Sono tornata, ma per davvero! E con ben tre capitoli, di cui questo è stato il più difficile da scrivere (e non ditelo in giro, ma anche il più palloso...) Però mi sono rifatta con gli altri due, quindi sopportatelo! Solito ringraziamento, stavolta a tutte quelle che mi hanno commentato positivamente questa fic, su cui io non avrei mai scommesso. Un sentito grazie a Ria e a Ichigo.
In a Week
Day 3
di Bads
Yohei Mito passeggiava sbadigliando per le vie di Kanagawa. Era mattina presto e si stava dirigendo verso la casa del suo amico Hanamichi per andare finalmente a scuola insieme, dato che era da una settimana che non lo facevano. In effetti gli era mancato un po’ l’uscire presto la mattina, la colazione con lui al ristorante di ramen vicino a scuola, la passeggiata e le scemate che si dicevano. Quella mattina poi si era ritrovato a pensare che ne erano successe di cose in quei tre giorni. Dopo la convalescenza di Hanamichi erano accadute molte stranezze, e il ragazzo non sembrava neanche essere del tutto guarito. Arrivato davanti a casa sua, suonò il campanello per fargli sapere che era arrivato, e dopo poco uscì il rosso, con la cartella e la sua borsa del basket in spalla. Prima che potesse dire qualcosa, lo sguardo di Yohei si posò sul suo viso, e sul taglio sul suo zigomo. “Ciao Hanamichi” disse solo, prima di indicargli il volto: “Che ti è successo?” Hanamichi agitò la mano in risposta al saluto, poi si grattò la testa e guardò da un’altra parte. “Sono caduto in palestra” disse alzando le spalle: “Agli allenamenti di ieri” Mito annuì, poi, notando la borsa, aggiunse stupito: “Ti alleni anche oggi?” “Si” sospirò il ragazzo in risposta, uscendo da cancelletto chiudendolo dietro di sé; sembrava quasi felice di cambiare argomento: “Non so cosa sia preso al gorilla! Dato che sono tutti malati ha aumentato gli allenamenti, di solito il venerdì non li abbiamo mai” Cominciarono a camminare alla volta della scuola, mentre Mito gli raccontava cos’era successo il pomeriggio del giorno prima, mentre lui era agli allenamenti, e di come avevano preso a pugni un gruppo di ragazzi di terza di un liceo poco lontano dal loro. “E alla fine sono scappati a gambe levate, non capisco perché si sentano tutti in dovere di prendersela con noi” “Perché siamo i migliori!” ne rise Hanamichi, anche se meno del solito, perché quel taglio vicino al naso non gli permetteva nessuna espressione complicata. “Ma com’è successo?” disse indicandogli di nuovo il volto. Anche stavolta Sakuragi guardò da un’altra parte, grattandosi la testa. “Sono caduto sul pavimento” disse solamente: “E c’era una lastra del parquet che non era proprio in asse…” “Si saranno tutti preoccupati” “Tutti tranne il gorilla, che mi ha pure dato dell’idiota” “Tutti compreso Rukawa?” Sakuragi si fermò, e si voltò verso Mito, che lo guardava con uno sguardo di sfida dipinto sul volto. Hanamichi non avrebbe saputo dire quanto era stufo di tornare su quell’argomento, perché lo innervosiva che l’amico riconducesse ogni minima cosa alla kitsune; gli dava proprio sui nervi, forse anche perché Mito insisteva a ragione, dato che era vero che ogni singola cosa riconduceva alla kitsune. “Cosa vorresti dire?” disse Sakuragi non trovando nulla di meglio da dire, e non riuscendo neanche a ragionare con lucidità dato che tremava dalla rabbia. “Volevo solo sapere se si è preoccupato anche Rukawa” disse l’altro alzando le spalle: “E dalla tua reazione sembra proprio di si” “Smettila di scocciarmi, Mito!” gli urlò contro Sakuragi, ricominciando a camminare: “Mi dai proprio sui nervi” Yohei rimase indietro,
rendendosi conto che forse aveva esagerato, e un attimo dopo corse verso
l’amico, battendogli su una spalla. Hanamichi sospirò, mentre tutta la rabbia andava via, accorgendosi anche lui che forse aveva esagerato ad urlargli contro così. “No, non ti preoccupare” disse sorridendo: “Non ho molta fame ultimamente… dev’essere l’influenza” Poi prese la borsa del basket e tirò fuori tre panini. “Di solito mia madre me ne
prepara tre quando ho gli allenamenti, ma in questi giorni non sono neanche
riuscito a finire il primo che già non avevo più fame” disse il rosso
sconsolato, rimettendo al suo posto il pranzo. E Hanamichi sorrise.
