Preciso che la seconda parte di questa narrazione è l'ultimo, meraviglioso frutto della mia collaborazione con Arcadia.
A lei la più profonda gratitudine per avermi spronata e guidata a righe così "roventi", in un momento della mia esperienza letteraria in cui simili argomenti risultavano per me assai ardui da rendere adeguatamente.
Se l'apprezzerete, sarà in primo luogo a lei che dovranno andare le vostre lodi.

 

 

 


 

 

Infinito come il mare

 

Capitolo IX

 

di Katsushika

 

 

Solo la caccia fra le mille occupazioni possibili, offriva al capitano emozioni bastanti a non fargli rimpiangere il mare e fu con Jay che decise di condividere quel suo piacere, per la prima volta nella stagione di ferma.
Numerosi indigeni, esperti conoscitori della savana e degli animali che la popolavano e qualche marinai parimenti desideroso d’avventura, il Dottor Aubert per le emergenze ed il necessario per accamparsi, andarono a costituire una corposa carovana che lasciò Lamu all’approssimarsi dell’alba.
Avrebbero certo riportato pelli che conciate sarebbero divenute tappeti, gambali e grembiuli da lavoro, indispensabili nell’autarchica economia del villaggio, ma sopra questo, era il fremito dell’inseguire la preda, del vincerla. che lì come fra i flutti dell’oceano spingevano Mael all’azione.
Il giorno li aveva visti muoversi guardinghi e veloci, nelle vaste pianure, ed ottenere presto un ricco bottino di antilopi e gnu.
Preso dalla foga della caccia, con pochi masai, Jay ed il medico al seguito, il bretone si era spinto lontano, dove poche acacie punteggiavano il paesaggio, ed avanzava deciso verso uno sparuto gruppo di eleganti impala.
Adeguatamente controvento si era levato di poco sopra gli arbusti pronto a far fuoco, quando un profondo ruggito azzittì ogni altro suono all’intorno.
L’imponente sagoma di una snella leonessa era di fronte a loro, come sorta magicamente dall’oro chiaro delle erbe riarse, poche linee nere a delinearne il muso squadrato e gli occhi magnetici.
Quel suono si ripeté, più basso e minaccioso, nel rapido snudarsi delle temibili zanne.
Mael rispose, da par suo, predatore mai preda.
La detonazione immobilizzò l’animale che emise un ringhio sibilante, più per la frustrazione che gli causava l’inaspettata reazione dell’avversario, che per paura.
Quando pochi istanti dopo con uno scatto dell’enorme testa fissò nuovamente i suoi occhi gialli in quelli di Mael, tutti ebbero l’agghiacciante conferma che il colpo era andato a vuoto.
Con calma il capitano tentò di ricaricare, ma il meccanismo si era inesorabilmente bloccato. Il giovane ritentò più volte, in rapida sequenza, inutilmente.
Lasciò allora cadere il fucile, estrasse la sua inseparabile pistola e fece nuovamente fuoco.
Questa volta il proiettile andò a segno, ma il piombo capace di uccidere un uomo non riuscì ad aver ragione del grosso felino che, furioso, balzò per ghermirlo.
Un altro potente sparo centrò la leonessa in pieno petto schiantandola a terra.
Jay, imitando i furtivi movimenti che aveva visto compiere ai loro battitori masai, sfrecciando fra l’erba alta si era avvicinato a Meal e si era letteralmente gettato fra l’uomo e la belva, riuscendo nell’impossibile tentativo di colpirla.
