Ringrazio come sempre la mia beta e la mia gamma, che sono le due persone più mitiche che esistano. Ultimamente mi sopportano più che mai, soprattutto in questo periodo di non-scrittura che mi ha colta. Fidanzarsi è bello, ma per queste cose è come una pugnalata, perciò sono soddisfatta quando riesco a mandare qualcosa a questo splendido sito! Grazie a tutti!
In a Week
Day 1
di Bads
Quando Hanamichi Sakuragi si svegliò quella mattina, non si accorse di nulla di strano nell’aria. Si ritrovò sul pavimento della sua stanza, con i capelli scompigliati, la maglietta al contrario e le coperte sfatte ai suoi piedi. Un brivido gli attraversò tutta la schiena facendolo sobbalzare, ancora semi dormiente, e quando si accorse di essere completamente in ritardo si catapultò fuori dalla camera. Ciononostante non si accorse di nulla di strano, ma quella giornata si prospettava del tutto fuori dal comune. Fece una colazione veloce, limitandosi a portarsi fuori casa l’intera scatola dei biscotti, trangugiandoli mentre correva cercando di infilarsi la divisa scolastica e tentando di non far cadere la cartella e la borsa del basket. Evitò tutti i cani al guinzaglio che tentarono di azzannarlo, tutte le biciclette che lo stavano per investire, tutti i passanti che gli sbraitarono contro senza fermarsi mai per rifilare qualche calcio, qualche bestemmia o qualche testata a nessuno. Non poteva arrivare in ritardo di nuovo, così si limitò a guardare dritto davanti a sé per tutta la strada, finché non arrivò a scuola, e lì fece il suo primo incontro di quella strana giornata. Dritto davanti a lui, Kaede Rukawa correva a perdifiato dalla direzione opposta, anche lui diretto all’entrata della scuola, deciso a non arrivare in ritardo. Se Hanamichi avesse potuto si sarebbe fermato subito, accentuando così la sua sorpresa, ma non lo fece, poiché per una buona volta aveva capito le priorità, ma questo non gli impedì di prorompere in un: “Kitsune!” Cui Rukawa rispose con un: “Dohao!” Entrando nel cancello della scuola, inevitabilmente finirono per affiancarsi spalla a spalla, senza smettere di correre verso l’edificio. “Distrutta la bici?” lo sfotté Hanamichi cercando di prenderlo in giro; tuttavia il suo tono, interrotto da affanni e gemiti di dolore, non sembrò così divertito e decisamente non diede l’impressione di una battuta a Rukawa, ma ormai Sakuragi non poteva farci niente, sempre che se ne fosse accorto. “E’ caduta… la catena” disse anche lui tra gli affanni, già seccato dal fatto di non riuscire a reggere una corsa di appena due chilometri senza parlare affannando, così aggiunse: “E non riuscivo a svegliarmi, ma se arrivo ancora in ritardo, mi… buttano fuori…” Ormai erano alla porta, decisi a non arrendersi, quando Hanamichi disse: “Si… anche io” Poi si fermò per aprire la porta e fece passare Rukawa, solo perché era rimasto poco più indietro di lui e non si era ancora fermato, ma nessuno dei due ci pensò né ci fece caso, dirigendosi di corsa verso i propri armadietti per cambiarsi le scarpe. Non avevano mai notato che fossero vicini, probabilmente perché non si erano mai cambiati le scarpe assieme, fatto sta che si ritrovarono di nuovo spalla contro spalla, Hanamichi accovacciato scalciando via quelle che aveva indosso e lanciando per terra le borse e la scatola di biscotti quasi vuota e Kaede in piedi, che cercava freneticamente la chiave dell’armadietto, issandosi sulle spalle tutto ciò che aveva con sé, per non perdere tempo dopo in un fastidioso recupero. Aprirono gli armadietti all’unisono, ma mentre Sakuragi tirò fuori contento una scarpa destra, da quello di Rukawa uscirono