Il profumo della Senna

 

parte III

 

di Earl Cain

 

 

Timidamente le mie labbra
Cercavano le tue silenziose
Mentre assorto leggevi un libro

Timidamente le mie dita
cercavano la tua pelle
mentre mi stringevi al petto


Si era svegliato nuovamente di soprassalto, aveva fatto dei sogni confusi, dei quali rammentava solo rimasugli di immagini che andavano e venivano. Una carrozza. Le forti sottili mani di Jean-François che lo sostenevano. La luna che andava e veniva.
La luce ora che penetrava attraverso le persiane semi serrate era ormai luce solare. Puntellandosi prima coi gomiti, poi con i palmi delle mani si tirò su a sedere.
Non era più febbricitante.
Scrutò la stanza. Era diversa da quella in cui era svenuto. Era diversa, ma il profumo che aleggiava nell'aria gli ricordava qualcosa. Gli riportava alla mente il suo primo incontro con il nobile.
Anche se quella camera non l'aveva mai vista.

Si stropicciò gli occhi, ancora appesantiti dagli ultimi resti di sonno e scrutò meglio quel luogo. Era una stanza molto grande e ricca. Tappeti persiani, tende in velluto, mobili intagliati, candelabri di argento. Il letto era molto grande, a baldacchino, e le coperte sembravano di sottile seta.

<<Ben svegliato>> sentì una voce.
Agitato girò lo sguardo per capire da dove provenisse. Proveniva da una sedia in penombra, che non aveva notato. Jean-François era lì. Seduto. Silenzioso. Tranquillo. Bellissimo.

<<g...grazie... v..voi... dove mi trovo?>> chiese aggrappandosi alle coperte, timidamente, tenendo lo sguardo basso.
<<Siamo nella villa in Campagna. Nella mia stanza...>> mormorò in un sussurro. François arrossì con violenza. Era nella sua camera. Avvicinò le ginocchia al petto, forse nel tentativo di fermare il battito del cuore che aumentava continuamente.

<<c...che ore sono?>> gli chiese, come per spezzare il silenzio. Per non dover sopportare lo sguardo del nobile che poteva sentire percorrergli la persona.
Il conte di Polignac si alzò e cominciò ad aprire con tranquillità le due finestre. Penetrò una luce molto forte, filtrata solo dalle fronde delle piante che sorgevano poco distanti. Ed anche la snella figura del nobile fu illuminata. François sussultò. Era più bello di quanto si ricordava. Più bello e più aggraziato. Era lui un angelo.

Il nobile si voltò, sorridendo di quel suo placido sorriso, adulto nelle caratteristiche, ma fresco nella purezza. Quel sorriso fece sussultare di nuovo il ragazzino che non trovò altra via di fuga dai suoi sentimenti se non il voltarsi da un'altra parte.

<sei nervoso...>> sospirò il nobile, avvicinandosi e sedendosi ai piedi del letto. <<se vuoi... ho fatto preparare da basso la colazione. Scendi con me... o preferisci che te la faccio portare qua, a letto?>> mormorò piano, come se parlare in un tono normale avesse spezzato quella fragile figura angelica, che non smetteva di farlo fremere, che non smetteva di fargli crescere il desiderio che gli tormentava le viscere, che gli tormentava il cuore, che gli tormentava l'anima tutta.
<<ah.. no.. no... non sono un... signore...>> si alzò rischiando di cadere incespicando fra le coperte. Furono le braccia lunghe e forti del nobile a sorreggerlo. Erano vicini. I loro calori che si fondevano. La loro pelle a contatto. I loro respiri. I loro sguardi.

 

Sospiravamo insieme

Le guance del ragazzino si erano imporporate tremendamente, gli pareva che un sottile fuoco avesse cominciato a percorrergli sotto la pelle. Di contro il nobile manteneva il suo comportamento pacato, gli occhi erano tranquilli e infinitamente dolci, le mani, grandi e forti, lo sorreggevano. Lì dove le dita aperte sfioravano la camicia da notte, lì a François sembrava che dovesse bruciare la carne e lasciare che quella mano penetrasse sciogliendogli ogni centimetro di pelle.

Ancora una volta frappose le proprie sottili membra fra loro due e allontano Jean-François con un gesto timido e gentile, scostando il viso, abbassandolo, e allontanandosi di un passo.

<g..grazie...>
<figurati.. non potevo lasciarti cadere... ti saresti spezzato... sei così bello e perfetto che ho paura che tu ti possa rompere...>
Il ragazzino arrossì con violenza.
<s..scendiamo a fare co..colazione, va bene?> mormorò per districarsi dall'imbarazzo in cui ogni singola parola di quel giovane gli provocava.

