IL PRINCIPE AZZURRO 10

di Unmei


 

 

Damien stava da circa un’ora a braccia conserte davanti al suo portatile, fissandolo trucemente; ci si sarebbe aspettati di sentire il povero computer mettersi a guaire da un momento all’altro. Sarebbe stato più saggio arrendersi, per quella sera, scegliere un film e distrarsi; la cosa non avrebbe fatto del bene solo a lui, ma anche ad Aidan che si stava stordendo di zapping, esasperato dall’andamento della serata. Poi il moro spense la tv e guardò Fabian, steso sul tappeto a disegnare, circondato dai pennarelli. Il primo pensiero fu che i bambini a quell’ora avrebbero dovuto essere a dormire da un pezzo, il secondo che forse avrebbe potuto unirsi a lui, fare un disegno e poi sottoporlo all’interpretazione di uno psicologo, tanto per avere le proprie frustrazioni confermate da un professionista.

 Quando il cellulare di Damien squillò, lui non vi fece molto caso; sentì una breve conversazione, ma da quel poco non poté capire l’argomento. Terminata la chiamata, però, il suo Amore e Tormento chiuse di scatto il laptop e si alzò; nei suoi movimenti si leggeva quanto fosse contento di avere una scusa per abbandonare la battaglia.

 

 “Beh? Chi era?”

 “Terrence. Richiesta di intervento urgente. Da due ore Alan si è chiuso nel camerino e non vuole uscire….. Pare che tirarlo fuori spetti a me.”

 “Che è successo?”

 “Qualcosa che coinvolge Dietrich. E Julian. Non so cosa, ma certo niente di buono. Fabian, vieni a mettere la giacca, usciamo.”

 

 Mentre il bimbo trotterellava contento verso Damien, Aidan scattò in piedi, allarmato.

 

 “Sei impazzito? Vuoi portare un bambino di cinque anni al Diadokon?”

 “Non posso portarlo dalla signora Steine: starà già dormendo a quest’ora. E certo non posso lasciarlo a casa da solo, ti pare?”

 “Chiaro che non puoi, ma ci sono io a tenerlo!”

 Damien sospirò, impaziente.

 “Tu vieni con me. Pensavo fosse ovvio.”

 

 Aidan aprì bocca per dire qualcosa, poi la richiuse: le parole che ne sarebbero uscite erano poco adatte alle orecchie di un bambino. Dunque riformulò il pensiero.

 

 “Me ne andrei a casa a dormire solo per ripicca. Ma visto che si tratta di Alan, ti seguo.”

 

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C’erano Sen e Terrence fuori ai lati della porta del camerino; poco più in là anche Jonas, il batterista dai capelli rasati, e Lyn, la sua compagna dalla pelle caffelatte. Tutti loro avevano tentato di convincere il cantante a uscire, o a far entrare qualcuno, o almeno a raccontare quale fosse il problema, e tutti avevano fallito nello scopo. Ma con Damien avrebbe parlato, ne erano certi, perché con lui Alan appiattiva gli aculei, pur ostentando riluttanza. 

 

Damien affidò Fabian alla coppia di fidanzati con un ‘ecco, fate pratica’, poi bussò al nascondiglio del suo amico. Due colpi non troppo forti, ma perfettamente udibili, che non suscitarono risposta. Ripeté, mettendoci più forza e chiamando per nome. Alan rispose dopo qualche istante.

 

 “Vai via. Tu e tutti gli altri. Lo so che sono ancora lì.”

 “Avanti Alan. Ora l’attenzione l’hai attirata a sufficienza, non trovi?”

 “Non volevo attirare un bel niente, c’è solo un sacco di gente che non sa farsi i cazzi suoi. Voglio starmene da solo e in pace, si può?”

 “Uhm. Certo. In questo caso avresti fatto meglio a rinchiuderti nel tuo alloggio….. tu se non altro non hai vicini rompicoglioni come Aidan che si autoinvitano di continuo a casa tua. Senza offesa, Aidan.”

 “…..”

