IL PRINCIPE AZZURRO 15
di Unmei
Il bambino guardava
l’oceano, il sole che lentamente calava; sedeva in veranda, a gambe incrociate
sul parquet, e pensava che quello fosse davvero il più meraviglioso
tramonto che avesse mai visto. Anche in città il cielo si tingeva di bellissimi
colori: di rosa, violetto e giallo, o di rosso infuocato, ma lì… lì gli
sembrava ancora meglio. Forse perché quella era un’occasione speciale: la sua
prima vacanza, la prima volta che andava così lontano
da casa. Damien diceva che non era poi così lontano, ma a lui sembrava proprio
di sì, e tutto gli appariva straordinario, nuovo, emozionante.
Avrebbe disegnato quel tramonto, su un foglio
grandissimo, decise. Non solo; avrebbe fatto tanti disegni, tutti i giorni.
Avrebbe ritratto la casa, il giardino, le barche al porto, e il signore che
affittava le biciclette…
Sbadigliò con soddisfazione e bevve l’ultimo
sorso di latte caldo, dolce di sciroppo d’acero.
“Che ne pensi di andare a dormire, Fabian?”
“Ma è presto! Prestissimo!”
Protestò, alzando gli
occhi verso Damien; aveva riconosciuto il tono, e sapeva che si trattava di un
ordine, non di una proposta.
“Sì, ma sei stanco, te lo posso assicurare.
Avanti, a letto.”
Il bambino si volse
verso Aidan, sfoderando il suo miglior faccino implorante, pregandolo
silenziosamente di intervenire in suo favore. Lui gli
sorrise, e scrollò le spalle; non aveva molta fiducia su quanto potesse avere
voce in capitolo, ma tentò.
“Potresti concedergli
ancora un po’ di tempo; dopotutto è così entusiasta di questa vacanza che non
prenderebbe sonno facilmente, no?”
“Facciamo così – concesse Damien - un compromesso. Ora
vai a letto, se tra mezz’ora sarai ancora sveglio, sei autorizzato a tornare
qui e a rimanere in piedi finché vuoi.”
Fabian parve soddisfatto
dell’offerta: poteva dirsi adeguata al suo status di bambino grande. Sorrise furbescamente, dando per scontato che di lì
a poco sarebbe stato suo diritto alzarsi, bere un altro bicchiere di latte,
mangiare qualche biscotto e giocare finché avesse voluto. Salutò Aidan con uno
sguardo complice, prima che Damien lo accompagnasse al piano superiore.
“Non ti dico buonanotte, tanto ci vediamo tra
poco.”
Aidan li guardò
allontanarsi, presentendo che un giorno quel bambino sarebbe diventato un
tiranno come colui che lo stava crescendo. Per il momento era dolce e
adorabile, ma già gli sembrava di intravedere, di tanto in tanto, le prime
avvisaglie di una certa, disinvolta, capacità di piegare il prossimo al proprio
volere. Chissà, forse anche il suo amico a cinque anni appariva come un
innocente e affettuoso frugoletto, scevro da progetti di dominio sul prossimo.
… No, davvero, faticava
a immaginarselo.
Di ritorno poco dopo,
Damien sedette accanto a lui sul grandino di legno. Portava con sé due panciuti
bicchieri di brandy, e gliene porse uno.
“Si è addormentato quasi subito.”
Lo informò con
soddisfazione da genitore consumato.
“Comprensibile. Oggi è stata una giornata
pesante, per lui.”
“Oggi è stata una giornata pesante per me:
alle cinque del mattino già mi stava saltando sullo stomaco perché voleva
partire. Peggio che a Natale, con i regali da aprire.”
“Lo so che ti ha svegliato alle cinque: un
quarto d’ora dopo lo hai spedito a buttare giù dal letto me.”
“Credevo ti facesse piacere, sentirti coinvolto.”
Damien sogghignò e si
stiracchiò, inspirando a pieni polmoni l’aria leggera; mandò giù un sorso di
liquore, guardando il cielo farsi sempre più scuro. Il vero motivo era,
ovviamente, che lui adorava dare sveglie brutali, e per lo più insensate, a
quel povero martire. Era una cosa che lo divertiva sin da quando erano
ragazzini, e ora, grazie a Fabian, ancora di più: qualsiasi possibile
ribellione, reazione violenta, esplosione verbale, veniva annientata ancor
prima di nascere dall’innocente affetto del bambino. Aidan era completamente
impotente contro il piccolo, poteva solo accontentarlo, al massimo rimuginando
progetti di ribellione contro la mente malvagia che si celava dietro a cotali
persecuzioni.
“Che pensiero gentile.
Degno di te. Piuttosto, non ti pare di aver affittato una casa troppo grande?
Per tre persone questo posto è enorme, quanto diavolo ti è costato?”
