Infinito come il mare

parte VII

di Katsushika

 


 

Come ogni mattina, Jay era chino sulle carte, totalmente assorbito dai complessi calcoli che  avrebbero permesso alla Zephir di mantenere la rotta. Come sempre gli ufficiali Gervais e Lecombe, insieme al marinaio scelto Ribeira avevano puntato i loro sestanti, dichiarando poi ad alta voce i risultati delle rispettive misurazioni. Constatatone la coincidenza Lecombe aveva annotato i dati e li aveva passati a Jay affinchè li verificasse sulla mappa e stabilisse le eventuali frazioni di grado di aggiustamento, per poter proseguire nella direzione prestabilita.
Se di una cosa era certo, era proprio delle sue capacità di navigatore, quella particolare commistione di nozioni acquisite e lungamente metabolizzate, corroborate dall’esperienza, unite ad una  sensibilità animale, un istinto che gli aveva sempre permesso di interpretare il cielo ed i venti, e gli infiniti ricami delle correnti. E da circa una settimana tutto quel congresso di capacità, gli ripeteva con sempre maggiore insistenza che qualcosa non andava. Così, appena concluso il suo compito, si decise a riesaminare i proprio appunti e la vecchia carta che gli era stata concessa al fine di potersi meglio esercitare.
L’ora del pranzo e le prime del pomeriggio scorsero via in un baleno e le ombre si stavano già allungando quando Jay riemerse da sotto coperta in cerca del capitano.
Lo trovò attorniato come sempre da alcuni ufficiali, il nostromo ed alcuni marinai, che attendevano di riferire l’adempimento delle incombenze assegnate.
Appena incrociò il suo sguardo e ne ebbe un segno d’assenso, gli si avvicinò, fino a potergli sussurrare all’orecchio la sua inquietante scoperta.
“C’è un problema con la rotta, capitano!” esordì, cercando di mantenere bassa la voce malgrado la concitazione.
“Allora chiedi a Lecombe di verificarla con te!” cercò di tagliare corto Mael.
“No! Non capite, la rotta è sbag…” ribatte Jay, questa volta quasi urlando, mentre senza accorgersi si era aggrappato alla manica dell’altro, alla ricerca di più attenzione. Solo il potente scossone con cui il capitano lo staccò da sé, per poi prendere a sua volta a strattonarlo gli impedì di terminare la frase.
Ma ormai tutti gli uomini presenti sulla tolda ed anche parte dei marinai intenti a lavorare sul ponte si erano volti nella loro direzione, come inconsciamente richiamati da quella drammatica rivelazione.
“Basta! A rapporto nella mia cabina, marinaio Jay!” tuonò Mael, con un tono abbastanza alto perché tutti udissero chiaramente quell’ordine, che poneva fine all’episodio; e a nessuno sfuggì l’appellativo usato del francese, che ribadiva come con quel momento di insubordinazione Jay avesse perso tutti i meriti ottenuti, mentre già i più invidiosi lo immaginavano in ceppi a scontare il proprio moto d’orgoglio.
 
