacrime
di dosso in silenzio. Nessuno t'ha sentito, neppure chi occupava il cubicolo
accanto al tuo. Sul momento, però, ti sembra un pianto così forte da far
tremare il cielo.
Non ci capisci più niente.
Ti gira tutto intorno e ad ogni scossone delle spalle ti sembra di stare per
vomitare quello che non hai mangiato in questi giorni.
Per fortuna sei già in bagno.
Ti senti un coglione.
Non sai nemmeno perché piangi.
Non certo per tutta quella merda buonista che ti stanno lanciando addosso da
giorni, a cui non hai mai creduto neppure quando eri tu a propinarla a tuo
fratello. E neppure ti sciogli in preda a sensi di colpa insopportabili al
ricordo di quella testa di cazzo del Colonnello che si prende un proiettile al
posto tuo perché eri troppo impegnato a disprezzare la divisa che ti aveva
costretto a indossare per quella missione. Un po' ti rode che tutta la
faccenda ti stia distogliendo dalla vostra ricerca, ma non è per quello che
piangi: al massimo ti incazzi e rompi a calci qualche porta che tanto
riparerai con l'alchimia quindi non è un problema.
In questo momento ti sembra di piangere per la stupidità umana del mondo.
In pratica piangi per tutto.
Che è come non piangere affatto.
*
Quando torni nella stanza
del Colonnello sei impeccabilmente stoico come non t'è mai sembrato di essere:
il Tenente si è saggiamente defilato lasciando lì i fiori, e i dolci per ogni
evenienza. Al e Breda hanno cominciato una partita a scacchi e Havoc s'è tutto
ringalluzzito, segno che evidentemente ha approfittato della tua assenza per
farsi una fumata di nascosto.
Belle guardie, complimenti.
Lo vedi sollevare una mano in segno di saluto, come se ti vedesse in quel
momento per la prima volta.
"Capo, quanto tempo!", trilla a voce decisamente più alta del sopportabile.
"Temevamo fossi caduto nella tazza."
"Cos'è, adesso mi cronometrate?"
Lui ride piano, scrollando la testa, di un sorriso forzato che non arriva
neppure a scuotergli le spalle, mentre tu fai qualche passo incerto in avanti.
La sedia al capezzale del Colonnello è vuota.
Ma non esiste proprio che ti metta lì.
Non lo fai neanche di notte.
Ti sdrai sul divano e chiudi gli occhi, nella vana speranza di riuscire a
prendere un po' di sonno prima che qualcuno ti rompa le palle con domande
idiote, o che ti inviti ad andare a casa a riposare.
Perché non puoi fare proprio niente.
Non capiscono che è per questo che rimani.
E a te non va nemmeno di spiegarlo.
Tanto non capirebbero.
Sei la persona che gli era più vicina.
E per qualche motivo a te ignoto le immagini più vivide che hai del Colonnello
non sono quelle della persona forte che continuano a descriverti, l'eroe che
ti ha fatto da scudo e ti ha salvato la vita, ma quelle di un coglione che si
è preso volutamente una pallottola in testa.
Dopo ci hai pensato tanto.
Non a quel momento, ma a com'era il Colonnello prima.
Alla sua faccia da schiaffi; al sorriso smargiasso che sembrava consumarlo
volta dopo volta; alle frasi poco accorte sui superiori che si lasciava
scappare di tanto in tanto; a quei bicchieri di liquore che si concedeva sul
lavoro, in modo così naturale che nessuno ci faceva caso. E hai avuto la
sgradevole sensazione che sulla traiettoria di quel proiettile ci si fosse
messo da un pezzo.
Non si salverà.
Pensi.
E sei furioso.
S'è arreso e ha usato me per farlo.
E i pugni ti tremano al punto da scuoterti tutto.
Magari sbagli.
Può non essere così.
Quando piangeva Al sragionava.
Sei suo fratello, in qualcosa dovete assomigliarvi.
Ma quest'idea non ti si riesce proprio a staccare di dosso.
Risuona fredda e metallica come l'acciaio dei tuoi Automail, e rimbomba tra
pareti bianche e disadorne come un tacito singulto.
FINE
Note di Fine Capitolo:
Mi
sono immaginata la reazione di Ed se per una serie di sfortunati eventi fosse
accaduto qualcosa al Taisa (la mia? Scene tragiche di disperazione per
mesi!!!!).Non mi sarebbe piaciuta l’idea di un Ed che si dispiace strappandosi
i capelli, nè mi piacerebbe che in seguito a una cosa così grave si rendesse
conto di amarlo (farebbe troppo Donna del Mistero). Ci sono certe situazioni
in cui non solo è lecito piangere ma ci si aspetta che tu lo faccia.
Cosa
odiosa a volte.
Me
lo vedo Ed a trovarsi infastidito da queste convenzioni.
Ma
non mi piaceva nemmeno l’idea che se ne fregasse del tutto, per ovvi motivi.
Per
cui sono giunta a una via di mezzo che ho trovato soddisfacente.
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