Ora stava immobile ed ansante, ancora in parte disteso sul capitano, l’arma fumante stretta convulsamente fra le braccia, finché una selva di mani tese non rialzò entrambi.
Il subitaneo giubilo si acchetò presto e l’attenzione di tutti si spostò sul grande predatore ora riverso fra le sterpaglie.
Gli artigli che lunghi spuntavano dalle gigantesche zampe sembravano ancora pronti a squarciare le prede e così pure gli incisivi poderosi che si intravedevano fra le possenti fauci, che la morte aveva lasciato disserrate.
Il dottor Aubert, accennando ai masai, aveva estratto un grosso coltello con l’intento di fare della sua pelliccia un trofeo, quando Jay gli afferrò il polso e con forza lo allontanò dall’animale.
“Guardatela, era bella e forte, difendeva il suo regno! E noi non dovevamo essere qui, eravamo invasori.” Ed il suo sguardo intenso, quasi febbrile corse da uno all’altro dei componenti della spedizione.
Furono proprio gli alti indigeni nei loro mantelli rossi, i primi ad inchinarsi lievemente ed allontanarsi rispettosamente di alcuni passi. Gli altri li imitarono solo perché con un cenno del capo il capitano l’ordinò loro.
In silenzio tutti ripresero la marcia verso Lamu, ma dove la vegetazione prendeva ad infittirsi per la vicinanza al grande fiume, Mael dette a gran voce l’alt.
Ordinò agli uomini di precederlo al villaggio, schizzò con l’aiuto della giuda una sommaria mappa della zona e prese commiato.
“Andiamo al fiume.” Si era rivolto a Jay, che dopo l’attacco non aveva abbandonato il suo fianco.
Poi senza attendere la risposta che già aveva letto nel suo sguardo, aveva preso a chiedergli conto di quella sua reazione, del rispetto che aveva chiesto ed ottenuto per quel formidabile avversario che lui stesso aveva abbattuto.
I motteggi in spregio a molti dei precetti del cristianesimo erano all’ordine del giorno fra la ciurma, in special modo quelle rare volte che Meal permetteva loro di attingere alle preziose riserve di rum.
Ma aveva poi sorpreso molti di questi salmodiare come beghine, nell’infuriare di una tempesta o fra gli spasmi di dolore per qualche brutta ferita riportata in battaglia. Pendagli da forca senza Dio, si definivano, ma quando nient’altro sembrava poter correre in loro soccorso eccoli cercar rifugio nei riti e nelle superstizioni, come il popolino di cui erano figli.
L’ateismo del capitano era qualcosa di assai differente, frutto certo di riflessioni e dell’aver vissuto sotto tanti cieli, nell’aperto confrontarsi con uomini di culture totalmente diverse. Jay lo conosceva animato da sincera curiosità e pronto al rispetto per chi se ne rivelasse degno, quale che fossero nascita e nazionalità, e così in tutta semplicità, per la prima volta da che era al mondo, riferì a qualcuno gli ammonimenti di sua madre, i miti del suo popolo lontano che insegnavano il rispetto per il creato tutto, acque ed animali, tuoni e rocce.
Mael l’ascoltava attento, profondamente grato ad ogni passo, ad ogni parola che andavano disvelando il mistero del suo giovane compagno.