in massa migliaia di bigliettini, sicuramente dalle spasimanti, che andarono a coprire il pavimento sotto i suoi piedi. “Merda!” disse stressato il ragazzo, cercando di recuperare quelle cartacce per buttarle nel cestino più vicino. “Che disastro!” sbottò Hanamichi, carico di tensione, contro il ragazzo di fianco a lui, vedendo che quei biglietti erano addirittura finiti sulle sue cose. Così si alzò e andò ad agguantare un cestino lì vicino, per poi tornare indietro e liberare le sue borse e le sue scarpe dalle cartacce; e ne approfittò anche Rukawa che, senza guardare o smistare neanche uno di quei biglietti, lanciò tutto nel cestino, per poi togliersi le scarpe e lanciarle nell’armadietto. Kaede non ringraziò Hanamichi per l’aiuto, né quest’ultimo gli ricordò che dovesse farlo, perchè entrambi, di nuovo, non ci fecero caso, pensando solo al loro ritardo, e sentendo dalle classi sopra le loro teste che le sedie si stavano muovendo in massa, segno che i ragazzi si stavano alzando all’entrata del professore. Entrambi imprecarono sottovoce, ma oltre a quello si sentì distintamente il gorgoglio molto insistente di uno stomaco, e Kaede Rukawa arrossì, adirandosi ancora di più. Questo Sakuragi fece fatica ad ignorarlo, e subito dopo sbottò dicendo: “Sei davvero un cretino, Rukawa: pur di non arrivare tardi rinunci alla colazione” “Si, infatti” si limitò a dire Rukawa, seccato come non mai, stringendo i lacci delle scarpe, mentre Sakuragi chiudeva l’armadietto e recuperava la borsa del basket: “Sicuramente per te è inconcepibile” “Infatti” disse solo l’altro prima di correr via alla volta delle scale, ma fuggendo via colpì per sbaglio la scatola di latta dei biscotti, che rotolò via con un clangore continuo. “Ehi Dohao!” lo chiamò allora Rukawa, alzandosi per chiudere l’armadietto: “Hai dimenticato…” “Tienila tu!” urlò l’altro in risposta salendo i gradini delle scale a tre a tre, senza che avesse la possibilità di aggiungere che non aveva tempo per tornare indietro e riprenderla. Kaede allora sbuffò, recuperando la scatola senza chiedersi nulla, neanche perché lo stesse facendo, ma non ci fece caso, perché con tutto sé stesso sperava che nell’appello non fossero arrivati al suo nome. Così corse di nuovo, prima su per le scale, poi lungo i corridoi, fino ad arrivare davanti alla porta della sua classe, dove si catapultò, urlando: “Presente!” Gli occhi di tutti lo guardarono e un paio di ragazze risero, mentre Rukawa guardava il professore che cercava di riprendersi dal principio di infarto che l’aveva colpito. Quando si riprese, con mano tremante portò la penna al registro, dicendo: “Rukawa Kaede, presente” Così con un sospiro di sollievo, Kaede chiese scusa per l’entrata originale e si diresse al suo posto, lasciando ai suoi piedi la borsa del basket, e cadendo a peso morto sulla sedia, mettendo la scatola di latta sul banco, senza accorgersi di averla ancora in mano. Dopo aver ripreso fiato e aver svuotato la cartella dai quaderni, finalmente si accorse di quell’oggetto e se lo portò più vicino guardandolo meglio. Una ragazza nel banco di fianco al suo ridacchiò e, cercando di attirare la sua attenzione e magari cercando di compiacerlo, disse: “Che carina quella scatola, Rukawa” E Kaede pensò subito al dohao, senza ovviamente rendersene conto, e la aprì volendo scoprire cosa c’era dentro. Ma quando tolse il coperchio rimase stupito nel vedere dei biscotti. Grossi biscotti al cioccolato, tutti tondi e spessi. Subito inorridì, del tutto sorpreso e spiazzato, poi sentì di nuovo quel gorgoglio infame, e infine si arrese a mangiarne uno, ritrovandosi a pensare a