“La sto offrendo, questa vacanza, è poco
elegante chiedermi quanto pago. E non farti idee bizzarre sul come
ringraziarmi.”
“Oh, che peccato. Stavo già
fantasticando.”
Aidan replicò in modo talmente piatto che
Damien si ritrovò a ridere.
“Mi fa piacere questa tua devozione, ma sono
troppo nobile per approfittarne. La casa è grande, ma è una delle più belle
dell’isola; per la prima vacanza da tre anni in qua vale la pena di
festeggiare, non credi?”
Aidan
annuì, e avrebbe voluto precisare che per lui non era la casa ad essere
importante, ma il rivederlo sereno. Tre anni prima l’ultima vacanza, vero… ed
era stata orribile. Era stato uno dei periodi peggiori che ricordasse, per
Damien, e di conseguenza per lui stesso.
Nervoso,
rabbioso per la frattura con Noel, frustrato dal
vedere Alan prendere la strada di pasticche e cocaina, Damien era diventato
sgradevole, maligno. Il sarcasmo sconfinava nella cattiveria, e le sue non
erano più benevole, benché pungenti, prese in giro, ma
parole dette per ferire, che puntualmente riuscivano nel loro intento. Aidan ne
era irritato, esasperato;
spesso aveva dovuto chiamare a raccolta tutto l’amore che provava
per non ribattere adeguatamente a tanto veleno, ed essere paziente.
Ma, più di tutto, quei
giorni erano stati di trepidazione, di angoscia che toglieva il sonno, di paura,
autentica, intensa, nauseante paura, che tante emozioni negative potessero
riaccendere il lato autodistruttivo di Damien. Doveva distrarlo, o almeno
provarci; voleva allontanarlo da quei problemi, anche se non s’illudeva di
farglieli dimenticare.
Aveva acquistato dei
biglietti last-minute senza nemmeno consultarlo, sperando di riuscire a
convincerlo a partire; lo aveva pregato, persino ricattato, prendendo in
ostaggio la sua antica edizione del ‘Paradiso Perduto’ e minacciando di
passarla al tritadocumenti in caso di risposta
negativa. Non era stato necessario: Damien non si era mostrato entusiasta, gli
aveva riservato un atteggiamento a metà tra l’indifferenza e la compassione, ma
aveva accettato di andarsene da Seattle per un po’, fingendo di potersi
lasciare ogni amarezza alle spalle.
Otto giorni a Parigi, a fine primavera. Musei
dove smarrirsi, ore intere a girovagare per il Marché de Saint Ouen, suggestivi cimiteri e rose per Chopin, locali
notturni leggendari e cene sul battello, scivolando sulla Senna. In giro tutto
il giorno, dormendo solo qualche ora e vivendo anche la notte, perché Parigi è
ancora più bella quando cala il buio e si fa scintillante.
E poi, riposare un’oretta il pomeriggio,
sdraiati sul Pont des Arts, chiudendo gli occhi sotto il sole tiepido, allungare
qualche moneta a ogni artista di strada incontrassero e continuare a camminare
tranquilli, inzuppandosi fino all’osso, quando la pioggia li sorprendeva. Aveva
fatto tutto il possibile per distrarlo, e a volte aveva avuto l’impressione di
riuscirci, di vederlo sollevato, felice di essere lì, con lui; ma erano fugaci
sprazzi di luce in un cielo plumbeo.
Parigi avrebbe dovuto calzare a pennello a uno come
Damien, ma né la splendida città, con tutta la sua arte e il suo fascino, né i
suoi tentativi di divertirlo erano davvero valsi a qualcosa. L’acredine si era
in parte sopita: non gli aveva più rivolto parole arroganti e crudeli, ma, pur
se sempre accanto a lui, gli era sembrato più distante che mai. Damien lo aveva
assecondato senza mai protestare o tirarsi indietro, spesso era sembrato
divertirsi, ma ancor più spesso era stato pensieroso, le labbra serrate in una
linea dura; aveva mangiato pochissimo, e fumato decisamente troppo.
Non avevano scattato
nemmeno una foto, durante quella vacanza, e preferiva fosse così: non avrebbe
destato bei ricordi, sfogliarle; non ci sarebbe stato nessun bel momento da
rievocare, tra divertimento e nostalgia.
Gli sarebbe piaciuto
tornare a Parigi insieme, ora. Quello
sfrontato narcisista sarebbe stato… brillante, travolgente, affascinante.
Poteva immaginarlo, riusciva quasi a vederlo. Quella piccola isola che aveva da
offrire escursioni, pesca, kayak e balene poteva essere un paradiso per un
amante della natura, ma era un purgatorio per un animale da città come Damien.
“Cosa sarebbe il mezzo sorriso che hai in
faccia? Se trami losche manovre per irretirmi, sappi che lo sforzo è vano, e oceano e
tramonto non ti forniranno alcun bonus-atmosfera.”