Da circa un'ora avevano visto allontanarsi lungo la pista serpeggiante, il piccolo manipolo di indigeni capeggiato dal dottor Aubert e dalla loro guida masai. Seguendo le indicazioni di quei fieri guerrieri si erano addentrati in quell'intrico di alberi e sterpi, armati solo delle loro carabine e di un'insaziabile curiosità.
A guidarli vi era certo la necessità di conoscere meglio le ampie pianure che si estendevano a ridosso della costa e del loro accampamento, di accertarne la ricchezza di acque e selvaggina, ma ora a muoverli era qualcosa di assai più irrazionale; quel mare verde, poteva certamente competere per fascino col blu dell'oceano che si erano lasciati alle spalle.
L'infittirsi della vegetazione era un chiaro segno dell'approssimarsi del fiume. Ancora alcuni colpi secchi con la sciabola per liberarsi dal viluppo di rampicanti ed eccoli giungere sull'alta riva del fiume Tana.
In quella stagione le acque trasparenti scorrevano lente nelle mille anse che la sua precedente potenza aveva scavato, in quella ricca terra rossa. Alberi possenti, che nessun botanico aveva ancora battezzato, aprivano ampi ombrelli di fronde sin sull'acqua, rendendo ancor più invitanti quelle placide piscine naturali.
Ben attenti ai mille fruscii che li circondavano i due scesero lentamente, sempre stingendo ben saldi i loro fucili.
Ma intorno non vi era che pace, gli stessi rumori, spesso inquietanti, della savana, sembravano smorzati da quel compatto muro vegetale. Tutto pareva sospeso, mentre le ombre del pomeriggio africano si allungavano lente su di loro.
Riarso da ore di marcia, sfibrato dal sovraccarico di adrenalina che la caccia in quelle lande sconosciute aveva innescato, Jay non seppe trattenersi, e dopo aver ancora percorso con lo sguardo attento entrambe le rive, fin dove possibile, prese a spogliarsi.
L'abbraccio dell'acqua fu una voluttuosa ricompensa alle fatiche del giorno.
Ad occhi chiusi vi rimase immerso per assaporarne la vivificante carezza, cullato dalla temperatura a dir poco perfetta, quasi che madre natura si fosse premurata di offrir loro il ristoro ideale. Più volte scivolò sotto il pelo dell'acqua, immemore degli occhi attenti che lo seguivano dalla riva.
All’improvviso, come se avesse riconosciuto un richiamo, in mezzo allo sciabordio che lo circondava, rapido, si rimise in piedi.
Un imperioso scatto della testa per liberarsi dai mille rivoli che ne scendevano e finalmente fissò il punto da cui era certo provenisse quella corrente d'energia. Guardò Maël come non l'aveva mai guardato, certo del fuoco che si stava accendendo nel corpo del capitano.
Mentre la luce che filtrava fra i rami, copriva la sua pelle bagnata di piccole pagliuzze dorate, semplicemente tese verso di lui il braccio, la mano aperta, in un invito.
"Vieni..."e davvero quella parola quasi sussurrata, era summa del desiderio rappreso, la più allettante delle promesse, la più insidiosa delle minacce.
Maël l'aveva osservato a lungo, dal momento in cui aveva risposto al richiamo dell'acqua. Aveva contemplato i capelli neri muoversi sotto la superficie come morbide onde scure, i contorni del corpo appena alterati dal placido scorrere del fiume e i caldi raggi del sole ormai in declino avevano giocato singolari scherzi alla sua vista, dandogli l'impressione di avere innanzi una di quelle divinità, le cui storie aveva sentito narrare nei suoi viaggi.
La mano protesa e la parola pronunciata, registrata dalla sua mente, più che sentita dalle sue orecchie, tale era stata la concentrazione con la quale l'aveva guardato, erano un richiamo incantato, una malia impossibile da contrastare. Un passo dopo l'altro, senza mai interrompere quella sorta di filo invisibile che univa i loro occhi, il giovane capitano si avvicinò alla riva e solo in quel momento abbandonò le armi, lasciandole cadere con delicatezza sul terreno soffice. E sembrò che l'ovattato tonfo del metallo a terra lo risvegliasse dal sogno, dato il lungo fremito che lo percorse, ma non lo fermò. Ormai la sua brama era accesa e non c'erano altri modi per spegnerla se non consumarla nell'oggetto di tale desiderio. Ma voleva essere consapevole, Maël voleva assaporare con gli occhi, con le mani e la bocca quella visione tra i flutti.
Allora lentamente si liberò dei vestiti e lasciò che l'altro continuasse a guardarlo, che osservasse la sua pelle chiara, appena ambrata dal sole e dal vento dell'oceano, solcata da lievi cicatrici. Alcune recenti e altre vecchie di anni. Sul fianco un simbolo nero, un tatuaggio dalle fattezze maori, che serpeggiava lungo la coscia muscolosa e si arrestava appena sopra il ginocchio. Un tracciato di segni cui era difficile dare un nome reale, impossibile riconoscervi un oggetto, animale o quant'altro.
