Il profumo della Senna

 

parte II

 

di Earl Cain

 

 

sarebbe stato bello se tu

fossi nato donna

o se io fossi nato povero

avrei potuto renderti felice


più di quanto non abbia fatto

Le carrozze scivolavano velocemente sulla strada bagnata che portava dal centro di Parigi fino a Versailles. I soliti volti nella folla. La pioggia sottile che scivolava sulla pelle sporca dei poveri. Sulla liscia vernice che ricopriva le ricche carrozze nobiliari. L'acqua che inzuppava la camicia strappata di due ragazzi che stavano portando un paio di ceste con poco pane, inzuppato anche quello.
Un ragazzino, assolutamente bello, sedeva, incurante della pioggia, incurante di ogni cosa, sul ciglio della strada. Gli occhi vacui davanti a sè.

Una donna si avvicinò lentamente, indossava un abito strappato al fondo, uno scialle di lana attorno alle spalle e si stava riparando dalla pioggia issando una qualche tela in qualche modo impermeabile sopra la testa e le spalle.
<<Jean! Cosa ci fai qui? Ti buscherai qualcosa!!>> sbottò la donna, probabilmente sulla trentina, gettandogli lo scialle in testa.
<<ti bagnerai, ti ammalerai e così non potrai più darci una mano per tirare su qualche soldo!!>>
Jean non rispondeva.
Stava aspettando.
Aspettando lui.
Lo aspettava senza nemmeno sapere perchè.
Aveva capito che non era come tutti gli altri nobili.
Aveva delle mani che stringevano dolcemente, mani gentili, sottili, lunghe, affusolate. Una voce calda e avvolgente, come quella delle madri quando raccontano le storie ai loro bambini, solo molto più bassa e baritonale. E la sua immagine, le sue labbra che si muovevano sulle sue chiuse, il battito del suo cuore veloce, i suoi occhi penetranti.
L'aveva colpito. La sua gentilezza. Lui era uno straccione. Ma Jean-François non aveva abusato di lui. Era stato gentile.

Si alzò, senza rispondere alla donna, lasciando che il maglione cadesse a terra. Nonostante i richiami della donna, cominciò a camminare, seguendo la strada.
"sono sicuro di ricordarmi come arrivarci... non deve essere troppo lontano" pensò. L'acqua e il freddo gli erano ormai penetrati nelle ossa, ma la sua ossessione era diventata talmente grande che non aveva più importanza. Nulla aveva effettivamente più importanza. Nulla tranne trovarlo e sentirsi a casa fra le sue braccia.

Era quello che cercava. Una casa. Un petto sul quale appoggiarsi e sentirsi protetto. Delle braccia forti che lo sostenessero. Una spalla che accogliesse le sue lacrime per tanto trattenute. Delle dita che gli carezzassero il volto senza chiedere nulla.

Stava camminando da molto tempo, ma non aveva nemmeno raggiunto la periferia più esterna, quando lo sguardo cominciò ad annebbiarsi. La pioggia si era infittita e lui continuava a lasciarsi bagnare, in quello stato di semi nudità, brache e camicia. Svenne cadendo carponi a terra.

Quando si svegliò doveva essere già notte. Una candela bruciava su un comodino e dalle finestre filtrava una luce argentata. Non pioveva più.
La tosse gli scosse il fragile petto. Si strinse nella coperta di lana poi si rigirò, piombando nuovamente nel sonno.

Sognò Jean-François e lui. Insieme. Sotto un albero di quercia, entrambi vestiti con abiti nobili, che leggevano poesie, decantando Virgilio e Omero. Correndo su cavalli nelle praterie. Facendo l'amore dolcemente nei letti d'erba offerti dalla natura. Le loro pelli pallide mescolate, i loro capelli aggrovigliati, le loro lingue, le loro labbra, i loro corpi.

Si svegliò nuovamente di colpo, mettendosi seduto e cercando di capire dove fosse finito. Sembrava una casa di un nobile. Quando se ne capacitò arrossì e il suo cuore prese a battere. Era possibile che fosse nella "sua" casa? Ma era diversa.

Si stropicciò gli occhi. La candela era ormai spenta e di fuori la luna era stata oscurata da una nube. Tossì con violenza, aggrappandosi alle lenzuola e mordendosi la lingua per smettere il rumore.

Scostò le coperte e si accorse di indossare degli abiti puliti e freschi. Arrossì. Ripensò al bacio di Jean-François, al suo calore. Scese dal letto, barcollando. Aveva la febbre alta. Raggiunse la porta e l'aprì, ma la trovò chiusa a chiave. Un terrore gli percosse le membra. Agitato, febbricitante si portò verso la finestra. Valutando vide che il salto non era esagerato, ma quando provò ad aprirla si accorse che anche quella era serrata.

Ora, al posto della sicura immagine del nobile di Polignac gli affiorarono alla mente ricordi più brutali e passati. Le violenze subite da parte di nobili. Le sue prostituzioni. Le notti passate in una stanza simile a quella con anziani nobili grassi e maniaci.

Si ranicchiò in un angolo buio, tremando e ansimando. Il petto gli bruciava per la tosse. La fronte per la febbre.

Era in quella condizione da molto tempo quando sentì scattare la serratura. Si appiattì di nuovo contro il muro guardando diritto verso la porta con occhi sbarrati. Si aspettava uno di quegli omoni, pronto a violentarlo. Ma invece quella che intravide nel buio, illuminata dalla luce di una candela, era una figura lunga e snella, dai capelli lunghi, sciolti. Era Jean-François.

<<François??!>> sbottò il nobile spaventato, avendolo visto nell'angolo.
<<François, cosa... cosa ci fai li? Hai la febbre dovresti riposarti!>>
<<P..perchè mi.. mi... avete chiu... chiuso dentro??>> chiese con voce quasi inudibile, rotta dal pianto.
<<Perchè non volevo che nessuno della mia famiglia si accorgesse di te. Avrebbero cominciato a fare domande. Fortunatamente sei svenuto a pochi metri dalla mia Villa qui in città. Che fortuna...>> mormorò avvicinandoglisi. Si chinò davanti a lui e gli appoggiò le mani sulle spalle.
A quel tocco, Jean, svenne.