poco prima, di come ne era entrato in possesso, e finalmente ad accorgersi di ogni singolo scambio di battute col dohao. Mettendosi in bocca un primo biscotto ricominciò a pensare a quando si erano incontrati fuori dalla scuola, e a come gli avesse chiesto dove fosse finita la sua bici. In realtà, ricordando meglio, le sue parole erano state diverse, ma non era una presa in giro o un’occasione che aveva preso al volo per sfotterlo, ma solo una domanda innocente, come se gli avesse chiesto come stava, o se andava tutto bene, e lui aveva risposto così freddamente ad un cambiamento epocale come quello! Mordendo il secondo biscotto quasi si chiuse la lingua sotto i denti, ripensando a come gli aveva aperto la porta, e a come avesse aspettato che passasse, prima di passare a sua volta, e lui non solo non l’aveva neanche notato, ma non l’aveva nemmeno ringraziato. Non che si sarebbe sentito in dovere di farlo, ma quel cambiamento nel dohao era sospetto, sembrava volersi disperatamente avvicinare a lui, e se stava cercando di farlo con gentilezze non doveva fare altro se non assecondarlo, e magari avrebbe smesso di prenderlo a pugni. Al terzo biscotto ricordò tutti quei bigliettini, e come il dohao lo avesse aiutato a buttarli via, andando a prendere per lui quel cestino e imprecando, alla volta dei bigliettini molto probabilmente. Anzi, sicuramente inveendo contro i bigliettini, altrimenti contro chi avrebbe dovuto farlo? Forse era infastidito dal disordine, ma il dohao era un casinista, non avrebbe dovuto badarvi, o almeno non avrebbe dovuto aiutarlo, e invece l’aveva fatto… Era infastidito dai biglietti, allora. O da cosa rappresentavano, dato che erano un insieme di tutte quelle dichiarazioni d’amore delle oche di tutta la scuola. Mangiando il quarto biscotto arrivò dunque a pensare agli stessi biscotti, che Sakuragi gli aveva proprio lasciato prendere, probabilmente quando aveva sentito che non aveva fatto colazione. Ed era scappato via di corsa, e lui non aveva capito il perché sul momento, ma probabilmente si era vergognato nell’agire in un modo così diverso dal suo solito, per aiutarlo quando aveva visto che ne aveva bisogno. E di nuovo gli aveva risposto male, senza ringraziarlo. Scuotendo la testa però, al quinto biscotto cominciò a pensar che forse stava esagerando e forse stava gonfiando un po’ tutta la storia, ma non poteva comunque lasciar passare quei gesti sotto il più totale silenzio, soprattutto se il dohao voleva fare amicizia con lui, perché ignorandolo avrebbe avuto solo l’effetto contrario; e se già lo odiava senza motivo, sicuramente sarebbe stato molto peggio sopportarlo quando un motivo per odiarlo ci sarebbe stato. Così si ripromise di ringraziarlo, solo una volta, e solo per i biscotti, quando gli avrebbe restituito la scatola agli allenamenti, doveva assolutamente farlo. Così, col cuore più leggero, Kaede continuò a mangiare i biscotti, tornando a pensare a poco prima, a quei pochi minuti che avevano cambiato l’immagine di Sakuragi, quell’immagine ormai diventata uno stereotipo che era andata distrutta in pochissimo tempo, e solo con una scatola di biscotti. -E con pochi gesti molto teneri…- pensò sorridendo. E subito dopo un brivido lento lo colse, scuotendolo fino alle ossa. Non fu dato da quel pensiero poco consono alla sua mente, né dal fatto che probabilmente si era accorto di star completamente perdendo la ragione, ma da un altro pensiero ancora più profondo, e ancora più impossibile. Ma ormai Rukawa non ragionava più, se mai lo aveva fatto. Infatti, stordito e stupito, si ritrovò a chiedersi se Sakuragi si fosse innamorato di lui.
