Incubo 

parte XV

di Alessia


Si sentiva da schifo.
Tremava e nonostante avesse addosso tre strati di coperte continuava ad avere freddo. Cercava di rannicchiarsi di più in sé stesso, ascoltando i rumori della sua casa.

L'orologio che scandiva i secondi, il rubinetto del bagno che gocciolava e non si era ancora deciso a riparare, il vento che entrava dallo spiraglio di una finestra aperta e produceva un sinistro sibilo.

Allungò una mano e bevve un lungo sorso di tea bollente che si era preparato, poi prese una foto di Rukawa che teneva in un cassetto della scrivania e se la portò sotto le coperte, all'altezza del cuore.

Aveva scattato quella foto un pomeriggio, durante un momento di pausa dei suoi allenamenti supplementari nel campo che frequentava vicino casa.
Stava bevendo da una bottiglia, la testa reclinata all'indietro, gli occhi socchiusi mentre con una mano si tirava indietro i capelli mostrando quella pelle bianca come il latte lucida di sudore.

Si era sentito a disagio, quasi fosse un maniaco ossessivo persecutore in quei momenti, ma non aveva potuto fare nulla per impedirselo. In fondo lui voleva solo una foto del suo amore da poter ammirare.
Non era chiedere troppo, no?

La tirò fuori da sotto le coperte e la osservò alla luce soffusa del Sole dell'alba che entrava nella sua stanza attraverso le tende.
Tracciò con un dito i contorni del suo viso, cercando di trovare un modo per liberarlo dalla trappola di Seiji.

Corrugò le sopracciglia.
Era tutto inutile.
Nonostante fosse un genio non riusciva a pensare a qualcosa di utile. Non con quel mal di testa martellante che lo stava uccidendo.

Riposando la foto sul cuore si girò su un fianco, cercando di addormentarsi, ed era sicuro che al risveglio avrebbe subito trovato la soluzione a tutti i suoi problemi.



Stava così bene.
Non aveva voglia di alzarsi, di svegliarsi.
Ma la voglia di rivederlo fu più forte della sua voglia di dormire e così, aprendo gli occhi, trovò l'altro già sveglio che lo fissava.
Si sorrisero a vicenda e sentì una mano di Seiji che gli accarezzava il viso.
"Da quant'è che sei sveglio a fissarmi con quell'aria beota?"

Socchiuse gli occhi pensieroso, facendo scivolare una mano lungo il collo, sino a sfiorare con le dita la pelle nell'incavo alla base di esso "Non lo so... è difficile pensare al tempo quando hai accanto a te la creatura più angelica dell'Universo" e si abbassò a sfiorargli le labbra in un casto bacio.

"Sei sdolcinato, lo sai, vero?"
"E tu odioso. Uno ti fa un complimento e tu neanche lo ringrazi"

Sorrise e gli posò una mano dietro la nuca, avvicinandolo al suo viso. Gli carezzò le labbra con le proprie, ritraendosi non appena sentiva l'altro chiedere di più; continuando questo tira e molla sino a quando non capì di averlo stancato e allora, avvicinandosi di più al suo corpo, si avventò sulle sue labbra, mordendone quello inferiore per poter accedere a quella morbida bocca, sfiorare la sua lingua con la propria, e si decise a porre fine a quel bacio solo quando entrambi dovettero riprendere quella noiosa operazione chiamata respirazione.
"Grazie..." sussurrò sorridendo.



Prese la chiave inglese e sospirando se la sbatté contro il palmo della mano.
Si sdraiò sotto il lavandino e iniziò a girare i bulloni.

Non era riuscito ad addormentarsi nonostante la stanchezza che si sentiva addosso, così aveva deciso di alzarsi e riparare quello stra maledettissimo rubinetto.

Chissà cosa faceva la sua kitsune?
Si sentiva un verme ricordando ciò che aveva pensato del suo amore.
Solo una squallida puttana...

Aveva ragione la kitsune a chiamarlo do'hao!
Kaede glielo aveva detto che il sesso gli piaceva e lui, per il momento, ancora non poteva impedirgli di andare a letto con chiunque volesse.
Però... gli faceva male comunque, specialmente quando ripensava a certi momenti del suo sogno.