All’ora di pranzo Kaede Rukawa si guardò intorno, e vedendo tutti i suoi compagni tirare fuori qualcosa da mangiare, subito si sentì uno stupido per essersi dimenticato di prendere il pranzo. Non portava mai soldi a scuola, ma di solito non era neanche costretto a comprare niente, invece quella mattina aveva avuto la testa tra le nuvole e si era dimenticato di portarsi da mangiare. Alzò le spalle e tornò a dormire sul banco. Non era esattamente un dramma per lui: era abituato ad allenamenti che gli bruciavano tutte le calorie che aveva in corpo, non sarebbe morto per non aver pranzato. E comunque aveva ancora nello stomaco la colazione abbondante che aveva fatto quella mattina. Avrebbe superato gli allenamenti ad occhi chiusi. Piuttosto Kaede cercò di dedicare la sua attenzione ad un altro problema, ben più importante e forse più grave, che era Hanamichi. Il giorno prima forse era stato fin troppo gentile, se n’erano accorti tutti, avrebbe dovuto ricominciare a fregarsene del dohao, ma non riusciva a smettere di pensare che forse era quello il motivo vero dell’astio di Sakuragi nei suoi confronti, e che ignorandolo l’avrebbe solo fatto arrabbiare. Ma perché questo pensiero non riusciva più a fargli alzare le spalle, indifferente come prima? Non riusciva a capacitarsi del cambiamento nel rosso, ma quel cambiamento aveva apportato modifiche anche in lui. Sakuragi aveva avuto la sua occasione tre giorni prima e aveva catturato la sua attenzione, e adesso non riusciva più a pensare a nulla senza che il suo volto si dipingesse nella sua mente. Tipo del suo sguardo stupito dopo il suo passaggio agli allenamenti, e di quel taglio che si era fatto cadendo. Quel cretino era caduto da solo, dopo un passaggio facilissimo, e ancora una volta aveva attirato l’attenzione di tutti su entrambi. E lui aveva peggiorato le cose chiedendogli come stesse. Stava facendo proprio un buon lavoro il dohao, e ancora lui non aveva capito il perché. O forse l’aveva capito, o forse ci aveva solo pensato. Ayako diceva che voleva diventare suo amico, ma se fosse stato così avrebbe fatto prima a parlare apertamente invece che agire in modo così subdolo e incomprensibile. Aveva una sola ragione per farlo, ed era una ragione che Rukawa si rifiutava di accettare. Perché Sakuragi non poteva essersi innamorato di lui. Il suono della campanella lo spaventò, tanto che saltò sulla sedia, con quel pensiero ancora in mente. Perché non era un’idea così stupida, soprattutto ripensando a tutto quello che era successo, perché un po’ credeva di averlo sempre pensato, come succede sempre in questi casi, ripensando a tutte le cose che avevano passato insieme, e un po’ perché ne era quasi lusingato. In fondo come si poteva odiare una persona con tanta ostinazione senza che ci fosse qualcosa dietro?
