Una sola piccola insignificante nota.

 

Spero che diverta voi leggerlo quanto ha divertito me scriverlo.

 

 

 

 


 

 

In a Week

 

Day 4

 

di Bads

 

 

Takenori Akagi si svegliò come suo solito molto presto.

Il suo orologio biologico si azionò alle sei e mezza, e gli consigliò di alzarsi un po’ in tempo, e magari di darsi una bella lavata con acqua gelida per evitare di riaddormentarsi, precauzione inutile dato che lui non si riaddormentava mai.

Dopo un quarto d’ora, con precisione maniacale, tolto il pigiama (che in realtà era una tuta vecchia che usava per dormire), cominciò a risvegliare i muscoli ancora addormentati con decine e decine di addominali, flessioni e allenamenti di vario tipo, tutti troppo pesanti per chiunque da fare la mattina presto, tranne che per lui.

Quando gli sembrò di essersi scaldato a sufficienza ormai era sudato fradicio, ma la seconda sveglia, quella che terminava la mezz’ora degli esercizi, non era ancora suonata.

Col fiatone, e anche un po’ innervosito dall’essersi stancato così in fretta, raccattò uno straccio sporco e si asciugò la fronte, chiedendosi se non avesse dormito abbastanza bene, ma riscuotendosi presto con un brivido gelido di sudore, che gli ricordò di andare a farsi una doccia prima che si svegliasse il resto della famiglia.

Mezz’ora più tardi, dopo essersi lavato, vestito e aver litigato con la sorella perché a dir suo “aveva appannato tutto lo specchio”, scese in cucina dove diede un bacio alla madre, salutò il padre e si sedette aspettando la colazione.

 

“Haruko!” urlò il gorilla sulla strada, rivolto verso la casa: “Se non ti sbrighi vado a scuola da solo!”

Le sue urla avevano spaventato non pochi passanti, o almeno coloro che non erano abituati alla sua presenza imponente, ma lui come al solito non ci fece caso.

Sicuramente aveva dormito male quella notte, di solito non era così agitato il sabato mattina, era una giornata piuttosto tranquilla. Negli ultimi tempi aveva imparato che se c’era qualcosa che non andava nel suo umore, era riconducibile ad una sola persona, Sakuragi! Possibile che quel ragazzo riuscisse ad agitarlo anche trovandosi dall’altra parte della città? Ormai aveva imparato ad ascoltare anche quel sesto senso, ed era convinto che il rosso ne stesse per combinare un’altra, e qualcosa stava cercando di avvisarlo.

Un brivido lungo la schiena lo colse improvvisamente, quasi come risposta alle sue congetture.

Poco distante intanto un altro ragazzo si stava dirigendo verso la stessa scuola.

Il ragazzo aveva un paio di grossi occhiali tondi, e un grosso sorrisetto stampato a fuoco sul volto, mentre saltellava sul marciapiede, meritandosi occhiatacce da parte degli altri studenti.

Kogure adorava il sabato, credeva fosse la giornata migliore della settimana! La scuola durava solo fino a mezzogiorno, riusciva così a tornare a casa per pranzo e a rilassarsi per il resto della giornata.

Gli piaceva davvero, il sabato.

Nessuna lezione pesante, nessun test in programma, nessuna attività al club.

Quasi credeva di camminare su una nuvola mentre si avviava verso l’edificio, gli sembrava che tutta la città fosse luminosa e raggiante, mentre organizzava con minuzia la giornata che gli si prospettava dinnanzi. Fu per questo che quando vide una nube nera all’orizzonte avanzare verso di lui, smise di pensare alla bellezza della vita e cominciò a preoccuparsi, soprattutto quando notò che quella nube nera era niente meno che il suo capitano.

Akagi avanzava impettito lungo il marciapiede che conduceva alla scuola, con la sorella a fianco che trotterellava tentando invano di stare al suo passo.

“Takenori!” urlò per l’ennesima volta la ragazza, sfiancata dalla lunga marcia: “Ti dispiacerebbe davvero cercare di andare più lentamente?!”

Ma sembrava che neanche la sentisse, più che arrabbiato pareva avesse la testa da un’altra parte, ma la smorfia inconfondibile sulla sua faccia non lasciava spazio all’immaginazione, qualcosa lo turbava.