Quando suonò la campanella del pranzo, Hanamichi sbadigliò copiosamente, sollevando le braccia per stiracchiarsi, mentre Mito si girava per parlargli, anche lui del tutto annoiato e semi addormentato. Hanamichi però parlò per primo, approfittando dello sbadiglio di Mito, e disse: “Mi è andata bene stamattina, per fortuna… un altro ritardo e avrei dovuto faticare davvero per non farmi sbattere fuori dalla squadra” “Già, avresti dovuto cominciare a studiare, e Kami solo sa che faticaccia sia” rispose l’altro, senza sarcasmo ma veramente spaventato all’idea di aprire un libro di testo. Poi Yohei prese il suo pranzo e guardò Hanamichi. “Andiamo in terrazza? Sempre che tu non tema di incontrare Rukawa” A quel nome, Hanamichi ricordò la mattinata, senza che ci avesse pensato da quando fosse entrato in quella classe, così sbuffò. “Allora preferirei rimanere qui, ci ho già parlato abbastanza per tutte le ere a venire” “Addirittura?” Mito lo guardò del tutto stupito, posando il pranzo sul banco e concentrandosi sull’amico: “E quando gli avresti rivolto così tante parole? O così tanti insulti…” “Stamattina, venendo a scuola” sbuffò Hanamichi: “Era anche lui in ritardo” E subito dopo raccontò al suo amico del suo arrivo a scuola, dello scambio di battute che avevano avuto e della sosta davanti agli armadietti, non dimenticando nulla, nemmeno la scatola di biscotti. E lo fece in modo del tutto diverso da come Kaede aveva raccontato gli stessi fatti a sé stesso, tanto che alla fine del racconto Mito rise. “E non ti ha picchiato neanche una volta? E soprattutto non ne ha approfittato per fare una sola battuta?” “In effetti no” rispose Sakuragi prendendo il suo pranzo, e notando solo in quel momento quel particolare non trascurabile. Poi alzò le spalle: “Anche lui stava pensando al ritardo” “Già, probabilmente” concluse Mito cominciando a mangiare: “Ma è comunque sospetto” Hanamichi non rispose. “E anche tu sei un po’ sospetto…” pensò su di nuovo Yohei. “E perché? Era lui che aveva le sue cose stamattina…” disse Hanamichi, un po’ seccato da quel continuo interesse da parte dell’amico; aveva raccontato quella storia solo perché era curiosa, ma era da chiudere nello stesso momento in cui aveva finito di raccontarla. Invece Mito continuava ad insistere. “Beh, anche tu gli hai rivolto la parola, da quel che mi hai detto” disse Yohei cercando di parlare il più pacatamente possibile; una testata a metà giornata non era una delle sue maggiori aspirazioni: “Quando gli hai chiesto se non aveva fatto colazione” Hanamichi diventò rosso dalla rabbia, e si trattenne dall’urlare solo perché in quel momento era entrato un professore cercando una loro compagna di classe. Così respirò e guardò sottecchi Yohei, cercando di farlo desistere con lo sguardo. “Non gli ho chiesto proprio niente, demente!” si limitò a dire a denti stretti: “Gli ho solo dato del cretino perché non aveva mangiato pur di venire a scuola e non farsi segnare il ritardo, e a mio parere è proprio un cretino!” “Certo che lo è, ma di solito non te ne preoccupi…” alzò le spalle Mito. “Ma come ragioni?!” sbottò stavolta Sakuragi, cominciando a diventare ipersensibile all’argomento: “Non me ne preoccupo affatto!” E Yohei Mito sorrise, ridacchiando nervosamente. “Dai Hanamichi, non ti arrabbiare, stiamo solo parlando…” Perché infondo anche Yohei Mito poteva essere un cretino e uno scavezzacollo, ma non era certo uno stupido, e avendo un minimo di spirito di conservazione sapeva quando arrivava il momento di allentare la pressione, perché il suo amico Hanamichi era spesso suscettibile, e a volte poteva scoppiare senza motivo. “Sì, scusa” disse infatti poco dopo il rosso, tornando a mangiare. “Volevo solo capire” tornò l’altro alla carica: “Perché gliel’hai fatto notare… cioè, perché ti sei sentito in dovere di dirglielo” “Si beh, mi ha dato fastidio… come si fa a non mangiare per una cosa così?” rispose Sakuragi: “L’avrei detto a chiunque” E Mito rise. “E’ proprio vero” E si tranquillizzò da quella risposta così spontanea.