Quando suonò la fine delle lezioni, Hanamichi Sakuragi sospirò afflitto, essendo un po’ stanco e un po’ stufo di stare seduto lì, mentre tutto il resto della scuola tornava a casa o andava alle riunioni dei club. Lui invece quel giorno aveva il rientro, e gli toccava restare un’altra ora in classe, mentre i suoi compagni andavano agli allenamenti. Sentì anche Mito sbuffare, mentre si teneva la testa con un braccio in equilibrio sul polso, anche lui stufo di tutte quelle ore seduto su una sedia. Erano troppo giovani per sprecare la loro vita seduti su un banco di scuola, volevano muoversi, non marcire in un aula polverosa. Mai come in quel momento la scuola era stata così pesante. Il professore continuava a spiegare, senza pietà, senza una pausa, e dopo venti minuti Mito non ce la faceva davvero più; si girò verso Sakuragi, per controllare la situazione nelle retrovie, e vide che il ragazzo sembrava davvero sconsolato, oppure molto stanco. Forse stava ripensando alla loro conversazione dell'ora di pranzo, ma poi si ricredette vedendolo chiudere gli occhi e appisolarsi un momento, per poi riscuotersi e guardarsi intorno, controllando che il professore non l'avesse visto. Mito sorrise e tornò a pasticciare il foglio che aveva davanti, contento di avere qualcosa cui pensare per i successivi minuti. “Posso chiederti una cosa senza che ti arrabbi?” aveva chiesto ad Hanamichi durante il pranzo, mentre il ragazzo tentava di ingoiare a fatica un minuscolo morso di panino. Non doveva essere molto in forma, e probabilmente gli stava tornando un po' di febbre, perché l'aveva guardato con gli occhi un po' lucidi e la faccia un po' rossa. “Va bene” aveva risposto, forse un po' sconsolato, ma doveva ammettere che si era arreso piuttosto facilmente, dato che non lo riteneva così stupido da non capire dove volesse andare a parare. “Credi che Rukawa voglia diventare tuo amico?” Era stata una domanda un po' brusca, ma infondo non aveva pensato ad altro modo per riuscire a parlarne. E voleva riuscire a parlarne. Il rosso aveva reagito meglio di come si aspettava, e Mito si era ritrovato a pensare che doveva veramente sentirsi un po' debole, ma non aveva risposto a lungo, continuando a bere enormi quantità d'acqua per cercare di mandare giù quel panino. “Non riuscirai ad evitare l’argomento per sempre, quindi rassegnati e discutiamone” Ci mise un po’ per convincersi, poi alla fine annuì. In effetti ignorare Mito non aveva portato ad altro che ad un accentuarsi della sua curiosità, forse dandogli spago avrebbe smesso di tormentarlo. Tuttavia sebbene il suo animo fosse più bendisposto a parlarne, non poteva fare altro che rispondere “No”. O almeno, pensava Mito, non poteva fare altro che sperarlo. La risposta non gli era piaciuta per niente, così aveva insistito, conscio che non sarebbe più arrivato tanto vicino alla meta come in quel momento, e non doveva perdere l'occasione. “No? La tua cocciutaggine non ti salverà stavolta, perché è ovvio che vuole stabilire un qualche contatto con te, anche se non hai capito il perché” Anche stavolta Sakuragi fu quasi sul punto di non rispondere, ma era decisamente troppo stanco. La testa gli girava, e sembrava che la febbre stesse tornando, tutto quel che poteva fare era quindi rispondere, perché non gli veniva in mente nulla di diverso. “Non lo voglio sapere, neanche se mi riguarda. Sarà che si sente solo, tra l’altro non ha molti amici da quel che so…” E Mito l'aveva guardato, stupito dal vedere una reazione così pacata, e aveva deciso di non infierire ulteriormente, finché non fosse stato necessario ovviamente. “Già” aveva solo detto all'inizio, ma si era trovato nella necessità di dover dire qualcosa di più, che servisse sia a sfamare la sua curiosità sia per l'amico. Così aveva continuato. “Tu però prova ad assecondarlo, almeno per sapere cosa vuole. Potrà non interessarti ma ti riguarda eccome, faresti bene a scoprire qualcosa” E Sakuragi aveva annuito in risposta, perché non aveva più la forza di fare nulla, mentre tornavano in aula per le lezioni. Mito continuò a pensare a quella mattina, e si svegliò quindici minuti dopo, al suono della campanella, mentre tutti i suoi compagni si alzavano per andare a casa. Così si alzò a sua volta, mentre Hanamichi ritirava le sue cose, e prese la cartella e la borsa, uscendo con l’amico dirigendosi verso la palestra. Yohei lo abbandonò quasi subito, andando a casa, spossato da quell’ora in più, mentre Sakuragi si cambiò negli spogliatoi e si andò poi verso la palestra, portandosi dietro i due panini che non aveva mangiato. Gliel’aveva detto Yohei, vedendolo un po’ barcollante, pensando che non stesse abbastanza bene da affrontare gli allenamenti. Aveva anche tentato di dissuaderlo dall’andarci, ma era un’impresa impossibile, così gli aveva almeno consigliato di mangiare qualcosa prima di mettersi a correre come un matto. Se solo avesse avuto fame… Quando entrò nella palestra
