In cielo e in terra

di Unmei


 

Mikael  arrivò, nel silenzio di un pomeriggio di tarda primavera. Il giorno era caldo, ma non troppo, blu intenso il cielo e verde smeraldo l’erba fresca del prato.

 

Quello era il posto, secondo Uriel…..sempre che potesse fidarsi dei calcoli di quel folle.

Sbuffò. Era davvero tanto tempo che non metteva piede nel mondo umano, e ne avrebbe anche fatto volentieri a meno, se non fosse stato per quello stupido di Raphael…..pure quando era privo di conoscenza quel medico maniaco doveva causargli dei grattacapi?

 Certo non era obbligato ad andarlo a recuperare, ma non poteva nemmeno lasciarlo lì, a vivere una stupida vita da mortale.

 

…..

 

…..d’accordo, avrebbe potuto, il fatto era che non voleva.

Aveva ancora bene in testa la chiacchierata con l’arcangelo protettore della terra.

 

 

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“Come sarebbe a dire, <si è incarnato in un essere umano?>”

“L’ho scoperto per puro caso….non saprei nemmeno dirti quando sia accaduto. Vedi, l’indicatore su questo monitor, indica…..uhm, lasciamo perdere, tanto non credo che tu sia in grado di capire.”

“CHE COSA VORRESTI - ”

 “Oh, piantala e ascoltami!”

Mikael aveva incrociato le braccia sul petto, stizzito, mentre il collega prendeva a spiegare con voce pacata.

 

“In parole semplici, la coscienza di Raphael ha abbandonato il suo corpo; quello continua a guarire, immerso nel coma…..ma la sua essenza è da qualche parte laggiù. La ragione mi è sconosciuta, può essere avvenuto anche in maniera del tutto accidentale, per quanto ne sappiamo.”

 

 “E perché vieni a raccontarlo a me? Anche se ora vive come umano prima o poi morirà, e la sua anima tornerà nel vero corpo, e noi riavremo il nostro arcangelo…..o no?”

 

Domandò, cominciando a sentire  l’ombra fredda della preoccupazione.

 

 “Sì, certo, questo potrà farlo.Però ho pensato che potesse farti piacere rivederlo…..sono passati quasi trent’anni da quando…..”

 

 “Lo so benissimo quanto tempo è passato!!”

 

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E così si era messo alla ricerca del suo vecchio amico, senza conoscere il suo aspetto, né quanti anni avesse. Tutto ciò che sapeva era la città in cui viveva, non troppo grande per fortuna; una città da setacciare fino a captare la sua traccia spirituale, e seguirla, ed arrivare a quel parco.

Ora che mancava poco per rincontrarlo poteva sentire inquietudine, quasi imbarazzo.

 

<Sicuramente non si ricorderà di chi è in realtà…..anche se potrebbe aver conservato parte dei suoi poteri taumaturgici.>

 

Aveva detto Uriel. Questo poteva rendere le cose più semplici..…o anche più complicate, forse. Insomma, come doveva approcciarlo?

Il modo migliore sarebbe stata una bella botta in testa e un sacco di urla in faccia: dopotutto avevano ancora un litigio in sospeso ed era stato Raphael stesso a dire di voler continuarlo.

 

Oppure: “Ehilà, sono Mikael, l’arcangelo del fuoco! Ti ricordi? Abbiamo fatto fuori un sacco di demoni, ai bei tempi della guerra.”

 

Oppure ancora semplicemente prenderlo e riportarlo a casa?

 

Casa.

 

 “La casa di Rapahel è il Paradiso, non questo mondo.”

 

Disse tra sé.

 

<La casa di Raphael è dove ci sono io.>

 

Sussurrò la sua mente.

 

Era una promessa, che sia erano scambiati tanto tempo prima, quando entrambi erano più giovani, più soli, e feriti, ed avevano trovato forza e consolazione l’uno nell’altro. Ora c’erano anche altre persone, nei cieli, che Mikael stimava, o di cui addirittura arrivava a fidarsi…..ma ciò non gli impediva di sentirsi nuovamente solo.

Nostalgico.

Senza Raphael.

 

Non voleva nemmeno pensare a cosa potesse significare un tale sentimento, perché già sapeva che la risposta non gli sarebbe piaciuta: conteneva una serie di implicazioni dolciastre e appiccicaticce che lo mandavano in uno stato di assoluta negazione.

