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Il ritiro (fra te e me)
Calore - Epilogo

parte II - Martedì

di Mel



 

La notte avanza ed io non dormo, pensava Kaede.

 

Non riusciva ad acchiappare quel sonno molesto, che lo vezzeggiava lasciandogli socchiudere le palpebre e poi fuggendo da lui, non lo baciava, non gli concedeva riposo.

Sapeva perché.

Era stata troppa l’ adrenalina che aveva lasciato correre nel proprio sangue, troppa l’ eccitazione per quei rapporti così spinti, così provocantemente violenti ed improvvisi.

Si sentiva il corpo febbricitante di passione, ancora.

 

Da quanto tempo non sentiva quell’emozione?

Da quanto tempo, ogni volta, aveva pensato solo a controllarsi?

Ad impedirsi di provare frenesia, per non vedere di nuovo il suo sangue?

 

Senza volerlo lasciò correre la propria mente a poche ore prima, alla penetrazione nell’ ingresso, a quella sul divano.

Kami, si stava eccitano ancora.

Era stanco sì, ma ….

 

Ma voleva ancora il ragazzo accanto a sé.

Voleva sentirlo gridare, gemere, nel cuore di quel lunedì notte che si era già, da qualche quarto d’ ora, trasformato in un martedì pieno di passionali promesse.

 

Sentiva il proprio membro cominciare a tirare furiosamente.

Tentò di calmarsi, non avrebbe voluto svegliarlo.

Si erano addormentati solo da qualche ora.

 

Infilò una mano sotto il lenzuolo, per toccarsi ed alleviare la propria frustrazione.

 

No.

Non voleva.

Dopo aver condiviso amore, come poteva sperare di godere da solo?

Non ci sarebbe riuscito.

 

E non voleva.

 

 

Non in quella settimana.

Non adesso.

 

Si girò velocemente, tirò su di sé Hanamichi e iniziò a chiamarlo.

Lui dagli occhi ancora chiusi e caldi sorrise, domandando pianissimo che cos’ era successo.

 

 

“Niente, solo ho ancora voglia di te”

 

Un sorriso dolce.

 

 

“Beh, sono qui, no?”

 

Era un assenso.

 

 

 

Kaede lo baciò, tenendolo fra le braccia, sollevato quasi dal materasso morbido, non lo voleva lasciare.

Lo strinse, lo cercò, lo fece stendere.

 

Con tutta la docilità di questo mondo, Hanamichi si lasciò girare, toccare, carezzare da quelle mani così profumate.

Le mani grandi e belle del suo Kaede.

Quelle mani che gli  piacevano tanto, che lo facevano impazzire.

Dall’aria così innocente e forte quando tenevano un pallone ed invece piene di desideri perversi quando silenziosamente si facevano strada nel suo ventre fino a toccare ogni suo punto sensibile, fino anche a fargli piacevolmente male quando premevano forte.

 

Era penombra tutto intorno e Rukawa lo voleva facilmente.

 

Sotto quel lenzuolo niveo.

Niente più lenzuola scure nel loro letto, lo aveva deciso Kaede dopo che, subdolamente, gli avevano nascosto per mesi il sangue dolorante del suo amore.

 

Ora lo aveva prono, sotto di sé.

Lo accarezzò steso sulla sua schiena, per un po’, gentilmente.

Trascinandolo quasi in un oblio da dormiveglia.

Poi scese verso il basso, con la testa sotto il lenzuolo chiaro, fino a separare i suoi glutei con dita rapide, per regalargli un paio di lappate veloci sulla pelle nascosta e bollente di quel piccolo buco.

Sentì alcuni gemiti soffocati e sorrise.

Poi, risalendo con il corpo verso le sue spalle larghe per stringerle fra le braccia, entrò facilmente, dolcemente.

 

 

Un’unica spinta fluida e fu amplesso.

 

 

La notte fuori era ancora scura e fredda, e Kaede spingeva.

Forte, con vigore.

Entrava allargando quell’antro piccolo e stretto e poi usciva, giusto il tempo di far credere che si dovesse richiudere ed invece lo prendeva di nuovo.

 

Ed Hanamichi gridava.

Ad alta voce.

Forte.

Di più.