 “Se invece sei rimasto qui è perché (neanche tanto) inconsciamente desideravi parlare con qualcuno. È talmente ovvio che mi sento in imbarazzo a dirlo….. dio, credo di dovermi sciacquare la bocca.”

 “Parlare di cosa? Anche se ne parlassi non capiresti, penseresti che sono un idiota. No, penseresti molto peggio.”

 “Oh, io considero idiota la quasi totalità degli esseri umani, uno più o uno meno non mi cambia niente. Per te sì? Sarebbe a dire che ti importa ciò che penso di te? Sono commosso, non me l’aspettavo.”  

 “…..”

 “Se la cosa ti angoscia tanto non posso insistere oltre. La mia…..ehm, sensibilità….. me lo impedisce. Mi addolora tradire le attese di chi mi ha chiamato qui per tirarti fuori dalla tana, ma potrò sempre spiegare a tutti <no, non ho insistito perché Alan aveva paura di darmi una delusione.>

 

 Damien tacque, e dopo un momento di silenzio si sentì ancora la voce di Alan.

 

 “Tu sei il demonio.”

 

E lo scatto della serratura che veniva aperta. Damien si voltò verso il suo pubblico e accennò un inchino, prima di entrare, seguito da Aidan.

 

****

 

“Deve essere stato qualcosa di grave, per farti piangere.”

 “Io non ho pianto!”

 “Allora quel pasticcio di kohl sbavato attorno agli occhi e le striature giù per le guance sarebbero il trucco di scena? Notevole.”

Seccato Alan sedette davanti allo specchio, strappando salviette struccanti da una confezione ancora nuova e strofinandosi bruscamente il viso, ma ciò fu utile solo a peggiorare la situazione. Ancor più innervosito lanciò le salviette nel cestino della carta e chinò il capo.

 

 “….. solo un po’. Di rabbia. E schifo.”

 

Un <ho pianto> a inizio frase era stato omesso; dirlo a voce alta sarebbe stato uno smacco troppo grande per lui, che già si vergognava della propria emotività.

 

Aidan non era per nulla stupito che, in qualsiasi guaio fosse capitato, c’entrasse Dietrich. E, come aveva detto Damien, doveva essere stato un brutto colpo. Si trattenne dall’infierire con un ‘lo dicevo io’ e decise di essere condiscendente, per una volta.

 “E ora come ti senti?”

 Gli chiese.

 

 “Ho voglia di vomitare.”

 

Dentro di sé Alan pensò che chiunque avesse detto che dopo un pianto ci si sentiva meglio, era un formidabile idiota. Piangere non gli era servito ad alleggerirsi l’anima, ripulirsi il cuore o chiarirsi la mente: si era semplicemente sentito peggio che mai. Una parte di lui sì, esultava. Godeva della vittoria, della liberazione, era convinta e soddisfatta di ciò che aveva fatto, e lo avrebbe ripetuto mille volte. Ma persino quella piccola parte cocciuta riconosceva che era stato un successo autolesionista.

 Emozioni contrastanti. Probabilmente non avrebbe più rivisto Dietrich….. un pezzo della sua vita era stato amputato di netto, e senza anestesia.

 Probabilmente non avrebbe più rivisto nemmeno Julian. Chissà che stava facendo, e come aveva affrontato Die, cosa si erano detti.

 Chissà se Julian aveva qualcuno, come lui aveva Damien e Aidan. Poteva servire a qualcosa parlare loro di tutta quella storia? Forse sentire se stesso narrarla lo avrebbe aiutato a venirne fuori, a relegarla nel passato a cui ormai apparteneva. Forse aveva bisogno di sentirsi dire quanto era stato stupido.

