IL PRINCIPE AZZURRO 12

di Unmei

 

 

Alan rimase impietrito.

 Non riuscì a ribattere con prontezza, anche perché il suo cervello era occupato a tentare di convincerlo che Aidan non stava alludendo a ciò che lui credeva di aver capito. Lo negò ostinatamente anche quando Damien disse:

 

 “Idea brillante! Mi stupisce che l’abbia avuta tu.”

 

Poi Alan guardò Julian, e lo vide sbalordito quanto lo era lui, e ugualmente incredulo. Il quattrocchi ricambiò poi il suo sguardo, smarrito, come se non sapesse esattamente che fare e che dire, e aspettasse che fosse lui a intervenire.

 Cosa che infine si decise a fare, rivolgendosi inviperito ad Aidan.

 

 “Ehi! Non ci pensare nemmeno!”

 Perché no? La stanza ce l’hai, anche se è un buco. Se ti sbarazzi di quel divano sfondato, che sta lì solo a prendere polvere, un letto può starci.

 Se ci tieni a fare il buon samaritano perché non lo prendi in casa tua, si può sapere?”

 “Perché - si intromise Damien - gentilmente si è ricordato che tu, nemmeno tanto tempo fa, andavi affermando che ti avrebbe fatto comodo qualcuno con cui dividere le spese.”

 

 Quasi impercettibilmente Alan sussultò. Poi arrossì e infine, per darsi un contegno, squadrò le spalle.

 

 “Dicevo per dire. E bell’affare farei, con un coinquilino in bancarotta e disoccupato.”

 Oh, ma Julian cercherà un lavoro, non hai sentito? Vero, Julian?”

 

Il ragazzo si rianimò; in un primo momento l’allusione fatta da Aidan lo aveva a dir poco imbarazzato, ora però cominciava a sentirsi attirato dall’idea. Era l’occasione buona per saldare quell’amicizia a cui tanto teneva, e poi sarebbe stato bello vivere con qualcuno, invece di ritrovarsi da solo chissà dove, in una camera ammobiliata a rimuginare. Sarebbe stato molto più facile pentirsi, avere dubbi, fare marcia indietro. Già, decisamente non voleva stare da solo. Fece un vigoroso cenno affermativo.

 

 “Certo, certo! E ho deciso, per avere subito del contante, di vendere la macchina.

 “Perfetto. Con questo non hai più scuse, Alan.

 “Non mi servono scuse! A casa mia faccio entrare chi voglio io.. a parte gli egomaniaci in possesso di copie delle chiavi quale tu sei….. dico di no, e basta!”

 

 Damien assunse un’espressione blandamente contrariata, e fece roteare pigramente il liquore nella bottiglia.

 “D’accordo, tuo diritto. Ma la prossima volta che ti servirà un prestito perché non riesci a far quadrare le spese, non venire da me.

 “Adesso sei anche un ricattatore!” 

L’esclamazione di Alan grondava scandalo.

 “No. Ricattatore sarei se ti dicessi ‘Ospita Julian o esigerò indietro tutti i soldi che ti ho prestato negli ultimi tre anni.’ Invece mi limito a dedurre che, se rifiuti un coinquilino con cui dividere l’affitto, non ne hai più bisogno.”

 “Io….. io….. che cazzo ho fatto quella sera maledetta, quando ti ho rivolto la parola!”

 

Sbottò il musicista, alludendo al loro primo incontro, anni prima; Damien sembrava alquanto divertito dalla sua reazione, e così anche Aidan. Julian però non aveva abbastanza esperienza, sulle dinamiche del loro rapporto, e vederli discutere lo fece preoccupare.

 

 “Ragazzi, un momento! Alan ha ragione, non è il caso che io mi stabilisca qui. Dopotutto sono poco più di un estraneo, ha tutto il diritto di non volermi. Non voglio che litighiate per questo.”

 “Non stavano litigando - intervenne Aidan - questa è la norma.

 “E in genere nessuno che mi conosca almeno un po’ ha particolare desiderio di mettersi a litigare con me.”