L’uomo che entrò nella cabina del capitano, lo fece con lo stesso ribollente furore, con cui una belva ferita si volta ad attaccare il proprio aggressore.
Il volto di Mael era indurito e quasi contorto, nello sforzo di trattenersi, di impedirsi di attaccare fisicamente il proprio sottoposto.
“Tu, lurido traditore ingrato, che significa quella commedia sul ponte?” urlò in direzione di Jay, mentre con poche falcate attraversava la stanza e gli si parava di fronte.
“Che intenzioni hai? Vuoi la rovina di questa nave? La mia?” proseguì spintonandolo fino a bloccarlo fra se e la parete di legno scuro.
“Staresti già marcendo sul fondo dell’oceano, se non fosse per noi! E’ così che ci ripaghi?” e la sua voce si era abbassata, arrochendosi e caricandosi di tutto il disprezzo di cui era capace.
“Eppure le cose stanno così, capitano. Ed io avevo il dovere di avvertirla.” e Jay si rallegrò che la sua voce non tremasse, e che non lo stessero facendo neanche i suoi occhi, che fieri si erano alla fine alzati e fissati in quelli di Mael.
La calma innaturale che traspariva da quelle parole e dall’intero portamento del marinaio, in qualche modo contagiò l’inglese, che si scostò di poco, lasciandogli modo di proseguire.
“Per qualche motivo, la triangolazione iniziale era inesatta e se proseguiremo senza modificarla, ho calcolato che ci ritroveremo ben lontani da Lamu, quando la stagione delle grandi tempeste inizierà. Non potevo tacere.”
“Misurazioni inesatte, la nave fuori rotta! Stai quindi affermando che tutti noi ci siamo sbagliati? Io, Lacombe, Gervais e tutti gli altri?” gli sibilò in faccia il capitano, mentre una nuova ondata di indignazione lo invadeva e la sua mano artigliava ed iniziava a torcere i baveri della camicia dell’arrogante, impassibile asiatico che continuava a fronteggiarlo.
“E’ la verità, mio capitano. Datemi modo di mostrarvi la mappa ed i calcoli, poi deciderete della mia sorte.” ribadì, lentamente Jay, quasi in un sussurro, dato che ormai Mael gli era così appresso che poteva sentire il calore del suo respiro e del suo corpo. Continuando a fissare quel volto severo, impreziosito delle iridi di un colore quasi innaturale, vi potè in sequenza leggere la rabbia, ma anche la rapida riflessione, dettata dalla consapevolezza della situazione, che non gli permetteva di ignorare un’eventualità così grave, un così grande pericolo per tutti i suoi uomini. Ed alla fine mentre i muscoli di quella mascella volitiva lentamente si rilassavano, colse un lampo di curiosità , di ammirazione forse, nell’ultimo sguardo che il capitano gli scoccò prima di lasciare di scatto la presa ed allontanarsi.
Ma mentre la sua mente registrava tutte quelle informazioni dalle quali sarebbe dipeso il suo destino, il restante del suo essere, cuore e sensi, avevano preso una strada diversa. Una così tratta contiguità l’aveva come frastornato, lasciandolo abbagliato, impietrito ad ascoltare il rombo assordante del suo stesso cuore,  come il coniglio ipnotizzato dal cobra, conscio del pericolo ma incapace di sottrarvisi.  Scoprì con un certo sconcerto che desiderava quella vicinanza, che una parte di lui fremeva all’idea di annullare in un soffio la distanza da quel corpo muscoloso e vibrante, che desiderava veder ardere un fuoco ben diverso in quegli occhi verdi, un incendio che solo lui avrebbe saputo e potuto spegnere.
 