 

 Cominciò a raccontare, a spiegar loro quel che non sapevano della sua relazione con Dietrich; di quel triangolo, di quel gioco che andava avanti da lunghi mesi, ormai. Die un giorno gli aveva detto di aver allacciato una conoscenza con un certo ragazzo, all’Università. Un tipo molto ricco e piuttosto impacciato, e Dietrich aveva avuto la sensazione di piacergli, anche se solo a livello superficiale. Aveva deciso di approfittarne, di usarlo come passatempo:

 <Posso far innamorare di me chi mi pare, vuoi scommettere?>  

  L‘aveva provocato. E lui, allora, l’aveva trovata un’idea divertente; non l’aveva dissuaso, non gli aveva chiesto di rinunciare né l’aveva mandato al diavolo. Gli aveva risposto: <Vediamo quel che sei capace di fare.>

E Dietrich glielo aveva dimostrato, fin troppo facilmente. Una settimana, ed era diventato il “ragazzo” di quell’altro. Un mese, e si era trasferito nel suo alloggio; gli era bastato lamentarsi, con innocente disinvoltura, di quanto fossero piccoli i miniappartamenti del campus, di quanto in particolare il suo fosse malconcio, e di come il suo rumoroso coinquilino gli guastasse la concentrazione, e Julian gli aveva offerto casa propria.

 A quel punto il progetto di conquista di Dietrich non gli sembrava più così brillante o divertente, e gli aveva chiesto di interrompere la relazione; si sentiva inquieto, geloso….. tradito, anche se fino a quel momento non aveva mai pensato di associare la sua situazione a quella parola. Ma non era riuscito a perseverare, ogni volta Dietrich lo aveva convinto ad assecondarlo. Lo aveva preso per un cacciatore di dote? Non doveva rendersi ridicolo immaginando che potesse innamorarsi di Julian! Vivere per un po’ in quel grande e lussuoso attico e guidare una fuoriserie erano cose per cui non era un prezzo alto, fingere di essere chi non era.

Dopotutto, gli aveva detto, per lui fingere non era una novità.

Dopotutto, anche tra loro c’era solo sesso: non poteva avanzare pretese di fedeltà.

 Già, anche se Dietrich da lui la esigeva.

 

 Sul momento Die sapeva sempre essere molto convincente, ma quando poi se ne andava, e magari non si faceva vivo per giorni, la frustrazione e la paura dell’abbandono tornavano a farsi sentire, e aveva la sensazione che sì, forse Julian per Die avrà avuto poca importanza, ma che lui ne aveva ancora meno. Così aveva deciso che avrebbe interrotto il triangolo, che lui solo avrebbe avuto l’attenzione di Dietrich, in un modo o nell’altro, e anche l’amore, infine. Non sapeva esattamente come, ma ci sarebbe riuscito.

 

 E poi….. poi la sorte aveva messo proprio Julian sulla sua strada, e lui aveva pensato….. non lo sapeva. Non riusciva più a ricordare il ragionamento che lo aveva spinto ad agire così. Perché stringere un legame con lui? Non era necessario, per distruggere la sua relazione con Dietrich. Avrebbe fatto prima a nascondere una piccola telecamera in camera da letto e poi recapitare il filmato a Julian, mostrandogli cosa faceva in realtà il ‘suo ragazzo’ quando diceva di andare a studiare in biblioteca, ad allenarsi in piscina, o quel che diavolo gli raccontava.

 

 Conoscere meglio Julian, uscire con lui, parlare insieme, per poi servirgli la realtà come una coltellata, sapendo di farlo soffrire nel peggiore dei modi: alla fine quello era diventato il suo scopo. Non era più solo la voglia di avere per sé Die: era nato uno strano desiderio di vendetta, di rivincita, e prendersela con l’unica persona priva di colpa fra loro tre era l’azione più distruttiva che potesse compiere.

Era indispensabile, inevitabile, e avrebbe dovuto essere liberatorio. Non credeva che la libertà sarebbe stata vuoto e nausea.

 

Proseguì il racconto, alle sue stesse orecchie suonava stupido e patetico, degno solo di derisione, e giunse a quella sera stessa, al culmine, al crollo, toccato poche ore prima.  Tacque, aspettando quel che i suoi amici avrebbero avuto da dire; nulla di particolarmente tenero e indulgente, aveva il presentimento. Alzò finalmente gli occhi, girandosi verso di loro. L’espressione di Damien era indecifrabile, ma tranquilla. Ciò che invece pensava Aidan di tutta quella storia era fin troppo evidente: lo fissò severamente, poi si rivolse a Damien:

 

 “Beh, non gli dici niente?”