Sempre di più.

 

Ogni volta che Rukawa sfilava e lo riprendeva.

 

 

Grida, grida acute che si perdevano nel silenzio della notte/alba.

 

 

Perché si sa, e lo sapevano anche Kaede ed Hanamichi,  il silenzio è il più grande amplificatore di questo mondo.

 

Tutto sembra più vero nel silenzio, tutto sembra avere uno spazio ben distinto ed un luogo ed un tempo.

Anche il piacere sembra più piacevole.

 

E Kaede spingeva.

E ad Hanamichi sembrava di stare dormendo, di essere in un sogno.

Un sogno erotico dalle sensazioni dilaganti.

 

Si spingeva all’indietro, verso l’amante, per avere di più.

Fino a che non sentì all’altezza del ventre una delle braccia di Kaede che lo sorreggeva, che lo pregava silenziosamente di mettersi carponi per lui, di farsi prendere ancora più facilmente, senza sforzo, senza angolazioni contorte.

Semplicemente così, in ginocchio davanti a lui.

 

E a Kaede cominciava a piacere da un po’ di tempo quella posizione, così….arrendevole…………. così eccitantemente sottomessa.

Sì….. magnifico.

Lo sussurrò a voce bassa.

 

Lo tirò ancora più verso di sé, impalandolo improvvisamente con lentezza, scorrendo poi fino in fondo, fino in fondo, ancora, ancora di più.

 

E lui dai capelli di fuoco gridò forte, con tutta la sua voce.

A perdifiato.

 

Gridava e gridava.

Sempre più forte.

Ad ogni spinta, ad ogni seppur minimo movimento.

 

Neanche il cuscino morbido riuscì a far tacere quelle urla di puro godimento.

Perché poi impedirgli di sfogarsi con quei gridi rochi, perché?

 

Kaede impazzì.

Lo strinse tirandolo verso il suo sesso eretto con spinte fortissime.

Infilandosi in un certo punto di lui, con particolare piacere.

Mugolando soddisfatto.

 

E non se ne accorgeva, ma lo stava sbattendo su quel letto.

Lo stava aprendo, con enorme soddisfazione ed un pizzico d’incoscienza.

 

E lo sentiva gridare, lo sentiva non nelle orecchie, ma nella testa.

La voce che girava e girava e si posava lì, nel cuore, per poi scendere fino all’inguine ad infiammarlo ancora di più.

 

 

 

‘Ma quanto gridi, amore?

Quanto?’ pensava

 

 

‘Non lo sai nemmeno tu e neppure io…….  lo sanno solo i nostri vicini, la gente che passa sotto la nostra finestra per un lavoro all’ alba, la luna ed il mare invidioso, ed il cielo e Kami, che forse ci guarda, forse no....... ‘hentai’ gli direi....

…..si può dire hentai a Kami, amore mio?

Che domanda sciocca, cosa importa ora….. ora che.......... ora che il turgore del mio membro affondato nelle tue viscere ti riempie e ti scava, cosa posso credere che t’ importi d’altro?’

 

Lo pensava e si rispondeva incoerentemente che, alle volte insieme, alle volte da soli, quel dio che a loro sembrava sconosciuto, lo avevano però ringraziato.

Ringraziato di averli creati, fatti vivere ed incontrare.

Ringraziato, per averli fatti amare.

 

Perché sarebbe stato troppo facile ricordarsi di lui solo quando provavano dolore.

 

Si perse un istante.

Una scarica intensa di brividi lo aveva colto, mentre entrava profondamente dentro il suo amante.

Gridavano insieme adesso, più piano, stanchi anche nella voce, ma felici.

 

Esausto, Kaede spinse Hanamichi sul letto, lo raggiunse, penetrando ancora la sua carne fremente e lo pienò del suo seme, lentamente, con estrema voluttà e qualche altra lievissima piccola spinta.

 

La tensione completa dei muscoli, quel lago eccitante che si spargeva in sé dal membro ancorato a fondo del suo Rukawa ed anche Hanamichi raggiunse il piacere.

 

 

Mentre l’alba si riempiva d’odore di fragole rosse.**

 

 

 

 

Al mattino, solo un bacio veloce e perfetto.

