In cerca di Volontà (A better life side story)

di Rikku19

 

- 1993 -
"vattene a casa"
"no"
NO.
Mi risponde di no, quando glielo dico.
Quando glielo urlo.
Quando le getto fuori di casa, appallottolando i suoi vestiti sull'uscio di questo cesso di casa.
Non importa quanto io aspetti.
Anche sei, sette ore dopo, me lo ritrovo ancora seminudo sullo zerbino.

L'ho scavalcato, come al solito.
Mi segue giù per le scale, mogio e triste.

Era un uomo.
Un uomo che era ancora un bambino.
Aveva una volontà.
Ora non ha più un cazzo di niente.
"vattene a casa"
glielo ripeto, prendendolo per le spalle e accarezzandogli la nuca.
"no"
"i tuoi saranno in pensiero"
Alza le spalle.
"sei minorenne"
"non ti ha mai dato fastidio, neppure quando avevo tredici anni"
"vattene a casa" ripeto
"perché?"
"lo sai"
"dimmelo"
Scuoto la testa.
Non ne sono capace.
Non ne sono mai stato capace.
Fin da quando all'asilo mi avevano rubato il pallone.
Era più semplice risolvere con un paio di calci ben assestati.
E quando la maestra mi chiedeva "perché?" mi limitavo ad abbassare lo sguardo.
"David" mi chiama
"che vuoi?"
"perché?"
"lo sai"

Lo sai da quella notte.
Lo sai da quando mi hanno preso per quello stupido spot.
Lo sai da quando mi ha visto flirtare con quel modello sul set.
"sei innamorato di lui?"
Alzo le spalle, non gli rispondo.
"e allora perché?"
Siamo fermi, in strada.
"lo sai"
"no.che.non.lo.so!" sillaba "lo posso immaginare, ma..."
"beh, immagini giusto"
"e allora perché?!" grida
Mi avvio verso la fermata della metro.
Ho un provino per una serie tv.
Suo padre fa parte della produzione.
Ha già fatto il mio nome.
Comunque vada, la parte sarà mia.

Mi afferra un braccio, mentre sono sulle scale.
"dimmelo, e ti lascerò in pace. per sempre. non ti assillerò più, non ti chiamerò più. scomparirò veloce come sono arrivato... dimmelo, e ti lascerò andare. Mi ami ancora?"
Abbasso lo sguardo, e scendo dalle scale.
Mi insegue in fretta, e mi schiaccia contro il muro.
"non ti basta come risposta?" chiedo
"dimmelo"
Sospiro.
una.
due.
tre volte.
prendo fiato e glielo dico con la massima naturalezza.
Dentro sto male.
So che non è la verità.
Voglio vomitare.
Me ne voglio andare via.
Voglio infilare la testa sotto il cemento armato e nascondemi finchè tutto non sarà finito.
"no" rispondo.
Non è la mia voce, e lui lo sa.
"dimmelo"
"no, non ti amo. non ti ho mai amato"
Se ne va.
Non lo rividi mai più come l'avevo visto.

Lo vidi in occasioni di première e eventi mondani.
Ottenni il successo, con quella serie tv.
Le folle mi adoravano.
Avevo lasciato tutto e tutti indietro.
La gloria splendeva, e nessuno poteva toccarla.
Io ero la gloria.
Io ero splendente.
Ed ero intoccabile.


Mi telefonò, un anno dopo.
"dimmi che mi ami"
Scossi la testa, come se lui potesse vedermi.
"lo so, che mi ami ancora. hai solo troppa paura di ammetterlo"
Era ubriaco.
"no"
"tira fuori le palle per una volta nella vita, David. E dimmi che mi ami"
"non ti ho mai amato"
Tirò su col naso.
E riattaccò.


Non dormii.
E l'indomani squillò di nuovo il telefono.
Accesi la tv.
su ogni canale c'era la notizia: Kurt Cobain era morto.
L'avevo incontrato ad una festa.
Avevo parlato con sua moglie, e mi aveva raccontato di sua figlia.
"cazzo"
Un colpo in testa e fine.
Poi inquadravano orde di ragazzini che si strappavano i capelli tra le lacrime.
E proprio allora squillò il telefono.
"pronto"
Qualcuno singhiozzava.
Una donna.
"pronto?"
"david... lui è morto... stanotte... si è ucciso"
"lo so ho appena sentito la notizia in tv"
Era Martha, la moglie di Daniel Swanson.
Fan sfegatata di Kurt Cobain, nonostante avesse superato la cinquantina.
"no"
"come no?"
"è... morto... lui"
piangeva a dirotto.
Tacqui.
"è... mio figlio... non c'è più"
La cornetta mi cadde di mano.
Pensai alle ultime parole che gli avevo rivolto.
E dai miei occhi sgorgarono lacrime.
Un fiume. un mare.
Un oceano.


Il funerale fu semplice.
Poche persone, una lapide bianca.
"Amato figlio. Amato Fratello. 1978 - 1994: Sean Swanson"

 


Continua...