“Buongiorno Akagi!” trillò Kogure quando fu abbastanza vicino da farsi sentire, cercando di mantenere un tono allegro e di non farsi abbattere dall’evidente negatività del compagno, pensando così di infondergli un po’ di felicità e soddisfazione.

Lo sguardo assassino che si meritò non solo lo fece desistere dal ritentarci, ma gli fece scivolare via tutto l’ottimismo accumulato per quei primi minuti di quell’indimenticabile sabato.

“Avanti” sentenziò Kogure non appena furono entrati in classe, andando a sedersi al suo posto: “Cos’è che ti turba stamattina?”

“Mh” mormorò l’armadio a due ante, mordendosi un po’ la lingua: “Sakuragi”

Il quattr’occhi corrugò un po’ la fronte, ammettendo a sé stesso che non si aspettava di certo quella risposta, così inaspettata ma allo stesso tempo quasi comprensibile.

“Sakuragi?” ripetè manifestando la sua sorpresa: “Per le sue condizioni di ieri? Magari ha bisogno di tempo per riprendersi”

Ma l’altro scosse la testa e sbuffò, rendendo poi partecipe l’amico dei suoi pensieri, e di come si fosse svegliato quella mattina con un brutto presentimento, e come quel presentimento si fosse trasformato in un unico nome, con la stessa sorpresa di Akagi. Ma d’altronde, pur essendo un uomo d’azione, non poteva ignorare i segni del fato.

“I segni del fato?” rise Kogure: “Devi essere un po’ stressato per l’amichevole della settimana prossima” annuì poi contento di aver trovato una soluzione plausibile.

“Sarà…” mugugnò il ragazzo, per nulla convinto: “Ma sono sicuro che capiterà qualcosa di strano…”

L’ingresso in aula del professore sedò ogni tipo di discussione, e entrambi si sedettero, cercando di dimenticare in fretta la faccenda.

Il resto della mattinata trascorse del tutto tranquillamente, procedendo solo grazie al principio d’inerzia. Ogni singolo individuo di quell’edificio, che fosse studente o insegnante, trovava quella giornata particolarmente tediosa, quasi più delle altre, forse per l’apparente breve durata delle lezioni, ma l’aspettativa la rendeva ancora più lenta.

Gli ultimi venti minuti furono i più infernali, per tutti tranne che per Akagi; per tutta la mattinata aveva deciso di dedicare i suoi pensieri a Sakuragi, e alla spiegazione di ciò che secondo lui l’aveva fatto rabbrividire.

Quando suonò la campanella il sollievo generale fu palese, e tutti cercarono di non attardarsi più del necessario.

“Dai Akagi…” cominciò Kogure con un bel sorriso incoraggiante, avendo notato che il compagno era ancora pensieroso: “Andiamo a mangiare qualcosa insieme, c’è anche Mitsui, ti aiuterà a distrarsi”

Il bestione annuì, era convinto che andarsi a rintanare a casa non fosse proprio una buona idea, forse uscire gli avrebbe fatto bene. Forse. Non era molto convinto.

E quando uscì dal cancello dalla scuola capì anche il perché. Poco più avanti di loro Sakuragi e Rukawa si stavano incamminando nella stessa direzione insieme, guardandosi spesso intorno molto furtivi. Questo era di sicuro ciò che lo impensieriva così tremendamente da quella mattina, e per fortuna la sua paranoia trovò abili sostenitori nei suoi compagni di squadra.

“Ehi!” esclamò all’improvviso Mitsui: “Cosa diavolo ci fanno Sakuragi e Rukawa insieme?!”

La sua frase attirò l’attenzione anche di Miyagi e Ayako, poco distanti da loro, mentre riscossero il gorilla, che dilatò le narici e prese a respirare con più fatica.

Per un po’ nessuno disse nulla, seguendo con lo sguardo i due ragazzi che si stavano allontanando molto velocemente, probabilmente perché nessuno sapeva cosa dire, né se trovare una giustificazione o dimenticare la cosa.

Persino il pacato Kogure rimase un po’ interdetto e guardò un po’ gli altri prima di dire un flebile: “Beh… probabilmente… beh…”

“Questo non ha senso!” esclamò Ayako, quasi per rispondere all’immaginaria replica di Kogure: “Non abitano neanche nello stesso quartiere!”

Akagi continuava a tacere, ma sapeva che qualunque cosa dovesse fare doveva essere fatta alla svelta, poiché le sagome dei due ragazzi stavano cominciando a scomparire, per quanto fossero grosse.