Un'altra prova, forse la più ardua, riuscire ad immergersi nella profonda concentrazione necessaria ad eseguire i propri calcoli sotto l'occhio attento del capitano, mentre questi, chino sulla stessa mappa, li ricalcolava a mente, per accertarsi della loro esattezza. Per fortuna di Jay, essi confermarono le sue infauste previsioni. A quel punto il francese, con aria grave, chiese di essere lasciato solo.
Ma il capitano Mael era persona atta al comando, capace di giudicare equamente e di risolversi a rapide decisioni, ed infatti, passata appena una mezz'ora, eccolo raggiungere con passo deciso la tolda di poppa. Raggiuntala, volse lo sguardo ad incrociare quello di Gervais, Lecombe e Ribeira, poi il nostromo, ed infine,  rivolgendosi all’intera ciurma, annunciò:
"Uomini, il tempo stringe e non ho intenzione di farci sorprendere da qualche vento che non rispetta le stagioni, o ancor peggio...da qualche fregata della marina inglese" e sorrise ironico, mentre scambiava cenni di intesa con i molti dell'equipaggio che assentivano.
"O francese!" "O spagnola!" proruppero alcuni dei più anziani, che più di altri si facevano vanto di aver le marinerie di tutto il vecchio continente alle calcagna.
Tacitata la generale ilarità con un secco gesto della mano, il loro capo riprese:
"Ho quindi deciso per una nuova rotta, che ci porti più rapidamente alla nostra Lamu!" poi, sovrastando con la propria voce il giubilo generale, dettò le nuove coordinate per il calcolo a Jay, che attendeva paziente, cercando di dissimulare il miscuglio di emozioni che l'agitavano.
"Ma capitano...già i precedenti calcoli…" esordì Lecombe, dopo aver ascoltati i veloci bisbigli dei suoi due collaboratori.
Due fiamme verdi lo raggelarono all'istante:
   " Davvero vai cercando una tempesta, marinaio? E' questo che vuoi? Dimmi, ne hai mai sperimentata una, in questo oceano?" e la voce di Mael era diventata un tuono che potente si abbatteva sul ponte e sugli astanti, tanto da rendere meno saldi i loro piedi.
"I venti salgono ed il mare con loro. Onde di 50, 60 piedi. Immani promontori d'acqua contro cui la nave rischia di frantumarsi, ogni volta. Poi vere e proprie cataratte si abbattono sul ponte, spazzandolo delle merci e degli uomini che vi si trovano, trascinando tutto in mare, persino il bompresso o l’albero di poppa, se il destino è avverso! Io lo so perché l’ho visto! Ho visto le porte dell’inferno aprirsi per poi risputarmi fuori.”
“A nessuno l’augurerei, neanche a chi potrà vantarsi un giorno d’avermi messo la corda al collo; nemmeno al mio peggior nemico.”
“Si è inermi, ammassati sottocoperta ad aspettare e sperare. Come i topi che senti squittire nelle stive, che il crescente terrore porta alla follia, a dilaniarsi fra di loro, in cerca di una via di fuga.” Ed ormai lo sguardo del capitano aveva trapassato l’inopportuno ufficiale per fissarsi sugli scenari spaventosi che le sue parole stavano evocando. E ciò che più agghiacciava il suo equipaggio era percepire chiaramente la paura, che quei ricordi risvegliavano nel più impavido fra tutti, l’avventuriero senza incertezze nè timori, nelle cui mani avevano posto le loro vite.
   Immerse nel più perfetto silenzio,  nell’assoluta immobilità, le solide figure disseminate sul ponte parevano essersi rattrappite sotto il flusso delle parole.
   “Io sono il vostro capitano e non posso permettere che questo accada! In quanto a lei, monsieur Lecombe, le suggerisco di rimandare ad un colloquio privato, nella mia cabina, l’esame dei problemi inerenti le misurazioni nautiche!” e tutti già prevedevano una nuova, infima collocazione per lo sfortunato, probabilmente preceduta da un consistente, pubblico saggio dell’efficace frusta del nostromo.
Ad un suo cenno, Jay proclamò a gran voce i gradi della nuova rotta, alla sua voce fece eco quella del timoniere e poi quelle degli ufficiali, che disponevano per il cambio del velaggio.
   Come se davvero una tempesta si fosse allontanata, cedendo il posto all’arcobaleno, l’intera nave prese nuova vita.
Mentre fianco a fianco sulla tolda, con lo sguardo seguivano le veloci manovre, la mano di Mael si posò decisa sulla spalla di Jay e vi restò per un tempo che entrambi percepirono lunghissimo. Quel gesto, più di qualsiasi parola, fu la perfetta espressione di stima, gratitudine, rispetto, di un nuovo legame che la gravosa decisione condivisa aveva creato fra loro, gettando le basi di un comune destino.
 
I turni furono accorciati, perchè assai più pesante divenne il lavoro di tutti. Gli sforzi di ognuno avevano come unico fine di ottenere la massima velocità, tutti i possibili accorgimenti furono adottati pur di sfruttare anche il più esile refolo di vento.
Le vele costantemente gonfie, facevano scricchiolare cordame e legno, l’intero scafo quasi vibrava nello sforzo di reggere la forte andatura ed il Capitano si stupì quasi per i nodi che il suo vascello dimostrava di tenere.
La Zephyr prese a correre sul mare, quasi a volare, leggera ed incorporea come il suo nome, quasi che avesse alle costole il più temibile dei nemici.
E così era. Non le bocche da fuoco di qualche esercito temeva il suo equipaggio, ma lo spettro atterrente della morte in mare, che il sinistro racconto dell’inglese aveva evocato.
 