“Il giorno in cui non tramerò più le mie losche manovre potresti sentirne la
mancanza, sai?”
“Troverò altro su cui fare battute fastidiose,
non ti preoccupare.”
Damien sottolineò quelle
parole stringendogli rassicurante una spalla, mentre si alzava.
“Sai una cosa? – iniziò, ma cambiò idea appena
pronunciata l’ultima sillaba – niente, non importa. Per una volta credo che me ne
andrò a letto presto anch’io.”
*
<Sono stato sul punto
di raccontarglielo.>
Pensò Damien,
lasciandosi sprofondare nella vasca da bagno, a occhi chiusi. E fortuna che si
era trattenuto.
…“Non indovinerai mai chi mi ha abbordato
qualche giorno fa.”…
Immaginava che Aidan non
avrebbe trovato divertente quanto lui l’avvenimento; dire che si sarebbe innervosito era un eufemismo, e non
desiderava guastargli quei pochi giorni di relax. E nemmeno ambiva a guastarli
a se stesso. L’ostilità e la repulsione di Aidan per Dietrich erano
giustificati, ma lui non aveva voglia di sopportare anatemi e filippiche, e
ancor meno l’interrogatorio di cui sarebbe stato vittima:
“Che
voleva da te? Cosa ti ha chiesto?
Cosa gli hai detto? Cos’ha in mente? Perché non l’hai ammazzato?”
E siccome lui al momento
non aveva risposte soddisfacenti da offrire, era probabile che Aidan si sarebbe
messo a sfornare paranoici sospetti sul perché di quell’avvicinamento.
Lui, invece, era solo
incuriosito; da quanto sapeva di Dietrich, per bocca di Alan, si era fatto
l’idea che fosse una persona intelligente. Priva di morale,
ma intelligente. A ben vedere, forse, se fosse stato davvero tale gli
sarebbe stato ben lontano.
A distanza di giorni ancora poteva avvertire
l’elettricità, sotto gli sguardi attenti e i sorrisi affilati, del loro
incontro. Era stato uno strano, surreale discorrere; un tranquillo scambio di
opinioni, una piacevole chiacchierata, ecco l’impressione che probabilmente
avevano dato a chi li vedeva dall’esterno.
“… deve essere come
trovarsi in un dipinto di Bosch.”
Lo aveva definito il
miglior complimento mai rivoltogli, e lo aveva detto sinceramente; sorrise nel
pensare che qualcuno avrebbe potuto considerarlo tutt’altro che un
apprezzamento. Da lì era nato un discorso che aveva spaziato dall’arte alla
letteratura e al simbolismo; avevano parlato a lungo, ma non gli era stato
sufficiente a farsi un’idea su che tipo fosse. A parte un figlio di donna
dai facili costumi, ma quello già lo sapeva. Dietrich non aveva raccontato
nulla che lo riguardasse personalmente, e aveva espresso pochissimo di sé: la
sua voce non aveva mai esitato, il linguaggio corporeo era stato estremamente
contenuto, ma in una maniera innaturale, tesa. Ne aveva dedotto un continuo,
attento controllo che smentiva l’apparente disinvoltura con cui gli si era
presentato. I suoi occhi però erano sempre stati accesi di sfida, il suo
sguardo diretto.
Nessun accenno al perché avesse deciso di
parlargli, e non una parola su Alan o su Julian, anche se l’argomento era stato
perennemente sospeso tra loro, incombente, esaltato dal silenzio in cui era
relegato.
Uscendo dalla vasca e
avvolgendosi in un accappatoio peccaminosamente morbido, si chiese se Dietrich
sarebbe davvero tornato a farsi vivo con lui, o se avrebbe manifestato un po’
d’istinto di autoconservazione.
*
Damien assopito su un’amaca era una visione
che aveva quasi del blasfemo; un oggetto che comunicava una tale idea di
tranquillità, di idilliaco e pacifico ozio, non avrebbe potuto essere un giaciglio
meno adeguato al
narciso prevaricatore che vi era adagiato sopra.
Aidan studiò il vecchio amico; di solito in
situazioni simili si dicevano scontatezze del tipo
“sembra un angelo, quando dorme” o “ha un’aria talmente innocente”… nulla di
più lontano da quel caso particolare. Damien probabilmente non aveva avuto
un’aria innocente nemmeno infante, nella culla della nursery, e in quanto
all’angelo… si aspettava di venire fulminato da un momento all’altro, per
averlo accostato a una creatura celeste.
Si avvicinò ancora, silenzioso, guardandolo a
una spanna di distanza; pensò, non per la prima volta, a come sarebbe stata la
sua vita se non si fossero mai incontrati. Avrebbe avuto amicizie del tutto
diverse, probabilmente. Si sarebbe perso esperienze di cui non tutti si possono
fregiare, come salvare qualcuno dal suicidio, due volte, o rischiare l’arresto
per adescamento per colpa di una scommessa.