“Beh magari stanno cominciando ad andare d’accordo” disse Kogure, poco convinto.

Nessuno osò rispondergli, perché aveva ancora meno senso del suo balbettio precedente.

“No, impossibile” concluse solo Mitsui, poi si rivolse ad Akagi, che ancora stava immobile dove li aveva visti: “Capo, cosa facciamo?”

Come una secchiata d’acqua gelida quelle parole lo riscossero, e subito, ripreso il solito cipiglio minaccioso si trovò a dire: “Mi sembra ovvio Mitsui!”

“Giusto!” lo interruppe Kogure, credendo di interpretare i suoi pensieri in modo ottimale: “Lasciamoli fare… in fondo non sono fatti nostri, vero Akagi?”

Lo sguardo di ghiaccio che gli arrivò fu già una mezza spiegazione.

“Certo che no” sillabò il bestione: “Li seguiamo”

Detto questo si incamminò, seguito a ruota da Ayako e Mitsui, mentre Miyagi trascinava un Kogure inebetito.

 

Il pedinamento fu certamente di fortuna e poco dinamico, forse anche per il fatto che erano cinque personaggi loschi, di cui uno grosso come un armadio a due ante, che come i bambini, si mimetizzavano in nascondigli di fortuna.

Kogure continuava a cercare di far desistere gli altri dall’impresa, credeva che se avesse convinto tutto il gruppo anche Akagi poi si sarebbe arreso, ma aveva seri dubbi al riguardo, dato che il capitano era quello più agguerrito di tutti.

Li seguirono per dieci minuti buoni, dapprima non concentrandosi su null’altro che non farsi notare, per poi cominciare a guardarli per capire di cosa stessero parlando, o se ci fossero atteggiamenti troppo loschi o intimi. Attraversarono tutto il centro quando Rukawa si fermò indicando al compagno un negozio dall’altra parte della strada, Sakuragi si guardò ancora in giro e poi annuì, seguendo il ragazzo dentro quello che sembrava un fast-food.

“Così è troppo!” stava ancora dicendo Kogure, mentre Akagi attraversava la strada a sua volta: “Non possiamo farlo!”

Ma nulla di quello che aveva detto lungo tutto il viaggio era stato d’aiuto, e nessuno degli altri lo sosteneva, neanche Mitsui, di solito così riservato e silenzioso, e ora diventato un pedinatore folle!

Non potevano ridursi così, doveva riprendere la situazione nelle sue mani, o qualcuno sarebbe sicuramente finito all’ospedale.

“Non possiamo farlo!” strillò con un gridolino più acuto del solito, che fece girare tutti, tranne Akagi, che stava ancora avanzando: “Akagi!”

Il gorilla si fermò un attimo e gli intimò di abbassare la voce: “Così ci farai scoprire!” aggiunse a bassa voce.

“Credi invece che non ti scopriranno se entri in quella tavola calda, mimetizzandoti dietro un hamburger, continuando a fissarli?!” sputò con tutta la sua irritazione Kogure, notando che finalmente aveva riscosso l’attenzione del bestione.

“Tu dici?” disse Takenori, stranamente serio, mentre gli altri muovevano la testa da uno all’altro, senza sapere più che fare se nessuno si degnava di dirlo.

“Che pensi che potremmo fare allora?” disse allora il capitano: “Per vederli senza che ci scoprano”

Kogure era interdetto: “Cosa potremmo fare?” ripetè allibito: “Non faremo nulla! Torneremo a casa e ci dimenticheremo la faccenda, non sono affari nostri!”

“Ah no” disse solo Akagi, prima di avvicinarsi ancora al fast-food: “E abbassa un po’ la voce, se no ci scoprono… dovremmo riuscire ad entrare in qualche modo”

E il capitano continuò così, senza occuparsi di Kogure, letteralmente troppo preso dalla nuova situazione per badare a chiunque, continuava a parlare da solo cercando un modo per entrare senza farsi notare. Mitsui fu l’unico che tentò di riscuotere il quattr’occhi dal coma e cercò un modo per fargli capire che voleva farlo restare.

Fu piuttosto facile.

“E’ meglio se rimani, Kogure” sentenziò con lo sguardo basso: “Se Akagi, come credo, si farà vedere, qui scoppierà il finimondo”

Il vicecapitano alzò lo sguardo dal pavimento, e guardò Akagi e Ayako, pensando che forse Mitsui poteva avere ragione.