 

Nonostante la situazione ad Alan venne quasi da ridere: la battuta gli ricordò  quella di una madre che pretende che il padre dia una lavata di testa al figlio ribelle. Ma Damien chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle, alzando le mani in segno di resa.

 

 “Non riesco a credere che tu ti sia invischiato in una storia del genere! - iniziò quindi Aidan - Né che ti sia fatto trattare in modo tanto infame da quel bastardo, né che te la sia presa con quel ragazzo. Che cazzo di comportamento….. cosa avevi in testa, si può sapere?”

 “Guarda che non l‘ho fatto per divertirmi!”

 “Non ci giurerei!”

Per sfogarsi andò su e giù tre o quattro volte per la piccola stanza, infine si fermò con un sospiro, l’arrabbiatura in parte sfumata nella preoccupazione.

 

 “Che hai intenzione di fare, ora?”

 Niente, che vuoi che faccia? Con Dietrich ormai è finita, non credo di poter recuperare – “

 “Per me Dietrich può tranquillamente crepare, non mi stavo riferendo a lui!  Non pensi di dovere a qualcuno delle scuse?” 

 

Alan voltò la testa, l’espressione del suo volto piccata; probabile che la verità fosse la cosa che meno voleva sentirsi dire, in quel momento. Damien gli si avvicinò, abbandonando finalmente l’atteggiamento da spettatore neutrale; gli calò una mano sulla testa, scompigliandogli energicamente i capelli, una via di mezzo tra uno scappellotto e un gesto d’affetto.

 

 “Prima o poi dovrò coniare un neologismo, per definirti.”

 “Per te invece ci sono già tanti termini collaudati che vanno bene. E tutti offensivi.”

 Brontolò Alan, che pur tenendoci a mostrarsi seccato non si distolse dalla mano del suo amico.

 “Mentirei dicendo che il naufragio della tua relazione mi addolora; il tempo in cui essa poteva farti del bene era ormai finito. Ora dovresti cominciare a rendertene conto anche tu.”

 

 Piano, impercettibilmente, Alan annuì. C’erano state volte in cui Aidan e Damien avevano provato, ognuno a proprio modo, di farlo ragionare sull’andamento e lo squilibrio della sua ‘storia’ con Die; lui li aveva sempre messi a tacere, invitandoli bruscamente a pensare ai propri affari. Non gli era facile ammettere con se stesso che qualcosa non andava, come poteva farlo con loro? E in quei giorni aveva ancora la convinzione di poter salvare il rapporto, e non sopportava che qualcuno ne mettesse in dubbio la stabilità o il futuro. Ora, invece, finalmente poteva riflettere. Fare ordine dentro di sé e capire cosa davvero desiderava, e se poteva cavarsela anche senza Dietrich. Oh, quello doveva farlo, in ogni caso.

 

 “Mi sento come se avessi vinto, e subito una disfatta allo stesso tempo.”

 “La storia è piena di esempi del genere, non credere di confessarmi qualcosa di sconvolgente.”

 “Però ho vinto. Non è così?”

 “Più che altro ti sei preso una discutibile rivincita, il che è diverso.”

 “Ne avevo il diritto! Mi sono vendicato, di Dietrich, e di Julian….. non importa se così ho anche ….. perso.”

 

 La voce gli si affievolì, e tacque. Si lasciò andare all’indietro, poggiando la schiena contro il suo amico, chiudendo gli occhi. Poco dopo sentì un’altra mano posarsi sulla spalla, e la voce di Aidan.

 

 “Vai a casa e fatti una dormita, Alan. Per stanotte dimenticati tutta la faccenda.”