Di sicuro avrebbe avuto
una vita sentimentale meno deprimente.
Pigramente, cogliendolo
di sorpresa, Damien socchiuse un singolo occhio
“Non commettere gesti inconsulti.”
Si raccomandò, prima di
tornare a chiuderlo, con un sorriso appena visibile, ma molto soddisfatto, che
gli aleggiava sulle labbra.
Istintivamente Aidan si
raddrizzò, quasi compì un passo indietro. Normalmente la sua reazione sarebbe
stata, nel rispetto del suo ruolo di persona seria e matura, allontanarsi
scuotendo la testa. Di certo era quel che Damien si aspettava da lui, e quindi…
Afferrò il bordo
dell’amaca e diede un improvviso, potente strattone verso l’alto.
“Non è stato inconsulto – spiegò soave – ma
accuratamente meditato.”
Dal prato su cui era
rovinosamente atterrato Damien lo guardò, dandogli la rara soddisfazione di
un’espressione sbalordita; poi lo stupore si sciolse in un sorriso divertito.
“Bravo! - lo applaudì brevemente – Mi piace
quando dimostri di possedere una spina dorsale, altrimenti finirei con
l’annoiarmi.”
“Sempre lieto di provvedere al tuo
divertimento. Magari è l’aria pura di queste parti ad avere su di me un effetto
euforizzante.”
“Allora dovremmo trasferirci qui. Non sarebbe
bello vivere lontano dalla città e dal rumore, senza impegni, come fossimo
sempre in vacanza? La decisione più difficile delle nostre giornate sarebbe
scegliere tra sauna e idromassaggio. Niente stress, niente
confusione, solo tranquillità…”
“Impazziresti dopo dieci giorni: questo posto
è troppo piccolo per contenere il tuo ego.”
Damien gli rivolse un
mezzo sorriso d’approvazione e si sdraiò sull’erba, intrecciando le mani dietro
la testa. Guardò il cielo seguendo il corso delle nuvole e si rese conto che da
anni non faceva qualcosa del genere. Poco dopo Aidan lo imitò, stendendosi
accanto a lui; non rivolse gli occhi all’alto, ma voltò il viso verso l’amico,
guardandolo a lungo, sentendosi sopraffare da un sentimento dolce-amaro, un
bizzarro tipo di nostalgia, di necessità. Erano sempre stati vicini,
inseparabili sin dal loro primo incontro, ma a volte gli sembrava talmente
lontano, fuori dalla sua portata, che gli mancava il fiato. Non era solo il
desiderio frustrato di avere di più dal loro rapporto, era… era il maledetto
carattere di Damien, quella solida barriera di cinismo brillante, di arroganza,
di scaltrezza manipolatrice. Era il suo comportarsi come fosse indifferente a
ogni dolore, e come se pensasse che anche gli altri lo fossero.
No.
Solo come se lui in particolare lo fosse.
Forse quello era il prezzo per avere il privilegio di
conoscerlo più profondamente di chiunque altro, nei suoi desideri e rimpianti, rancori
e debolezze; per poterlo vedere nella sua interezza, e non soltanto in ciò che
Damien voleva mostrare.
Ecco perché aveva sempre accettato la sua noncuranza, posa
o autentica che fosse.
“Ricordo – disse - una volta, anni fa… parecchi
anni fa… dicesti di volertene andare. Cambiare città, forse addirittura
Stato. Dicesti che tanto non avevi nulla che ti trattenesse.”
E ci restai molto male.
Le parole, taciute,
erano implicite nella sua voce, un misto di lontana malinconia e lieve accusa.
Ai tempi di quella dichiarazione non poteva ancora dirsi innamorato di
Damien, ma il sentimento stava nascendo giorno per giorno, accumulandosi nel
suo animo più profondo, diventando sempre più saldo. E, in ogni caso, era il
suo migliore amico da anni, era la persona a cui teneva di più, e pensava che
la cosa fosse reciproca; scoprire di non essere abbastanza da trattenerlo
lo aveva fatto sentire triste. E sciocco.
“Ero un ragazzino – gli rispose Damien,
infine. Pacato, quasi affettuoso – e i ragazzini dicono cose stupide.”
*
“Il mio cuore inaridito come per miracolo
palpita di commozione: la tua prima sbronza, e io vi
assisto! Dubitavo sarebbe mai giunto questo momento!”
“Non sono sbronzo – protestò l’altro,
stropicciandosi gli occhi – E’ colpa del vino rosso; mi ha sempre fatto male. Ma non credevo che un solo bicchiere... ”
Damien non diede per nulla retta alle sue
parole; andò al frigo e tornò con una bottiglia d’acqua, che gli porse.
“Ecco, bevi. Aiuta a limitare il mal di testa
del mattino dopo.”