“Ti immagini se Sakuragi e Rukawa lo vedono e tra tutti cominciano a litigare? Bisogna impedire che facciano casino o qui ci rimette il club”

-Questo club dovrebbe avere più ragazzi che fanno yoga o decoupage- pensò Kogure prima di arrendersi e annuire a Mitsui. Lo faceva solo per il basket. Solo per quella fottutissima palla arancione.

 

“Sakuragi!”

E Sakuragi sospirò.

Stava passeggiando con Mito per il corridoio, non voleva incontrare nessuno, non voleva assolutamente incontrare lui. Non ce l’avrebbe fatta a sopportare le maldicenze del suo migliore amico, neanche per una sola, misera mattina di sabato. Voleva che tornasse ad ignorarlo, che tornasse come prima, che non dovesse vederlo tutti i giorni, tutti i momenti e che non lo inseguisse più. Non voleva più essere preso in giro, diamine!

Così si voltò mentre Mito rideva e mentre Rukawa lo raggiungeva.

“Si, Rukawa?” provò a dire con la voce più minacciosa del suo repertorio, ma quello che uscì fu un rantolo molto affranto e devastato, e forse non era la cosa più utile al momento.

“Posso parlarti?” disse, con un leggero fiatone: “in privato” aggiunse alludendo a Mito.

Il ragazzo, chiamato in causa rise e abbassò un po’ la testa, a mò di inchino: “Io sono in terrazza se hai bisogno” e diede un’ultima occhiata al rosso, che con uno sguardo da cane bastonato sembrava chiedersi il perché dei mali del mondo.

Mentre Mito si allontanava, Sakuragi continuò a guardargli la schiena. A lungo. Troppo a lungo. La verità è che non aveva il coraggio di guardare il compagno di squadra negli occhi, probabilmente perché sarebbe scappato di corsa.

“Ehm, Sakuragi?” provò a chiamarlo il moro, vedendo che insisteva a tenere il capo voltato. Non sapeva come cominciare il discorso né come affrontare l’argomento. Non credeva che temporeggiare fosse la mossa migliore con il rosso, né che avrebbe avuto abbastanza pazienza ancora a lungo, quindi doveva fare in fretta, e battere il ferro finché ancora era caldo.

“Ti volevo ringraziare per ieri… per il tuo panino”

Per fortuna che doveva sputare il rospo alla svelta.

“So che non è servito a molto, perché poi non ho comunque fatto l’allenamento, ma…”

Cosa diavolo stava dicendo? Era troppo nervoso, e aveva paura di un rifiuto, o che ridesse, o di qualunque altra reazione che non fosse un “si”. Forse aveva proprio paura, il suo cuore non smetteva di battere all’impazzata, e aveva il fiatone.

Ce l’avrebbe fatta, in un modo o nell’altro. Prese un lungo respiro e riprovò.

“Senti, volevo sdebitarmi, ti offro il pranzo oggi”

Quasi si morse la lingua, era stato fin troppo bravo.

Sakuragi finalmente si voltò e lo guardò come se avesse un coccodrillo appeso sulla testa.

“Eh?” riuscì solo a dire. Ormai non sapeva più come reagire a ciò che gli propinava il compagno.

Prima gli parlava, poi faceva il simpatico, poi gli passava la palla, adesso gli voleva offrire il pranzo? Perché non gli dava dei soldi e scappava se proprio i suoi antenati l’avrebbero rincorso per tutto l’aldilà se non ripagava il debito? Continuava a non capire cosa stava succedendo, e forse non lo voleva neanche capire, voleva solo allontanarsi e non rivederlo mai più!

“Vedila così” disse Rukawa, vedendo che il compagno non si decideva: “Ti offro un pranzo gratis, e potrai mangiare cosa e dove vuoi, e tutto quello che riuscirai a mangiare”

L’offerta cominciava ad essere accettabile, pensava intanto Sakuragi, si prese del tempo per riflettere e pensò che in effetti non aveva soldi, e se aspettava di vincerli alla sala giochi sarebbe morto di fame, però accettare un pranzo di Rukawa... e se avesse pensato di attentare alla sua vita? Se tutto quel casino di quei quattro dannati giorni fosse stato solo un piano ben congegnato solo per avvelenarlo, ucciderlo o metterlo fuori gioco per la partita della settimana successiva?