Tutte le ore, fino alla sera, furono piuttosto impegnative.

In quell’unica settimana libera dalla scuola, si erano normalmente concentrate tutte le altre cose, tutti gli impegni troppo a lungo rimandati, tutti i propositi, gli acquisti, le necessità che venivano di solito messe da parte quando il tempo non bastava per tutto.

E così fu sera in un attimo.

Fuori imbruniva ed Hanamichi rientrò.

 

Il suo Kaede lo aspettava nel salotto, fermo sull’ ingresso, il ragazzo dai fili rossi esclamò dolcemente.

 

“Sono tornato” mentre chiudeva la porta dietro di sé

 

Il suo amante dai capelli di tenebra varcò la soglia della sala, lo raggiunse velocemente e prese fra le mani la sua giacca, lo aiutò a togliersela e la posò sull’appendiabiti.

Gentilmente.

 

Hanamichi sorrise.

Fece i tre passi che lo dividevano dal suo amore e si appoggiò semplicemente a lui, senza stringerlo, solo percependo il suo immenso calore attraverso la stoffa degli abiti.

 

 

Una frase morbida.

 

“Il nostro ritiro continua stasera, vero?”

 

Un cenno d’ assenso da parte di Kaede.

 

Poi quella domanda così dolce, così dannatamente dolce e tenera.

 

 

“Cosa devo fare stasera? Dimmelo tu……”

 

 

La penombra rese improvvisamente affascinanti le scale.

Kaede le guardò, lasciandosi usare come sostegno per il suo compagno, senza sfiorarlo.

 

Lanciò uno sguardo oltre le finestre, al vespro che tingeva il cielo di un blu laccato e denso, come un pittore esperto dopo tele e tele raffinate.

 

Desiderava tranquillità, si sentiva sereno.

Quella sera avrebbe lasciato da parte la bramosia.

 

Abbassò il viso verso di lui, posando il mento sui suoi capelli rossi.

E piano cominciò a parlare.

 

 

“Vai su……  fatti una doccia calda…. poi scendi giù ………      scendi le scale,  nudo ……………..voglio guardarti”

 

 

Hanamichi arrossì lentamente e sollevò uno sguardo sorridente.

Serenamente sorridente.

Mentre lo abbracciava, guardandolo negli occhi.

 

 

“No……….. non so……. io… io non sono così bello …...tu potresti farlo, non io ........”

 

 

 

Kaede sbuffò, scostando con il respiro una propria ciocca nera, poi lo baciò con vigore.

 

 

“Smettila di dire sciocchezze con questa bocca da do’hao…………. – a due millimetri dalle sue labbra già pronte a scaldarsi di passione – …….questa bella bocca morbida ed invitante…………. ora vai su… non farmi aspettare ancora ………… scendi giù, come ti ho detto… e torna a farti baciare ancora……. la tua bocca, stasera, non deve fare altro…………………….”

 

 

 

Hanamichi sorrise contro il suo petto, chiese ancora qualche secondo di  tenerezza, poi scomparve al piano superiore.

 

Kaede sospirò innamorato.

Kami, sì, quanto lo amava.

 

Quanto…. quanto?

 

 

Scosse la testa e tornò in salotto, prese un piccolo fagotto rosso e si diresse in cucina.

Esattamente il tempo di quella doccia calda.

 

Hanamichi si sparse il bagnoschiuma delicato fino a bagnarsi le punte dei capelli dietro la nuca, si accarezzò poco, a quello avrebbe pensato il suo Kaede…..

La crema rosa si sciolse nell’ acqua bollente, mentre un leggero aroma di frutti del sottobosco restava sulla sua pelle.

 

In attesa, al piano inferiore, la bellissima volpe scura chiuse gli occhi appoggiandosi alla parete di fronte alle scale.

 

Hanamichi si asciugò con cura, fu tentato, nel guardare l’accappatoio, di infilarselo e scendere lasciandolo solo aperto e basta.

Ma rifiutò quell’ idea.

 

Non voleva disubbidire al suo amante.

Non nella sua settimana.

 

Così spense le luci e si diresse verso il primo gradino.

 

Kaede si scostò dalla parete.

Lo aveva sentito.