“Non ho bisogno di…”
“Non ti eri ubriacato nemmeno quella volta, a
sedici anni… avevamo rubato l’alcol, comprato le erbe e tentato di produrre da
noi del liquore. Ti ricordi?”
“Ricordo che ne bastarono due dita e quasi ci
rimettemmo il fegato.”
“Eh, già. Era bello essere giovani.”
Sospirò lui, sognante,
con un nostalgico sorriso sulle labbra; Aidan gli lanciò un’occhiataccia e si
rassegnò a mandar giù un’abbondante sorsata d’acqua fresca.
“A volte mi stupisco di essere sopravissuto
fino ad oggi, nonostante la tua vicinanza.”
“Abbiamo ancora tutta la vita davanti,
carissimo.”
Aidan considerò che la
frase suonava piuttosto minacciosa, ma non volle offrire
la soddisfazione di una risposta acida. Chiuse gli occhi, cercando di ignorare
il fastidioso cerchio alla testa che cominciava a farsi sentire; la sua
intolleranza stava peggiorando, se un solo bicchiere di rosso aveva il potere
di abbatterlo così.
“La cameriera che ci ha
serviti… – disse poi – è una mia paranoia acuita dal vino, o mi fissava in
maniera strana?”
“Prego?”
“Ogni volta che veniva al tavolo, ma anche
ogni volta che ci passava vicino. In verità mi pare… anche quand’era dall’altra
parte della sala.”
“Può darsi. Credo che sia per quella cosa che
le ho raccontato.”
Il tono incurante
suonava come un campanello d’allarme all’orecchio di Aidan.
“Che le hai detto?”
“Niente di male.”
“Damien… il tuo concetto di niente di male dà
i brividi alle persone normali. E se le hai detto qualcosa che mi riguarda…”
“D’accordo, d’accordo. Abbiamo fatto due
chiacchiere dopo gli aperitivi. Tu hai accompagnato Fabian in bagno e lei ha
attaccato bottone: che bel bambino, come si chiama, blablabla…
poi mi ha chiesto se tu eri lo zio.”
La pausa dopo tale frase
lasciava presagire il peggio.
“E dunque?”
“Le ho detto che sei la madre… che lo hai
avuto quando eri ancora una donna, ovviamente.”
Damien sorrise con una dolcezza palesemente falsa, che
mutò in perfidia all’espressione stralunata dell’amico. Ma fu una soddisfazione
di durata effimera.
“Posso averci
creduto per una frazione di secondo, ma nemmeno tu arriveresti a tanto. Mi
auguro. Per te.”
“Chi può dirlo! Nemmeno io conosco del tutto
gli abissi della mia malignità.”
“Si chiama idiozia.”
“Simpatico. Non ho scambiato verbo con la
graziosa donzella se non per ordinare la cena; se ti teneva d’occhio vorrà dire
che le piaci. Forse è troppo timida per farsi avanti; prova a parlarle, domani,
potresti aver fortuna.”
“No, grazie - Aidan si lasciò scivolare
contro lo schienale, massaggiandosi le tempie - Non credo sia il mio tipo... tanto per
cominciare è del sesso sbagliato.”
“Chissà. Non dovresti scartarla così: una possibilità
non si nega a nessuno.”
“Tu non mi hai mai concesso alcuna
possibilità.”
Si morse velocemente il
labbro; le parole erano sfuggite di bocca senza che lui volesse, e ci fu una
pausa di silenzio stridente, prima che Damien rispondesse.
“Stavamo felicemente scambiandoci facete idiozie…
come siamo passati, di colpo, alle idiozie melodrammatiche?”
“Forse perché il vino rosso, oltre a farmi
male, mi scioglie la lingua e mi fa parlare a sproposito. Mi inoltrerò in
discorsi che di solito accuratamente evitiamo, e forse me ne pentirò, ma in
questo momento non riesco a frenarmi.”
“E io sono troppo gentiluomo per piantarti qui
e mettermi in salvo da qualche parte.”
Aidan si inumidì le
labbra, prima di continuare;
sperava che Damien gli concedesse di affrontare l’argomento senza
prendersene gioco, per una volta.
“Mi chiedo… se mi fossi comportato
diversamente, se avessi scelto un altro momento e modo per svelarti i miei
sentimenti, le cose sarebbero potute andare diversamente?”
“Non vedo perché, ma riconosco che scegliesti
un’occasione davvero infelice: mi avevi salvato la vita, ti detestavo.”
“Avevo un gran bisogno di sentirmelo dire.”
“Non è da te questo tono abbacchiato, mi metti
a disagio. Non potresti accusarmi di crudeltà innata e malvagità assortite,
come sempre?”
“Vorrei solo che rispondessi: poteva andare
diversamente? E potrebbe, ancora?”