“Allora?”

“Ok, va bene”

L’aveva detto senza pensare, ma ormai era fatta.

Voleva proprio strafogarsi alle spese di Rukawa, infondo.

 

“Se non trovi un piano entro un minuto io mi chiamo fuori, e anche voi”

“Potresti provare a proporre qualcosa invece che continuare con questa solfa”

“Forse non propongo perché soluzione non c’è, aspetto solo che te ne convinca anche tu”

“Allora ci vorrà più di un minuto”

Continuavano a discutere così da dieci minuti buoni, e ancora non avevano trovato un piano d’azione per scoprire cosa stessero facendo le due ali della squadra. La tesi di Miyagi era che nessuno dei due osasse entrare per andare a scoprirlo di persona, ma in fondo nessuno aveva questo coraggio. L’unico a proporre qualche piano a parte Akagi, anche se le sue idee erano una meno possibile dell’altra (l’ultimo prevedeva di calarsi dalla vetrata del soffitto), era Mitsui, che cercava di scoprire il più possibile alla svelta per far contenti tutti e andarsene a mangiare.

“Adesso basta!”

Ormai Kogure non ce la faceva più, aveva fame, era stanco, e tutti i suoi piani per un piacevole sabato erano andati a farsi benedire. Per la prima volta in vita sua aveva voglia di spaccare la faccia di qualcuno a pugni.

Sapeva però che se avesse tentato di convincere tutti ad andarsene non gli sarebbe bastato l'intero pomeriggio, e che se se ne andava da solo prima o dopo Akagi sarebbe entrato in quel locale scatenando il putiferio, così optò per una soluzione drastica, che non gli piaceva per niente, ma che almeno gli avrebbe permesso di mangiare.

“Io entro” e così dicendo, sotto gli occhi sbalorditi di tutti, si incamminò verso la porta di ingresso ed entrò senza esitazione, non notando che tutti gli altri, rispondendo con ottimi riflessi, l'avevano seguito.

“Grazie Kogure” disse Mitsui, sedendosi al tavolo libero più vicino, seguito a ruota da Ayako e Miyagi: “Stavo morendo di fame”

Anche Akagi parve piuttosto contento mentre si guardava intorno cercando con lo sguardo  Sakuragi e Rukawa. Quando finalmente li vide, in fondo alla sala, seminascosti da una pianta in vaso, fu ancora più contento a notare che non si erano fatti scoprire.

“Ottima mossa Kogure” disse sedendosi e aprendo il menu, cercando di capire se anche da seduto aveva la stessa ottima visuale sui due, ma da quella posizione scoprì di poter vedere solo Rukawa.

“Dì un'altra parola e ti ammazzo” disse minaccioso il quattr'occhi, spaventando non poco la ragazza che era venuta a prendere le ordinazioni.

 

“Va bene qui?”

Sakuragi si voltò a guardare Rukawa, e poi il fast-food che stava indicando con la mano.

Erano dieci minuti che camminavano senza aver aperto bocca, e le parole del ragazzo moro quasi lo svegliarono. Aveva la testa fra le nuvole ed era agitato, non solo per quell'appuntamento fuori dal comune, ma soprattutto non riusciva a togliersi di dosso la fastidiosa sensazione che qualcuno li stesse seguendo.
“Si, perfetto” disse guardandosi ancora intorno e poi seguendo il ragazzo dall'altra parte della strada.

Quando fu entrato nel locale, si sentì subito meglio, ma per prendere ulteriori precauzioni guidò Rukawa verso un tavolo lontano dalla vetrina, dietro una grossa pianta in vaso e si sedette.

Fino ad ora non avevano parlato, così quando Hanamichi si trovò di fronte lo sguardo penetrante di Rukawa si grattò la testa un po' in imbarazzo, non sapendo cosa dire.

Non poteva saperlo, perchè non lo dava a vedere, ma Rukawa era ancora più in imbarazzo di lui.

Dopo aver ordinato ed essersi accomodati per il meglio dovevano finalmente affrontarsi. E come al solito fu Rukawa a rompere il ghiaccio.

“Come stai?”

Hanamichi non si sorprese più del necessario, si aspettava qualche frase molto più imbarazzante.