 

 

 

“Scendi” ordinò, con voce roca

 

 

 

E lui dal corpo dorato scese.

 

 

Un passo dietro l’altro.

Un gradino dopo l’altro.

 

La moquette morbida che attutiva i passi di quei piedi scalzi, quei piedi così belli, dal collo dorato e morbido, quei piedi da mordere e baciare.

 

E le lunghe gambe tornite che si alternavano elegantemente nel coprirsi a vicenda.

Ora la sinistra davanti alla destra.

Ora la destra sulla sinistra.

Elegantemente.

 

I muscoli, le terminazioni nervose.

La cesellatura d’artista di ogni curva.

Tutto si  vedeva sotto quella guaina così calda, che era la sua pelle di bronzo bollente.

 

Il sesso perfetto, già lievemente eccitato per i troppi sguardi rivoltigli.

 

La schiena eretta, stesa.

Il ventre morbido, perfetto, l’ombelico che si riempiva di ombre, la linea dei fianchi e dell’inguine che si dipingevano a tratti, illuminandosi solo quando uno schizzo di luce dei lampioni di strada o un riflesso del neon della cucina le colpivano, rifrangendo su un vetro o una finestra.

 

Il petto largo e modellato, le linee sensuali del collo, indifese.

Il viso coperto dalle ombre, dalle ciocche carminie, dall’imbarazzo porporino.

Gli occhi lucenti.

Due stelle che avevano sbagliato cielo.  

Si.

 

E tutta quella pelle, così bella, così morbida.

Un panno di pregiato velluto.

 

Kami, una statua di bronzo che sembrava aver preso vita al piano superiore, dove veniva conservata e che adesso scendeva incontro al proprio collezionista.

Al suo tenero, innamorato collezionista.

Un novello Pigmalione dagli occhi d’ acquamarina.

 

E Kaede pensò che quella sua discesa fosse troppo veloce.

Lo chiamò allora, chiedendogli di rallentare, di scendere più piano, più piano ancora.

 

E lo fissò per tutto il tempo, senza neanche permettersi di sbattere le ciglia.

Neanche un istante avrebbe perso, neanche uno.

Neanche un fotogramma.

Tutto ciò che un giorno lontano avrebbe voluto poter ricordare in una vecchiaia serena, da trascorrere accanto a lui naturalmente.

 

E s’impresse nella mente ogni suo particolare.

Sorridendo.

 

 

 

Hanamichi scese, verso di lui, si lasciò alle spalle gli ultimi gradini e gettò indietro la testa, sollevando fili rossi nell’aria gravida di penombra.

 

Kaede gli tese una mano e strette dita, fra le dita, lo condusse in cucina.

 

 

Hanamichi entrò con lentezza, guardandosi attorno.

 

Su ogni ripiano facevano mostra di sé alcune candele.

Dalle dimensioni diverse, dal profumo mescolato e buono.

 

Un piccolo bastoncino d’incenso bruciava accanto a loro, sollevando un filo sottilissimo di fumo aromatico.

Una candela, vicino al cesto di frutta.

Una candela, sul lavello di lucido acciaio.

Una candela, sul  ripiano delle presine.

 

Un candelabro alto e fiero sulla sommità del tavolo.

 

Il tavolo.

Coperto.

 

 

Un drappo rosso, cremisi, cremisi scuro, come sangue denso che cola,  scendeva fino a terra.

Sembrava un enorme sipario dimenticato dagli attori.

Vellutato, morbido.

Lo sembrava anche da lontano.

 

 

Cuscini.

Cinque o sei cuscini dalle forme regolari.

Neri, rossi, blu di prussia.

Raso o velluto anch’essi.

 

Lasciati lì, sparsi.

Distrattamente disordinati.

Sul tavolo rosso sangue.

 

Un talamo.

Un’alcova.

 

Sembrava quello quel lungo tavolo.

Lungo e stretto.

 

 

La scenografia del loro prossimo scontro d’ amore.

 

 

 

Kaede entrò varcando la soglia, spinse con una mano i fianchi del proprio amante e lo fece arrivare fino al bordo del tavolo.

 

Hanamichi raggiunse il legno coperto di porpora e stese una mano.

Quel mare immenso di sangue lo attraeva.

