Incubo 

parte XIII

di Alessia


Sakuragi aveva smesso di assillarlo, addirittura lo ignorava.
Sarebbe dovuto esserne soddisfatto, ma non riusciva a non pensare a questa nuova fase come alla calma prima della tempesta.

Una tempesta che dentro di se era già scoppiata con inaudita violenza.
Non era più se stesso, come se gli avessero cambiato personalità.

In verità... per gli altri nulla era cambiato, continuava a comportarsi come aveva sempre fatto, ora però... per la prima volta in vita sua sentiva dentro di sé il desiderio di avere degli amici, qualcuno con cui parlare, ridere, scherzare e stare bene insieme.

Cose che lui aveva sempre collegato all'amore.
Amore che non aveva mai voluto, che aveva sempre ridicolizzato e di cui adesso gli sembrava di avere un disperato bisogno.

Si rigirò la palla da basket fra le mani, seguendo con l'indice i tracciati delle linee nere.
Lo sport, il basket, non poteva e non doveva bastargli, perché il giorno in cui avrebbe smesso di giocare - al termine della sua carriera sportiva - si sarebbe trovato da solo e sebbene la solitudine non lo spaventasse, l'idea di passare il resto della sua vita senza nessuno accanto, morire ignorato e dimenticato da tutti...

Si rese conto del proprio egoismo.
Voleva qualcuno accanto a se solo perché non sopportava l'idea di morire solo? Voleva che qualcuno lo amasse solo per non vivere in solitudine? Sì, era così, o almeno lo era in parte... perché la stessa natura dell'amore è egoismo.
Eppure... quando pensava a qualcuno accanto a se... non riusciva a vedere nulla, solo nero.

Per la prima volta in vita sua si rese conto di quanto la sua vita fosse vuota e di come, in realtà, forse inconsapevolmente, avesse usato tutti i suoi amanti per trovare quella persona di cui adesso sentiva il bisogno.
Si lasciò cadere all'indietro, poggiando la testa sul cuscino mentre lacrime di rabbia gli bagnavano gli occhi rendendosi conto di quanto fosse gretto, meschino e patetico.



In palestra era tutto come sempre. Qui non cambiava mai nulla.
Le invasate che urlavano improbabili slogan d'incitamento, Sakuragi che faceva l'idiota, Akagi che lo prendeva a pugni mentre gli altri si allenavano.

I suoi compagni di squadra, ragazzi di cui non gli era mai interessato nulla, considerandoli meno di niente, a cui aveva sempre e solo attribuito la funzione di mezzo per arrivare al suo obiettivo; ma adesso riusciva - anche se con un po' di fatica - a riconoscerne il valore.

Avrebbe voluto potersi inserire fra di loro, diventare quell'amico che gli altri avevano cercato di farlo diventare... lo avrebbe voluto, ma non lo avrebbe fatto.

Farlo sarebbe equivalso a comportarsi da ipocrita e lui aveva da poco scoperto di avere troppi, orribili, difetti perché potesse avere il coraggio di aggiungerne un altro.
O forse era solo il suo orgoglio, troppo grande per un ragazzo della sua età, a impedirglielo.



Si comportava stranamente la sua kitsune oggi. Cioè... più stranamente del solito.
Chissà cosa era successo quella sera fra... che idiota! Non ci voleva di certo un genio per capire come era terminata la loro serata.
Avrebbe voluto poter fare una scenata di gelosia al suo Kaede, ma purtroppo non ne aveva ancora il diritto.

Quando furono negli spogliatoi per rivestirsi dopo le docce Hanamichi si concesse di osservare attentamente il corpo del suo amore: la pelle bianca, i muscoli torniti, le aggraziate movenze feline...

Era così nobile la sua kitsune, probabilmente era la reincarnazione di un qualche dio perché la bellezza di Kaede era divina e nessun semplice essere mortale avrebbe mai potuto aspirare a tanto.

Avrebbe voluto invitarlo ad uscire, ma oggi non poteva farlo. Oggi aveva cosa una molto importante da fare, e pregando che non gli accadesse nulla mentre tornava a casa si precipitò fuori dalla palestra.