gli sembrò già che qualcosa non andasse, perché i ragazzi stavano tutti fermi,
guardando Akagi e Rukawa che si fronteggiavano l’uno di fronte all’altro,
fermi sotto il canestro più vicino ad Hanamichi. “Ne sono perfettamente in grado” rispose Rukawa, sempre con il solito tono pacato: “E tu non hai nessun diritto di dirmi cosa fare” Sembrava che nessuno, tranne Ayako, si fosse accorto della presenza del rosso, da com’erano tutti concentrati ad ascoltare la conversazione. “Sono il tuo capitano!” urlò di nuovo Akagi, sembrava quasi che stesse per scoppiare: “E ti posso benissimo mandare a casa se non ti trovo in forze!” A quel punto Sakuragi mosse un passo all’interno della palestra, Kogure si accorse di lui e lo chiamò, quasi sollevato nel vederlo, ma capì subito che anche in lui qualcosa non andava; barcollava un po’, aveva il respiro affannato e il viso molto pallido, ma lo sguardo era concentrato. Anche Akagi e Rukawa si accorsero di lui e si voltarono nella sua direzione, poi il capitano disse: “Eccone un altro! Dov’eri finito, deficiente?!” “Scusa Akagi…” disse Sakuragi, quasi con un sussurro: “Il venerdì ho sempre rientro…” Al gorilla sembrò essere sufficiente come scusa, oppure aveva notato lo stato pietoso del rosso, che pur sentendosi poco bene era venuto lo stesso agli allenamenti. Poi posò lo sguardo sui due panini che aveva in mano. “Anche tu non hai mangiato, cretino?” disse infervorandosi subito e dirigendosi verso di lui. “No, ho mangiato” rispose il rosso, ormai gli girava la testa: “Questi sono in più” “Akagi” intervenne allora Kogure, con un sorriso tranquillizzante, quasi a chiedere il permesso di risolvere la situazione. Tutti si voltarono verso di lui, con la tensione a mille e lo sguardo truce. “Vedi Sakuragi…” sentenziò battendo le mani: “Rukawa ha dimenticato il pranzo, ed è svenuto qui in palestra, non potresti dargli uno dei tuoi panini?” Allora Sakuragi si voltò verso il moro, che lo guardava con odio, quasi sfidandolo a dirgli una cosa qualunque. “Non hai mangiato neanche oggi, stupida volpe anoressica?!” sbottò innervosendosi. “Non sono affari tuoi, dohao.” Sakuragi però non l’aveva neanche ascoltato, la sua non era neanche una domanda rivolta a Rukawa, ma solo una constatazione, tanto non gli interessava la sua risposta. In un attimo gli erano tornati in mente i discorsi di Ayako e di Yohei, quando entrambi lo spronavano a comportarsi meglio con lui per sapere cosa tramava dentro quella testa bacata. Così gli lanciò un panino prima che qualcuno potesse anche solo pensare qualcosa da dire. Chiunque si sarebbe aspettato di vedere Hanamichi saltare addosso a Kaede, e rifiutarsi fino alla morte di cedergli un suo panino, a costo di vomitarci sopra. Per questo vederlo lanciare un pezzo del suo pranzo al nemico era una cosa fuori dal mondo. Però ultimamente erano troppe le cose strane, e più che sbarrare gli occhi e guardarsi intorno in cerca di sguardi simili, i membri della squadra non potevano fare niente. Anche Rukawa si stupì quando si ritrovò il panino tra le mani, ma subito un gorgoglio colpevole gli salì dallo stomaco, e lui abbassò lo sguardo vergognandosi. Akagi sbuffò, e Kogure sorrise, mentre Sakuragi lanciava l‘altro panino ad Ayako, in modo che glielo tenesse, e cominciò a correre per riscaldarsi. “Tu vai fuori e mangia quel panino!” sentì urlare da Akagi: “E non tornare prima di venti minuti, non voglio che lo vomiti sul parquet!” E gli allenamenti ricominciarono, mentre Rukawa stava appena fuori dalla palestra, guardando gli altri senza poter entrare, guardando Sakuragi che sbagliava tutti i passaggi e inciampava ogni volta che era sotto canestro. “Cosa diamine combini anche tu oggi?!” si ritrovò ad urlare Akagi dopo mezz’ora, quando Rukawa rientrò in campo scaldandosi. “Ho a che fare con un branco di moribondi!” sbottò verso Kogure, che guardava impietosito il rosso, che si era seduto ansimante sul parquet e non sapeva cosa dire. Ayako si era intanto avvicinata e gli aveva messo una mano sulla fronte. “Mi sa che hai la febbre, Sakuragi” Tutti