 

Vi passò le dita sopra.

Rabbrividì di freddo e di piacere.

 

Da dietro Rukawa osservava le sue forme, la sua perfetta nudità che si stagliava nitida contro lo sfondo cupo del velluto bordeaux.

Istintivamente, senza trattenersi, appoggiò i fianchi ancora fasciati dai pantaloni blu scuro contro i glutei privi di veli dal compagno e vi si spinse contro.

 

Un movimento lento, ondulatorio, uno sbattere delicato, sensualissimo.

 

Così, poteva fargli sentire la propria eccitazione.

Il suo sesso duro e caldo attraverso la stoffa già tesa.

Farlo sentire a lui, alla sua pelle nuda, ai suoi glutei.

Per dire loro di prepararsi a sentirsi separare e violare, in profondità.

 

Ed Hanamichi reclinò la testa, ansando, perché la avvertiva distintamente quella punta eretta, la sentiva lambire lo spazio fra le sue rotondità, la sentiva insinuarsi nonostante fosse coperta di spessa stoffa blu oltremare.

Si spinse avanti per rifuggire quel calore ed incontrò il tavolo.

 

Il piccolo rumore di quello spostamento distolse Kaede dalla sua caccia ai sospiri.

Posò quindi i palmi sulle scapole dorate che aveva davanti e, costringendo i fianchi del compagno tra i suoi ed il tavolo, lo spinse giù, per annegarlo in quel mare rosso intenso di sangue venoso.

 

Il contatto fu piacevole, delicato.

La stoffa che accarezzò il ventre piatto di Hanamichi era velluto.

Velluto puro.

Morbidissimo.

 

Lui dai fili rossi mugolò soddisfatto.

Avvertiva il piacevole tepore, che la stoffa sotto di sé cominciava ad emanare, e sentiva anche il prolungarsi dell’elettrizzante attrito fra i suoi glutei nudi ed indifesi ed i fianchi eccitati del suo Rukawa.

Gemé spingendosi indietro, strusciando la guancia sinistra sopra il piano perfettamente levigato del tavolo ricoperto.

 

Ma Kaede non aveva ultimato i suoi preparativi.

Senza staccarsi da lui, afferrò i cuscini trascinandoli vicino a sé e li sistemò.

Uno rosso scuro, gonfio, sotto il ventre di Hanamichi, uno blu di prussia sotto una spalla ,uno nero sotto l’ altra, un cuscino dorato sotto il collo steso e l’ultimo, il più largo, bianco, sotto la testa, contro la guancia e le labbra.

 

Sorridendo piano, con infinita malizia, Kaede si sollevò allontanandosi, per avere visione completa del suo operato, mentre sussurrava.

 

 

“Non muoverti assolutamente… resta così… voglio guardarti”

 

 

Era come una pozza immensa di sangue, che scivolava verso terra da una roccia levigata e poteva sembrare che un angelo vi fosse caduto dentro, mentre volava basso, che fosse rimasto invischiato, intrappolato, le mani (ora strette dentro la stoffa) dentro a quel sangue denso, quella linfa che si stava rapprendendo velocemente condannandolo all’immobilità, mentre fili ramati, infinitamente più chiari, si aprivano come oro rosso a formare, nel liquido venoso, giochi di linee simili ai ceselli degli antichi gioiellieri sui monili preziosi riservati agli dei nei sacrifici.

 

 

Kaede lo guardò disteso lì con questi occhi, con questi pensieri  e trattenne il fiato.

Troppo bello.

Veramente troppo.

Inimmaginabile.

Chiunque, chiunque lo avesse trovato così, in casa propria, se ne sarebbe perdutamente innamorato.

Avrebbe calpestato ogni convinzione, solo per potersi avvicinare e godere di quel corpo, venendo solo nell’entrarci.

Sicuramente.

 

 

E lui dagli occhi neri, perché non erano più blu da ormai minuti interi, dal momento in cui lo aveva visto scendere le scale per suo ordine, inspirò profondamente e si accostò a lui, alla sua provocante e prolungata nudità che chiedeva solo amore.

 

Si spogliò, stando attento a far strusciare ogni abito che si toglieva contro la pelle del suo compagno.