 

Man mano che proseguiva lungo il vialetto sentiva l’aura farsi più forte, riconoscibilissima, e tanto potente da sovrastare quella delle persone che si trovavano nei paraggi…..per sprigionare qualcosa del genere *per forza* doveva aver conservato delle peculiarità della propria reale natura.

Magari il marpione si guadagnava da vivere facendo il pranoterapeuta!

 

Ed allora lo vide l’uomo.

Con un paio di aderenti jeans neri, ed una camicia di un cupo color porpora; semilunghi capelli dorati ed una carnagione appena abbronzata. Sedeva su una panchina di pietra, all’ombra, con le gambe accavallate, leggendo.

Da dove si trovava Mikael poteva vederlo bene, ma l’altro non poteva accorgersi di lui, così continuò ad osservarlo, tra la voglia di precipitarsi da lui e quella di correre via.

Era normale provare turbamento nel rivedere dopo tanto tempo quello che doveva essere il suo migliore amico?

 

 Mikael fece ancora un passo avanti, pensando all’abbraccio lontano, tra le fiamme, di un pallido angelo biondo che lo aveva strappato all’autodistruzione, chiamandolo stupido, che gli aveva asciugato le lacrime e gli aveva detto parole d’incoraggiamento.

Cosa ancora più importante, che lo aveva *capito*.

 

Si fermò ancora quando una giovane donna arrivò dal sentiero più piccolo che costeggiava il prato; portava tra le braccia un sacchetto di carta e sedette all’indiana accanto all’oggetto delle attenzioni di Mikael. Il corto vestito rosso che portava scivolò lungo le cosce tornite, il campanellino della cavigliera tintinnò.

 

 “Spero che tu non abbia prestato troppa attenzione alle gonnelle, mentre non c’ero.”

 

 “Ho concentrato la mia attenzione solo sui calzoncini corti, giuro.”

 

Rispose lui, con voce ironica.

 

<Tale e quale.>

 

Pensò Mikael con una smorfia. Ma ciò che successe dopo gli fece contorcere le viscere in una morsa dolorosa…..per la gelosia, anche se si sarebbe fatto squartare, piuttosto che riconoscere tale nome.

 

I due si baciarono teneramente, sorrisero, e lei disse:

 

 “Sei proprio uno scemo.”

 

 “Certo, altrimenti perché ti avrei sposata?”

 

*************************

 

 

Sposata.

 

La parola continuò a risuonargli nelle orecchie. Raphael che si sposa…..*quel* Raphael!

No, no, no!

Doveva strapparlo a quella vita, a quella donna…..doveva riportarlo indietro subito! Mikael aveva voglia di uccidere e picchiare, ma stranamente ancora non riusciva a muoversi, paralizzato dallo stupore e da una morbosa curiosità.

 

 “Allora, la tua Corona…..il gelato light per me, e…..Trent?…..Trent!”

 

“Sì,mà?”

 

Una voce infantile provenne da dentro uno dei cespugli in mezzo al prato, e dopo poco ne emerse un bambino. A vederlo doveva avere cinque anni, ed era esile e carino, con un caschetto di capelli biondi di un colore più chiaro di quelli di…..di…..

 

Un orrendo sospetto si fece strada nella mente di Mikael, prontamente allontanato dal solito senso della negazione, che con fiera risolutezza gli intimava che era tutto uno sbaglio!

 Raphael poteva anche essere il tipo che seminava figli in giro…..ma poi certo non si occupava di loro!

 

Continuò ad osservare; vide il bimbetto prendere il suo cornetto gigante ai tre tipi di cioccolata dalle mani della madre, lo vide sedersi tra i due, non sul sedile, ma sul bordo dello schienale.

 

“Papà, domani mi porti da Lize? Ha detto che ha dei nuovi coniglietti e li voglio vedere.”

 

 “Beh, perché no?”

 

 “Mi ha anche detto se ne voglio uno me lo regala…..posso, papi?”

 

Domandò, con una nota implorante nella voce, quella che solo i teneri bimbetti di cinque anni riescono a produrre.

 

“…..Beh…..ma sì! Scegli quello più cicciotello però.”

 

 “Eh? Perché?”

 

Fece il piccolo, candidamente, senza riuscire a capire la battuta. La ragazza, che invece aveva più esperienza, scosse la testa e leccò il coperchio della coppetta del gelato.