 Aggiunse con un sorriso fin troppo serafico Damien.

 “Beh, in ogni caso non voglio essere di peso. Per i primi tempi magari starò in qualche albergo economico, poi un posto dove trasferirmi lo troverò sicuramente. Non avrò problemi, davvero.

 

 Stava cercando di convincere più se stesso che gli altri, questo era evidente. E ora, facendoci caso, Alan trovava che avesse l’aria stanca. Probabilmente non aveva dormito molto, in quegli ultimi giorni, preso dalla rivoluzione che l‘aveva travolto, da pensieri, dubbi e timori. Chissà se era davvero ben radicato, l’ottimismo che esibiva. Una certa responsabilità di fondo in tutto quello stravolgimento Alan l’aveva, era il primo a rendersene conto, ma ciò non significava nulla. Solo perché la reazione di Julian al suo giochetto era stata buttare all’aria la propria esistenza, non significava che lui dovesse fare ammenda offrendogli vitto e alloggio. 

Ascoltò seccato le obiezioni di quei due impiccioni dei suoi amici, e ancor più le  vacue rassicurazioni che l’impiastro diede in risposta, e decise che, lasciato a vivere per conto suo, Julian non avrebbe resistito una settimana: con troppa fiducia e poca esperienza si sarebbe lasciato abbindolare da chiunque. Alan depositò delicatamente il bambino che portava sulle spalle; senza preavviso afferrò Julian per un braccio e bruscamente lo condusse a una porta chiusa.

 

 “Ecco qui.”

 Disse, aprendola, e mostrando una stanza stretta e poco luminosa. Una parete era occupata per quasi l’intera lunghezza da un armadio, mentre all’altro lato della camera si trovavano un divano dall’aria logora, un vetusto e defunto impianto stereo, con il piatto per i 33 giri, e una lampada  dalla linea anni ‘70. In un angolo c’erano alcuni cassettoni di plastica trasparente, impilati uno sull’altro, del cui contenuto anche il padrone doveva essere ormai dimentico, visto lo strato di polvere che li ricopriva.

 

 “Questo è quanto. Butta quel che ti pare e rimpiazzalo con ciò che più ti aggrada, io non ho intenzione di metterci mano. Mi limiterò a farti un po’ di spazio nell’armadio. Se devi, chiedi aiuto a quei due simpaticoni dei tuoi numi tutelari.

 

 L’espressione di Julian era incredula, sorpresa e vagamente interrogativa, cosa che lo esasperò: possibile che occorresse dirgli tutto esplicitamente?

 

 “E si intende che sarà una sistemazione momentanea: appena ti sarai messo in sesto leverai le tende, chiaro?”

 “Alan, io….. grazie! Non credevo….. non so cosa dire…..”

 “Non dire nulla, perché potrei facilmente pentirmi.

 

Pure senza voltarsi a guardarli, Alan avvertiva i sogghigni delle due serpi alle sue spalle. Oh sì, ognuno ha gli amici che si merita. Che pensiero deprimente.

 

 

 

Un paio di giorni dopo il gruppo si riunì e iniziarono le operazioni di trasloco.   Come promesso, Alan non mosse un dito, anzi: uscì di casa, portando Fabian con sé. Prima al parco, poi al Pike Place Market, per gironzolare tra i negozi e mangiare qualcosa all‘Emerald Kettle.

 In quanto a Damien, considerava più che sufficiente fornire la propria supervisione, per nulla intenzionato a offrire cooperazione di tipo fisico. Quel gravoso impegno mentale tuttavia lo stancò in fretta, e dopo meno di dieci minuti se ne andò, fumando e proclamando che riponeva in loro tutta la sua fiducia. I due superstiti si scambiarono un’occhiata.

 

 “Immaginavo che sarebbe andata così; se c’è da faticare lui si dilegua con impareggiabile abilità.

 Però nel giro di un giorno mi ha procurato dei mobili quasi nuovi, e gratis. È già un contributo più che sufficiente, no?”