Per  infiammarlo di desiderio.

 

Rimase completamente nudo, sovrastandolo, mentre ancora si avvicinava per stendersi sul suo corpo invitante.

Alzò le mani e con i palmi, ancora una volta aperti, lisciò piano la sua pelle, tutta la sua pelle, fin dove poteva arrivare.

Imponendogli un movimento leggero ed uno strofinarsi lieve contro il velluto sotto il suo petto.

Ed i suoi capezzoli avevano mostrato il loro apprezzamento per quel tessuto morbido, ergendosi piano dal mare di pelle di bronzo come dune nel deserto, piccoli, rosati punti erotici.

Kaede li raggiunse, infilando le mani fra il velluto e la pelle, stringendoli, lusingandoli, abbandonandoli.

 

 

“Dimmi cosa provi, mentre io ti tocco”

 

 

Una richiesta, un ordine -quindi- per chi, quella settimana, doveva solo ubbidire.

 

 

“Caldo…..” rispose in un gemito Hanamichi.

 

Si sentiva totalmente indifeso, debole e docile.

Sì.

Ed il suo orgoglio non ne soffriva.

Sentiva Kaede sopra di sé, che lo sovrastava facendo della sua pelle morbida quello che voleva.

Sapendo che, ben presto, quella splendida volpe bruna avrebbe fatto ciò che desiderava non solo dell’esterno del suo corpo, ma anche dell’ interno, con molto più piacere, anzi.

 

Ma non subito.

Quella sera, che diveniva velocemente notte, Rukawa provava attrazione per il corpo che aveva fra le mani.

Sì, una curiosa attrazione.

 

Voleva guardarlo, osservarlo, studiarlo.

E così fece.

 

Si chinò sulla pelle, descrivendo sentieri contorti con gli occhi, seguendo percorsi segreti che portavano a piccoli lembi mai guardati, ma spesso sfiorati e toccati.

Leccando a piccoli intervalli irregolari, lambendo con la guancia.

Poi si sollevò per esaminarlo con lascivia sotto la luce delicata, ma forte e possente delle candele profumate, in ogni sua parte.

Scostando le pieghe nascoste del suo corpo che coprivano altra pelle da vedere.

 

Un sussulto.

 

“Cosa fai?”

 

“Ti sto guardando” rispose il ragazzo dai capelli scuri.

 

“Fermo, mi farai vergognare se continui così……. smettila ti prego …no, lì no, lì non devi guardare, devi entrarci e basta……..kami ….NO…….”

 

Kaede sorrise, dolcemente sadico.

 

“Mh pensavo ...da oggi in poi, voglio controllare io stesso se dopo ogni rapporto sessuale non ti lascio ferite nella pelle”

 

Hanamichi sussultò, sgranando gli occhi.

 

“Kami, no……. mi farai morire di vergogna” mormorò pianissimo, arrossendo

 

Kaede rise piano.

“Scherzavo – un sospiro di sollievo per Hana, prima di…. –  controllerò solo se avrò dubbi”

 

Il ragazzo dai capelli di lino rosso si dimenò imbarazzato, ma il suo amante non aveva più voglia di giocare.

 

“Fermo adesso” ordinò ad un suo orecchio

 

Le mani ancora ferme sui suoi glutei separati, i pollici, liberi, ne sfiorarono l’apertura, entrando leggermente per poi ritrarsi con altrettanta lentezza.

E Kaede iniziò a penetrarlo.

Così.

Semplicemente entrando, senza prepararlo.

Ma sapeva che non gli avrebbe fatto assolutamente male.

Si sarebbe solo fatto sentire di più, con maggiore consistenza, aumentando il loro piacere.

Facevano l’amore ogni giorno, oramai il corpo dorato che possedeva regolarmente si era abituato.

Ed il dolore non esisteva più fra di loro.

Soltanto il piacere non diminuiva mai, nemmeno con la consuetudine.

Mentre il loro amore invece cresceva.

 

E adesso lo aveva lì, davanti a sé.

L’ingresso bagnato del suo corpo, proprio all’altezza dei suoi fianchi tesi ed eccitati.

Sì, il corpo sollevato dal cuscino sotto al ventre, le gambe puntate mollemente a terra, divaricate, dischiuse, invitanti.