Doveva parlare con quell'abietta persona che era il suo ex ragazzo.
Poteva capire il suo sentimento di vendetta per come lo aveva lasciato, per tutto il dolore che gli aveva causato, ma non poteva permettergli di distruggere il suo rapporto con Kaede.
Glielo avrebbe impedito a qualunque costo.

La scuola era deserta, ma lui sapeva esattamente dove andarlo a cercare.
Entrò nell'aula come una furia e Seiji smise di suonare rimanendo con l'archetto a pochi centimetri dalle corde e gli occhi sgranati.
"Hana... Hanamichi... cosa ci fai qui?"

Sakuragi gli si avvicinò infuriato, con violenza fece cadere a terra il violoncello e lo afferrò per un lembo della camicia.
"Stai lontano da Rukawa, hai capito?" sibilò "Non lascerò che tu me lo porti via!"

Seiji riuscì a liberarsi della stretta dell'altro e allontanandosi raccolse il suo strumento.
"Sta tranquillo. Non voglio rubartelo, mi ci diverto un po' a letto e poi te lo restituisco come nuovo"

Lo aveva visto arrivare ma non aveva fatto nulla per evitarlo.
Poggiato alla scrivania si passò il dorso della mano sulla bocca, osservando il sangue che era uscito dal labbro spaccato.

"Sta lontano da lui, Iwamoto. Fallo o sarà peggio per te!" e dopo un'ultima gelida occhiata se ne andò lasciandolo lì, sanguinante.

Prese un fazzoletto e cerco di tamponare la ferita.
Sapeva che Hanamichi faceva sul serio e che se ci teneva alla salute avrebbe dovuto fare come diceva lui, però... non poteva.

Rukawa gli piaceva e di certo non per il motivo che aveva detto a Sakuragi.
Cioè, anche per quello, ma soprattutto gli piaceva per le mille contraddizioni del suo animo che gli aveva mostrato. Seppur inconsapevolmente.



La porta sbatté alle sue spalle e scaraventò la cartella contro il muro di fronte a sé.
Non avrebbe permesso a Seiji di rubargli ciò che era suo per diritto, come era scritto nel libro del destino.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, ma cosa?

...mi ci diverto un po' a letto...
Il corpo di Seiji mutilato, in un lago di sangue...

Scosse con forza la testa.
No, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lui non era pazzo come Seiji.



Era in giardino e giocava col suo cane, ma la sua mente era tutt'altro che lì.
Non faceva che ricordare quel bacio chiedendosi perché si fosse tirato indietro quando ciò che stava per succedere era ciò che aveva desiderato per tutta la sera.

Non si era mai rifiutato, mai negato, a nessuno sin da quando era andato a letto con la figlia dei suoi vicini per la prima volta a quattordici anni.
Da allora aveva avuto... non lo sapeva neanche lui quanti amanti, e a nessuno aveva mai rifiutato nulla.

Invece a Seiji... a Seiji aveva negato uno stupidissimo bacio... a Seiji che sembrava offrigli ciò che aveva sempre creduto di desiderare... a Seiji che gli piaceva...
E non riusciva a capirne il motivo, anche perché era già andato a letto con lui, e allora? Dove stava il problema?

Maya gli posò davanti la pallina da tennis che le aveva lanciato, scodinzolando felice.
Le sorrise, di un sorriso vuoto, spento, e lanciò di nuovo la pallina cui lei corse nuovamente appresso.
Perché si era rifiutato?



Spense il motore e togliendosi il casco osservò la villa a due piani di fronte a sé.
Inserendo l'antifurto e con in mano il proprio casco suonò il campanello, ma sembrava non esserci nessuno in casa. Eppure sentiva l'abbaiare di un cane, così decise di entrare e notò che il piccolo cancello d'entrata era aperto, così lo varcò dirigendosi verso la fonte dei rumori.

Passò attraverso un sentiero fatto di archi di rose bianche e dopo aver voltato l'angolo lo vide seduto sull'erba a gambe incrociate mentre gli dava le spalle.
Per il giardino correva un bellissimo esemplare di setter irlandese.