Jean annuì e voltandosi aprì la porta. Uscì e si guardò attorno. Poco lontano un maggiordomo lo vide e a un suo cenno del capo corse al piano inferiore, probabilmente intento a preparare il tavolo anche per l'ospite. La luce del sole filtrava gentilmente all'interno della casa attraverso le grandi finestre, e il gioco che le foglie delle piante che circondavano la casa creavano insieme al sole era grazioso. François guardò cercando di focalizzare la propria attenzione sui mobili, i tendaggi, le ombre, per distoglierla dalle spalle del nobile, dalle spalle così possenti ma sottili, dai suoi capelli e... arrossì di nuovo, e si coprì la faccia con le mani. Non si accorse che il nobile si era fermato così andò a sbattere contro la sua schiena.

<ehi... fai attenzione...> gli sorrise calmo.
<oh..oh.. scusatemi.. scusatemi infinitamente> si inchinò più volte e il rossore aumentò a dismisura quando sentì una tranquilla risata cristallina provenire dalle labbra rosse e sottili del nobile.
<ma ti prego.. smettila di essere così servizievole. Qua io e te siamo uguali, capito?> disse. La voce si era fatta seria, lo sentiva chiaramente. Alzò lo sguardo e, come in preda a un controllo che non aveva mai sperimentato, annuì sostenendo lo sguardo serio dell'omonimo.
Scesero le scale silenziosamente, lunghe scale. François potè ora, calmo, osservare meglio il disegno delle decorazioni barocche della casa, i mobili preziosi, i candelabri, gli arazzi e i tendaggi dolci. Era tutto bellissimo, una casa da sogno. Portò una mano alle labbra per cancellare l'espressione di stupore misto a adorazione che pensava di dover avere sul viso.

<eccoci..> mormorò Jean una volta giunto in una sala illuminatissima al centro della quale c'era un tavolo, in vero non troppo grande, imbandito per la colazione. Il maggiordomo stava ritto in piedi accanto alla poltrona più grande, destinata verosimilmente al padrone di casa. Faceva anche lui la sua bella figura, pensò il ragazzino. Era alto poco più del marchese, aveva corti capelli riccioluti e castani, uno sguardo assente e castano, le labbra erano composte, anche se forse un po' troppo grosse, ed era molto sottile. Sorrideva placidamente quando cominciò a spiegare al suo padrone cosa ci fosse per colazione. François, in disparte, qualche metro più indietro, vicino all'entrata, osservava i due conversare. La familiarità che c'era fra loro disturbò in qualche modo il ragazzino. Quello faceva parte della servitù, ma sorrideva e quasi canzonava il nobile che lo comandava... non avrebbe invece dovuto guardarlo con rispetto e inchinarsi ad ogni sua parola e non ribattere in continuazione?

<François?> il tono di voce di Jean sembrava quello di chi stava chiamando da diverso tempo e non riceveva risposta.
<oh?.. si.. eccomi.. scusatemi, mi ero perso nei miei pensieri> il ragazzino sorrise, guardando male il maggiordomo mentre si allontanava, e si avvicinò, prendendo posto appena vicino al suo nobile.
<di.. di cosa parlavate con... con il vostro servo?> disse con tono asciutto, amaro.
<servo? oh.. non chiamarlo così... è un mio caro amico, anche se è un mio sottoposto...>
<amico?> mormorò con disappunto. Era gelosia quella che gli stava ammalando il cuore? Dopotutto aveva rifiutato più volte le braccia del marchese, perchè si sentiva ferito da quel legame che, era certo, sforava oltre l'amicizia?
<si... in passato mi ha salvato la vita. Stavo cavalcando e se non fosse stato per lui, sarei sicuramente morto. Anche se è finito a fare il maggiordomo, ha studiato medicina e proviene da una famiglia anticamente aristocratica... che però è capitolata a causa degli asti con il vecchio re... si vede che è aristocratico vero?>
Il volto di François si rabbuiò. Lui non era aristocratico. Era un ragazzino di strada, un figlio di cagna senza genitori, che aveva passato la sua vita a vendere il proprio corpo per poter tirare avanti. Una fitta lo colse all'altezza dello stomaco, così si rifiutò di prendere la colazione.
<François... ho detto qualcosa di sbagliato? Non volevo offenderti parlando di aristocrazia.. tu. tu sei bellissimo e perfetto pur non essendo aristocratico... darei tutta la mia nobiltà per starti vicino... non... non fare quella faccia...>
Era arrossito e il suo respiro si era fatto affannoso. François non capiva cosa fosse tutta quella foga per scusarsi, per apparirgli migliore e amichevole. Ma non rispose. Abbassò lo sguardo annuendo docilmente, poi alzandolo sorrise calmo e intinse una fetta biscottata nel latte caldo e la porto alle labbra.
<buono... il latte è delle vostre mucche?>
Il nobile, ancora preoccupato, e vergognandosi dalla sua reazione, sorrise annuendo.
<si.. sono di mia proprietà>
<capisco>
I due consumarono la colazione senza fare più una parola, silenziosamente, studiandosi segretamente, cercando di capire i pensieri l'uno dell'altro.