Al suono della campanella del pranzo, anche Kaede Rukawa decideva di rimanere nella sua classe e di non uscire nella terrazza né di fare un giro per il corridoio, diversamente dal solito, e questo solo perché voleva evitare di incontrare il dohao. Era sciocco quello che stava facendo, e infantile, ma non poteva farci niente, anche se avrebbe tanto voluto uscire da quella classe e fare come se nulla fosse accaduto, e non fare caso se lo avesse incontrato nel corridoio, e forse l’avrebbe anche fatto, ma temeva di peggiorare le cose. In fondo era una novità il comportamento di quel ragazzo, e lui non sapeva ancora come comportarsi di conseguenza, ed era inoltre stupito e seccato insieme da quel cambiamento improvviso e immotivato. Ci aveva pensato e ripensato tutta la mattina. Aveva creduto che si fosse trattato di una lunga serie di coincidenze, la porta, la scatola, oppure di incomprensioni, come l’aiuto a raccogliere i biglietti, oppure non c’era stato nessun cambiamento e il dohao non si era accorto di nulla. Ma più ci pensava più si rendeva conto che erano tutte delle eventualità una meno probabile dell’altra, e che tutte insieme erano impossibili da verificarsi. D’altronde lui non credeva nelle coincidenze, non aveva mai avuto né subito incomprensioni e non credeva che il dohao fosse così stupido. O almeno, cominciava a non crederlo più. L’occhio gli cadde di nuovo su quella strana scatola di biscotti, e subito gli venne fame, così tirò fuori il suo pranzo e cominciò a mangiare.
Alla fine delle lezioni Rukawa saltò su e si incamminò verso la palestra per gli allenamenti, tenendo in mano la scatola di latta, intento a darla a Sakuragi negli spogliatoi, sperando che ci fosse poca gente. Così cercò di arrivarci presto e cambiarsi velocemente, sperando che il dohao facesse lo stesso. Ma alla fine delle lezioni Sakuragi rimase in classe qualche minuto di più, chiacchierando con Mito, poi recuperò le sue cose lentamente, quasi colto da una lentezza innaturale, e uscì dall’aula dirigendosi non verso l’uscita ma al piano superiore, cercando Noma, Okusu e Takamiya, che non aveva visto tutto il giorno. “In effetti forse non sanno che sei tornato a scuola, dato che fino a ieri eri a casa malato” “Si, lo penso anche io” disse il rosso del tutto tranquillo, anche se per una volta non aveva voglia di andare agli allenamenti, essendo stato fermo una settimana ed essendo ancora malaticcio. Purtroppo non poteva rimanere a casa di più, o avrebbe dovuto farsi far un certificato dal medico, e sua madre non poteva andare a farglielo, e lui non poteva uscire. Meglio andare a scuola a quel punto. “Credevo che venissero a salutare te, almeno” continuò dopo poco. “Ma mi hanno già visto stamattina, prima delle lezioni, quando tu non c’eri” E continuarono a chiacchierare così tranquillamente, fino a vedere i loro amici, che salutarono calorosamente Hanamichi e lo abbracciarono come un fratello, chiedendogli come stesse e come aveva trascorso quell’ultima settimana. “Il tensai sta benissimo! Nulla può sconvolgerlo né spaventarlo! Ah ah ah!” E così urlando e chiacchierando tutti e cinque uscirono tranquillamente dalla scuola, accompagnandolo agli allenamenti, o almeno fino agli spogliatoi dove lo salutarono, per poi andarsene in giro a gozzovigliare. Con lui rimase solo Yohei, che fece notare ad Hanamichi l’ora, intimandogli di muoversi se non voleva far arrabbiare il gorillone. Sakuragi si era già accorto di essere in ritardo, ma non se ne preoccupò ed entrò nello spogliatoio tutto felice, seppur senza voglia di allenarsi. All’interno non trovò nessuno, così entrò anche Mito, e continuarono a chiacchierare mentre il rosso si cambiava. “E allora…” disse il moro dopo un po’: “Cosa vuoi fare con Rukawa?” Colto alla sprovvista, Hanamichi fermò le braccia a mezz’aria, nell’intento di mettersi una maglietta fresca di bucato per giocare. Aspettò che l’amico aggiungesse qualcosa ma, vedendo il suo sguardo un po’ risoluto e un po’ divertito e vedendo che non aveva intenzione di dire altro per il momento, si infilò velocemente la maglietta. “Ancora non capisco come mai ti entusiasmi così tanto questo argomento” “E’ una novità” rispose Yohei, come se si fosse preparato tutta la mattina a rispondere a quella domanda: “E le novità mi entusiasmano, soprattutto perché mi tirano fuori dalla monotonia” “Che poeta!” riuscì a dire Hanamichi, allacciandosi la scarpa sinistra: “Però è proprio qui che ti sbagli; guarda che non c’è nessuna novità, e tra me e Rukawa non è cambiato proprio niente, così mi comporterò con lui come al solito” concluse alzandosi e uscendo dagli spogliatoi, seguendo l’amico. “Anzi, forse peggio del solito” aggiunse ridendo come un matto: “Dato che, oltre esser una stupida kitsune, è anoressico!” E Yohei rise, dandogli una pacca sulla schiena: “Anche questa sarebbe una novità” disse tra i denti, ma Sakuragi non ci fece caso.