La testa inclinata di lato, le mani abbandonate tra la stoffa, sotto i cuscini.

Quel corpo sembrava offrire libero accesso.

Libero e piacevole accesso al suo interno, a chiunque lo avesse chiesto in quei momenti.

 

Kami, era così intensamente sconvolgente poterlo avere in quel modo.

 

 

Senza indugio, Rukawa lo prese scivolando con regolarità e costanza, fino ad unire la pelle dei suoi fianchi alla sfericità del corpo steso di Hanamichi.

Una sola, lunghissima, estenuante spinta.

 

Tremendamente sensuale.

 

Con tutta la sua sapiente dolcezza, quella imparata in tutti quei giorni assieme, Kaede cominciò a muoversi.

Piano.

Con tutta la calma di questo mondo.

 

Uscì.

Attese un momento e riaffondò.

 

Quel piccolo muscolo si dilatava e cedeva, allargandosi lentamente.

Senza sforzo, Kaede lo ebbe fin nelle sue profondità più strette.

 

Un primo grido lo ricompensò ampiamente.

 

Il ragazzo dai capelli neri rallentò il ritmo.

Spingeva pianissimo ora, con lenta calma.

I movimenti del suo sesso nelle carni dell’amante non erano che carezze gentili.

 

Imponevano solo un leggero su e giù al corpo che stavano lusingando.

Il tavolo non si muoveva neppure.

 

Kaede si permise un sospiro profondo.

 

Stava bene così.

Immobile dentro il suo amore.

 

Racchiuso in un ovattato universo morbido e umido.

 

 

Chiuse gli occhi, ancora fermo.

 

Le mani, che finora avevano accarezzato e stretto e abbracciato, ora si posarono ai lati di quel corpo, lungo il tavolo, a stringerne lo spessore per reggersi, mentre riprendeva ad affondare, ad immergersi in quel calore dolce e riposante.

 

Kaede lo prendeva piano, piano, sempre più piano, piano da morire.

 

 

Ed Hanamichi non si alzava, non si contorceva, non chiedeva di più.

Stava bene.

Si sentiva amato dalla sua dolcezza, dalla sua calma.

Sicuro.

 

Ancora, ancora in fondo, ma sempre lentamente.

Kaede stringeva fra le dita i lati del tavolo, lasciando correre lo sguardo ai cuscini  che rendevano piacevole al suo amante l’essere steso su una semplice tavola di legno, al velluto che rendeva brillante la sua pelle bronzea, che lo carezzava con devozione, che sfregava continuamente il suo petto largo e forte, che attutiva il battere curiosissimo di quel cuore pieno di sentimenti.

Il suo dolcissimo do’hao.

Lo toccava solo lì dove lo stava penetrando.

Era l’ unico punto d’ unione fra di loro ed era piacevole.

Scivolava in lui per sentirlo.

Scivolava ogni volta più facilmente della precedente.

E poi usciva.

Solo per poter rientrare.

 

Un basso mugolio continuo accompagnava quel rapporto così lento.

Hanamichi non gridava, non gemeva.

Mugolava di puro piacere.

Rilassandosi sotto quei tocchi profondi, interni.

 

Ogni tanto, la sua voce si alzava un po’ per pronunciare dei piccoli ‘sì’.

Dei suoni bassi e morbidi.

Un invito a continuare.

 

Kaede lo prese ancora e poi si ritrasse.

 

Attese.

Attese.

Attese ancora.

Era tutto lì il piacere del fare l’amore, farlo durare il più a lungo possibile, senza stancare l’amante, ma regalando costantemente una piacevolezza infinita.

 

E lui si sentiva sulla pelle tesa allo spasimo l’umidore caldo del corpo appena lasciato.

Vedeva, abbassando lo sguardo, le cosce socchiuse del compagno, i fianchi abbandonati immobili, il respiro della schiena  che cominciava lentamente a spezzarsi per la prolungata assenza del loro contatto, del loro appagamento… piccole gocce lucide intorno alla fessura nascosta, un lungo, quasi straziante, mugolio di protesta. 

 

E Kaede rientrò, rabbrividendo per quel calore che lo stringeva forte, ora, che lo circondava completamente.