 Sei troppo buono, Julian. Non affrettarti a considerarlo una persona gentile: semplicemente gli piace sentirsi onnipotente.

 “Non è detto che sia sempre un male.”

 “Aspetta di conoscerlo meglio.”

 “Mi sembra strano, sai. Stare qui, a spostare i mobili, trasferire la mia roba, e poi l’avere un nuovo letto….. come se mi dovessi fermare a lungo.”

 

Aidan non rispose. Avrebbe voluto dire <Chissà>, ma tenne il pensiero per sé. Era più che certo che Julian e Alan sarebbero diventati amici, davvero, ora che il loro rapporto si sarebbe basato sulla sincerità, e che non c‘era più Dietrich tra di loro. Avrebbero trovato equilibrio grazie ai loro caratteri complementari, specialmente Alan, che aveva bisogno di un po’ dell’ottimismo e dell’amabilità di Julian. Sì, decisamente la convivenza poteva giovare a entrambi.

 

 E tuo padre? - gli chiese invece - Lo hai sentito, in questi giorni?”

 “No, ma meglio così. Quando ho preso la mia decisione sapevo già come avrebbe reagito, quindi non mi sento particolarmente afflitto.”

 Anche mio padre la prese molto male, quando lasciai l’università. Ma gli è passata, e passerà anche al tuo.

 “Hai abbandonato anche tu? Che cosa studiavi?”

 “Medicina.”

 E non ti piaceva.”

 Era un’affermazione, non una domanda.

 “Sbagli. In realtà mi piaceva. Molto.”

 “Eh? Scusa, credo di non afferrare.”

 “Mio padre è un medico, e anche suo padre lo era. Dottori da cinque generazioni, in famiglia, che io sappia. Il pater dava per scontato che dopo la laurea avrei lavorato nella sua clinica, che ne sarei diventato socio, ed io a un certo punto mi sentii….. soffocare. Sembrava che tutto fosse stato già deciso, e non da me. Capii che il mestiere che mi piaceva mi avrebbe obbligato ad uno stile di vita che non desideravo, che non mi avrebbe mai soddisfatto. Così scelsi, e diedi un taglio netto.

 “E tuo padre come….. se non sono indiscreto….. come reagì?”

  “Non fece scenate, né mi buttò fuori di casa o intraprese altre rappresaglie; non è nel suo carattere ricorrere a mezzi simili. Smise semplicemente di considerare la mia esistenza: non mi rivolse più la parola, né uno sguardo. Ignorava persino mia madre, quando cercava di ricucire lo strappo e intercedere per me. Dopo qualche mese fui io ad andarmene: Damien mi aveva informato che nel suo palazzo si era liberato un alloggio, così mi trasferii.

 “Almeno lui ti spalleggiava, allora.”

 “Spalleggiarmi? Damien? Quando gli raccontai di voler abbandonare gli studi, e perché, lui mi consigliò di farmi vedere da uno psichiatra. O da un esorcista.”

 “Ah. Beh sì, direi che riesco a visualizzare la scena.”

 “Allora forse cominci a inquadrarlo. In ogni caso, traslocai e poco dopo rilevai il negozio di dischi. Lo frequentavo da quando ero un moccioso, e quando il padrone mi disse che stava per vendere tutto, risposarsi e trasferirsi all’estero, mi offrii di continuare l’esercizio. Con le spese mi diede una mano mia madre, mentre mio padre se ne disinteressò completamente. Dopotutto in quel periodo non mi considerava nemmeno più suo figlio.

 “Tutto questo non mi fa ben sperare per il futuro dei miei rapporti con mio padre, se devo essere sincero.