Dell'acqua gli bagnò la giacca del pigiama e solo allora si rese conto di aver stretto talmente il bullone sino a spianarlo.
Imprecando cercò di rimediare al disastro che stava per combinare e smise di pensare al suo amore per almeno dieci minuti.



"Arriva l'aeroplano... aprire i boccaporti..."

Rukawa lo fissò con occhi sgranati, tenendo le labbra ostinatamente serrate.
Quando lo vide poggiare la forchetta parlò: "Ma sei del tutto impazzito?!"
Neanche sua madre, quand'era piccolo, lo trattava così! O almeno lo sperava per la sua incolumità!

"Perché?" poggiò il viso, inclinandolo, su una mano "Sei così carino appena sveglio. Hai quell'aria assonnata assolutamente adorabile che fa venir voglia di coccolarti come si fa con gli orsacchiotti"

Scese dallo sgabello e presi i loro piatti li posò su un ripiano della cucina.
"Chiudi gli occhi" un sussurro lontano.

Seiji obbedì posando le mani sul bordo del sedile dello sgabello con espressione serena.
Sentì il frigorifero aprirsi e richiudersi. Corrugò le sopracciglia chiedendosi cosa mai Kaede volesse fare.

Le sue mani che s'intrufolavano sotto la maglietta, alzandola sino a sfilargliela.
"Prova ad aprire gli occhi e te ne farò pentire" un bisbiglio nell'orecchio mentre un gemito di dolore uscì dalle sue labbra quando sentì le unghie dell'altro graffiargli una spalla.
Un sibilo... ma non riusciva a capirne la natura.
"Apri la bocca"

Sulla sua lingua si posò un piccolo ciuffo di panna montata e richiuse le labbra intorno a quel dito, costringendosi a tenere gli occhi chiusi nonostante tutto il suo essere implorasse per perdersi nello sguardo dell'altro.
Sorrise osservando com'era bello con quell'espressione colma di attesa. Agitando la bomboletta osservò il corpo di Seiji per decidere da dove partire.

Mordicchiandosi l'angolo destro del labbro inferiore iniziò a disegnare morbide linee di panna sul corpo dell'altro, soffermandosi sui capezzoli e l'ombelico dove creò ciuffi degni del miglior pasticcere di tutto il Giappone.
Ammirando il suo lavoro decise che mancava un piccolo particolare, e così disegnò l'ideogramma del proprio nome alla base del collo.

Incrociò le braccia sul petto e studiò la sua opera d'arte.
Sembrava candida panna montata posata su una dorata mille foglie. 
Osservava il petto dell'altro alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro accelerato, la schiena piegata indietro sul bancone della cucina.

Poggiò le proprie mani sul ripiano di marmo, circondandolo e facendo ben attenzione a non sporcarsi si allungò sino a sfiorargli le labbra con le sue, per poi scendere lentamente a leccare via tutta la panna.
Lentamente, godendosi i sospiri, i tremiti del corpo dell'altro. Si avvicinò al primo capezzolo prendendo con le labbra solo la panna.

"Ka... Kaede..."
"Shhh..." gli posò un dito sulle labbra per non farlo più parlare, ma non poté impedirgli di gemere quando la sua bocca si avventò su quel capezzolo agognante il suo tocco.
E lui lo accontentò, continuando a succhiare, leccare, mordere sino a quando non si stancò e decise di tornare a seguire le rotte del piacere che lui aveva tracciato.

In pochi minuti la panna finì e lui si ritrovò a continuare a leccare e succhiare quella pelle glabra, sino a fermarsi al limitare dei jeans.
Lanciò uno sguardo verso l'alto e vide gli occhi di Seiji stretti con forza, le labbra martoriate dai denti.
Posò una mano sul suo inguine e un piccolo urlo di dolore e piacere insieme risuonò per la cucina.
Muoveva lentamente la mano sopra la stoffa, sentendo il membro dell'altro duro.

"Ti prego..."
"Fa silenzio..." mormorò sulle sue labbra prima di rapirle in un bacio violento.
A fatica si staccò da lui e dopo un'ultima occhiata a quel corpo pronto a soddisfare ogni suo capriccio si allontanò sino ad arrivare alla porta della stanza.