si voltarono a guardarlo, e Hanamichi si sentì avvampare. “Non dire scemenze, Ayako!” sbottò rialzandosi, e barcollando un poco: “E’ un’ora che corro, ci credo che sono caldo…” Nessuno disse niente, anche il capitano si prese tempo per guardarlo, poi gli indicò le sedie e gli disse di uscire dal campo di gioco. “Ma… Gori sto bene!” gli rispose il rosso, sconvolto. “No invece, e così conciato rallenti solo gli altri, siediti se non vuoi che mi arrabbi” disse serissimo. E Hanamichi non potè far altro che guardarlo con odio e aspettare qualche istante prima di andarsi a sedere, adirato con il mondo. In quell’istante entrò in palestra l’allenatore Anzai, che salutò tutti, guardando in che stato si trovavano i giocatori dello Shohoku: Akagi aveva il viso scuro e i muscoli tesi, Kogure aveva lo sguardo sconsolato e si voltava spesso a guardare gli altri, che erano tutti più o meno depressi. C’era meno gente del solito in palestra, solo due a parte i titolari, e forse questa sensazione era accentuata dal fatto che Sakuragi stava seduto in panchina, con la testa tra le braccia e le gambe sulla sedia. Anche Rukawa sembrava non avere la sua solita forma smagliante, correva per il campo tentando di riscaldarsi, palleggiando prima con una mano poi con l’altra, ma i movimenti erano rigidi, e quando saltava per fare canestro sembrava appesantito. Guardando sconfitto tutti questi fattori, alzò la mano e chiamò Akagi, volendo parlargli per sapere cos’era successo. Subito il ragazzo si scusò con lui, poi passò a dirgli che tutti gli altri membri erano assenti, causa influenza. Anche Sakuragi doveva averla, dato che non era né in forze né nello spirito giusto; quanto a Rukawa quel giorno non aveva mangiato, e pur di partecipare agli allenamenti aveva trangugiato un panino. A quel punto Anzai annuì, e lo rimandò in campo, dicendo di far allenare tutti nei tiri da tre, poi chiamò a sé Sakuragi e Rukawa, deciso a parlare con loro. Entrambi si avvicinarono e lo guardarono preoccupati, aspettandosi chissà che cosa. “Fatemi parlare senza interruzioni” sentenziò l’allenatore, senza il solito sorriso pacioso sul viso. “Per prima cosa, non si viene agli allenamenti senza aver mangiato, non tollererò più una cosa simile” disse guardando Rukawa, che però abbassò lo sguardo: “Che non ricapiti più, se non vuoi essere espulso dal club di basket, capito?” Rukawa annuì a disagio, non sapendo cosa dire. Persino Sakuragi era riuscito a non fare commenti né a ridere delle disgrazie dell’altro, comprendendo la gravità della situazione. Poi Anzai si rivolse a lui. “Poi non si viene agli allenamenti se ci si sente poco bene, chiaro Sakuragi?” Il rosso tentò di ribattere, ma ne perse la forza quando guardò gli occhi dell’allenatore, soprattutto perché non sapeva cosa dirgli contro. Era vero che era venuto lo stesso pur sentendosi male, ma non voleva perdere ancora gli allenamenti, probabilmente però Anzai lo sapeva. I ragazzi attesero che il vecchio dicesse loro ancora qualcosa, restando fermi davanti a lui, spalla contro spalla, l’uno con lo sguardo basso, l’altro a metà tra l’interdetto e l’intimorito. “Detto questo, non serve che rimaniate così, andate a cambiarvi” Per i due ragazzi fu come una sentenza di morte, guardarono l’allenatore, spaesati, poi esplose il boato di lamenti. “Nonno, guarda che sto benone! Non sono malato!” “Allenatore ho mangiato, sono in forze per continuare!” Ma Anzai non aveva intenzione di sentire oltre, così alzò una mano per farli tacere, e ripeté quello che aveva detto prima, dicendo loro di andarsi a cambiare. “Non serve che vi alleniate per oggi, non riusciremo nemmeno a fare un vero allenamento” spiegò loro: “Non ho intenzione di farvi ammalare, dovete essere in forze per quando ritorneranno gli altri, perciò andate a cambiarvi e tornate qui” concluse sorridendo: “Assisterete comunque.” I due ragazzi non fecero in tempo a pensare a nulla, se ribattere o se annuire, se andarsene o seguire il consiglio di Anzai che questo si era già risieduto, chiamando a raccolta gli altri. Rukawa distolse subito lo sguardo e si incamminò, senza badare a Sakuragi per una volta, verso l’uscita della palestra. Era stordito e anche un po’ arrabbiato per essere stato sbattuto fuori così tranquillamente dagli allenamenti, solo perché aveva mangiato in ritardo. Quando Sakuragi si accorse che Rukawa era già partito gli corse dietro, dirigendosi anche lui agli spogliatoi.
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