“Se proprio desideri sapere che ne penso, ti
parlerò francamente. La tua ormai è una fissazione, nient’altro. Forse una
volta mi amavi davvero, ma ora ami solo l’idea di quel sentimento, il suo
ricordo e la sua idealizzazione, da bravo romantico quale sei. Se io prendessi
qualunque tipo di iniziativa nei tuoi confronti, lo scontro con la realtà
causerebbe la tua fuga repentina e atterrita.”
“Non ti
permettere!”
Aidan si rese conto di aver parlato con voce
troppo alta e, ancor peggio, attraversata da un tremito, ma non se ne pentì. Al
contrario, si meravigliò d’essersi in qualche modo controllato, nonostante lo
sdegno che le parole di Damien gli avevano causato. Le parole, e il modo in cui
erano state pronunciate: accondiscendente come si fosse trattato di sciocchezze
da spiegare a un bambino, e sicuro come quello di chi è certo di possedere la
verità. E lui si era sentito, a dir poco… insultato.
Deglutì, respirò
profondamente e riguadagnò la calma, nonostante la rabbia addolorata e l’offesa
fossero tutt’altro che sopite.
“Non ti permettere – ripeté – di parlare così… non
lo sopporto. È troppo anche per me starti ad ascoltare mentre sminuisci i miei
sentimenti come fossero un capriccio senza valore. Se parli così, forse in
realtà… forse non mi conosci affatto.”
Aidan distolse lo
sguardo, voltò il viso. Si aspettava ora una risposta pungente, magari
brillante e teatrale, che avrebbe minimizzato il suo piccolo sfogo. Se davvero
Damien avesse così ribattuto, lui se ne sarebbe andato, giurò; immediatamente,
senza nemmeno fare i bagagli, sarebbe ripartito e tornato a casa per conto
proprio. Era teso, ma se ne rese conto solo quando sussultò al tocco delle dita
fresche che gli sfiorarono il collo.
“Questa volta ho proprio esagerato, vero?”
Una domanda posta con
tono pacato, velato di rammarico; un tono che Damien non usava mai, e che ebbe
il potere di confonderlo. Desiderava continuare ad essere arrabbiato con lui,
furioso ed esasperato; desiderava voltargli le spalle e fargli temere d’aver
minato la loro amicizia, invece sentì la collera svaporare, lasciandogli in cambio un po’
d’amarezza, e un po’ di strana speranza.
“Sì, hai esagerato. Questa volta… mi hai
ferito sul serio.”
Tornò a voltarsi verso
Damien e restò a guardarlo in silenzio, per qualche istante; a quel punto
avrebbero potuto entrambi chiudere il discorso. Ne avevano ancora la
possibilità: avrebbero potuto dirsi che andava tutto bene, che si erano solo
fraintesi. Augurarsi la buona notte, andarsene a dormire e la mattina dopo far
finta che nulla fosse accaduto. Ma Aidan non l’avrebbe permesso: ciò di cui
aveva più bisogno era sfogarsi, e farlo proprio con il responsabile delle sue
miserie. Se si fosse lasciato scappare quell’occasione, chissà quando ne
avrebbe avuta un’altra.
“Quasi
vorrei che fosse come hai detto: una sciocca fissazione! Così se non altro me
ne potrei liberare, con un po’ d’impegno o un buon analista. E ci ho già
provato, perché l’ho capito da anni, che non posso consumare la mia vita dietro
a qualcuno che non mi ricambia. Lo sai, li hai conosciuti tutti, i miei
partner… e hai avuto pittoreschi soprannomi per ognuno di loro.”
Damien sorrise,
deliziato, arrotolandosi una sua ciocca di capelli corvini tra le dita e
tirandogliela leggermente.
“Volevo solo essere
amichevole.”
“Usandoli anche in loro
presenza?”
“Non apprezzavano?”
Aidan scosse la testa,
divertito suo malgrado da quella fasulla innocenza; riconobbe che l’atmosfera
s’era parzialmente alleggerita, ma ciò non gli rese più facile continuare il
discorso, né sciolse il nodo che lo stringeva alla gola.
“Con ogni relazione che
ho intrecciato, desideravo soprattutto levarmi te dalla testa. Per questo
sceglievo sempre persone che fossero il più possibile diverse
da te… per carattere, aspetto, gusti. Speravo che quel po’ d’interesse o
d’attrazione che provavo per loro si trasformasse in qualcosa di più concreto,
col tempo, e intanto mi limitavo a dar loro quella famosa ‘possibilità’. Ma l’unica cosa che inevitabilmente succedeva
è che finivo col cercare di farli somigliare a te. Li portavo nei tuoi
locali preferiti, a mostre che tu
avresti apprezzato, a vedere film che sarebbero interessati a te. Dannazione, a volte arrivavo a
rivolgermi a loro provocandoli in qualche modo, sperando che rispondessero nel tuo stile, con il tuo fare irritante. Alla fine capivano, ovviamente. E se ne
andavano. A ragione: non fa piacere a nessuno, scoprire di essere un rimpiazzo.”