"Ka... Kaede..?"
Non sentiva più la sua mano, le sue labbra, il suo respiro...
Socchiuse lentamente un occhio e lo vide sulla soglia della porta che lo fissava divertito.

"Ricordi la notte che abbiamo trascorso insieme in quell'albergo ad ore?"
Annuì cercando d'impedirsi di non arrossire. Non aveva mai fatto cose di quel genere.

"Nessuno mi aveva mai trattato in quel modo ed io mi ero ripromesso di vendicarmi" gli lanciò uno sguardo amorevolmente sadico "Bene, l'ho appena fatto!" e ridendo corse al piano di sopra, chiudendo a chiave la porta alle proprie spalle, pochi istanti prima di sentire Seiji scapicollarsi per le scale e bussare furiosamente alla porta.
E lui non poté fare a meno di ridere sino alle lacrime.



Barcollava, le poche persone che lo incontravano lo scansavano.
Il Sole era alto nel cielo, l'aria era piacevolmente tiepida, eppure lui aveva addosso una felpa pesante.
Aveva freddo. Faceva freddo dentro di lui.

Si era vestito ed uscito senza sapere dove andare o cosa fare. Aveva voluto semplicemente andarsene da quella casa, fuggire da quelle quattro mura opprimenti.

Sarebbe potuto andare da Yohei, ma non voleva che il suo migliore amico lo vedesse in quelle condizioni. Ridotto in quello stato da un amore non corrisposto.
Per il momento! si corresse dentro di sé.

Si strinse le braccia intorno al corpo, alzando lo sguardo vide il campo dove si allenava il suo amore occupato. Si avvicinò con la speranza che fosse lui, ma quando fu a bordo campo capì d'essersi sbagliato, quello era solo un ragazzino qualunque che si stava allenando.

Perché doveva stare così male?
Lui voleva solo la possibilità di essere amato dalla persona cui avrebbe dato anche la propria vita se solo lei gliela avesse chiesta.



Seduto sulla scarpiera osservava il suo ragazzo che seduto sullo scalino si stava mettendo le scarpe.
"Perché vuoi andartene?" il tono di un bambino piagnucoloso e viziato.

"Perché un musicista ha bisogno di esercitarsi tutti i giorni e qui non posso farlo" si alzò in piedi e gli si avvicinò poggiando le mani ai lati del suo corpo "E poi tu potresti approfittarne per allenarti un po', no?"
Rukawa alzò un sopracciglio guardandolo con una strana espressione "Beh? Sei ancora qui?"

Seiji lo guardò stupito per alcuni istanti, poi sorrise e scosse la testa.
"Tieni" gli mise in mano un mazzo di chiavi "Ti aspetto a casa mia per cena, ok? E non dimenticartene!" gli sfiorò le labbra con le proprie ed uscì di casa avviandosi verso la stazione.

Rukawa, dopo aver recuperato il pallone in camera sua, uscì in giardino dove iniziò ad allenarsi nei tiri da tre osservato da Maya sdraiata sul prato.



Parcheggiò la moto in garage ed entrò in casa, accolto dal miagolio insistente dei suoi tre gatti.
"Ho capito, ho capito..." prese le loro ciotole riempiendole di bocconcini al pollo e croccantini, cambiando loro l'acqua "Va meglio adesso, vero?" li accarezzo mentre mangiavano avidamente "Scusate se non sono tornato, ma ho avuto da fare" sorrise al ricordo di ciò che avevano fatto, ma soprattutto... aprì lo sportello di un mobile e controllò che ci fosse ciò che gli serviva.
Avrebbe fatto pentire Kaede del suo scherzetto di quella mattina.



Si poggiò contro il muro, respirando affannosamente, imprecando contro la strada che ondeggiava.
Dov'era?
Si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse, aveva camminato per tutto quel tempo senza badare a dove stesse andando.

Asciugandosi il sudore dalla fronte si tolse il maglione, legandoselo in vita. Faceva un caldo insopportabile, sembrava di essere nel deserto del Sahara. Se avesse potuto si sarebbe tolto anche la maglietta a maniche lunghe, ma non poteva se non voleva essere arrestato per oltraggio al pubblico pudore, quindi si rassegnò a soffrire il calco e continuando a poggiarsi con una mano contro il muro riprese a camminare, cercando un qualsiasi punto d'orientamento che lo aiutasse a capire dove si trovasse e a tornare a casa.