 

Seguire quel suggerimento sembrava la cosa più desiderabile al mondo, se avesse potuto dormire. Era ancora troppo carico di tensione, di pensieri, di emozioni contrastanti per sperare di prendere sonno, e nell’attesa gli avrebbe tenuto compagnia una folla di pensieri sgraditi. Avrebbe potuto ovviare al problema ingoiando un paio di sonniferi, ma preferiva evitare di prendere simili schifezze. Meglio piuttosto esaurire tutte le energie e poi crollare per autentica stanchezza: solo quello avrebbe potuto alleggerirgli un po’ l’anima, dargli vero riposo. Si alzò, ostentando noncuranza.

 

 “No, meglio di no. Pare che gli artisti degni di questo nome diano meglio di sé quando sono depressi e interiormente devastati: vado sul palco, vediamo quel che ne viene fuori. E forse dopo potrei scriverci una canzone.”

 

 Sorrise spavaldamente, a dire che si sentiva meglio e non c’era da stare in pensiero per lui. Le sue doti di simulatore risultarono piuttosto scarse, ma i suoi amici lo lasciarono andare, riconoscendo che, a parte aver raccolto il suo sfogo, non c’era altro che potessero fare per lui. Almeno per il momento.

 Una volta rimasti soli Aidan sbuffò stancamente, mentre Damien si accomodò al posto di Alan, curiosando sul tavolo tra pacchetti di sigarette mezzi vuoti, cosmetici dai colori spettrali e barattoli di gel per capelli.

 

 “Avremmo dovuto accorgerci che qualcosa andava storto, non credi?”

 Domandò Aidan, sentendosi piuttosto in colpa.

  “Ce n’eravamo accorti e gli avevamo anche chiesto cosa stesse succedendo. Ma lui continuava a negare….. che dovevamo fare? Torturarlo? Riempirlo di Penthotal? L’unica era aspettare che risolvesse da solo, o che decidesse di raccontarci il problema.”

 “Però…..”

 “Finiscila di rimuginare; se desideri fargli da angelo custode ora avrai altre occasioni. Potresti cominciare con il trovargli un ragazzo decente.”

 

Damien si passò accuratamente sulle labbra il rossetto nero che aveva trovato ficcando il naso in uno dei cassetti; si scrutò con interesse nello specchio, poi sorrise, compiaciuto dell‘effetto. 

 

“Mi dona, non trovi? Direi che sto talmente bene che potrei innamorarmi di me stesso.”

 “Lo sei già.”

 “Come darmi torto? - guardò il suo amico con la coda dell‘occhio, e lo vide ancora pensieroso. Si alzò, e gli andò vicino - Stai tranquillo. In un modo o nell’altro si è liberato di Dietrich, ed era la cosa migliore che potesse fare per se stesso.”

 “Ma non mi piace il modo in cui l’ha fatto. E’ stato inutilmente crudele, e non è da lui. Ora sta male più per il senso di colpa che per aver chiuso la storia con quello stronzo, ne sono certo. Anche se non lo ammetterebbe mai.”

 “Se si sente in colpa significa che c’è ancora speranza perché sviluppi qualche brandello di senso comune. Bene, a questo punto direi di andare ad ascoltarlo, o vuoi perderti la grande esibizione dell’artista emotivamente sconvolto?”

“E Fabian? Vuoi portare anche lui in sala?”

“Chiederò a Lyn di rimanere qui con lui; lo adora, non le dispiacerà. Avanti, muoviti.” 

 

E lo prese per un braccio, portandolo con sé.

 

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Solo tre passi, quelli che doveva fare, ma erano i più difficili, i più pesanti, che avesse mai dovuto compiere. Sentiva troppo caldo, e la bocca secca, una stretta allo stomaco che durava dal pomeriggio precedente, quando aveva preso la decisione di andare, e che gli aveva fatto saltare due pasti. Avrebbe fatto ancora in tempo a voltarsi e rinunciare, lasciandosi tutta la storia alle spalle, facendo finta che nulla fosse successo, riprendendo la vita di ‘prima’. In fondo l’idea lo tentava: la fuga era così semplice e allettante, così….. abituale.  Ma no, no. Non poteva permettersi di essere vigliacco. Non più, se era deciso a cambiare.