Tacque; Damien lo stava
fissando con un’intensità che lo metteva a disagio, e ogni traccia di ironia
era scomparsa dai suoi occhi. Dovette fare uno sforzo per costringersi a finire
il discorso.
“Seriamente, non sono sicuro di poter avere
una vita sentimentale normale - sorrideva, ed era un sorriso di
autocommiserazione - Ma
non ti preoccupare, sono quasi rassegnato ad essere solo un amico per te.”
E quello, pensò, avrebbe
probabilmente chiuso la questione. Esprimere tanto nudamente i propri
sentimenti lo aveva lasciato spossato interiormente, e provò sollievo al
pensiero di potersi infilare sotto le coperte, per calmarsi e rimettere in
sesto il solito se stesso.
Si era già alzato quando
una mano lo afferrò per il polso e lo tirò bruscamente sul divano. La voce di
Damien non fu più dolce dei suoi modi.
“Solo un
amico? Solo?”
La stretta si fece più
forte, dolorosa; Damien poteva sentire il pulsare delle vene sotto le sue dita,
un battito che accelerò, mentre lui parlava.
“Consideri l’amicizia un
sentimento di seconda categoria? Io no. Specialmente se si
tratta di te.”
“Non volevo sminuirla; nemmeno potrei, non ho
nulla di più prezioso. È solo che… dannazione, Damien! Sai cosa intendo!”
Si fissarono,
tesi, in un silenzio schiacciante come in città non avrebbe mai potuto essere.
Una totale assenza di rumori e di movimento, un lungo istante immobile in cui
tutto era sospeso, e in cui dividevano la stessa sensazione d’incertezza e
aspettativa. Un gesto, una parola, e tutto tra loro sarebbe potuto cambiare:
crescere, o crollare. Diventare perfetto, o ammalarsi.
Forse, in quel momento,
Damien sarebbe stato disposto a tentare.
Per la prima volta si chiese seriamente cosa avrebbe potuto riservare loro un
futuro assieme, e ciò a cui pensò non gli sembrò
poi così assurdo come aveva
sempre creduto. Riflettendoci meglio, che mai sarebbe cambiato?
Erano indispensabili
l’uno all’altro da quasi vent’anni, e gli alti e bassi non avevano scalfito la
loro relazione; il contrario, piuttosto. Per tanti versi sembravano già una
coppia, e per molti altri erano una famiglia, insieme a Fabian; l’unica novità
sarebbe stata il sesso. In quel caso, per la prima volta sarebbe andato a letto
con qualcuno che amava. Interiormente Damien sorrise: una bella novità davvero.
Aidan era bloccato da un’odiosa
paranoia, una paura che non l’aveva mai sfiorato prima, e che si presentava
ora, facendosi beffe di lui.
Se fosse andata male,
sarebbero riusciti a tornare indietro, a riavere la loro amicizia intatta?
Oppure l’amarezza li avrebbe allontanati, raffreddando i loro rapporti? L’ammissione
del fallimento, scoprire di non essere all’altezza dei propri sentimenti,
avrebbe demolito la più salda certezza che aveva nella vita.
Aveva fiducia,
incrollabile, nell’amore che provava, e l’aveva anche nel suo amico: era certo
che, se Damien avesse deciso di andare oltre,
con lui, lo avrebbe fatto molto seriamente. Non l’avrebbe considerato un
passatempo, un compagno di letto; non sarebbe stato superficiale, non si
sarebbe mai preso gioco di lui. Lo sapeva.
Ma il coraggio di compiere qualsiasi gesto gli
mancò: continuarono a guardarsi in silenzio, attendendosi l’un l’altro, fino a
quando il momento finì.
“Mi stai facendo male” –
disse quietamente Aidan, abbassando lo sguardo sulla mano che continuava a
stringerlo – “Ma non smettere.”
Aggiunse, quando avvertì
che Damien lo stava lasciando andare; in confronto al dolore che era in grado
di dargli senza nemmeno sfiorarlo, quella era quasi una carezza.
*
“Io sto bene, Richard,
non ti preoccupare – Dietrich giocherellò con una penna, distrattamente – Va
meglio, davvero, ma proprio non me la sento di uscire, stasera, mi dispiace. E
poi ho da studiare, e tenere la testa occupata mi fa bene, almeno non penso a… no, no, lasciamo
stare! Hai ragione, lo so, devo voltare pagina. Vediamoci
domani a pranzo, d’accordo?”