 

 “Sei un uomo perfido!”

 

E l’uomo perfido rise, ma di una risata delicata e gentile, di cuore, ed accarezzò i capelli del bambino.

 

E Mikael non aveva mia visto Raphael ridere così. Né gli aveva mia visto il sorriso sereno e felice che gli illuminava ora il volto.

E’ proprio la stessa persona, l’arcangelo tediato e disilluso che conosceva?

 

<Portalo via, portalo via! O si affezionerà ancor di più a loro…..e quando morirà sarà con le loro anime che vorrà rimanere, e non con te.>

 

La voce era insistente e tentatrice…..strappalo a quella donna, strappalo al bambino. Strappalo a quella famiglia che lo rende felice, perché non è giusto che lui sia felice senza di te!

 

Continuò a guardarlo.

Rapahel non aveva mai riso così……*lui* non era mai riuscito a farlo ridere in quel modo gioioso e spensierato.

…..

…..

…..

Lo amava?

Forse.

I suoi sentimenti erano confusi, ma…..

 

Desiderava più di ogni altra cosa riaverlo vicino.

 

Però…..però anche se lui, Mikael, era conosciuto per essere l’impulsività e la sanguignità incarnata, c’era una sensibilità che gli diceva che non era giusto distruggere la gioia di un’altra persona per i propri desideri.

Soprattutto se a quella persona si vuol bene.

 

Riprese a camminare; si avvicinò alla famigliola, e passò loro davanti senza fermarsi, ma osservandoli e basta; il bimbo lo seguì con lo sguardo, attento, mentre i due adulti, che stavano parlando fra loro, non lo notarono. L’uomo biondo (chissà come si chiamava) forse non lo vide nemmeno passare.

 

<Stupido medico maniaco. Spero che in questa vita tu faccia il geriatra, e che le sole donne che ti capitino tra le mani siano delle vecchie cariatidi con la dentiera e i baffi.>

 

Per ora dunque se ne andava, ma non era un addio…..perché un giorno lo avrebbe rivisto, sarebbero stati di nuovo insieme…..un giorno avrebbe avuto la possibilità di continuare il loro litigio, e di sentire la sua voce blaterare incessantemente usando parole troppo difficili che gli facevano venire il mal di testa.

 

Avrebbe aspettato ancora…..cinquant’anni, cento…..avrebbe aspettato, continuando ad andare a trovare il corpo immerso nel sonno freddo del coma, a parlare con esso, ma senza più impicciarsi di quella serena vita mortale.

Perché non era giusto farlo.

E perché gli faceva male.

 

Ormai lontano nel sentiero scomparì dal mondo umano, ritornando al Paradiso, dove come prima cosa avrebbe chiesto a Uriel di cancellare i dati monitorati su Raphael, e di lasciare che vivesse in pace sulla terra la sua nuova esistenza, mondata dalle sofferenze e i tradimenti subiti in cielo.

 

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Papà e mamma lo stavano chiamando per tornare a casa, visto che ormai era quasi ora di cena, ma Trent ancora non si mosse. Stava inginocchiato sul prato, dove aveva trovato un uccellino che non riusciva più a volare, e che si agitava inutilmente, disperato.

Il bambino fissava l’animaletto, con la testa inclinata e lo sguardo intenso.

 

 “Ti sei rotto un’ala?…..ti fa tanto male?”

 

Raccolse la creatura e la sentì calda, fragile….. piccola e tremante, impaurita.

 

 “Poverino.”

 

Disse, accarezzandolo con delicatezza per qualche istante. Poi si mise in piedi ed aprì le mani, alzandole al cielo.

 

L’uccellino rimase immobile, con un fremito ad attraversargli le ali, poi improvvisamente spiccò il volo.

Prima incerto, poi più sicuro….. più veloce ed in alto, fino a scomparire nell’azzurro sfumato dagli accesi colori del primo tramonto.

 

Il bambino sorrise, mormorando un saluto ed un augurio.

 Capitava così, che quando si faceva male giocando gli bastava desiderare di guarire perché i graffi scomparissero…..però non aveva mai pensato che quella cosa potesse funzionare anche sugli altri.

Aveva voluto che l’uccellino guarisse, e così era stato.

 

Non capiva perché, o come succedesse…..ma se faceva star bene non poteva essere sbagliato.

Vero?

 

 

_________The End_____________






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