 “Aspetta. - Aidan sorrise, divertito e forse intenerito dal ricordo - Dopo più di sei mesi di attività, un pomeriggio in negozio entrò lui. Pensai di avere le allucinazioni. Si guardò in giro, poi venne da me; cercava di darsi un contegno, ma era chiaramente teso, persino imbarazzato. Era un anno che non mi rivolgeva la parola, e dopo tanto tempo le prime parole che mi disse furono:Sto cercando alcuni vecchi vinili dei Grateful Dead.’  Ci misi qualche istante a riprendermi e a convincermi che era proprio lui, e non un sosia nato da un baccello alieno. Gli trovai due dei dischi che voleva, e promisi che avrei cercato di procurargli il terzo. Lui pagò, e infine, fallendo penosamente nel tentativo di essere disinvolto, mi invitò a cena a casa, quella sera. Da allora tutto è tornato a posto, come prima della nostra piccola controversia, e anche meglio. Senza spiegazioni né scuse….. Ma quelle sono cose che in fondo non mi interessano.”

 “Alla fine deve aver capito le tue ragioni e ha fatto il primo passo….. e in un certo senso ti ha chiesto perdono.”

 “Quanto e più il suo carattere gli permettesse: è orgoglioso, cocciuto e permaloso, qualche volta ai limiti dell’infantilismo, ma in fondo è un tipo a posto.

 Quest’ultima affermazione lo differenzia totalmente da mio padre.

 “Quando gli dimostrerai di essere in grado di cavartela da solo anche lui tornerà sulle sue decisioni.

 “Parli così perché non lo conosci. E, onestamente, ti auguro di non conoscerlo mai.

 

 

 

 “Ehi.”

 Era seduto a terra, a sfogliare un libro, quando la voce alle sue spalle, anche se quieta, lo fece sobbalzare. Julian si voltò e vide Alan fermo sulla porta, che osservava lui e la stanza. Sorrise dandogli il bentornato.

 “Ciao! Non ti ho sentito rientrare.

 “Ti assicuro che non mi sono mosso furtivamente. E sono fermo qui da almeno un minuto.

 “Oh! Allora meno male che non stavo facendo nulla di imbarazzante!”

Alan inarcò un sopracciglio e sogghignò; fece due passi, entrando nella camera. Guardò il letto, gli scaffali e la scrivania che Julian e Aidan avevano sistemato nel pomeriggio, le valige aperte, uno scatolone di libri.

 “Domani - disse il suo neo-coinquilino - finirò di sistemare tutto. In fondo, contro il muro, metterò una piccola libreria….. se riuscirò a montarla, cosa di cui dubito. Ah, e poi, posso appendere qualche quadro? Ho un paio di stampe che  proprio non voglio  lasciare nell‘attico.”

 “Ora abiti qui. Puoi fare quello che vuoi, non devi chiedere.

 “Grazie, allora.”

 

  Si guardarono, in improvviso silenzio. Strano quell’impaccio, quando prima riuscivano a discutere per ore. Nonostante si fossero chiariti, nonostante avessero deciso di ricominciare da zero, e nessuno dei due provasse rancore, sentivano entrambi che ‘qualcosa’ rendeva sottilmente imbarazzante la vicinanza, e goffo il parlarsi. Era una barriera esile, ma palpabile; si deformava al loro tocco, lo assecondava, e non crollava. Ma quello era solo l’inizio, e col tempo, certamente…..

 

 “Tornando mi sono fermato a un take-away cinese e ho comprato qualcosa per cena - informò Alan, voltandosi -  Se vuoi venire….. ti ho preso del maiale in agrodolce. È il tuo preferito, no?”

 

 Col tempo, certamente, si sarebbe dissolta.

 

 

 

 

Era andato a letto da quasi un’ora, ma ancora il sonno si faceva attendere. Julian sperava di non dover passare la notte a rigirarsi tra le lenzuola, e intanto guardava nel buio, ricreando nella mente l’immagine di quella stanza ancora estranea che adesso era sua. Ora, da solo, nel silenzio, era quasi spaventato. Non era pentito delle proprie decisioni, non voleva tornare indietro, anzi, era impaziente di tuffarsi nella nuova vita che l’attendeva, tuttavia….. ah, quanto avrebbe voluto essere meno emotivo!

 Rilassati. Non c’è nulla di cui preoccuparsi, andrà tutto bene. La parte più difficile è già passata.