Quando l’altro si arrese
e chiuse la
comunicazione, Dietrich gettò da parte il cellulare, seccato. Richard era senza ombra di dubbio la
personificazione della noia, si stava facendo difficile sopportarlo senza
perdere la facciata di persona gentile e affabile. Come se non bastasse, quel seccatore aveva da
mesi una seria sbandata per lui. Non gli dava tregua da quando era tornato a
vivere al campus: in un modo o nell’altro continuava a trovarselo tra i piedi,
lui e i suoi idioti tentativi di consolarlo, invitarlo fuori, offrirgli
una spalla su cui piangere per la brusca fine della sua storia e, ultimo ma non
per importanza, sedurlo.
<Mea culpa.>
Pensò cupamente: aveva
esagerato oltre ogni buonsenso nell’esibire il proprio cuore spezzato, l’insanabile
ferita inflitta al suo animo e tutto l’assortimento di patemi di giovane uomo
romantico che ha perso la fiducia nell’amore.
Ora doveva inscenare
tutto il percorso della lenta ripresa,
se non voleva perdere credibilità, perché il Dietrich gentile e premuroso che
tutti credevano lui fosse non si sarebbe mai consolato troppo in fretta, né avrebbe mandato Richard all’inferno.
Forse sarebbe anche
passato sopra la sua personalità insulsa e il suo grigiore intellettuale, se
avesse potuto ricavare qualche vantaggio da una loro relazione, ma ahimé il giovane non era neanche modestamente benestante,
non aveva un alloggio dove ospitarlo, né conoscenze che potessero tornargli
utili... una bella faccia e un fisico da nuotatore non erano abbastanza da
spingerlo a sopportarne la vicinanza.
Per compensare la pochezza di Richard sentiva
fortemente la necessità di scambiare due chiacchiere con qualcuno che oltre
alla bellezza possedesse un cervello.
Con qualcuno che lo
conosceva per com’era, con cui non avrebbe dovuto inscenare la parte del
ragazzo perbene.
Doveva davvero tornare in quel caffé, a cercare Damien. Al solo pensiero di incontrarlo
ancora il suo cuore accelerava il battito, e una strana eccitazione
autodistruttiva lo scuoteva. Quasi gli riusciva di
capire chi diventava dipendente dalle scosse d’adrenalina di fronte alle
situazioni rischiose; c’è chi ama buttarsi da un ponte appeso ad un elastico, e
chi preferisce una chiacchierata con uno scrittore.
Poteva rievocare ogni
parola che si erano scambiati quel giorno, rivedere chiaramente nei propri
ricordi lo sguardo tagliente che l’aveva scrutato. Gli occhi di Damien lo
avevano penetrato con una freddezza corrosiva, implacabile. Accesi di superiorità,
di divertita ostilità, di vaga curiosità; erano ipnotici e terribili, come
l’angolo della sua bocca sollevato in un mezzo sorriso malevolmente
affascinante.
Era come se, mentre parlava con lui, stesse
fantasticando su come fargli del male nella maniera più raffinata e originale
possibile.
No, non come se stesse
solo fantasticando: come se lo stesse progettando.
Il pensiero gli diede un
brivido; non aveva mai provato una simile attrazione masochistica, e non era
sicuro che fosse saggio darle ascolto, ma il loro salutarsi era stato tale da
rendergli intollerabile l’idea di non incontrarsi più.
*
Usciti dal caffé si erano fermati l’uno di fronte all’altro, ancora
avvolti da una tensione che sembrava crepitare. Dopo la loro chiacchierata, in
Damien c’era più interesse nei confronti di Dietrich: quel ragazzo gli
ricordava un bambino capriccioso, intelligente e crudele, troppo sicuro di sé e
che, come tale, aveva bisogno che un adulto gli desse una lezione.
“Ci vedremo ancora, spero – aveva detto
Dietrich – è stata una conversazione oltremodo
piacevole.”
“Se ci tieni tanto, puoi venirmi a cercare
qui: sono un cliente affezionato, prima o poi potresti avere fortuna.”
Damien aveva sorriso,
avvicinandosi di più e stringendogli un braccio, come un vecchio amico.
“In ogni caso…”
Aveva iniziato a dire,
per poi troncare la frase piantandogli un violento pugno alla bocca dello
stomaco; improvviso, inaspettato, tanto che Dietrich, seppure senza fiato e
piegato in due, non aveva percepito subito il dolore.
Quello era venuto poi,
intenso, profondo e persistente, dopo una frazione di secondo di beata
insensibilità. La vista gli si era appannata, le gambe piegate, una nausea acida
gli aveva stretto la gola. Si sarebbe volentieri accasciato al suolo,
raggomitolandosi sull’asfalto, cercando di soffocare quel male atroce.
Lo avrebbe fatto,
infischiandosene delle spettacolo poco dignitoso che
avrebbe offerto.
Lo avrebbe fatto subito,
se Damien non avesse continuato a tenerlo in piedi.
“…stai molto alla larga
da Alan e Julian.”
Gli aveva sussurrato
all’orecchio, carezzevolmente, prima di andarsene.