L'anta del frigorifero sbatté e le bottiglie di vetro al suo interno tintinnarono fra di loro.
Bevve dalla bottiglia sino a svuotarla, per poi buttarla nel secchio. Aveva fame, ma si obbligò a non mangiare nulla. Avrebbe aspettato di arrivare a casa di Seiji.
"Che ne dici? Andiamo a farci una doccia?" sorrise al suo cane e si avviò su per le scale seguito da Maya.



Stava esercitandosi sugli ultimi passaggi - i più ostici - della sinfonia che avrebbe dovuto suonare al concerto finale della scuola.
Sbagliò per l'ennesima volta.
Perché cavolo non ci riusciva?

Sospirando poggiò per un momento il violoncello e sorseggiò il tea freddo dal suo bicchiere, tentando di rilassarsi.
In fondo aveva ancora un paio di mesi per esercitarsi.

Sempre che prima non gli venisse un esaurimento nervoso e gettasse il violoncello in un rogo! Riprese il proprio strumento in mano e ricominciò a suonare per pochi minuti prima di sentire il campanello suonare.

Borbottando qualcosa riguardo la totale distrazione di Kaede per qualsiasi cosa non fosse il basket si alzò per andargli ad aprire.



Se quel Sole gli avesse anche solo osato sfiorare la pelle giurò che gli avrebbe fatto causa. Ci teneva che la sua pelle bianco latte restasse di quel colore.

Ridacchiando fra sé pensò all'espressione torva che gli avrebbe rivolto Seiji notando il suo abbigliamento.
La camicia di seta bordeaux era abbottonata solo per tre quarti, i polsini lasciati aperti e i pantaloni neri lucidi invece di avere una normale chiusura era al contrario formata da un contorto intreccio di lacci. Lui stesso ci aveva messo quasi mezz'ora per chiuderli.
Giusto per mettere la ciliegina sulla torta della sua vendetta. E se avesse dovuto soffrire un po' anche lui... pazienza.

Incrociò un gruppetto di ragazze che non appena lo superarono iniziarono a emettere sospiri estatici e urletti isterici.
Una volta questo genere di reazione lo avrebbe reso orgoglioso - più di quanto già non fosse da solo - ora invece non lo interessava più per il semplice motivo che aveva trovato l'unica persona al mondo a cui voleva piacere sul serio.
Sorridendo tra sé e sé, si aggiustò gli occhiali da sole sul naso e si mise a studiare il mazzo di chiavi cercando di capire quale fosse quella che apriva la porta di casa di Seiji.



Le aspirine si stavano sciogliendo nell'acqua col loro caratteristico rumore.
Girava il cucchiaino lentamente, osservando le pasticche diminuire il proprio volume sin quasi a scomparire.
Bevve lentamente, cercando di non pensare al proprio mal di testa.

"Grazie" sorrise al ragazzo seduto di fronte a lui, poi si alzò e andò alla finestra, le prime stelle stava iniziando a brillare nel cielo.
Strinse le mani sul davanzale, cercando di controllarsi e di non perdere il controllo.

"Credevo che tu mi amassi..." un'affermazione semplice, banale, scontata "...invece mi hai sempre mentito, non è vero?" non osò guardarlo, perché se lo avesse fatto allora non avrebbe più risposto delle sue azioni "Se tu mi avessi amato sul serio non avresti mai tentato di portarmi via la persona che amo per vendicarti... ti saresti augurato la mia felicita, che il mio sogno si avverasse..."

"Hanamichi, io..." inutile tentativo di blandirlo.
"Sta zitto!" gli lanciò contro il bicchiere che aveva usato poco prima, colpendolo ad uno zigomo.
Il respiro affannato, cercava di controllare il battito impazzito del proprio cuore.