Tese l’orecchio, sentì scorrere l’acqua della doccia; Alan si stava preparando ad andare a dormire, nonostante fosse relativamente presto. Sapere che da quel giorno in avanti, anche se ignorava per quanto, avrebbero vissuto assieme, gli suscitava strane sensazioni. Una sorta di fiducia, di contentezza, ma anche turbamento, irrequietezza. Era simile alla sensazione che aveva provato ogni volta, prima di vedersi con Alan: quell’ansia piacevole e impaziente che gli era sembrata così fuori luogo, che l’aveva fatto sentire in colpa, come un traditore.

 E ora di sensi di colpa non c’era più bisogno, la sciocca impressione di stare facendo un torto a Dietrich non aveva più motivo di esistere. Poteva fermarsi a riflettere su quello che sentiva, esaminarlo, gustarlo, chiedersene il perché. La risposta era ancora sfuggente, o forse non era ancora pronto a darsela.

 

 Alan uscì dalla doccia e si avvolse in un asciugamano blu, che non era affatto soffice come prometteva la pubblicità dell’ammorbidente. Ci si strofinò energicamente, arrossando la pelle; lo lasciò scivolare a terra, e lo calciò via. Si accorse di stare muovendosi con cautela, per fare poco rumore, e fu costretto ad ammettere che era uno sciocco e involontario riguardo per Julian, che magari già stava beatamente dormendo. Si disse che era preferibile non svegliarlo, nel caso fosse quel genere di persona che, se non riesce più a prendere sonno, sente il bisogno di alzarsi e fare quattro chiacchiere con il primo disgraziato che capita a portata di mano.

 Passò una mano sullo specchio appannato e studiò il proprio riflesso. Ancora doveva darsi una ragione su che diavolo lo avesse posseduto, per acconsentire alla ‘brillante’ idea di Aidan, perché ammettere di avere una coscienza era decisamente troppo fastidioso. Ma nonostante amasse esagerare malcontento e avversione, era curioso di vedere come sarebbe andata tra loro, e cosa sarebbe cambiato nella sua vita, ora che aveva l’impiastro per casa. Si scoprì a sorridere, lievemente, ma sinceramente, e per quella volta almeno non forzò l’espressione in un broncio risentito. In fondo gli sembrava incredibile che qualcuno potesse desiderare la sua compagnia, la sua amicizia, al punto cui era arrivato Julian. Che qualcuno lo ritenesse tanto importante da offrirgli una seconda opportunità. La sensazione che ne ricavava era un calore lusingante, inaspettato, difficile da definire. Forse avrebbe dovuto raccontare quelle sensazioni a Damien, chiedendogli di trovare un nome, una spiegazione; era uno scrittore, dare un nome alle imperfezioni del cuore e alle strozzature dell’anima doveva essere il suo mestiere, no?

 

Forse….. anche se a pensarci bene era meglio non dirgli proprio nulla, perché  rabbrividiva a immaginare i commenti pungenti e le beffarde insinuazioni di cui sarebbe stato bersaglio.

 Oh, basta! Per quel giorno aveva rimuginato a sufficienza, ormai voleva solo andarsene a dormire. Tese la mano verso spazzolino e dentifricio, ma la fermò a metà strada. C’erano tre spazzolini nel bicchiere. Julian aveva aggiunto il proprio, che ora era lì insieme al suo e a quello blu, che Dietrich aveva lasciato da lui. Lo aveva già notato, ovviamente, in quei giorni, ma adesso.. rimase per qualche istante a guardarli, provando un brivido di fastidio.

 

***

 

  “A letto, su.”

 Disse Damien, accarezzando la testa di Fabian poggiata sul suo petto. Il bambino gli stava in braccio, ormai quasi addormentato, nonostante avesse tentato con tutte le sue forze di restare sveglio per guardare insieme a Damien e Aidan il film in televisione. Mormorò una debole protesta, che però finì in uno sbadiglio, e quando Damien si alzò, per portarlo in camera, seppellì ancor più profondamente il viso contro di lui, cingendogli il collo con le braccia.