Entrò in acqua, rabbrividendo per il contrasto con la sua pelle bruciante dall'eccitazione, e raggiunse colui che lo aveva chiamato a sé, fermandosi a poca distanza. Ora erano uguali. Minuscole gocce risplendevano come fini cristalli tra i capelli, l'epidermide rilucente dei riflessi rossastri del tramonto ormai prossimo. Una sospensione oltre il tempo, come se di fronte a loro anche Apollo avesse rallentato il procedere del suo carro.
Poi Maël chiuse il volto di Jay fra le mani, accarezzò quei tratti così belli, così intensi. Si impresse nella memoria la consistenza perfetta della pelle su cui scorrevano leggeri i polpastrelli e infine la sua bocca prese possesso di quella dell'altro, famelica perchè ora che aveva toccato il sogno e scoperto che era realtà, non poteva più attendere. La esplorò, se ne appropriò, facendo indietreggiare nel contempo il suo compagno, fino ad un tronco abbattuto da un fulmine, che ora giaceva morto nella curva del fiume. I rami immersi si dondolavano mollemente producendo un suono che ricordava un canto. Lo sospinse con le mani e con il corpo e si fermò solo quando lo ebbe bloccato tra sé e la corteccia umida.
Il contatto, la scoperta di quel corpo che infinite volte aveva popolato i suoi sogni più ardenti, e sin anco le sue fantasie diurne, provocò in Jay un chiaro senso di vertigine.
I muscoli potenti ed allungati che aveva visto guizzare sotto la pelle mentre Maël lo raggiungeva in acqua, li sentiva ora tendersi e vibrare nel loro abbraccio. Sin dalla prima volta, i  baci non erano bastati a saziare la sua brama, ma l'avevano semplicemente rinvigorita, affinché giunti a quel punto il fuoco si levasse più forte ad avvolgerli.
A guidare le sue mani a percorrere ed artigliare la carne di Maël, era un improcrastinabile desiderio di fondersi, di unirsi a quel corpo, che era oramai diventato per lui una vera ossessione.
Un convulso intrico di membra, perché neppure l'impalpabile velo dell'acqua si frapponesse più fra di loro ed un tronco a cui addossarsi, per meglio progredire in quell'arroventata lotta per il pieno possesso dell'altro.
Era qualcosa di totalmente inebriante. Maël lasciò che le proprie mani raggiungessero più pelle possibile, nulla doveva essergli sconosciuto di Jay. La sua corsa si arrestò sui glutei mentre la sua bocca scese a carpire il battito dall'arteria sul collo. No, nulla doveva essere lasciato inesplorato.
Assaltava il ragazzo come avrebbe fatto la Zephyr con un ricco bastimento e la cedevolezza, la bramosia che toccava, sentiva, recavano in sé un potere arcano.
Un frammento di legno perso nella scia della nave. Ecco quello che sentiva agitarsi dentro.
"Non sai quanto ho desiderato farlo." gli sussurrò all'orecchio prima di riappropriarsi delle sue labbra, aderendogli con maggiore forza.
Raziocinio, volontà e qualsivoglia remora eran stati combattuti e vinti. Ora ad imperare, sola, nella mente di Jay vi era una carnale cupidigia, una voglia sfrontata, quanto il turgore del suo membro, che pulsava e vibrava, fra i loro corpi serrati. Ed in quella confusione di carni, come in un perfetto rimando, percepire distintamente la marmorea consistenza del sesso di Maël, era consapevolezza bastante a far del suo sangue lava incandescente, inarrestabile ed inestinguibile.
Il tuono del cuore ad assordarlo, la necessità impellente di un contatto più profondo, a soddisfare un desiderio ora imperante, lo trascinavano lentamente in una deriva sensuale, nel cui stesso vortice, ne era certo, anche il suo compagno fluttuava e si protendeva per raggiungerlo.
Superare le barriere del corpo, fondersi e perdersi in lui e con lui, unione di carne, sangue, cuore ed anima. Un sigillo da apporre al perfetto incontro di due destini, da ora in poi indissolubili.
Infine il capitano si staccò da lui ansante ma solo per farlo voltare e poi le sue dita furono di nuovo sulla sua carne, sempre esigenti.
Maël gli avvolse il sesso gonfio mentre i suoi denti saggiavano la consistenza del collo, a volte lasciando una visibile traccia del loro passaggio. Piccoli marchi che lambivano la delicatezza delle spalle così come la mano agiva sicura sul membro.
L'altra mano afferrò il fianco quando si fece strada nel suo corpo. Lento e risoluto.
Godimento e dolore, in una perfetta frammistione, si irradiavano da quell'unione. Spasmi brucianti s'espandevano in Jay, a saturare ogni sua fibra, di una nuova, sconvolgente voluttà.
Accettare Maël, consegnarsi così pienamente al piacere che gli stava donando, suscitava la stessa sbalordita emozione di prendere il mare verso l'ignoto. Nessuna mappa , nessuna rotta, solo la pulsione ad andare oltre, sempre di più, fino a smarrire la vista del proprio punto di partenza, sino a smarrire se stessi, ottenebrati da travolgente euforia.
Ogni colpo inferto era un avvicinarsi al cielo, un grado in più sulla rotta.
Il capo reclinato sulla spalla dell'altro, Maël continuava a martellare il suo amante finché il piacere di entrambi non esplose, lasciandoli avvinghiati ed esausti contro il tronco caduto.
Il bretone ancora congiunto al giovane, desideroso di prolungare quell'unione.