"Io volevo solo una cosa" si inginocchiò al suo fianco "Volevo che Kaede mi amasse, perché tu hai dovuto rovinare tutto?" tono implorante, poi si alzò e gli si portò davanti, fissandolo negli occhi "Io ho fatto un sogno... un sogno in cui tu, per vendicarti del fatto che Kaede mi aveva portato via da te, lo uccidevi. Però volevi anche riconquistarmi e per farlo avevi deciso di mangiarlo perché così credevi di diventare lui e che quindi avresti potuto riavermi" si allontanò, cercando qualcosa da mangiare in frigorifero.
"So che era solo un sogno, ma... pensi sia fattibile?" lo chiese con non curanza mentre stava tagliando a spicchi una mela.

"Hanamichi, ascoltami... io non ho mai voluto vendicarmi. E' stato un caso, ci siamo incontrati una sera e abbiamo iniziato ad uscire, ma nessuno dei due voleva ferirti o innamorarsi dell'altro..."

"Rukawa non ti ama!" un'esclamazione piena di rabbia, il coltello conficcato nel tagliere di legno "Lui ama me! Solo e soltanto me! Semplicemente... non lo ha ancora capito..." una sola lacrima gli rigò il volto.
"Sii onesto..." lo fissò con occhi lucidi "...lo ami sul serio?" domanda posta col sorriso, un sorriso sincero.

Cosa doveva rispondere?
Qualunque cosa gli avesse detto era sicuro che la risposta non gli sarebbe piaciuta. 
Lanciò uno sguardo preoccupato all'orologio, tra poco meno di un quarto d'ora Rukawa sarebbe arrivato e lui non poteva fare nulla per avvertirlo.

Quando aveva aperto la porta si era ritrovato davanti un Hanamichi infuriato. Lo aveva colpito con un unico pugno allo stomaco e lui era caduto lungo disteso. Possedeva molte qualità, ma la forza bruta non era di sicuro da annoverare fra di esse.
Lo aveva trascinato in cucina e qui, con dello spago, legato ad una sedia.

"Rispondi!"
La voce di Sakuragi lo riportò alla realtà e decise che se proprio doveva morire lo avrebbe fatto dicendo la verità.
"Sì, lo amo"

Gli occhi di Hanamichi si fecero liquidi "E me? Hai mai amato me?"
Annuì "Per un certo periodo di tempo. Sì, ti ho amato. Ma più tardi all'amore è subentrato il timore"

Sakuragi alzò la testa di scatto, guardandolo negli occhi "Ti... timore? Tu... tu avevi paura di me?" era incredulo "Ma... perché?"

Seiji pensò se rivelargli tutto o meno, in fondo non sarebbero di certo state le sue parole a farlo dissuadere dai suoi intenti, però... 
"Perché tu sei malato, e la cosa peggiore è che non te ne accorgi neanche. Ciò che tu fai... i gesti che dimostrano il tuo amore sono tali solo per te, agli occhi di chi ti circonda le tue azioni sono solo quelle di un pazzo ossessionato"

"Se la pensi così..." continuava a sminuzzare la mela in tanti piccoli pezzettini "...allora perché sei rimasto con me per due anni? Perché non mi hai denunciato?"

Perché si comportava così?
Avrebbe dovuto urlare, forse addirittura punirlo per ciò che aveva detto. Invece... sembrava quasi che si aspettasse parole di quel tipo, come se... come se sapesse anche lui di essere malato.
"Perché ingenuamente speravo che la mia vicinanza, il mio affetto per te potessero aiutarti a guarire; ma ora so che a te servono dei dottori, perché la tua malattia può essere curata solo da specialisti"

"Io non sono malato!" la mano sbattuta con violenza sul ripiano del tavolo "Io ho solo bisogno di Kaede e del suo amore"

"E dopo?" oramai aveva preso coraggio "Cosa farai quando non ne sarai più innamorato? Lo lascerai e ricomincerai la tua persecuzione su qualcun altro?!"
Hanamichi stava per replicare quando sentirono la porta dell'ingresso aprirsi per poi richiudersi dopo pochi istanti.
Le scarpe che venivano tolte e poi passi che si avvicinavano.

"Seiji? Non avevi detto che avresti cucinato..."
Si bloccò sulla soglia della porta, registrando la scena che si presentava davanti ai suoi occhi: Sakuragi rosso - probabilmente di rabbia - in piedi in mezzo alla stanza, Seiji seduto - le mani quasi certamente legate dietro la schiena - lo zigomo destro livido e gonfio.
"Scusate... se volete ripasso più tardi..." un sopracciglio alzato e un'espressione granitica.

Se fosse stato fisicamente possibile le loro mascelle sarebbero cadute a terra.
"Ki... kitsune! Che ci fai qui?!" la voce più alta di un'ottava.
Lui non doveva essere qui!!

"Non sono affari che ti riguardino, Sakuragi" rimase sulla soglia della porta senza mai mostrare l'ombra di un'espressione "Tu, invece? Ora ti diverti ad andare in giro per le case a legare la gente?"

"Perchéé?!?" si avventò su di lui con rabbia, afferrandolo per le spalle e spingendolo contro il muro "Perché ti comporti così? Non capisci che noi ci amiamo, che siamo fatti per stare insieme?"
Perché non lo voleva capire?

"Toglimi le mani di dosso..." un sibilo tagliente, ma Sakuragi non si mosse, continuando a guardarlo negli occhi aspettando una risposta.

Seiji intanto cercava di liberarsi, ma i nodi erano troppo stretti.
"Hanamichi, smettila! Così non lo potrai mai conquistare!" un discorso simile era l'unico che forse l'avrebbe fatto desistere, seppur momentaneamente.

"Sta zitto, Iwamoto! So io come comportarmi con la mia kitsune" lo guardò implorante "Allora, Kaede? Lo senti anche tu, non è vero? La sensazione di felicità che ti accompagna per tutta la giornata, il cuore che batte un po' più veloce quando sei con me, la voglia di stare abbracciati tutta la notte sino all'alba per iniziare una nuova giornata accanto all'unica persona che potrà mai renderti felice. Quella persona sono io, ma tu lo sai già, solo che non lo vuoi ammettere..." terminò in un sussurro e un tremulo sorriso sulle labbra.

L'espressione di Rukawa si sciolse.
I suoi occhi divennero dolci e il suo sorriso aperto e pieno di fiducia "Hanamichi..." avvicinò la testa alla spalla dell'altro, facendogli capire di volersi poggiare a lui e Sakuragi allentò la stretta, circondandogli poi le spalle con le braccia "Hanamichi... in tutto questo tempo... è questo ciò che provavi per me?" la voce un morbido sussurro, alzò una mano per sfiorargli una guancia senza guardarlo, continuando a tenere gli occhi chiusi.

"E' ciò che io proverò per sempre, Kaede. Io ti amo"

Rukawa alzò il volto, continuando a sorridergli come solo una persona innamorata sa fare, avvicinandosi per sfiorargli le labbra con le proprie, poi si allontanò di poco in modo tale da poterlo guardare negli occhi.
"Sai... io..."

Il pugno lo raggiunse allo stomaco, per il dolore e la sorpresa si piegò e in questo modo la ginocchiata che lo colpì in viso gli ruppe il naso. In ginocchio, un calcio allo stomaco lo fece cadere del tutto a terra, senza forze.
Sentiva un ginocchio dell'altro piantatogli fra le scapole, il peso che con forza lo schiacciava al pavimento.

"...io non provo nulla per te, tranne un totale schifo e ribrezzo" gli afferrò la testa, facendogliela sbattere a terra e Sakuragi svenne.

Si rialzò e si precipitò da Seiji, sciogliendo i nodi e prendendogli il viso fra le mani "Stai bene? Cosa ti ha fatto..?"
Seiji gli posò due dita sulle labbra "Sto bene, non preoccuparti. Ora..." volse lo sguardo su Hanamichi "..ora dobbiamo occuparci di lui"



Nessuno era sceso in strada, sarebbe stato molto maleducato, ma più o meno tutti i vicini stavano sbirciando dalle finestre, nascosti dalle tende.

Le luci blu accecanti che illuminavano quasi a giorno la strada, uomini che parlavano alla radio, la porta della casa spalancata, due ragazzi - l'uno vicino all'altro e le loro dita che si sfioravano - sotto la piccola tettoia. 

Due uomini che uscivano dalla casa e un terzo ragazzo ammanettato che veniva fatto salire sulla volante.
Il suo sguardo, rivolto ai primi due, implorante, disperato, pieno di dolore.

Io volevo soltanto il mio sogno...




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