Come ogni giorno, dopo il consulto del primo pomeriggio con gli ufficiali, Mael si attardava in coperta, incurante del sole allo zenith, che inondava  il ponte quasi deserto e lo riempiva del baluginio degli ottoni, da poco lucidati.
“Per noi si annuncia la stagione degli ozi ed io, invece, già progetto nuove imprese” esordì, con una forte vena d’autoironia nella voce.
“Già! Tutti bramano di riabbracciare al più presto le donne, i bambini ed i vecchi compagni” assentì Jay, felice di essere messo a parte dei suoi pensieri.
“Ad attendere il sottoscritto, però, ci saranno solo le beghe da cortile fra quelle comari dalle  cento razze, da dirimere…le mandrie da contare ed accrescere, le difese da rafforzare, tutto fuorché il riposo! Oltre che capitano in mare, da subito, per scelta non mia, sono diventato capomastro e giudice nella nostra Lamu. Sono stato acclamato tale, come potevo sottrarmi…ma veniamo ai miei progetti: ciò che desidero davvero è pressare quei maledetti inglesi sin nei loro porti! E così anche i portoghesi, se mi riesce! Spingerci più ad est, fino al Mar delle Andamane e oltre ancora!” proseguì il giovane inglese con un’esaltazione crescente, uno sfavillio negli occhi simile a quello di un segugio in caccia.
“Tu conosci quei luoghi, quelle genti? Ne parli le lingue? Te ne ho sentite usare differenti  con chi fra i miei uomini ha percorso quelle rotte”.
“Sì è vero ne conosco alcune, ma non ho desiderio di rivedere quelle coste, dal memento che è stato il governatore di Hong Kong a stabilire la mia condanna e a predisporre a Londra un patibolo che non ho mai raggiunto.”e Jay subito si rammaricò della debolezza dimostrata, perché il suo tono era apparso certo accorato al suo superiore.
“Da tempo ti osservo Jay ed in te non ho visto che lealtà e coraggio. Un’innata nobiltà d’animo ispira le tue azioni, tratti i tuoi sottoposti con giustizia, che lo meritino o meno. Per cui spesso mi sono chiesto come sia possibile che tu ti sia meritato un tale castigo.”
“Non è a torto che sono stato condannato, mio capitano, perché invero mi sono macchiato del sangue altrui.”
“Questa è la regola di ogni battaglia: perire o uccidere. Ognuno difende se stesso, i propri affetti, i propri beni, la nave, la patria. Ma se lo scontro è equo, ciò non fa di ogni soldato un assassino!”
“Ma io lo sono, credetemi! La mia vittima è morta fra le consunte cortine di un’alcova da bordello, pugnalato a tradimento, lontano dalle armi per proteggersi!” ed il dolore che impregnava la voce di Jay non era rammarico per quella vita spenta, ma per l’alta idea di se stesso che stava uccidendo nell’animo di Mael.
“E’ stata una vendetta? Per una donna?” l’incalzò il capitano, desideroso quanto lui di giustificazioni.
“Per un amico, l’unico!” tagliò corto Jay, il tono nuovamente fermo.“Per invidia, un nobile reietto gli scatenò contro dei sicari. Era un leone e come tale combatté, ma finì per soccombere al numero. Io ero lontano, quando più lui era nel pericolo, e l’unica cosa che mi rimase fu onorare almeno la sua memoria!” e nel ricordare l’ingiusta tragedia che aveva cambiato il corso della sua vita, Jay sentì nuovamente il sangue ribollire di rabbia ed indignazione.
“Non è degno di chiamarsi uomo, che manda altri a regolare i propri conti!” gli fece eco Mael, partecipe di tanto sdegno.
 “Certo è, che questa mia carcassa ha ora un certo valore fra i miei compatrioti. L’uomo che ho ucciso era figlio di un Pari del Regno e certamente suo padre pagherebbe per avermi  in Inghilterra, vivo e alla sua mercé!” concluse Jay, con una stanca risata.
Di norma, neanche sotto la minaccia di un’arma avrebbe rivelato a chicchessia il suo passato, ma condividere quei dolorosi brandelli della propria esistenza con il giovane pirata fu un moto insospettabile, che lo lasciò non poco sollevato.
“Tanti e gravi eventi hanno portato tutti noi su questa nave, ma ora finalmente siamo liberi.  Senza più obblighi dovuti al censo o al blasone, sciolti da ogni legame familiare o patriottico, siamo adesso i veri ed unici responsabili ed artefici del nostro futuro. Pochi uomini che vivono nella legge delle ingrate terre di Re Giorgio*,  possono dire altrettanto! E per questa libertà continuo ad esser pronto a rischiare l’osso del collo!” e Mael accompagnò questa affermazione con l’eloquente gesto di stringere un nodo scorsoio. 
 
 
 
* re Giorgio III che regnò dal 1760 al 1820, casato di Hannover, nipote di Giorgio II,  prima re di Gran Bretagna, poi dal 1801 con l’Atto di unione, re del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda