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Pairing:RuHana
Raiting:Angst
Buon anno a tutti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
E ovviamente Buon Compleanno Ru!!!!!!!!!!!!!!!!!*_____*
Imposition
di Mel
E da quel giorno, da quell’istante, Hanamichi divenne triste.
Improvvisamente si spense, senza un perché.
Nel turbine dei fiori di maggio i suoi occhi persero colore mentre
camminava verso l’edificio.
Il suo viso rispondeva agli stimoli sensoriali e lo lasciava parlare e
sorridere per il mero scopo di apparire normale.
Ma la sua mente tornava a quando aveva posato quel semplice foglio sul
tavolo e lo aveva guardato.
E non aveva mai pensato a quanto fosse sorda la rabbia che si poteva
provare nell’impotenza.
Il suo mondo rimase uguale, cominciò a vacillare per qualche giorno, ma si
aggiustò, sospeso su un filo di cui nessuno conosceva l’ubicazione.
Che nessuno poteva legare, quindi, ad un appiglio più sicuro.
Occhi negli occhi, niente di più era permesso, niente di più era concesso.
Il cambiamento era ampiamente percettibile per chiunque vi avesse prestato
un minimo di attenzione.
Eppure qualcosa allontanava il concretizzarsi della preoccupazioni di
tutti.
Forse pensavano che fosse solo un attimo e che, rapide, le nuvole che
avevano coperto il sole si sarebbero diradate.
In un caldo primo pomeriggio di sole Hanamichi camminava in una strada
così ben tenuta da brillare sotto ai raggi dorati.
Alte ville in stile antico si affacciavano con riverenza sull’asfalto
traslucido, mentre lui avanzava.
La cartella di puro cuoio sulle spalle aveva un odore intenso che gli
ricordava i cavalli.
Proseguì con estrema, voluta, lentezza fino ad arrivare in fondo alla via,
dove la signorile strada in pieno stile giapponese intersecava con
precisione una di quelle vie che a Parigi vengono chiamate ‘boulevard’,
grande e bella.
Con noncuranza si diresse verso una costruzione immensa, riccamente
adorna, intonacata, piena di cancelli in ferro battuto, prati e lampioni
costosi.
Ben sapendo chi vi avrebbe trovato dentro.
E durante quel breve, quanto sofferto, viaggio non aveva pensato.
Per non ammettere cos’era la giustizia e cosa la sofferenza.
Per non esprimersi a pensieri il non-sense di quella vita.
Non suonò.
Sapeva chi abitava quella villa uscita da un mondo di fiabe crudeli.
Prese le chiavi, detestando quel pendaglio d’oro puro che recava uno
stemma antico.
Aprì la porta, s’incamminò nei corridoi oscuri ed entrò in una stanza atra
e cupa.
Si sedé su di una poltrona di pelle e sospirò.
Mentre il nulla, che abitava quell’edificio fin dal primo giorno,
sussurrava al suo padrone di casa un bentornato silenziosissimo.
Ed Hanamichi pianse.
A endless pain
In an endless soul
Il grande palazzo era stata chiamato ‘Villa Sakuragi’ da poco tempo.
Il ragazzo dai capelli di lino rosso la abitava da qualche mezza
settimana.
Era successo in fretta e con dolore.
Con ancora il ricordo presente di quegli occhi che si chiudevano in
un sonno eterno.
Una lettera, l’avviso di un testamento.
E tutto quello che di solito c’è in una lettera simile.
‘..unico erede…..rimasto…un’immensa
fortuna…….ville…….conti…..denaro…….azioni……..catene di
negozi……..affari….firme……soldi…..’
Ma quell’unico.
Quell’ 'unico', scritto con enorme noncuranza, gli aveva aperto una voragine
nell’anima.
Improvvisamente.
Perché altrettanto improvvisamente si era reso conto di quanto
fosse vera quella parola.
Vera ed irreversibile.
Unico…………...................=…………………………………………Solo.
Al mondo.
Per sempre.
Da qui a quando morirai.
Ed il colore gli era fuggito dagli occhi.
Completamente automizzato aveva preso possesso di tutti quei beni, aveva
preso ad abitare quella villa, aveva firmato, ereditato, acquisito.
Dal nulla si era originata la sua vita e da un nulla dopo l’altro
dipendeva.
In ultimo, in un disperato quanto patetico sforzo di sopravvissuta
volontà, aveva tentato di salvarsi con qualche pensiero cinico.
<Meriti tutto questo….tu che non hai avuto mai nulla……..>
Ma quell’unica parola vagava omicida nei corridoi e lo uccideva ad ogni
passo.
<U n i c o>
Si sarebbe estinto nell’ abbandono, bruciato dalla fiamma della solitudine
più perversa ed intima.
E niente era consolazione.
Niente più.
Né i sogni, né un viso amico, né il volto di una ragazza, né un regalo, né
il bacio di un mese fa.
Nulla.
Tsk…ironia…..ancora nulla.
A nessuno aveva mostrato niente.
A nessuno aveva permesso l’ingresso nel suo palazzo.
Quella grotta di un eremitaggio, causa e conseguenza al tempo stesso.
Era una vergogna.
Nessuno doveva vedere la sua ricchezza.
Perché le belle pareti piene di ricche opere d’arte, gli splendidi
giardini, i saloni dorati gridavano solo un’unica parola imperante.
<Unico>
<Solo>
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Kaede si teneva la testa fra le mani.
Avrebbe desiderato così tanto pensare solo a cose piacevoli.
L’eco del ricordo di quel bacio di un mese fa lo colse.
Era stato così bello.
E adesso………………..nero.
Il presente.
I problemi.
Le difficoltà.
L’insuperabile ostacolo di quelle parole vergate su un foglio asettico e
‘giusto’.
L’avviso di garanzia gli scivolò fra le mani quando finì di leggerlo per
la millesima volta.
Tutto.
Quattro giorni.
Il 19 maggio tutto sarebbe cambiato.
La finanza avrebbe confiscato la loro casa, i loro mezzi, l’ufficio e
tutto, tutto quanto.
Qualsiasi cosa di loro proprietà.
Compresa la sua stanza, il suo tempio.
Ed i suoi ricordi più belli, i suoi ‘sogni’ sarebbero divenuti solo pacchi
e scatole impilate in una torre polverosa in un magazzino senz’aria e
senza luce.
Sarebbero morti tutti e lui con loro.
Lontano da Kanagawa, lontano dal suo mondo e dalla sua vita.
Alienato.
Il 19 maggio sarebbe divenuto un alienato.
Con rabbia gettò a terra un posacenere di cristallo.
Con un guizzo anarchico pensò che almeno quello non sarebbe finito in mano
loro.
Ma distruggere la casa non sarebbe servito a sistemare il casino che suo
padre aveva creato per una sola, dannatissima, maledetta e bastarda
speculazione bancaria.
Non sapeva i particolari.
Fra i sospiri che suo padre emetteva non aveva seguito i suoi discorsi
spezzati e tremolanti.
Sapeva solo che in borsa erano finiti tutti i loro risparmi e se, per un
breve periodo, avevano fruttato così bene da sorprenderlo più in là con il
tempo avevano avuto un pessimo ritorno.
E suo padre, che confidava in essi, aveva rischiato il cento percento in
una rischiosissima speculazione bancaria.
Lui non sapeva nemmeno cosa significasse la parola speculazione.
Capiva solo che aveva fatto perdere loro tutto quello che possedevano e
anche di più.
Un debito di decine di
milioni
di yen.
O forse di più.
Ed era stato orribile, quella notte di tremende rivelazioni, ascoltare di
notte il camminare nervoso di suo padre e quello che forse sembrava un
pianto sommesso.
Ma la disperazione era inutile.
L’impotenza imperava sulle loro vite.
La rabbia era inutile.
Il 19 maggio tutto sarebbe finito.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Hanamichi sedeva al suo banco.
Attorno avvertiva la marginale presenza dei suoi marginali compagni.
E la silenziosa figura di Mito.
Pochi giorni fa Sakuragi aveva staccato un fogliolino da un libretto
piccolo e rettangolare.
Lo aveva porto a Yohei e gli aveva detto.
“Per te….perché ti voglio bene…….”
Una cifra a cinque zeri ed una firma.
Un assegno.
Yohei aveva riso.
“Carina questa…dove l’hai preso un libretto falso….te l’ha dato Noma…?”
E rideva ancora.
Ed Hanamichi ne avrebbe staccato subito un altro, con sopra l’intera cifra
di quello che aveva ereditato, se solo fosse servito a comprarsi la
capacità di sorridere ancora una volta così ingenuamente.
Ma non sorrise e non poté comprare nulla.
Ed appena Mito posò uno sguardo più attento sul foglietto, notò il timbro
della banca, un timbro vero, la struttura, le filigrane ed un'altra firma,
quella di un avvocato, smise di ridere all’istante e non sembrò
comprendere.
Non volle comprendere.
Hanamichi lo guardò con affetto.
Poi disse solo, con serietà.
“Non è per pietà, Yohei, voglio che almeno questo sia chiaro…..”
E fece per andarsene.
Poi sembrò ricordarsi di una cosa importante.
“Ah…ho cambiato casa……”
E lo lasciò lì con un capitale fra le mani tremanti.
Il giorno dopo Mito non aveva voluto sentire ragioni.
Aveva preso da parte il suo più grande amico e aveva domandato fino a
scucirgli la parola morte associata al nome del suo unico nonno,
l'uomo che aveva avuto per qualche anno la sua responsabilità e che aveva
condiviso con lui tutto, poi qualche altro discorso, fatto di parole come ‘eredità’, ‘patrimonio’,
‘solo’ e qualcos’altro.
Ma non la via della sua nuova casa, né un accenno sui suoi sentimenti
interni e profondi.
Hanamichi sembrava rinchiuso in sé stesso.
Fiero, nella sua tristissima inespugnabilità.
E Yohei sentì gli occhi farsi lucidi.
Passarono pochi giorni.
In un primo momento quei soldi avevano preso a …………..pesargli……….quasi
sull’anima.
Aveva pensato di liberarsene, di tenerne solo una piccola parte
sufficiente, destinata comunque ad esaurirsi in breve.
E quando sarebbero finiti gli avrebbero come restituito uno scopo.
Quello di vivere e mantenersi, imparare, lavorare e stare fra la gente,
fra discorsi normali e sentimenti.
E quei soldi erano un impedimento.
Così aveva pensato di regalarli.
Aveva fatto qualche donazione.
Un orfanotrofio, un’associazione di ricerca medica, Yohei con la sua
numerosa famiglia e la scuola.
Ma nemmeno vedere palloni nuovi infilati in retine lucenti in una palestra
perfetta gli aveva riscaldato il cuore.
Sentiva un tumulto in sé e desiderava con tutta l’anima che cessasse.
Ma non sapeva come.
Non sapeva.
Non sapeva.
Non sapeva.
Non sapeva.
Non sapeva.
Ed il nulla lo reclamava a sé.
Dal nulla sei venuto, al nulla tornerai e pensa un po’ ….il nulla
t’accompagnerà persino nel cammino.
Uno di quei pomeriggi insulsi mentre stava giocando bruciando energie,
bruciando forze sottratte alla tristezza per autoripetersi nella sua
mente, si vide arrivare in palestra il preside.
Il capitano interruppe immediatamente l’allenamento, inchinandosi con
rispetto.
L’uomo di mezza età s’avvicinò a Sakuragi e, fra lo stupore generale, gli
porse un inchino.
“Sakuragi-kun porta i miei ringraziamenti a tuo padre, per il generoso
lascito con il quale ha aiutato e onorato la scuola”
Hanamichi strinse gli occhi, come colpito da una fitta al petto.
“Lasci stare, non ce n’è bisogno..”rispose vago
L’uomo sorrise cordiale.
“No, ci tengo a ringraziare dal profondo del cuore per tanta generosità,
anzi desidero invitare tuo padre per potergli parlare…”
Hanamichi si volse quasi di lato, con insofferenza, intimamente
spazientito da quella situazione troppo ‘pubblica’.
Rise quasi fra sé.
Forse aveva regalato un assegno di troppo e questo gli era valso i
ringraziamenti pubblici di quel preside.
Stanco di mezze parole e di vuoti discorsi cercò di chiudere la questione
in modo rapido ed indolore.
“Davvero, non importa….riporterò le sue parole e…”
“Che caro ragazzo, ma vedi ci tengo a dire grazie ‘personalmente’….”
Hanamichi lo guardò allora negli occhi, con intensità.
Turbandolo lievemente.
Con atonalità rispose.
“Allora lo ha già fatto, adesso, in questo momento”
Calò il silenzio, anche fra i suoi compagni che dietro parlavano fra loro,
senza malizia, di quanto potesse essere benestante il loro confusionario
numero dieci.
“Com’è possibile?Tuo padre non …”si domandò ad alta voce l’uomo
“Mio padre è morto tempo fa….”disse il ragazzo dai capelli rossi
raccogliendo un pallone
Il vecchio preside rimase interdetto.
Hanamichi si sentì scioccamente soddisfatto per averlo fatto finalmente
tacere.
Che bisogno aveva avuto di ringraziarlo lì, in palestra, davanti a tutti?
Detestava queste dimostrazioni, queste esibizioni….
Squallide.
Come può un uomo vantarsi dei suoi …………soldi?
Sono fogli di carta, sudici fogli di carta …..
Puoi nascere con loro o senza di loro.
Vantarsi di questi sarebbe come vantarsi di avere due braccia e due gambe.
Sei nato con braccia e gambe.
Mostrarsene orgogliosi è stupido.
Ed offensivo.
Soprattutto nei confronti di chi, magari, semplicemente non ha avuto
fortuna e due braccia e due gambe non le ha e non le avrà mai.
L’uomo, rimasto silenzioso un attimo di troppo, cercò di riprendere
quell’allegro contegno che aveva avuto fino ad un attimo prima.
“Mi dispiace molto Sakuragi-kun…allora potrei incontrare tua madre, credo
che…”
Hanamichi interruppe quel patetico tentativo.
“Le risparmio la fatica di scoprire che nemmeno lei è in vita – disse
senza emozioni – e che non ho altri parenti in questa né in altre città…”
Nella palestra il silenzio si fece di tomba.
Ironicamente appropriato…..
Il ragazzo dai capelli rossi sorrise con il vuoto negli occhi.
“Ha fatto io quelle donazioni se ancora se lo domanda……ma non voglio
ringraziamenti…..mi andava di regalare palloni nuovi ai miei compagni
….tutto qui…..”
E senza attendere un cenno o una risposta o qualsiasi altra cosa si girò,
allontanandosi verso il canestro in fondo al campo.
Completamente interdetto all’uomo non restò che andare via, mentre la
squadra velocemente pensava a cosa fare o dire per sollevare il silenzio
che era improvvisamente crollato su di loro.
Ma Hanamichi non voleva parole né, tantomeno fatti.
Voleva pace.
Magari eterna…………………………………………………………………………….. perché no?
Un paio di occhi azzurri lo seguirono mentre se ne andava dopo
l’allenamento più silenzioso di tutto l’anno.
Un brivido gli corse lungo la schiena, nell’accorgersene.
Ed improvviso, quando si voltò a scrutare il padrone di quegli occhi, lo
colse il sentore che Rukawa doveva parlargli.
Ma si era appena ripromesso di non avere parole da ascoltare, così rimandò
con un cenno nello sguardo e se ne andò alla sua casa di solitudine.
Quella notte Kaede non dormì.
Il suo animo lottava da quel pomeriggio, selvaggiamente.
Ed ogni attimo in più lo lasciava come morto, in preda ad un respiro corto
che gli infastidiva i polmoni e gli opprimeva il petto.
Non poteva.
NON POTEVA!
Per nessun motivo al mondo.
Si alzò.
La notte era nera come un inferno senza fiamme.
Aveva sete.
Scese al buio le scale di casa per portarsi ai piani inferiori ed avanzò,
certo di poter trovare una piccola tregua in un bicchiere di acqua gelata.
Ma non arrivò mai in cucina.
Una piccola luce lo sorprese.
Proveniva dal salotto.
Era notte fonda.
Il pensiero di un ladro lo sfiorò, facendolo sorridere malignamente.
Tsk, solo qualche oggetto in meno che la finanza si sarebbe portato via.
Oltre al posacenere di cristallo, ovviamente.
Si affacciò con cautela, mentre un suono lontano eppure vicino lo
avvertiva che al mondo poteva esserci di peggio dei ladri.
Con i suoi sottili occhi azzurri lanciò uno sguardo globale alla stanza.
E lì lo vide.
Non rimase un attimo di più.
Si voltò e camminò veloce fino alla propria stanza.
Il cuore gli faceva male, il respiro, se possibile, si era completamente
fermato.
Sapeva di stare per prendere una decisione ignobile, ma il ripetersi nella
sua mente di quella scena lo convinceva ogni attimo di più.
In fondo lo faceva per qualcosa di veramente importante.
Nel salotto circondato da mille fogli, mille fatture, mille cifre senza
senso suo padre, disperatamente, la testa affondata tra le mani, piangeva
come un bambino.
Ridotto al relitto di sé stesso, sotto il peso della colpa e della
disperazione che lo avevano pochi giorni prima, irrimediabilmente
affondato.
Passò un altro giorno.
La decisione definitiva era dura da prendere, anche per chi, nella vita
non si è mai pentito di nulla e vive senza rimpianti.
Kaede si passò la fascetta sul viso, strusciando il braccio contro la
pelle bianca.
Resa ancora più nivea dalla notte insonne e dai pensieri che si agitano in
quegli occhi blu, rendendoli più scuri.
Deve.
Ormai è un imperativo.
DEVE.
Oggi è il 18 di maggio.
L’allenamento finisce così come è cominciato.
Gruppetti di matricole parlano sotto voce, mentre i loro senpai e gli amici
di Sakuragi, si domandano perché non si sono mai accorti di nulla e
quant’altro per sentirsi sempre più in colpa.
Ma nessuno osa prendere anche una sola iniziativa.
Sono solo ragazzi, non sanno assolutamente come confrontarsi con una
problematica così grande e tremenda, che li amareggia e li rattrista.
Hanamichi non ha bisogno di parole, poi.
Lo sanno perfettamente.
Ma non sanno che altro fare.
Si sentono tutti con le mani legate, mentre lui si riveste ed esce,
salutando a malapena.
Rispondono affettuosamente, almeno per fargli avvertire il loro calore.
Intanto penseranno a cosa fare per lui, il loro amico dal sorriso ormai
morto.
Kaede li osserva, tutti quanti e li capisce.
Lo capisce.
Almeno per metà.
Lui una madre non la ha mai avuta o se l’ha avuta non se lo ricorda più.
Ma adesso deve prendere tutto il coraggio che ha e deve seguirlo.
Saluta con un monosillabo e segue la figura alta e sola di Hanamichi.
Percorrono insieme almeno tre strade.
Kaede conduce a mano la sua bicicletta.
E pensa.
Con tutta la velocità possibile ad un’altra soluzione.
Ma non ne trova e improvvisamente lo vede fermarsi e si ferma a sua volta.
“Cosa vuoi?”chiede Hanamichi senza quasi girarsi
Kaede sa adesso che non può più tirarsi indietro.
E’ la sua ultima possibilità.
La sua unica possibilità.
“Devo parlarti…”
Hanamichi si sorprende leggermente.
“Se è qualcosa che riguarda quello che è successo in palestra l’altro
giorno è meglio che risparmi il fiato come fai di solito, non voglio
sentire cazzate……non da te volpe….”
Rukawa posò la bici contro un lampione, in quella stradina deserta e
vuota.
“No, non riguarda te, riguarda me…”
Hanamichi si sorprese per la seconda volta in pochi attimi e finalmente si
volse.
“Parla…”
Per la primissima volta in tutta la sua modesta vita Kaede provò una sorta
d’imbarazzo.
Il suo animo si ribellava atrocemente, ma le catene della ragione lo
tenevano inchiodato dentro.
Il ragazzo dagli occhi blu si passò una mano fra i capelli.
Non c’erano parole adatte da trovare.
Era inutile continuare a procrastinare.
“Ho bisogno di un favore da te….”
Quelle parole gli costarono care.
Per orgoglio e per tanti altri motivi.
“Che favore?”chiese Sakuragi
“Ho bisogno di soldi……………………..da te…”
Strinse i pugni.
Il sangue gli ribolliva nelle vene.
Si faceva schifo.
Profondamente.
Lui provava qualcosa per Hanamichi.
Altrimenti, quel bacio, quel giorno, per quale motivo?
E quel giorno quando aveva scoperto che era rimasto solo avrebbe voluto
essere lui la persona che doveva fare favori.
Che doveva fare qualcosa per Hanamichi.
E non approfittare di quella fortuita notizia per i suoi comodi.
Dannazione!
Hanamichi lo fissò a lungo, negli occhi.
Poi, lentamente, prese dalla cartella il libretto degli assegni.
“Quanto….volpe?”
“Ottanta milioni di yen”
Per nulla turbato il ragazzo dai capelli rossi scrisse in fretta la cifra,
firmò e gli consegnò il foglietto.
Kaede lo prese.
“Non chiedi?”domandò interrogativamente
“Non mi interessa…..avrai i tuoi buoni motivi……non mi sembri uno che con
quei soldi andrà a puttane…”
Quell’ironia cinica non stava bene su quel volto.
Kaede lo pensò veramente, mentre stringeva quel foglio che rappresentava
la loro salvezza.
Sua e di suo padre.
Hanamichi rimise il libretto in cartella.
Il cuoio era della migliore qualità.
Kaede lo notò distrattamente.
Il ragazzo dagli occhi nocciola stava per allontanarsi.
Poi si fermò.
Sulla punta della lingua Kaede tratteneva ancora un ringraziamento.
Sentendosi infinitamente meschino.
Hanamichi si voltò.
Come ricordandosi di una cosa di poco conto, ma che va detta.
“A proposito volpe………..da domani, in cambio di quegli ottanta milioni di yen, farai
tutto quello che ti dirò….”
E poi se ne andò veramente.
Alzando una mano senza voltarsi.
Kaede sospirò.
Un lungo sospiro che sembrava essere uscito dalla sua anima, finalmente
libera.
Fissò ancora un attimo quel ragazzo e si chiese tante cose su di lui.
Ma rimandò.
In bocca un sapore che, alla meschinità, aveva mescolato il gusto di una
redenzione che cominciava all’alba del prossimo giorno.
Kaede corse a casa.
Pigiando su quei pedali, volando per le strade.
Entrò in casa senza una parola, gettò a terra la cartella, stringendo quel
foglietto in mano e raggiunse la stanza di suo padre.
Avanzò oltre la soglia senza curarsi di bussare.
Lo trovò ancora immerso fra i fogli, un’espressione distrutta.
“Kaede.......”
Silenzio.
“Mi dispiace….”aggiunse un attimo dopo
Ed era vero.
Kaede si avvicinò.
Quell’uomo non era mai stato un cattivo padre.
Si era sforzato ogni giorno dalla sparizione della donna che amava.
Aveva tentato di cacciare lo spettro della tristezza per la morte della
sua compagna.
E c’erano stati giorni in cui vi era riuscito un po’ di più e altri in cui
vi era riuscito un po’ di meno.
Gli posò una mano sulla spalla e con uno sguardo solo cercò di consolarlo.
Fiero, adulto come un bambino, impettito, ma lievemente tremante.
Prese la sua mano grande, la stessa che tanto tempo fa gli aveva regalato
una palla e lo aveva accarezzato e vi lasciò sopra il piccolo foglietto
che aveva ottenuto disgustando sé stesso.
L’uomo guardò lui e poi il foglio.
Lo prese fra le dita tremanti.
Lo lesse.
Lo rilesse.
Lo rilesse.
Lo rilesse.
Ma la cifra a sei zeri rimaneva sempre uguale a sé stessa.
Un istante dopo l’uomo nascose il volto commosso in un mano e nessuno di
loro disse niente.
E quella notte nessuno più pianse.
Non in quella casa almeno.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
“…volpe…..oggi ti voglio a casa mia….non fare domande…questo è
l’indirizzo……”
E se ne andò di nuovo, lasciando Kaede sulla terrazza.
‘Tsk, mi lasci sempre con un foglio in mano a guardarti andar via di
spalle…..ma ti farò perdere questo vizio….’
Non era una promessa.
Era una minaccia.
Hanamichi non tornò in classe.
Passeggiò nel giardino sul retro.
Osservando le piantine che spuntavano dalla terra, pronte ad offrire sé
stesse al sole gentile della primavera.
Cosa aveva fatto?
Cosa stava per fare?
Quella notte, quando anche l’ultima lacrima si era esaurita, spirando
sulle sue labbra, aveva ripensato a quel giorno.
Quella carezza leggera, ma percepibile.
Non aveva avuto tempo per riflettere perché un foglio che parlava di
eredità lo aveva distratto.
Lo aveva distrutto.
E adesso fra le macerie non cercava quello che sarebbe stato, ma qualcosa
di nuovo.
E sapeva, riemergendo ad intervalli regolari, cha stava facendo qualcosa
di profondamente sbagliato.
Ma non voleva fermarsi.
Voleva la pace.
Una strana pace.
Quando sul finire del pomeriggio Kaede raggiunse villa Sakuragi il
tramonto già aveva investito la facciata intonacata di un delicato, quanto
intenso, rossore.
Cosa voleva da lui?
Inutile domandarselo davanti al cancello.
Si fece aprire.
Ed entrò.
Hanamichi lo accolse, avanzando in una casa che sembrava del tutto
inadatta a lui.
Senza nessun convenevole il ragazzo ordinò.
“Vieni..”
Camminarono a lungo, senza una parola.
Salendo scale, imboccando corridoi, voltando angoli.
Fino ad una stanza al terzo piano.
L’unica di tutta la casa ad avere, forse, un aspetto di poco più vissuto.
Entrarono, accomodandosi sulle poltrone.
L’ambiente era grande e pulito.
Tappeti preziosi e antichi a terra, un letto simile ad un baldacchino del
settecento, uno scrittoio, quadri alle pareti, tende pesanti alle
finestre.
Kaede si guardò attorno, poi tornò con lo sguardo su di lui.
Lo trovò perversamente spento, con quegli occhi quasi liquidi e le labbra
tese.
Improvvisamente Hanamichi parlò.
“Riesci ad accettare di essere alle mie dipendenze…?”
Kaede non si sbilanciò.
“Nh..”
Hanamichi sorrise.
Con una punta di divertimento.
Poi ad un certo punto apparve stanco.
Molto, molto stanco.
Si alzò.
Indossava una specie di vestaglia, sopra una maglia a collo alto e dei
pantaloni di misto lana.
Avanzò di un passo verso il suo ospite.
Si chinò verso di lui, appoggiando entrambe le mani sui braccioli della
poltrona.
Raggiunse il suo viso, prima di fermarsi e dover pensare.
E lo baciò.
Il semplice contatto con la sua bocca morbida e appena tiepida fu un flash
non ben identificabile di luce.
Un poco della tensione che lo attraversava da mesi si sciolse per quel
contatto.
E Hanamichi prese la sua decisione.
Sussurrando gli ordinò.
“Facciamo l’amore”
Anche se amore non ne sentiva nel cuore.
Kaede rimase immobile.
Il respiro gli si era cristallizzato in gola.
Di caldo aveva solo le labbra.
Rese tiepide dallo strusciarsi contro quelle di Hanamichi.
Senza una sola parola di assenso o di negazione si alzò a sua volta.
Hanamichi lasciò cadere a terra la vestaglia.
Il suo fruscio sul pavimento era qualcosa di erotico.
Era quello lo scopo per il quale lo aveva voluto lì?
A casa sua?
Kaede non si domandò altro mentre Hanamichi si spogliava davanti ai suoi
occhi.
Velocemente.
Si baciarono a lungo in piedi, uno contro l’altro.
Mentre i vestiti di Rukawa irritavano la nudità dell’altro e al tempo
stesso lo proteggevano dal freddo.
Le lingue s’incontrarono per la prima volta e fu subito calore.
Un’onda bianca invase la mente di Hanamichi mentre la stoffa tirata dei
pantaloni di Rukawa sfiorava i suoi fianchi.
“Portami al letto…”mormorò il ragazzo dai capelli di fiamma
Kaede si sentì scuotere da un brivido intenso.
Amarlo.
Amarlo era qualcosa che non era ancora arrivato a desiderare.
Ma che adesso lo rapiva e lo portava via.
Sentiva come la volontà e la razionalità sciogliersi nell’inferno della
sua pelle.
Lo spinse indietro, guidandolo e caddero insieme.
Fra le sue mani Hanamichi non oppose resistenza.
Smaniava perché arrivassero in basso, sempre più in basso.
Spogliandosi Kaede lo accontentò.
Con le mani lo strinse, strinse la sua carne dura e fremente.
Lo fece gridare piano.
Lo guardò.
E si chinò su di lui.
Davvero perso fra quelle mani Hanamichi trovò la sua pace.
La mente, ottenebrata da spasmi di piacere e luci di una sola
sfumatura di
bianco, non era più in grado di pensare.
Di ricordare.
D’improvviso si trovò a desiderare di più.
Guardò gli occhi così belli e vicini di Rukawa.
Due stelle sul panno bianco del suo viso.
E glielo chiese.
Desiderando soltanto affondare fino in fondo.
“Dentro….entra…..subito…”
Reclinò la testa, come sfinito, poi riprese a strusciarsi su di lui.
La necessità sembrava essere diventata materiale.
Un fuoco che dannava.
Che lentamente prendeva possesso del suo essere.
“Devo…preparare il tuo..corpo…”riuscì a sussurrargli Kaede
Hanamichi scosse la testa.
“Non ho niente di quello che servirebbe…..lascia stare….entra..”
Kaede s’impuntò, lievemente turbato.
“No”
Hanamichi strinse gli occhi e gli sibilò, come se gli soffiasse contro.
“Rukawa ubbidisci!”
Le mani del ragazzo dai capelli di fuoco scesero in basso, toccando il
membro eretto che sentiva contro la propria coscia.
Lo accarezzò con forza, per avere la sua reazione.
Per costringerlo alla violenza.
E si perse nuovamente nei momenti in cui Kaede si stendeva fra le sue
gambe aperte e lo teneva fermo contro di sé.
Fissò vacuamente i suoi occhi, eppure con intensità.
Hanamichi si sentì penetrare a lungo.
Con lentezza e fatica il sesso eretto di Rukawa scivolava in lui.
La volpe ridusse gli occhi a due lame, mentre avvertiva una punta di
dolore nell’attrito.
Era stretto oltre ogni immaginazione.
Hanamichi sollevò la schiena dal letto.
Il suo respiro si spezzò nel dolore ed i suoi occhi si fecero grandi e
luminosi, in un istante.
Ebbe come un guizzo di vita mentre urlava.
Anche il dolore sapeva annebbiargli la mente.
Immobile Kaede prese fiato.
Sudato e ansimante decise fermamente di attendere.
Ma il corpo di Hanamichi si spinse verso di lui cercando sensazioni forti.
Kaede si lasciò sfuggire un mezzo grido.
Veniva stretto così forte da credere che da lì a poco sarebbe impazzito.
Il calore gli scioglieva le ossa, le labbra bagnate sotto di sé erano una
follia improvvisa che lo conquistò.
Lo baciò con passione, affondando nella sua bocca rossa.
Hanamichi sussultava ad ogni spinta.
Il piacere gli montò dentro come la marea al ritmo delle prime spinte che
aveva imposto al corpo di Rukawa.
Si dimenò furiosamente sul letto.
Negli occhi pieni, adesso, di vita si leggeva una non comprensione di
quello che avveniva.
Gli eventi gli passavano davanti agli occhi e sul corpo senza che ne
avesse completa cognizione.
La bocca aperta in gemiti pesanti era l’unica via in cui piacere e aria si
mescolavano in una preghiera che chiedeva di più.
Le spinte di Kaede erano adesso regolari.
Forti.
Piene.
Hanamichi mugolò forte per un affondo particolarmente riuscito e socchiuse
gli occhi.
Quella perdizione era qualcosa che aveva sempre ricercato.
Non ricordare più chi era………………………………………………………………………………………………………………………….…o
chi non era.
Dove era.
Perché.
“…anc..ora…”
Sussurrò.
Guardava Kaede negli occhi, gridando.
Lo stringeva con le mani attorno alle spalle, graffiandolo.
Due strie gemelle gli scendevano sul viso.
Acqua che cade dagli occhi.
Sì.
Non vedeva più.
Non sentiva più.
Non aveva sensi.
Non aveva ragione.
Non aveva ricordi.
Non aveva forze.
Non aveva passato, presente, futuro.
Non aveva fantasmi.
Il bruciore di quella violazione lo faceva rabbrividire.
Aprendo istintivamente le cosce chiese di più.
Provocato Rukawa lo prese con tutte le sue forze e con quel
po’ d’attenzione che, pur nell’irragionevolezza della passione, voleva
dedicare ad un corpo mai violato prima.
Hanamichi gridava.
Ma in quella stanza così grande le sue grida sembravano perdersi e
rimanevano su quel letto, aleggiando fra loro, su di loro.
Il ragazzo dalla pelle dorata si mosse selvaggiamente fra le mani pallide
che lo stringevano, rischiando di sfuggirgli.
L’aria mancava ed il sudore scorreva incontrandosi nei punti di fusione
fra due anime che, prima di essere vicine l’una all’altra, non erano state
di nessuno.
Kaede chiuse gli occhi.
Il suo bel viso concentrato sul piacere.
Uscì fuori da quella guaina calda e vi rientrò.
Premendo contro i contorni dilatati ed irritati, ma bagnati.
Sotto di lui c’era chi impazziva per una cosa del genere.
Si sentiva sfiorare là dove qualcosa di misterioso lo faceva fremere.
Si tese come una corda di violino.
Gli occhi spalancati.
Un mondo di stelle nella testa.
Una tribù di tamburi nel cuore.
In quegli istanti Rukawa si stava arrendendo al piacere.
Un’onda intensa lo investì, partendo dal suo inguine.
Premé Hanamichi sul letto, annegandolo fra le coperte e diede l’ultima,
lenta, spinta.
Il membro gonfio entrò con un ultimo sforzo che valse il suo orgasmo.
Hanamichi si sentì riempire.
Bagnare completamente.
E quel seme era come un filtro magico che permetteva di dimenticare.
Lo assaporò fin nell’interno e sentì solo l’esplosione del proprio corpo,
prima di capitolare definitivamente.
La vista che si tingeva violentemente di bianco ed infine di nero.
Sconvolto Kaede si sollevò lentamente dal corpo del compagno.
Era scivolato esausto su di lui.
Non lo sentiva muovere.
Lo guardò, teso, preoccupato.
Hanamichi aveva gli occhi chiusi ed il respiro si era fatto profondo.
Kaede lo chiamò con apprensione un paio di volte.
Non ricevé risposta e provò a calmarsi.
Aveva solo perso i sensi.
Uscì da lui con estrema attenzione.
Due fili di sangue macchiavano l’intimità di quel ragazzo dai fili rossi.
Kaede se ne dispiacque in silenzio.
Raccolse dal fondo del letto il lenzuolo e coprì Sakuragi.
Com’era accaduto tutto quello?
Il sudore che si ghiacciava sulla sua pelle gli ricordava costantemente
che non era un sogno.
Era una realtà.
Una strana………..contorta………………realtà.
Hanamichi si destò verso sera inoltrata.
Kaede sedeva sulla poltrona.
Rimase un attimo fermo, un ginocchio avvolto dal lenzuolo tirato al petto,
la testa piegata ed appoggiata di lato, i capelli rossi sul bianco
sembravano tanto le macchie che aveva scorto sotto di sé.
Il corpo doleva con leggerezza, ma costanza.
Hanamichi si sentì bene per un istante.
Lentamente si guardavano.
Poi il padrone di casa parlò.
“Ci vediamo domani Rukawa……”
Lo stava ‘gentilmente’ invitando ad andarsene.
Il ragazzo moro si alzò.
Aveva pensato che svegliarsi da solo non sarebbe stato bello per lui, così
aveva atteso il suo naturale risveglio.
Adesso poteva andare.
L’ombra in quegli occhi nocciola sembrava meno densa di quando, quel
pomeriggio, era entrato nella sua casa.
Poteva andare.
Una mezza frase lo fermò, mentre abbassava, di spalle, la maniglia.
“……domani sera, qui…..”
Non era una domanda.
Era un altro, perentorio, ordine.
“Nh”rispose
Ed andò.
Solo nel letto, mentre un cancello lontano mezza casa si chiudeva fino
alla sera dopo, Hanamichi si distese, gemendo.
Sospirò.
Era così esausto.
Magnificamente esausto.
Come se fosse appena tornato da un’altra dimensione, attraversando tutti i
tempi e tutte le ere.
E poco prima del climax e durante aveva avvertito tutta la propria
necessità.
Il dolore sordo che lo uccideva e la solitudine che lo accompagnava e
l’impotenza e la rabbia ed il vuoto e tutto quel nulla si erano come
sciolti.
Quando la sua ragione si era frantumata ed il suo corpo era imploso anche
tutti loro si erano come scomposti.
E adesso i frammenti che ne rimanevano, in attesa di ricomporsi, pesavano
meno dell’insieme.
Finalmente ne aveva trovata un po’.
Era quella la pace.
Per lui sarebbe stata, d’ora in poi, quella.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Gli sguardi s’incrociarono con precisione.
Incastrandosi nel mezzo di una palestra piena e rumorosa.
Rukawa sentì di essere desiderato.
Ma non era amore.
Lo poteva capire e lo capiva.
Quella sera sarebbe tornato a Villa Sakuragi.
Per l’ennesima volta.
Non ricordava.
Avrebbe posseduto quel corpo e poi sarebbe uscito, sentendosi meschino
senza fine.
Ottanta milioni di yen per scoparsi il ragazzo che gli piaceva.
Chi poteva considerarsi più fortunato?
Ma qualcosa non andava.
Tutto non andava!!
Era un qualcosa di ………..distorto.
Il viso buio di Hanamichi era una prova inconfutabile di errore.
Arrabbiato con il mondo intero.
Senza via di scampo.
Tetro e solo.
Appariva così piccolo in quella casa e su quel letto.
Avrebbe voluto prenderlo con gentilezza, ma non ci riusciva.
Hanamichi glielo impediva.
Gli ricordava di ubbidire, di spingere quando e quanto voleva lui.
I preliminari erano banditi.
Non ve n’era il tempo.
Kaede tentava, notte dopo notte, ma bastava un ordine e desisteva.
Poi, da quanto
Hanamichi aveva cominciato ad imparare certe cose, quel demone dai capelli
rossi sapeva eccitarlo per farsi prendere più in fretta possibile, con
ogni sua energia.
‘Ma questa notte sarò gentile….’si ripromise ed era una minaccia
Entrò nella stanza senza guardare quasi.
Hanamichi già si stava spogliando in un angolo.
Nemmeno quello gli lasciava fare.
Veloce il ragazzo dai capelli rossi sollevò le lenzuola e con un cenno
della testa fece intendere a Rukawa di sbrigarsi.
Che non lo aveva portato lì per ammirare il suo corpo candido.
Che quel corpo lo voleva e subito.
Voleva tutto l’oblio che riusciva a dargli con l’orgasmo.
Kaede gettò a terra i propri abiti e salì su di lui.
Lentamente.
Hanamichi lo tirò a sé.
Affondò le mani fra i suoi capelli e gli chiese di entrare, subito.
“Svelto, volpe…”
Ma Kaede scosse la testa.
Prese a passare le mani su di lui.
Hanamichi si agitava.
Afferrò i suoi polsi e gli trascinò le dita in basso.
Kaede si liberò e lo prese per i fianchi, chinando la bocca a baciargli il
ventre e l’ombelico.
No.
Non c’era abbastanza luce, non c’era abbastanza nebbia.
Hanamichi non voleva vedere, non voleva sentire.
Desiderava avvertire solo un calore insopportabile e le ossa che si
scioglievano assieme ai problemi.
Niente di più.
Gli afferrò i glutei sodi e lo spinse contro di sé, strusciandosi su di
lui.
Ne aveva bisogno.
Disperatamente.
Ma Kaede lo ignorava apertamente, leccandogli la gola.
Furente Hanamichi lo strattonò.
“Cazzo, volpe!Non ti ho pagato per baciarmi!”gli gridò
Ed aprì le gambe, in una chiara provocazione.
Rukawa si arrese.
Una rabbia sorda gli era montata dentro.
Voleva solo sesso?
Voleva solo sentirlo dentro, il più a fondo possibile?
Lo avrebbe accontentato.
‘fanculo.
Lo avrebbe accontentato.
Si spinse in lui con forza, senza riguardo.
Lo sentì gridare con tutta la voce e serrare le cosce attorno ai suoi
fianchi, ma prese a muoversi lo stesso.
Un sorriso soddisfatto si dipinse sulle labbra aride di Hanamichi.
Mentre Kaede lo prendeva con foga, ansimandogli scuse incomprensibili.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Alla fine della primavera Hanamichi sentì che la sua vita sembrava
tramontare.
Non poteva vivere delle notti in cui non sapeva chi era, col corpo di
Rukawa addosso.
Eppure così era.
Droga vera non ne aveva mai presa, ma quello, quello doveva essere molto
simile, davvero molto simile.
Tragicamente uguale all’astinenza.
Cazzo!
Se lo portava a casa tutte le sere.
E adesso non gli bastava più.
Lo desiderava per tutta la notte e non solo poche ore.
Lo desiderava anche di giorno.
Ogni volta che lo sentiva entrare e si perdeva nella luce e nel piacere,
pregava gli dei affinché non uscisse.
Mai più.
Si prese la testa fra le mani.
Gli occhi, al contrario della mente, si stavano facendo lucidi.
Stava impazzendo.
Kaede, Kaede Rukawa era diventato il suo personale effetto placebo contro
un mondo di solitudine.
Indispensabile per addormentarsi la notte.
Indispensabile per andare avanti.
Prese il cellulare e lo chiamò.
Era la sera di un sabato qualunque.
Kaede si vestì, sistemandosi la camicia leggera sulle spalle solide e
larghe.
Suo padre era ancora al lavoro.
S’impegnava a fondo per rimettere a posto l’economia di casa Rukawa.
Avevano ancora una casa.
Quegli ottanta milioni
di yen aveva salvato loro la vita, ma adesso Kaede si chiese
se ne era valsa la pena.
Veloce lo colse il pensiero di Hanamichi.
Lo vedeva spegnersi ancora di più.
Nei suoi occhi annebbiati dal piacere leggeva l’incoscienza di chi sta
vivendo senza scopo.
O con uno scopo errato.
Dannazione.
Non gli permetteva di toccarlo con gentilezza.
Non voleva preliminari, mai.
Non gli lasciava il tempo di prendere una singola iniziativa.
E tutto quello lo stava spaventando.
Il suo corpo dorato, così dannatamente fragile dentro, rischiava una sera
sì e l’altra pure di rompersi in mille pezzi.
Kaede si passò una mano sugli occhi.
Cosa doveva fare?
La luna lo guidava, intanto, verso quella casa, verso quella stanza.
Continuare in quel modo li avrebbe distrutti entrambi.
Hanamichi per quel suo gioco pericoloso e senza fine.
Kaede per quell’ amore che gli veniva impedito di provare fino in fondo.
Dio, Hanamichi non gli lasciava nemmeno il tempo di innamorarsi
seriamente.
Sapeva solo che era il suo gigolò.
Pagato per fare l’am….no, per fare sesso, si corresse subito, mentre si
spogliava.
Eppure qualcosa lo prendeva alla base dello stomaco, come adesso ed era
una sensazione strana e forte.
Da capogiro.
Quando lo aveva contro di sé, in quel modo, umido e tiepido della doccia
appena fatta, avrebbe solo voluto stringerselo al petto e cullarlo,
cullarlo senza fine, in quella stanza così grande e fredda e cattiva.
Invece non poteva.
Era solo un fottuto gigolò.
Che si malediceva ad ogni spinta per avergli chiesto quei soldi.
Per essersi costretto a vederlo così.
Disperatamente alla ricerca di un piacere facile in cui annegare per
sempre.
“Sì…..più forte…Rukawa……..prendimi ..più forte…......più forte
ancora.....una volta..una volta riuscivi a farmi svenire....”gli
diceva con la voce impastata dalla follia di voler ingannare il dolore con altro dolore
I suoi occhi poi…i suoi occhi erano qualcosa che faceva male davvero…..ed
entrare così dentro di lui…ogni sera con meno rispetto della precedente e
sapere che era lui a volerlo così……
No..no…no…no…no…
Dov’era Hanamichi?
Dov’era?
“Aah…..dove…dove sei?.....Dove….”ansimò lasciandosi accecare da un orgasmo
ogni sera più disperato
La luna si nascose ed il cielo pianse.
Ma non servì a niente.
Il tempo passava ed Hanamichi continuava a desiderare solo quel tipo di,
facile, pace.
Kaede spiò le nuvole gonfie.
Era uscito senza ombrello quella sera di un sabato qualunque.
Hanamichi riposava nel letto, gli occhi aperti e vacui.
‘Tsk, sembra che sia stato costretto, violentato –pensò – ma qui l’unico che
si fa violenza sono solo io……….’
Passarono lenti alcuni minuti.
Hanamichi non era stanco abbastanza da addormentarsi senza pensieri.
Profondamente irritato si alzò, senza preoccuparsi di coprire il suo
corpo.
Prese la vestaglia e scese in cucina.
Rukawa lo seguì.
Non certo per spirito di servilismo.
Ma per inquietudine.
Lo osservò girare tutti quei corridoi riccamente addobbati e scendere due
rampe, camminando lentamente, senza la voglia di fare nemmeno quello
veramente.
Lo vide entrare nell’arco perfetto che si apriva sul muro di un salone ed
aprire il frigo.
S’appoggiò allo stipite di legno massiccio e continuò a seguire i suoi
lenti gesti.
Hanamichi prese una bibita fredda.
Acqua tonica.
L’alcol non lo aveva mai attirato.
Era furente.
Oramai quei rapporti non lo facevano più sentire come prima, non lo
esaurivano fisicamente permettendogli di sprofondare in un sonno senza
incubi.
L’orgasmo non durava più così tanto da uccidergli i pensieri nella mente e
scomporgli il corpo e l’anima.
Non sentiva più nemmeno
il dolore della penetrazione.
Nemmeno in quello poteva perdersi...no, doveva fare
qualcosa.....qualsiasi cosa.....
Si passò una mano fra i capelli, chiudendo gli occhi, bevendo.
Lo avvertiva.
Il suo sguardo fisso dietro di sé, vagamente accusatorio.
Senz’altro ipocrita.
Riaprì due occhi dorati, furiosi, arrabbiati col mondo intero.
Si voltò verso di lui.
“Cazzo c’hai da guardare, eh?”gli chiese con furia
Kaede non rispose.
Lo sentiva anche da quella distanza il dolore che gli irrigidiva i muscoli
tesi e dorati.
Perché era così furioso?
Perché era così inconsolabilmente distruttivo e distrutto a sua volta?
Ne voleva capire le ragioni.
Sciolse le braccia dalla posizione conserta in cui le aveva tenute durante
la sua analisi e gli si avvicinò.
Lo guardò negli occhi, sollevandogli il viso con le dita, leccò l’acqua
tonica dal suo mento e lo baciò, insinuandogli con tenerezza la lingua fra
le labbra.
Sperava di poterlo sciogliere un po’.
Di farlo parlare.
Mentre aspettava che spiovesse.
Hanamichi pensò solo che volesse il suo corpo un’altra volta.
E non ne era affatto dispiaciuto.
Lo trascinò impetuosamente nel salone, davanti al camino spento e lo fece
scivolare su di sé, lasciandosi cadere indietro su un sofà.
Continuarono a baciarsi con impeto.
Ad ogni dolcezza di Rukawa lui rispondeva con foga e desiderio.
Non aveva tempo da dedicare ad una ricerca che non lo avrebbe portato a
nulla.
Voleva amore facile e libero.
Subito.
“Presto……”sussurrò
E Kaede seppe che quella notte non gli avrebbe parlato e chissà quando gli
avrebbe permesso di nuovo di baciarlo con tanto amore.
Si amarono fisicamente, se non altro, per la seconda volta.
Non fu un amplesso veloce, né lento.
Fu quasi banale.
Ma alla fine stremato Hanamichi sentì sopraggiungere quel magnifico senso
di spossatezza che da qualche giorno non riusciva più a sentire.
Reclinò indietro la testa e fu per un attimo sereno.
Poi chiuse gli occhi e nel calore s’addormentò.
Pace.
Kaede riprese consapevolezza di sé e liberò un corpo senza sensi dalla
propria presenza.
Sospirò ancora più pesantemente di quanto non avesse mai fatto in vita sua
e si ritrovò, non so come, ad accarezzare quella pelle umida e ambrata.
Lo toccò con riverenza.
Quasi fosse di cristallo.
Come quel posacenere a casa sua.
E non era poi molto diverso.
Ammesso che, per quella volta, era il posacenere a giocare con sé stesso e
rischiare di finire in pezzi e non lui a farlo.
Lo coprì dolcemente con la vestaglia e salì in camera a prendere qualcosa
di più pesante.
Tirò via una delle coperte del letto e la portò giù con sé.
La usò per riparare quel corpo addormentato dall’uggioso freddo improvviso
di una sera banale, ma piovosa ed uscì.
Dopo avergli gettato un ultimo sguardo ed un ultima carezza.
All’alba del giorno dopo Hanamichi si destò nel salone di casa sua.
Nudo.
Con solo una vestaglia ed una coperta finita lì chissà come.
Aveva dormito discretamente.
Quasi con incosciente spensieratezza.
Incosciente per il modo in cui l’aveva ottenuta, ovviamente.
Sapeva tutto e non voleva sapere niente.
Le domande sul bene e sul male nella sua vita le evitò a priori,
aggiungendole alla lista di quelle cose che voleva lavare via nell’orgasmo
di un rapporto sessuale.
Si sentì stranamente bene al pensiero che anche quella sera, di una
domenica qualunque, lo avrebbe chiamato e lo avrebbe avuto su di sé.
Passò un certo periodo di tempo.
Man mano il suo corpo si abituò anche a quella nuova pratica e tutto
ricadde nella monotonia e nell’insofferenza.
Ma questa volta sapeva come fare.
Avrebbe subito chiesto di più.
Ancora di più.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Quella notte di metà estate Hanamichi sembrava posseduto da un fuoco
inestinguibile.
Negli occhi aveva una lucidità nuova e diversa, ma non per questo
affidabile.
Il suo corpo inarcato e dorato come una perla rara si muoveva
continuamente.
Gettò indietro la testa mentre Kaede si spingeva veloce e preciso in lui.
Rabbrividì intensamente e si lasciò al terzo climax che Rukawa gli
regalava.
Il fiato corto gli affaticava i polmoni, ma non era abbastanza.
Non era ancora abbastanza.
Niente ormai era abbastanza quella sera.
Voleva osare oltre ogni limite.
Oltre ogni umana comprensione.
Tirò a sé Kaede.
Gli occhi blu erano velati di stanchezza, il sudore era una pellicola
umida e morbida su tutta la sua pelle bianca come neve.
E gli chiese quasi l’impossibile.
“Fottimi ancora…Rukawa…..ancora una volta….…...”
Lo disse con il respiro ancora spezzato.
Con le cosce stanche ed il piccolo ingresso al suo corpo dolorante,
arrossato, quasi sanguinante.
Eppure lo pregò quasi, con un tono infermo.
Era una necessità.
Era veramente, profondamente una necessità.
Kaede lo intuì, ma provò, tentò di rifiutarsi.
Non poteva.
Gli avrebbe fatto davvero del male.
Fisico e morale.
Non poteva aiutarlo in quella fuga violenta dalla realtà.
Non poteva davvero essere complice in quella gara all’autodistruzione.
In quell'escalation verso il nulla.
Lo sentiva stremato e disperato.
Gli voleva bene e lo voleva felice.
Le tenne fra le braccia con trasporto, osservandolo negli occhi.
“Ti prego….- sussurrò lui dai capelli rossi -….ti prego…ne ho davvero
bisogno ……..”
In una stanza ai piani di sopra due foto nastrate di nero annegavano
nell’incenso, quel giorno dedicato alla loro commemorazione.
Kaede non riuscì ad ignorarlo.
Non poté, come del resto non aveva mai potuto nemmeno prima di allora,
rifiutarsi di ubbidirgli.
Ma non lo fece per quei quattro sudici pezzi di carta, non lo fece per
dovere.
O per riconoscenza.
Fu solo un disperato gesto d’affetto.
Lo strinse, costringendolo a lasciarsi abbracciare e lo penetrò in
un’unica feroce spinta.
Lo sentì gridare ed agitarsi senza forze.
Lo possedé fin nello spirito quella notte, stringendogli la testa al
petto, accarezzandogli la nuca con le dita pallide e stremate, ma
risolute.
Sapeva di star versando il suo sangue sul lenzuolo, ma non si fermò.
Lo baciò e poi riprese fiato, continuando.
“Mi dispiace piccolo, ti faccio male………….mi dispiace…mi dispiace…mi
dispiace……..”gli sussurrava guardandolo e stringendolo
“Mi dispiace…..”
E lo riempì, senza vero piacere, di un rosa macchiato di sofferenza.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Nei pochi giorni sospesi, che seguirono quella notte di raziocinante follia,
Kaede torno spesso a villa Sakuragi e vi rimase a lungo.
Notte dopo notte.
Hanamichi continuava ad imporgli quel tipo di particolare obbedienza con
tutta quella dannata urgenza negli occhi e nel corpo.
L’unica, sua, mera consolazione era lo stabilire interruzioni, più o meno
brevi, tra un amplesso e l’altro.
Non voleva fargli male.
Non voleva che il dolore fosse la sua catarsi.
Cercava ogni modo possibile per dargli piacere, per farlo andare a fondo,
se proprio doveva, con tutte le belle sensazioni che poteva dargli.
E sapeva cosa stavano facendo, sapeva a che gioco stavano giocando.
Entrambi lo sapevano.
Ma fra loro molti erano i taciti accordi.
E questa non fu quindi un’eccezione.
In quei, a volte pochi, a volte tanti, minuti di riposo fra un orgasmo e
l’altro Kaede lo guardava.
Sapeva che questo lo irritava, ma non ne poteva fare a meno.
Lo guardava, lo osservava.
Nei comportamenti, persino nei piccoli gesti.
Ostentava una grande insofferenza Hanamichi, ma in fondo era solo
…………………….dolore.
Spesso, troppo spesso si dice a qualcuno che sta soffrendo ‘Capisco come
ti senti…..’
No.
E’ una bugia.
E’ una vile bugia.
Di facile uso e poca praticità.
Sei nella sua stessa, identica condizione?
Hai i suoi stessi pensieri, i suoi problemi ed il suo modo di vedere le
cose?
No.
E allora non puoi sapere come si sente.
Puoi immaginare.
Ma non è la stessa cosa.
E’ un pallido surrogato d’umana misericordia.
Estremamente inutile, fra l’altro.
Tutto ciò che veramente puoi fare, se sei capace di portare pesi, è
prenderti una parte del suo dolore e fartene carico.
Essere d’appoggio.
In tanti modi diversi che non sono, assolutamente, l’immaginare.
E Kaede prese quella risoluzione.
Lo vedeva distrutto, accanto a sé.
Con il corpo madido di sudore ed il nero nello sguardo.
Incerto se chiederti ancora una volta un amore puramente materiale che
allontana i fantasmi e le preoccupazioni nel giro di un flash di luce
bianca.
Sospiri e pensi.
Troverai una soluzione.
In fondo sei un ragazzo che ha spalle belle larghe.
Quella notte, poco prima dell’ alba Rukawa raccolse i suoi vestiti e si
volse verso il padrone di villa Sakuragi.
Hanamichi lo guardò stancamente.
Non si parlarono a voce, ma in quello sguardo ebbe luogo una
conversazione.
Hanamichi seppe che più tardi, a scuola, si sarebbero detti cose
importanti.
Agli allenamenti Hanamichi cercò di dare il meglio.
Il sudore sembrava purificarlo dal nero che si sentiva dentro.
Era luce quando giocava.
Poteva diventare luce, così come lo era Rukawa quando correva verso il
canestro, loro meta e loro gloria.
Mentre rimanevano a cambiarsi, spogliandosi, Rukawa gli parlò.
“Possiamo anche usare casa mia….”
“Quando?”chiese Hanamichi senza voltarsi
“Questo week end…..un paio di giorni….”
Il ragazzo dai capelli rossi finalmente si volse.
“E perché dovremmo?”
“Per variare….”
Hanamichi si rigirò, dandogli nuovamente le spalle.
Evidentemente poco interessato.
Rukawa, senza scomporsi, proseguì.
“Senza contare che, tolto il pensiero di dover tornare a casa, potrei
utilizzarle meglio quelle energie che uso per andare e venire da casa tua
in bicicletta….”
Si sentì spudorato.
Dannatamente malizioso e allusivo.
Ma era la sua unica esca.
Hanamichi smise di sistemare la borsa, ma ancora rifletteva, indeciso.
Era curioso di vedere la casa della volpe, in fondo.
E poi, il pensiero di un paio di amplessi in più lo attraeva.
Si girò, sorridendo con evidente sguardo di sfida.
“Perché saresti capace di prendermi anche più di quattro volte in una
notte?”
Rukawa si lasciò ad un sorriso ironico.
“E’ una sfida do’hao, vero?”
E Hanamichi rise brevemente acconsentendo infine alla sua proposta.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Kaede tirò fuori le chiavi ed aprì il cancello della sua modesta villetta.
Con la coda dell’occhio osservò il suo compagno dai capelli rossi.
Sospirò.
Sperava d’aver fatto la cosa giusta o perlomeno, la migliore in quelle
circostanze.
Pensava che allontanarlo da quella casa enorme sarebbe stato un primo
passo.
Le grandi stanze di villa Sakuragi erano buone solo ad acuire la
solitudine e la tristezza.
Hanamichi non era fatto per una casa così.
Invece lì, a casa sua, poteva stargli accanto, ma concedergli, allo stesso
tempo, la giusta libertà personale.
Poteva fargli avvertire la propria presenza senza soffocarlo, senza
sentirsi ordinare di andare via.
Poteva, finalmente, iniziare ad aiutarlo.
Suo padre era fuori città per affari.
Non sarebbe tornato prima di quattro giorni.
Kaede posò nell’ ingresso la cartella e le scarpe e consegnò un comodo
paio di pantofole al suo ospite.
Si accomodarono in salotto.
Hanamichi passò vicino ad un basso mobiletto e lanciò uno sguardo alla
foto di una donna molto bella.
Doveva essere la madre di Rukawa.
Accanto alla foto riposava un bastoncino d’incenso ormai consumato.
Kaede seguì il suo sguardo e poté intuire il filo dei suoi pensieri.
Prese un altro bastoncino e lo accese, lasciando che l’aria si riempisse
di quella speziata fragranza.
Si raccolse in una veloce preghiera davanti a lei e poi si alzò.
“Mia madre….”la presentò ed Hanamichi annuì con un guizzo negli occhi
Forse, in parte, Kaede poteva capirlo.
Capire la sua situazione ed una parte del suo dolore.
Il ragazzo moro si sedé sul divano.
Sakuragi lo imitò.
“I tuoi soldi sono serviti a questo…… -disse lentamente Rukawa – ad
evitare che mi portassero via persino…….la sua foto….”
Hanamichi si fece attento.
Posò la tazza di tè che stava sorseggiando e guardò Kaede negli occhi.
Ed un po’ per orgoglio, un po’ per amor proprio Kaede gli confessò a cosa
era servito quel denaro.
Non voleva pensasse male di lui.
“Il giorno dopo quella sera – e fu chiaro che si riferiva alla sera in cui
gli aveva domandato quell’ingente prestito – sarebbero venuti a confiscare
i nostri bene……..tutti i nostri beni………”
Hanamichi lo osservò attentamente.
“La casa, le macchine, la mia bicicletta, i mobili, persino i miei palloni
e la sua foto…….ogni cosa di nostra proprietà”
“Perché?”
“Debiti…che mio padre incautamente aveva finito per contrarre…”
“Ottanta milioni….”sussurrò Hanamichi
“Nh”assentì lui, poi proseguì
“Sarei stato costretto a lasciare questa città, la scuola, il
club………………..il basket….”
Ci fu un attimo di profondo silenzio.
“Grazie” mormorò Kaede, alzandosi
Hanamichi lo guardò.
“Beh…te li stai guadagnando quei soldi……”
Rukawa si volse.
Hanamichi sorrise, a metà fra il dolcemente ironico ed il pericolosamente
malizioso.
“Avevamo detto anche più di quattro volte per notte, o sbaglio?”
Kaede fece un solo passo avanti, slacciandosi il primo bottone della
divisa.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Hanamichi si risvegliò sollevando le palpebre, molto lentamente.