“Sai, ieri Ayako diceva che avevi la febbre, pensavo di non trovarti oggi a scuola” aggiunse ancora Kaede dopo mezzo nanosecondo, senza aver lasciato all'altro tempo di rispondere.

Così si diede mentalmente del cretino, stupendosi che quando fosse in imbarazzo tirasse fuori dal suo vocabolario tante parole messe in fila.

Forse il suo compagno pensò la stessa cosa, perchè lo guardò un attimo stupito, poi però si riscosse e rispose: “Bene, si...”

Silenzio.

Si guardarono un po', poi distolsero lo sguardo, poi si guardarono di nuovo.

“Beh almeno oggi puoi controllare quello che mangio” disse Rukawa con un sorriso un po' imbarazzato, poi però notando lo sguardo strabuzzato dell'altro tornò serio e si guardò le mani.

Dal canto suo, Hanamichi era stupito oltre ogni dire. Ormai che Rukawa parlasse l'aveva appurato, e si era premurato di appuntarselo, ma che addirittura sorridesse era una cosa a cui non era ancora mentalmente preparato.

Quando si accorse di avere ancora gli occhi fuori dalle orbite si ricompose e decise di risolvere un po' la situazione.

“Non ti ho mai sentito parlare così tanto” disse solamente, guardandosi intorno alla ricerca della cameriera con il suo hamburger, e sperando che Rukawa fraintendesse in peggio quello che aveva detto e cominciassero a fare a botte.

Però il ragazzo arrossì e sorrise, notando come il dohao si stesse a poco a poco addolcendo, tanto che aveva addirittura notato che gli stava parlando più del solito, cosa che avrebbero notato tutti in qualsiasi momento, ma Rukawa era partito per la tangente da un bel pezzo ormai.

Quando arrivò il pranzo, Sakuragi ringraziò di avere una buona scusa per non parlare, augurò buon appetito (più a sé stesso che al compagno, anche se si sentì rispondere un grazie) e cominciò a mangiare, conscio di avere una settimana di digiuno sulle spalle.

Condivise questo pensiero con il compagno quando questo gli chiese se sarebbe riuscito a mangiare tutta la roba che aveva ordinato, che dal suo punto di vista avrebbe sfamato un intero branco di elefanti.

“Hai un concetto di digiuno che non comprendo”

“Ehi, devo crescere io!” sbottò il rosso, conscio soprattutto che non aveva ordinato tutta quella roba solo per fame, ma anche per sentirsi meglio vedendo pagare Rukawa.

Così, pensando alla faccia del ragazzo davanti alla cassa a dover pagare un conto stratosferico non si accorse che Kaede aveva riso di gusto alla sua battuta e ora lo guardava con occhi sognanti.

 

“Rukawa sta ridendo!” sbottò Akagi, cercando di non urlare, tenendo davanti al naso il suo panino, concentrandosi sui due ragazzi in fondo alla sala.

“Davvero?” disse Ayako, dimentica un attimo delle patatine fritte e del frullato e guardando nella stessa direzione del capitano, ma non riuscendo a vedere quasi nulla.

“Sembra che lo stia guardando con dei cuoricini al posto degli occhi” disse Mitsui, stringendo gli occhi per mettere a fuoco, finchè lo sguardo minaccioso di Kogure lo fece tornare a concentrarsi sul suo panino.

“No! Rukawa?!” sbottò di nuovo Ayako, sempre più sorpresa e muovendosi cercando di vedere oltre la testa di Miyagi senza fare troppa confusione.

 

Dall'altro lato della sala, i due ragazzi ignari dell'attenzione che era loro rivolta continuavano a mangiare e, stranamente, a chiacchierare indisturbati.

Rukawa credeva di non poter toccare una simile felicità. Il dohao aveva finalmente rinfoderato l'ascia di guerra e gli stava parlando senza sospetto, diffidenza e senza fare battutacce stupide.

Era convinto oltre ogni logica che finalmente aveva fatto un favore a rosso che, era evidente, non vedeva l'ora di stare un po' solo con lui e di parlargli da quel giorno con i biscotti.

Quindi non solo stava facendo un favore al prossimo, ma si stava anche divertendo!

Non era mai uscito con nessuno prima di allora, e non pensava fosse così piacevole. Senza contare il fatto che si sentiva battere il cuore ogni volta che Sakuragi gli sfiorava il piede per sbaglio, o gli rivolgeva la parola, o lo guardava di sfuggita.