Si avvicinò lentamente e gli s'inginocchiò alle spalle, attento a non farsi sentire. Gli circondò le spalle con le braccia e lo strinse a se.
"Mi sei mancato..." gli sussurrò in un orecchio.

Il corpo di Rukawa si irrigidì fra le sue braccia e lo lasciò andare quando sentì che si ribellava al suo abbraccio.
Lo vide alzarsi in piedi e richiamare l'animale con un fischio, continuando a dargli le spalle "Non sei stato invitato. Ti prego di andartene"

Seiji si alzò a sua volta senza capire il motivo di tanto glaciale freddezza.
"C'è qualcosa che non va..?" allungò una mano per toccarlo, ma non appena lo sfiorò Rukawa si sottrasse al suo tocco.

"La tua non è una presenza gradita, Iwamoto. Vattene" si allontanò, e lasciandolo lì rientrò in casa seguito dal suo cane.

Giocò un poco con le chiavi, poi sospirando fece dietro front.



Si sedette sul divano incrociando le gambe, Maya accanto a se col muso poggiato su una coscia.
Sentiva freddo... tanto freddo... Seiji lo aveva riscaldato, ma lui l'aveva cacciato.
Santiddio! Perché stava così male al pensiero di andare nuovamente a letto con lui? Il pensiero lo eccitava, eppure non ci riusciva.

Non lo amava, di questo era sicuro.
O quasi.
Aveva paura di ciò che poteva significare il suo rifiuto, ed era per questo che non si era ancora posto le giuste domande. Perché aveva paura delle risposte.

Sentì un bussare leggero alla vetrata di fronte a se e vide la fonte dei suoi problemi ancora nel suo giardino nonostante l'avesse cacciato.
Lo ignorò e si alzò per andare in cucina a prepararsi qualcosa da mangiare.

Dall'altra stanza continuava a sentire il suo bussare ritmico.
Sbuffò, pensando anche al fatto che così gli impediva di allenarsi un po' col canestro che aveva fuori, ma quando tornò indietro - per salire al piano di sopra - vide che finalmente se n'era andato. 

Ma allora, se questo era ciò che aveva voluto, perché si sentiva triste?
Scosse la testa per non arrivare a darsi una risposta. Sentì il proprio telefono suonare all'arrivo di un messaggio e posando piatto e bicchiere su un tavolino lo prese. 

Naturalmente il messaggio era di Seiji e lui avrebbe voluto cancellarlo senza leggere, però...
...credo di essermi innamorato di te...
Alzò un sopracciglio mentre il cuore aumentava il proprio battito.

Corse fuori dalla porta di casa e lo vide di fronte al suo cancello, mollemente poggiato alla sua moto. Scese gli scalini con una tranquillità che non sentiva per nulla sino a fermarsi a due passi da lui.
"Cosa vuol dire?"

Seiji gli sorrise e poggiò una mano sulla sella "Non vuol dire nulla. E' solo ciò che sento di provare"

"Non essere idiota, Iwamoto! Abbiamo parlato si e no per un'ora e poi abbiamo scopato, non puoi dire di esserti innamorato di me!"

"Magari mi sono innamorato solo del tuo corpo, no?"
Rukawa diventò ancora più pallido di quanto già non fosse.
"Comunque non è questo il caso. Io mi sono innamorato di te e del tuo modo di negare a chiunque la possibilità di conoscerti, mi sono innamorato del tuo orgoglio e della tua paura di mostrarti. Tu offri a chiunque te lo chieda il tuo corpo, ma a nessuno hai mai concesso un frammento del tuo cuore" vide il suo sguardo allargarsi, perso "Un po' come facevo io" gli sorrise il più dolcemente che poté "Vedi..."

"Sta' zitto!" un bisbiglio imperioso e facendo gli ultimi due passi gli racchiuse il volto fra le sue mani per baciarlo.

Forse aveva sempre mentito a se stesso.
Forse lo amava...




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