Si alzò, guardandosi attorno.
In un primo momento non riconobbe la stanza in cui si trovava poi ricordò.
Fuori era, ovviamente, notte.
Si sorresse la fronte con una mano.
Avevano passato tutto il giorno a fare l’amore in casa.
In ogni angolo.
E Rukawa aveva mantenuto le sue promesse.
Tutte le sue promesse.
Infine lo aveva accompagnato su in stanza e ben prima del tramonto si era
addormentato.
Si ravviò i capelli con le dita, alzandosi.
La casa era immersa nel silenzio.
Hanamichi si accostò alla finestra, appoggiandovi contro una mano
lievemente tremante
per il freddo della sera.
Le strade erano deserte ed i lampioni sfidavano la notte, illuminandola a
tratti.
Non accese la luce.
O i suoi pensieri si sarebbero congelati.
Improvvisamente uscì e prese a camminare nel corridoio.
Senza produrre alcun suono vagò, diretto verso quella porta.
Da quando era arrivato, per quanto avesse ricercato quel familiare senso
d’ ineluttabile solitudine ed oppressione, non lo aveva trovato.
Si fermò.
Sentiva il respiro di una persona dietro quel legno.
Non era solo.
Non era solo in quella casa.
Non era più solo.
Dio, che avesse vagato fin lì nel cuore della notte solo per sentire il
respiro addormentato di Rukawa?
Per accertarsi che dopo tanto tempo, in una casa, non era solo?
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Kaede si svegliò, disturbato da tutto e da niente.
Aprì un occhio di malavoglia.
Detestava svegliarsi nel cuore della notte.
Ma inevitabilmente succedeva, se andava a dormire troppo presto.
Si rigirò, ma l’ombra contorta che occupava il vano della sua finestra lo
allarmò.
Si portò lentamente a sedere e lo vide.
Hanamichi, seduto alla sua finestra.
Gli occhi grandi e dorati fissi su di lui.
Accanto a lui, nel cuore della notte.
Non dissero niente per un altro po’.
Poi Kaede sospirò.
Dolcemente chiese.
“Cosa c’è?Non riesci a dormire?”
Hanamichi in risposta scosse la testa, senza dir nulla.
“Vuoi dormire qui, con me?”
Hanamichi scosse di nuovo la bella testa rossa.
Kaede sospirò ancora.
“Vuoi fare ancora l’amore?”domandò, gentile
Hanamichi abbassò la testa, incerto, imbarazzato.
Kaede fu certo che la notte stesse nascondendo il suo rossore e se ne
dispiacque.
Gli piaceva vederlo così.
Il ragazzo moro sospirò l’ultima volta, ma sapeva che lo avrebbe
accontentato.
Con un gesto lo invitò nel proprio letto.
Lo stese sotto di sé e lo abbracciò quando furono quasi nudi.
Il suo corpo era freddo.
Ma Kaede sapeva come riscaldarlo.
Passò le mani su di lui e si preparò ad essere rapido come tutte le altre
volte.
Ma quella era una notte strana, singolare.
Lui dagli occhi chiari se ne rese conto non appena lo sentì mugolare
piano, di protesta, per avergli socchiuso le gambe
troppo velocemente.
Se ne sorprese.
Lo cercò con lo sguardo.
“Non vuoi più?”domandò
Hanamichi distolse gli occhi e girò di lato la testa, fissando l’oscurità
della stanza.
“Non….non c’è fretta……questa volta…”
E Kaede sorrise.
Scese sul suo petto e lo baciò.
Lo strinse a sé e leccò la sua pelle, carezzandolo in mille modi diversi.
Hanamichi chiuse semplicemente gli occhi e abbandonò le mani sulle
lenzuola calde del corpo di Rukawa.
Se anche quella notte voleva ucciderlo, glielo avrebbe lasciato fare.
Ma al posto della morte arrivò un piacere lento e senza fine.
Per ore intere Rukawa non fece che stringerlo e baciarlo.
Lo girò, solo per posare le labbra sulla sua nuca e accarezzarla, mentre
con le mani gli pettinava i capelli.
E Hanamichi lo sapeva in fondo al cuore cosa stavano facendo e perché.
E sapeva anche tutte le altre piccole cose.
Tutti i piccoli particolari di quei mesi.
Li sapeva dal primo all'ultimo, ma era deciso ad ignorarli.
Anche per sempre, se necessario.
Ma non voleva pensare.
Si lasciò alle sue mani dolci e sapienti senza avere più nulla da temere
per quella notte.
Anche la penetrazione fu lenta e continua.
Delicata e piacevole.
Le mani di Rukawa non lo lasciavano, si prendevano incessantemente cura di
lui.
Portavano via il sudore dal suo viso quando passavano ad accarezzargli una
guancia.
Le sue labbra gli baciavano le dita e poi si sentiva stringere forte ed il
piacere era dentro e fuori di lui.
Tutto intorno a loro.
Hanamichi gemé morbidamente ogni istante di quell’incontro notturno.
Dio, non c’era nessuno, nessuno al mondo che meglio di Kaede sapesse
uccidergli i pensieri e la solitudine.
Lo abbracciò, mentre avvertiva le ultime spinte.
“Pian..o….”sussurrò al suo orecchio coperto dai capelli neri
Ma non perché facesse male, non perché fosse troppo forte.
“Non ..deve….fi.nire…”mormorò sconvolto da sé stesso e dal bisogno che
aveva di perdersi ancora, sempre, insieme a lui.
E Rukawa ubbidì.
Moderò il proprio desiderio, stringendo i denti ed imponendosi un
controllo.
Smarrendosi nello splendore dei suoi occhi appena appena aperti Kaede
raggiunse il piacere, gemendo con voce alta e profonda.
Hanamichi reclinò la testa aprendo le labbra in un grido muto e appagato.
Quando furono fermi Kaede riprese a baciarlo.
Chissà quando sarebbe tornata un’altra notte così.
Chissà quando.
Ne voleva il ricordo ben impresso.
Indelebile.
Nel suo cuore ormai innamorato perso di una solitudine che aveva i
contorni di ragazzo.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il lunedì mattina li trovò così.
Addormentati dopo due giorni di un amore strano, meno materiale, più
lento, più dolce.
Ma tutto era finito.
Hanamichi ritornò a villa Sakuragi e tutto il ricordo di quei giorni venne
sporcato dalla cenere di quella simil vita opalescente.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Due giorni dopo il padre di Rukawa si recò nella stanza del figlio.
Lo guardò con un sorriso onesto.
Felice.
Gli posò una mano sulla spalla, come a rimembrare un passato recente e
posò davanti ai suoi occhi, sulla scrivania, un foglietto piccolo e
rettangolare.
“Tiene Kaede, i soldi che hai trovato per me, puoi restituirli a
quell' amico che te li aveva prestati”
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Era inesorabilmente tutto finito?
Il nulla lo avrebbe, quindi, inghiottito?
Annegato?
Affogato?
Posseduto?
Hanamichi perse contatto con la realtà per qualche minuto, poi levò lo
sguardo da quell’ assegno che da troppo tempo stava perdutamente fissando
e si sollevò.
Se non altro si sarebbe comportato con onore.
Affonderò come un capitano, si disse.
Con la propria nave.
Senza una lacrima.
“Bene, sei libero, adesso, Rukawa”
Kaede posò quindi una mano sul vetro di quella finestra che dava sul
parco.
Capiva il suo orgoglio.
Quell’orgoglio capace di farti desiderare, ma non ti chiedere, l’aiuto
necessario.
E poteva aggirarlo.
Lo amava.
E quando un uomo ne ama un altro niente sembra mai troppo.
Si volse verso Hanamichi, seduto nel proprio letto, dove poco prima
avevano condiviso rudemente il solito, violento, amore.
Prima che tutto finisse.
Lo fissò seriamente.
Hanamichi si fece attento.
Adesso era malato fin quasi alla morte di solitudine, ma non era folle.
Comprendeva tutto fin troppo lucidamente.
Per questo forse soffriva ancora di più.
“Vorresti ancora avermi con te, per tutto il tempo che ti serve a stare
meglio?Per tutta la vita fino a quando non mi potrai dire che non hai più
bisogno di me?”domandò lui dai capelli neri come la notte
Hanamichi sussultò.
Poi si rattristò.
“Perché me lo chiedi, mi hai ripagato dei soldi che ti ho dato……”
“Puoi ancora avermi..”mormorò dolcemente Kaede
Poi si fece avanti.
Lo sguardo duro.
“Comprami”
Hanamichi rise.
No, non poteva dargli la soddisfazione di pregarlo, di implorarlo di
rimanere al suo fianco nella solitudine che lo attendeva ogni giorno.
Aveva ancora il suo orgoglio.
Era l’unica cosa che gli restava.
Sì, non ascoltarlo.
Non ascoltarlo Hanamichi.
Sai che non avrai mai amore....che non avrai mai altro che
nulla.
Si girò a guardarlo, quasi con sufficienza, di certo ironicamente, con
finto divertimento.
“E sentiamo……ipoteticamente quanto costeresti?”
Kaede sorrise, veramente.
“Non voglio soldi, so che per te non hanno valore……voglio qualcos’altro in
cambio..”
Hanamichi non disse niente.
Attese.
Sapeva che avrebbe continuato.
Che avrebbe fatto la sua richiesta.
E successe.
“ Io voglio l’atto di proprietà del tuo cuore”
Hanamichi rise piano.
“Tsk….-mormorò- …e questo cosa significa…?.”
Kaede si appoggiò comodamente alla finestra.
La luce del giorno che sorgeva lo rendeva ancor più bello.
Con quei capelli neri come una selva di fitti rami setosi e morbidi.
Quegli occhi come stagni che fissavano tanto da sciogliere in acque chiare
e delicate.
“Tu….adesso non sai più provare sentimenti d’affetto, non vuoi più
provarli…..credi che facendolo ti legheresti di nuovo e potresti perdere
ancora una volta, ‘la volta di troppo’, chi ti è caro…..ma se un giorno ti
accorgerai di poterti ancora innamorare, che non ti pesa soffrire un po’
in cambio di tanta felicità, quando sarai in grado di farlo, se succederà,
io voglio la reale assicurazione che io sarò il primo e l’unico del quale
ti innamorerai……voglio avere diritto di proprietà sul tuo intero cuore”
Hanamichi si sentì tremare fin nell’anima.