Nella palestra intanto la squadra aveva appena finito di fare i giri di campo e Rukawa ansimava spossato, tenendosi con le mani sulle ginocchia fino a riprendersi, e asciugarsi il sudore della fronte con la spugnetta che aveva sul braccio. Subito dopo si chiese ancora una volta dove fosse il dohao, e non fu l’unico dato che anche Akagi si guardava intorno cercandolo, e Kogure chiese a tutti se l’avessero visto, e se fosse tornato a scuola. Kaede si stupì di quelle ultime parole del sempai e, cercando di non dare nell’occhio, gli chiese spiegazioni. “Ieri ho incontrato Mito e mi ha detto che era a casa da una settimana, con la febbre, però mi sembra che avesse detto che oggi sarebbe tornato, ma forse non era ancora in forze per gli allenamenti” Rukawa non disse più nulla e andò a prendere un pallone, pensando a tutto quello tra sé e sé. Lui l’aveva visto il dohao, era venuto a scuola. Forse era uscito prima perché non si sentiva bene, forse non voleva venire agli allenamenti perché non se la sentiva, ma a ben pensarci aveva la borsa del basket quella mattina con sé, allora forse voleva bigiare sugli allenamenti, come un idiota qualunque. Cominciò a palleggiare e si diresse al canestro per provare i tiri liberi, nel farlo passò vicino alle sedie che Ayako teneva per l’allenatore o per i panchinari quando si giocava in partita, e su una di quelle, insieme alla sua felpa e ad una bottiglia d’acqua c’era la scatola di Sakuragi, che si era portato dietro quando aveva visto che non sarebbe arrivato in tempo negli spogliatoi. Per fortuna che nessuno l’aveva notata. Fece una corsa fino al canestro ed insaccò in un attimo. Quando tornò a terra corse a recuperare subito la palla, finita davanti alla porta. Una volta che la prese, la porta si aprì di scatto, e si ritrovò Sakuragi di fronte, con l’amico Mito alle spalle. Si alzò di scatto e lo guardò, senza cercare di fulminarlo con lo sguardo per essere arrivato in ritardo; forse perché era stato male, forse per i biscotti o forse perché non ci stava pensando. Ma Sakuragi non lo stava già più guardando, e si stava rivolgendo al capitano oltre le sue spalle. “Gori, scusa il ritardo! Mi stavo cambiando!” urlò congiungendo le mani, mentre i sempai Miyagi e Kogure gli si avvicinarono per chiedergli come stava. Dopo che ebbe salutato tutti, Sakuragi tornò a guardare Rukawa, che improvvisamente smise di tirare a canestro, e poi istintivamente girò la testa verso Mito, che sorrise come se lo sfidasse a dire di nuovo che era tutto come al solito. Ma Hanamichi Sakuragi non avrebbe ammesso mai che qualcosa era cambiato, e l’avrebbe dimostrato facendo a botte con la kitsune a qualunque costo. Così si avvicinò a Kaede minaccioso, come al solito, mentre tutti gli altri andavano a prendere i palloni in giro per il campo, non badando a loro; Hanamichi stava preparando almeno cinque o sei frasi da dire, per non essere impreparato, ma si accorse già di come quella cosa fosse una novità, dato che qualche giorno prima non aveva bisogno di pensare qualcosa da dire a Rukawa, gli venivano fuori le parole senza bisogno di nulla, invece ora… Ma non volle pensarci più perché gli era finalmente giunto davanti, e pensò subito che forse