 

Ora, continuava a violarlo pazientemente.

Fino alla prima curva morbida delle sue viscere.

 

In fondo, lentamente.

Stringendolo tra le braccia, sollevandogli ancora un po’ i fianchi per entrare con più forza.

Incoraggiato dalla sua bella voce roca.

Estasiato dalla sua completa passività.

 

Guardò in un attimo verso il suo viso abbandonato.

Un filo sottile di saliva aveva macchiato il raso del cuscino, mentre la bocca aperta cercava aria e lui riusciva a vedere solo uno dei suoi occhi.

 

Le sue iridi………. le sue iridi non sembravano più caldo color nocciola ma fuoco nero, ebbro.

 

 

Un ultimo istante di lucida consapevolezza.

 

 

Poi la stanza si tinse di bianco per entrambi.

Occhi scuri di passione che fissavano un biancore luccicante.

Aperti, ma distanti nel guardare.

Non il muro davanti a sé, non il lenzuolo, non il corpo appena amato.

Ma lidi sconosciuti e lontani di estrema dolcezza.

 

Kaede strinse nuovamente il tavolo ed entrò l’ultima volta, mentre il suo seme già si spargeva in lenti singulti.

Hanamichi si lasciò aprire con un ultimo, tremulo, mugolio lento dopo aver già raggiunto il piacere ed aver assaporato anche l’estasi del suo amante scioltosi in sé.

 

Un sospiro e rimasero immobili.

I respiri già regolari.

 

 

Rukawa si sollevò piano, stringendosi al suo compagno.

Lo accarezzò ancora, poi lo tenne fermo per uscire da lui.

Lo aiutò, passandogli una mano intorno alla vita e lo girò.

 

Voleva guardarlo.

In tutta la perfezione di quell’amplesso gli era mancato solo il suo viso.

Le sue espressioni vere, tenere.

 

 

Kaede lo strinse, poi lo baciò.

Lo spinse ancora verso il velluto e lo sdraiò nuovamente.

Questa volta supino, davanti a sé.

 

Hanamichi inclinò a sinistra il viso, con aria innocente ed un sorriso accennato.

 

 

“Vuoi farlo ancora, bella volpe?”

 

Una domanda legittima, si trovava di nuovo sotto di lui.

Ma Kaede scosse la testa, lasciando che i fili neri davanti al suo viso si muovessero a negare anch’ essi quella possibilità.

 

Si sentiva completamente appagato, ora voleva solo riempirlo di baci.

 

 

“No, piccolo….. riprenderemo domani …ora voglio solo mangiarti….”

 

 

Iniziò a regalargli baci affettuosi.

Piccole lappate, lente suzioni di sole labbra.

E non lo lasciò alzarsi, nemmeno un istante.

 

Rimase chino su di lui a lungo, mentre Hanamichi accarezzava con la schiena, in movimenti sinuosi, il velluto sotto di sé.

Il ragazzo dai capelli di lino s’inarcò per bene, giocando fra i capelli d’ebano sottile del compagno, abbracciandogli i fianchi con le gambe.

 

Kaede lo baciò, lo baciò, lo baciò ancora.

Senza smettere, prendendo respiro solo a istanti.

Passando le mani fra i suoi capelli.

Distraendolo in tantissimi piccoli giochi di bocca.

Rilassandosi insieme a lui, con calma.

Avevano tutto il tempo di questo mondo.

 

Prese fra le dita i suoi piedi, li portò alle labbra, baciò anche loro, la loro levigata perfezione, il loro colore così bello, la caviglia ed il collo.

 

Gli aprì le labbra per la millesima volta, accarezzandole, poi lo sentì farsi stanco, sempre più abbandonato sopra il velluto e capì che voleva dormire.

Sorrise e lo lasciò andare.

Lo aiutò ad alzarsi, lo abbracciò forte, prese il drappo rosso e avvolse entrambi.

 

 

Spensero semplicemente le luci e nella penombra salirono le scale insieme, le teste chine una verso l’altra, di schiena, abbracciati, lo strascico lungo di velluto,  scivolando silenzioso sui gradini, chiudeva il loro piccolo corteo verso la stanza da letto.