Sussultò, si coprì la bocca con una mano, girando la testa dall’altra
parte.
Perché?
Perché gli faceva tutto questo?
“Che te ne fai del mio ..cuore….non sa..rendere ..felice nessuno…nemmeno
………………………….me”
“Lo voglio lo stesso per me, vendimelo!”
Hanamichi scosse la testa, negando.
Negandosi.
“No, è uno sbaglio, non sai quello che chiedi, non posso ……… io.. non
……..posso, attenderesti in eterno, non posso………..”
Kaede fece un passo avanti, offrendosi.
(Sarebbero sempre stati in così aperta opposizione in ogni cosa?)
“Ti posso insegnare io come si ama, accanto a te…ogni giorno…”
Hanamichi fu percorso da un altro brivido.
“Dammi una prova di quello che potresti fare per me…………”
“Un periodo gratis, senza impegno?”
“Sì….per ..favore..”
“Va bene – mormorò dolcemente lui dai capelli neri – va bene, non c’è
bisogno di pregarmi….”
Hanamichi s’imbronciò deliziosamente.
“Non ti stavo pregando….”
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
<Ho preso decisioni per me impensabili con una razionalità che mi ha
lasciato allibito...
…….era la mia vita e mi sono ritrovato a non saperla gestire
adeguatamente ..
………...pensavo che il dolore sarebbe stato un giusto sentiero di pace...
………..la lotta è vita ed avevo rinunciato...
..forse....forse sono stato io ad impormi
questo nulla...non il contrario....>
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
You
touch my inner smile..so gently…
..I mealt in a bright light
Una settimana.
Rukawa concesse una settimana.
Alla fine della quale tutto avrebbe trovato una conclusione.
In bene o in male.
Arrivò il primo giorno ed incredibilmente gli insegnò a sorridere.
Lui.
Kaede Rukawa che insegna ad Hanamichi Sakuragi a sorridere.
Sembra tanto una cosa da fine del mondo, ma è soltanto una cosa da fine
tristezza, fine dolore, fine sofferenza.
Glielo insegnò davvero.
Ma senza farglielo vedere.
Glielo insegnò creando per lui le atmosfere.
E quando lo vedeva abbassare la guardia, meno sospettoso, meno
indifferente, lo ‘attaccava’.
Ed un sorriso riusciva sempre a tirarlo fuori da quelle labbra di
ciliegia.
L’Hanamichi di un tempo non aveva mai dimenticato come si sorrideva.
Ci voleva solo ………………………tempo.
Gli tenne compagnia in quella casa enorme, senza che tutto scivolasse
nella passione.
Per quello avevano già avuto così tanto tempo.
E fu tutto un accarezzar di capelli, un parlare dolce, una quotidianità
condivisa.
Assieme.
Non soli.
Assieme.
Non soli.
Assieme.
Lentamente Kaede fece scivolare le dita in quella selva ribelle color
rosso sangue.
Pettinò ogni filo, mentre la sera avanzava.
Anche un bagno poteva diventare un luogo da condividere e l’acqua nera di
pensieri, con la quale Hanamichi era solito lavarsi, poteva davvero
diventare bianca come la pelle di Rukawa.
Appoggiato all’indietro contro il suo ventre Sakuragi godeva dei piccoli
brividi che le punte delle dita di Kaede gli procuravano.
I nodi erano stati sciolti tutti da almeno un quarto d’ora, ma lui dagli
occhi chiari non si era ancora fermato.
Un brivido diverso, di freddo, increspò la pelle dorata.
Rukawa raccolse il phon e lo accese.
L’aria calda e le sue mani.
Alla fine del primo giorno Hanamichi scoprì che poteva addormentarsi
serenamente anche senza affogare nel piacere carnale.
Bastava trovare una volpe, farsi lavare i capelli e rimanere appoggiato a
lei mentre te li asciuga.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il secondo giorno giocarono insieme.
Dietro quella villa, nel parco, montarono insieme due canestri.
E giocarono.
Dall’alba al tramonto.
Alla fine del secondo giorno Hanamichi scoprì che non serviva uccidersi di
fatica per sentirsi vivi.
Bastava trovare una volpe, farsi sfidare, correrle dietro e giocare.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il terzo giorno uscirono insieme per comprare qualcosa.
Kaede gli offrì un gelato, fiordilatte e fragola.
Guardarono insieme la gente, facendo attenzione ai più piccoli,
divertenti, particolari.
La socievolezza intrinseca degli esseri umani, il loro bisogno di
compagnia, parve ad entrambi come una consuetudine iscritta nei geni di
quella specie da millenni.
Infine sorrisero del sorriso di un bambino che passava per strada.
Alla fine del terzo giorno Hanamichi scoprì che essere soli e sentirsi
soli sono due cose ben diverse, ma che non sono insostenibili.
Bastava trovare una volpe, con un sopracciglio perennemente alzato, che ti
accompagna in città e sorride con te di quello che ti fa sorridere.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il quarto giorno cucinarono insieme.
Silenziosi e distanti, presi poi dalle faccende, si ritrovarono vicini a
lavare dei piatti in cui avevano mangiato insieme.
Ed il silenzio era il canto di un momento tranquillo e domestico, intimo
come il sorriso che Kaede non poté nascondere a sé stesso.
Alla fine del quarto giorno Hanamichi scoprì che non importa poi molto
quanto è buono ciò che si mangia, ma con chi si condivide anche questo
piccolo, quotidiano, importante momento.
Bastava trovare una volpe che cucina per te e che ti sfiora la mano ogni
volta che raggiunge il piatto per prendere il suo cibo.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il quinto giorno si difesero dalla domande preoccupate dei compagni.
Dicevano loro di trovarli cambiati.
Ma ciò che è incerto non si deve dire.
Per questo Kaede non parlò.
E ciò che spaventa non si deve dire.
Per questo Hanamichi non parlò.
Andarono via insieme.
Traballando su un bici troppo piccola per entrambi, ma così confortevole
da commuovere.
La schiena di Kaede era così calda che la lacrima solitaria che Hanamichi
vi versò sopra evaporò nella notte.
Alla fine del quinto giorno Hanamichi scoprì che mentire per sé stessi non
sempre ti salva, né è così necessario per vivere.
Bastava avere una volpe che tergiversa abilmente per te, proteggendoti con
la sua schiena grande e calda, con tutto il suo coraggio.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il sesto giorno camminarono per villa Sakuragi, osservando, scoprendo un
pezzo di antica vita passata.
I tappeti morbidi, gli arazzi e le carte da parati attutivano ogni suono.
Il mondo era una bolla di braccia vicine che si strusciavano nel camminare.
‘Ti somiglia’ disse improvvisamente Kaede indicando un quadro di un
antenato ‘Ha il tuo splendido sorriso’.
Rimasero abbracciati davanti ad un camino che, follemente, avevano acceso
insieme nonostante fosse fine estate.
Ma era così bello e caldo.
Hanamichi naufragò nelle braccia di Kaede.
Il mare erano i suoi occhi blu oceano.
La terraferma era il suo corpo su cui stava steso.
E le colonne d’Ercole verso l’ignoto
furono il bacio che si scambiarono nel
silenzio di un fuoco che non crepitò per loro rispetto.
Alla fine del sesto giorno Hanamichi scoprì che non ha importanza
l’immensità di un luogo, tutto si può ridurre alla persona vicina ed alle
sue braccia, soprattutto quando sono intorno a te.
Bastava avere una volpe che diventa il mare mentre tu sei una barca che si
fa cullare.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Il settimo giorno fecero piano l’amore, improvvisamente, di notte.
Ma fu diverso.
Così diverso che Kaede quasi pianse di piacere.
Mentre tutto ciò che di materiale c’era in quell’atto si perse, per
lasciare spazio ai soli bisogni spirituali.
E penetrarlo fu come diventare uno, mentre il resto diventava nulla.
Nulla di definito.
Nulla di importante.
Il bacio durante l’apice, fra labbra di ciliegie e labbra di sale, fu
dolce come il miele.
Elevando gli spiriti dalla tristezza in cui si erano, da soli, confinati.
Alla fine del settimo giorno Hanamichi scoprì che, se è vero che il nulla
esiste, tutto quello che ci separa dalla fine dell’esistenza può essere
riempito di tante cose piacevoli.
Bastava trovare una volpe che riempisse il tuo corpo col suo, fra baci
portatori di giusta pace.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
*L’ottavo giorno io, Kaede Rukawa, giro per Kanagawa, mano nella mano con
lui.
Con in tasca l’atto di proprietà del suo cuore.*
Fine
Dedicata a Gyh.
Per te tesora mannara, dal tuo piccolo fennec del deserto!Eh eh eh
Un po' triste, un po'
gotica, un po' gioco di anime, come piace a te.
Per augurarti in
ritardo un buon compleanno.
Per augurarti un buon anno.
Da Mel, a te.
Note
Questa volta mi andava
di rompere i luoghi comuni, come mi disse una volta una persona, perché
solo Ru deve sembrare ricco?
Così ho fatto Hana ricco sfondato (ma non per questo più felice....'starda
n.d Hana)
Ps.Spero l'inglese sia
corretto, non ho riguardato -.-
E' venuta fuori in poco
tempo......chiedo perdono a Chika e Sil...per aver trascurato quello che
avevo promesso......mi darò subito da fare, ok Chika?Nel frattempo quel
video che sai, con quel sedere che sai, mi darà l'ispirazione......eh eh
eh ...........(sembra una cosa oscena...ma non lo è...)
Ne approfitto per
ringraziare la stessa Chika-tesoro che mi ha aiutata...eravamo a Firenze e
lei mi ha parlato dei suoi dubbi sul fatto che se la famiglia di Ru era
nei guai per solo un milione di yen (come era originariamente la
storia)erano veramente dei morti di fame....col cambio attuale un milione
di yen sono circa settemila euro.......così mi sono immaginata la scena...
Ru va a chiedergli i
soldi.
Quanto?chiede Hana
Un milione!risponde Ru
Hana stacca un fogliolino con aria indifferente.
Ecco a te, i soldi per la merenda.....
^______________^ alla
fine mi sono decisa a mettere un cambio decente.....ottanta milioni di yen
sono quasi seicentomila euro.......grazie Chika!!!
Baci Mel
E ancora buon
Anno!!!!!!!!!!!Buon 2006!!!!!!!!
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