“Sei tutto rosso” disse ad un certo punto Hanamichi, guardando il ragazzo di fronte a sé un po' dubbioso.

“Ah...” sospirò Kaede, sentendo ancora quella morsa nello stomaco e nel petto: “Già, fa molto caldo...” aggiunse, sventolando una mando davanti agli occhi e facendo finta di concentrarsi sul suo panino.

Quando ebbero finito di mangiare, e Rukawa aspettò rispettoso che l'altro avesse finito prima di alzarsi, Sakuragi si avvicinò baldanzoso alla cassa, gustandosi appieno il fatto che non dovesse pagare nulla, ma quando vide il ragazzo tirare fuori il portafoglio e chiedere il conto, si sentì un po' in colpa per tutto quello che aveva mangiato, e abbassò un po' lo sguardo.

Quando furono fuori, Rukawa cercò di temporeggiare il più possibile, piegando lo scontrino in dieci modi diversi prima di metterlo nel portafoglio, poi finalmente alzò lo sguardo su Sakuragi, sapendo che dovevano congedarsi.

Sapeva bene che doveva salutarlo, ma non ce la faceva, così temporeggiò ancora.

“Soddisfatto?” chiese di botto, pensando senza soffermarsi alla diversa interpretazione che si poteva dare a quella parola.

“Si beh...” cominciò Sakuragi, evidentemente a disagio: “A proposito...”

Kaede lo guardò ancora, aspettando che il ragazzo prendesse coraggio.

“Forse ho ordinato un po' troppo” disse grattandosi la testa e cercando le parole migliori per non far capire che si sentiva in colpa: “Hai pagato tanto?”

“Oh no, non preoccuparti” rispose Rukawa subito, con voce più acuta del solito: “Infondo erano questi i patti”

“Giusto” sorrise Hanamichi, più rincuorato.

Silenzio.

Si guardarono ancora, poi distolsero lo sguardo, si grattarono la testa.

“Beh allora...”

“Si...”

Ancora silenzio.

Sakuragi non riusciva a rendersi conto del perché fosse così agitato, avrebbe voluto tirare una testata alla vetrina del negozio (così, giusto per sentirsi un po' meglio) e scappare lontano dalla kitsune, in modo che potesse tornare a dormire nel suo frigorifero e dimenticarsi di lui.

Durante il pranzo si era dimenticato del tutto con chi era e cosa stava facendo, solo perché quando mangiava si sentiva sempre più allegro, e così aveva chiacchierato senza neanche rendersene conto, ma la cosa più strana era che l'altro aveva continuato tutto il tempo a dargli corda.

Non aveva mai pensato che lui e Rukawa avrebbero potuto diventare amici, forse anche perché, strano a dirsi, si era abituato ai suoi insulti e alle sue battute, e non avrebbe mai immaginato un basket senza zuffe con lui.

E se fossero diventati amici cosa sarebbe successo? Avrebbe dovuto rinunciare ai commenti sarcastici della volpe sul suo modo di giocare? Non si sarebbero più presi a pugni per stabilire se la palla fosse arancione a righe nere o nera a spicchi arancioni? Avrebbero fatto due risate e si sarebbero trovati a uscire per bere una birra il sabato sera?

Assolutamente NO!

Rukawa era ancora lì, che guardava a turno un po' lui e un po' il marciapiede. Non voleva che tutto finisse così. Che dopo avergli offerto il pranzo, non si sarebbero visti che lunedì mattina agli allenamenti, ricominciando a picchiarsi facendo finta che non fosse successo nulla.

Voleva... stare ancora insieme a Sakuragi. Non aveva nessun amico, e lui era ciò che si avvicinava di più.

“Senti...” cominciò, sentendosi stringere da una morsa nel petto: “Casa mia non è lontana, vuoi...”

“E' meglio di no, Rukawa” lo fermò subito Sakuragi: “Meglio se per oggi torno a casa”

“Ah” sussurrò solo l'altro, guardandolo negli occhi prima di abbassare nuovamente lo sguardo: “Si capisco”

“Comunque grazie per il pranzo” si affrettò a dire Hanamichi, cominciando ad allontanarsi dalla parte opposta: “Ci vediamo lunedì”

“Si certo, a lunedì”

E Rukawa si girò dalla parte opposta, cercando di allontanarsi il più in fretta possibile.