 

 “Ha tentato di convincermi che non aveva sonno, ma è crollato prima che finissi di rimboccargli le coperte.

 Spiegò il padrone di casa, di ritorno qualche minuto dopo. Anche se il bambino si era addormentato quasi immediatamente, lui era rimasto seduto sul bordo del letto, a osservarlo. In realtà quasi gli era stato difficile staccarsi dal piccolo.

 “È sempre così, quando passa una giornata con Alan. Si divertono come matti, insieme.

 “Per forza, hanno la stessa età.”

Damien fece un sorriso così vago che difficilmente qualcuno, a parte Aidan, avrebbe potuto coglierlo. Si preparò una sigaretta, e ne fumò metà prima di parlare ancora.

 

 “Ho perso molte cose, vero?”

L’altro lo guardò, sulle prime senza comprendere; poi intuì il senso della frase, ma pose lo stesso la sua domanda.

  Cosa vuoi dire?”

  “Tutto ciò a cui ho voltato le spalle, e che non potrò più, in alcun modo, avere per me.”

 “Non sono del tutto certo di seguirti.”

 “Balle. Hai capito benissimo – lanciò un’occhiata ironica al suo vecchio amico, e sbuffò un po’ di fumo nella sua direzione – Fabian. Vorrei avere ciò che mi era stato offerto. Tenerlo in braccio quando era piccolo. Le sue prime parole, i suoi primi passi. Tutte quelle cose da giovane padre orgoglioso. Tutto quello a cui volontariamente rinunciai.”

 

 Erano parole che suonavano sciocche, patetiche!, alle sue stesse orecchie, e se le sarebbe rimangiate volentieri, ma erano pur sempre la verità. Pensieri che spesso, negli ultimi mesi, si erano affacciati alla sua mente, e che infine avevano trovato voce.

 

 “Non è da te avere rimpianti.” 

 “C’è sempre una prima volta, pare si dica.”

 “Posso immaginare quello che provi, ma….. non dovresti fissarti su ciò che non è stato. Ci saranno momenti più importanti, nella vita di Fabian, delle sue prime parole. E tu gli sarai accanto.

 “Aidan, se ti confido qualcosa di banale, tu non sei moralmente obbligato a rispondermi con un’altra banalità.

 “Grazie. Dà molta soddisfazione, cercare di sollevarti il morale.

 “Oh, ma il mio morale è ottimo, te l’assicuro. Se non lo fosse ti avrei già buttato fuori.”

 “Non ne dubito, ho perso il conto delle volte in cui lo hai fatto.

 “Con questo tono affranto stai forse cercando di instillare in me il senso di colpa? Non funziona, sappilo.

  Aidan voltò lo sguardo, tentando di mostrarsi offeso, cosa che in fondo avrebbe potuto permettersi veramente, di tanto in tanto. Non resisté a lungo, tuttavia; appena mezzo minuto dopo un sorriso gli comparve sulle labbra. Inutile continuare a trattenersi, e tempo pochi secondi ridacchiò, scrollando la testa.

 E ora che ti prende?”

 Chiese Damien, sospettoso.

 “Non avrei mai creduto che un giorno avrei ascoltato i tuoi rammarichi per mancati bagnetti, biberon da scaldare e pannoloni da cambiare.

 “I pannoloni, mon cher, li avrei lasciati a te.”

 

***

 

 

Un’azione pregna di significato, si disse Alan, con un certo sarcasmo.

 Un gesto molto semplice, ma se non l’avesse compiuto poi non sarebbe riuscito a dormire. E di dormire aveva davvero una gran voglia, ora che si sentiva il cuore un po’ più leggero. Chissà perché non l’aveva fatto prima. Chissà perché nemmeno gli era passato per la testa.

 Semplice, quasi insulso, ma fondamentale, liberatorio al punto di stampargli un gran ghigno in faccia.

 “Buonanotte.”

 Augurò, gettando lo spazzolino blu nell’immondizia.