avrebbe fatto meglio ad ignorarlo per un po’, per poi tornare con un piano inaffondabile, ma forse sarebbe stato peggio. Era pronto, sapeva anche cosa dire, ma l’occasione era ormai persa, perché quando aprì la bocca, Kaede lo precedette. “Devo ridarti la tua scatola…” disse in un fiato: “Quella di stamattina” Poi corse via, lasciando il rosso da solo a sbattere due o tre volte le palpebre al vuoto, del tutto interdetto. Gli parve anche di sentire il suo amico da fuori la porta che sghignazzava compiaciuto, ma non ci fece assolutamente caso. Rukawa tornò in un attimo, porgendogli la scatola dei biscotti. “Volevo ringraziarti, Sakuragi… per questa…” disse il moro (e stava abbassando lo sguardo?), aggiungendo subito dopo: “Per stamattina... anche…” E come un palloncino che si sgonfia, Hanamichi si sgonfiò in un attimo, tenendo in mano la scatola senza capire nulla, guardando prima quella, poi Kaede, poi girandosi verso Mito che adesso non rideva più, ma guardava interessato come davanti ad un televisore, tornando di nuovo alla scatola. “Si beh… grazie” disse Hanamichi, riprendendo la scatola anche con l’altra mano, diventando subito rosso, stupito e un po’ intimorito nel vedere Rukawa che lo chiamava per nome e gli restituiva un oggetto, oltretutto ringraziandolo, per cosa poi? Ma tutto questo Rukawa non poteva saperlo, come non poteva sapere che Hanamichi aveva lasciato lì la scatola solo per mancanza di tempo, così cercò soluzioni alternative. In effetti senza sapere tutto quello che passava nella mente di Sakuragi, e già arricchito dai pensieri suoi di quella mattina, poteva solo pensare che il rosso si fosse imbarazzato a tanta confidenza, o che fosse contento, o che si stesse vergognando. E ciò non fece che peggiorare le cose. Avevano parlato a bassa voce, così nessuno li sentì, ma allo stesso modo tutti tentarono di capire cosa si stessero dicendo, cercando di farlo a distanza di sicurezza. Quando Hanamichi posò la scatola su una sedia vicino all’allenatore, la stessa Ayako, con nonchalance, tentò di saziare la sua curiosità, guardando bene la scatola e addirittura aprendola, rimanendo delusa quando non vide nulla al suo interno. “Ehi Sakuragi! Non credere che mi sia dimenticato del tuo ritardo!” urlò all’improvviso Akagi, avvicinandosi minaccioso al rosso, che indietreggiò di un passo davanti a quella montagna. “Ti ho già chiesto scusa Gori! Ero a cambiarmi!” “Non voglio sentire scuse!” urlò di nuovo il capitano tirandogli un pugno sulla testa: “E’ una settimana che non ti presenti, e appena torni arrivi in ritardo! Se succede anche domani tornerai a fare i fondamentali per una settimana!” E con un ruggito tornò in campo, radunando le truppe per cominciare l’allenamento, mentre Hanamichi rimaneva immobile a pugni stretti, scocciato e interdetto, che cercava di capire cosa fosse successo a tutti quel giorno. Il suo sguardo incrociò per un attimo quello di Rukawa, che lo osservava senza la solita espressione di noia misto disgusto, ma con un vago interessamento a quello che stava facendo o stava per fare. Hanamichi Sakuragi ringhiò sommessamente, prendendo mentalmente nota che il giorno seguente avrebbe letto l’oroscopo prima di uscire di casa.
|