 Si costrinse ad andare avanti: era indispensabile, se voleva davvero cambiare, se voleva crescere. Se voleva evitare di trovarsi con un rimpianto e un dubbio piantati in mezzo al cuore per chissà quanto tempo.

 

Tenta

Si disse.

Tenta. Mal che vada ti renderai ridicolo, ma mai più di quanto tu  sia stato fino ad ora.

 

 Prese un gran respiro, e si inumidì le labbra. Cercò di far calmare il cuore e si spinse gli occhiali sul naso; percorse quei tre ultimi passi e chiudendo per un attimo gli occhi spinse la porta del negozio di Aidan. Erano solo due settimane che non vi entrava, ma sembrava una vita fa.

 Come sempre c’era musica, nel negozio, ma questa volta non riconobbe la canzone; c’erano alcuni clienti, e Aidan, occupato con uno di loro, non rivolse subito lo sguardo verso di lui. C’era anche Damien; lui lo vide subito, e gli rivolse un’occhiata stupita, prima, e poi un impercettibile sorriso. Ricambiò, avvicinandosi, e guadagnando infine anche l’attenzione dell’altro; Aidan sembrò ancora più meravigliato di trovarselo davanti, e si sentì arrossire per l‘imbarazzo. Proprio quello che gli mancava.

 

 “Ehm…..ciao.”

 Salutò, abbassando gli occhi per un breve istante. Chissà se anche loro sapevano di quello che era successo. A giudicare dalla loro prima reazione avrebbe detto di sì. Dunque….. chissà cosa pensavano di lui.

 

 “Alan è qui?”

 “Dipende. - fece Damien, inarcando un sopracciglio - Sei armato e/o animato da intenzioni violente?”

 “No!”

 “Ottimo. In tal caso, sì, è qui.”

 “Nell’ufficio sul retro – aggiunse Aidan – si sta occupando di alcuni ordini.”

 

 Julian ebbe la sensazione che volesse aggiungere qualcosa, ma non lo fece; lo invitò invece dietro al banco e con un cenno della testa gli indicò una porta.

 

 “Ecco.”

 

Lui mormorò un grazie, e andò avanti.

 

***

 

C’erano alti scaffali carichi di dischi e libri, un paio di schedari e un armadio, una scrivania con un computer; c’erano un vecchio divano, un tavolo con alcune sedie, un mini frigo e una macchina per il caffé. Ciò che serviva per lavorare e ciò che serviva per riposarsi, e tutto in perfetto ordine; si addiceva ad Aidan, che sembrava così serio e affidabile.

 

Alan era seduto al computer; lo aveva sentito entrare, ma non aveva alzato gli occhi; aveva continuato a lavorare, assorto, probabilmente credendo si trattasse di uno dei suoi amici. Anzi, sicuramente era così, stando alle parole che gli disse poco dopo.

 

“Ho rintracciato una copia dell’edizione limitata che ti chiede sempre quel fanatico pieno di piercing. Vieni un po’ a ved-”

 

E lì si era zittito di colpo, perché finalmente aveva guardato verso di lui.

Julian si sentì inchiodato dov’era; in un momento tutte le parole che aveva accuratamente preparato, pensato e ripensato, svanirono. Svanirono, ricomparvero confuse, si accalcarono, bloccandosi e impedendogli di trovare la voce.  Guardò Alan, che sembrava impietrito quanto lui, incredulo come fosse l’ultima persona che si aspettava di vedere. Ah, che stupido: doveva essere proprio così. Una reazione comprensibile: se stupore aveva ricevuto da Aidan e Damien, figurarsi come la stava prendendo lui.

 

Abbozzò un impacciato sorriso, e quando parlò si accorse di suonare altrettanto incerto. In cuor suo pregò di riuscire ad arrivare in fondo al discorso. E che Alan almeno gli permettesse di iniziarlo.

 

 “Posso parlarti?”

 

 

----continua