IL PRINCIPE AZZURRO – 9
di Unmei
Quella
notte Alan si ritrovò a pensare a ciò che aveva perduto. Come suo padre, per
esempio, che gli mancava così tanto; era sicuro che la sua vita sarebbe stata
ben diversa, se lui non fosse morto.
E pensava
agli amici che aveva perso di vista, che gli erano sfuggiti dalle mani, di cui
non sapeva più nulla, e di cui forse nemmeno gli importava.
E pensava
anche a ciò che non aveva mai avuto.
Come
l’Università, che non aveva potuto permettersi di frequentare.
Chissà se Dietrich lo avrebbe considerato in
maniera diversa, se gli avrebbe attribuito un po’ più di valore, se l’avesse
conosciuto come studente, anziché come tossico abbordato in un locale.
Riflettendoci probabilmente no, forse anzi non avrebbe nemmeno attirato la sua
attenzione….. il che non necessariamente sarebbe stato un male, suggerì una
voce pedante da qualche parte nella sua testa.
Ora rischiava di perdere anche Dietrich, ma con
stupore scoprì di non temere quel risultato. Non quanto aveva creduto, almeno,
e questo perché lo scopo principale era cambiato.
Avere Die
solo per sé, ottenere il suo amore impressionandolo con una ribellione di cui
non lo riteneva capace: questo aveva desiderato all’inizio.
Ora l’unica
cosa importante era strapparlo a Julian. Quello gli sarebbe bastato, a costo di
perderlo lui stesso.
Julian che
aveva tutto, che viveva felice il suo amore, pure se inesistente, che si
permetteva anche di essere una persona insopportabilmente amichevole….. Julian
meritava di scoprire cosa significasse perdere, e stare male.
Lui aveva
ormai stabilito come agire, e con un po’ di fortuna le cose sarebbero andate
come si aspettava: era sicuro di sé, tranquillo, determinato. Eppure aveva un
nodo allo stomaco che non riusciva a sbrogliare, che lo nauseava e gli impediva
di dormire. In altri tempi avrebbe buttato giù un paio di quelle pastiglie
venefiche, eppure così perfette per sciogliere la paura, per cancellare i
pensieri e far passare in fretta la notte. Ma non era più così stupido, così
debole e così impaurito: da solo poteva arrivare al giorno dopo, e anche
affrontarlo.
Abbandonò
il letto, perché ormai gli era divenuto insopportabile continuare a rigirarsi
tra le lenzuola. Avrebbe voluto suonare. Suonare era per lui una consolazione e
una cura: riusciva a calmarlo, incoraggiarlo, eccitarlo, ma erano le tre
passate e sapeva che i suoi vicini non si sarebbero fatti scrupolo di mandargli
la polizia alla porta per disturbo della quiete. Già una volta lo avevano
fatto, e lui voleva risparmiarsi il fastidio. Tirò fuori un blocco da disegno e
cominciò a tracciare schizzi senza un’idea precisa, lasciando errare i pensieri
come la matita sul foglio.
L’ultima volta che aveva visto Julian era stato tre
giorni prima, alla vigilia del ritorno di Dietrich. L’impiastro era passato dal
negozio di Aidan, perché lì gli aveva dato appuntamento; avevano parlato,
rovistando tra ultime uscite e vecchi 33 giri, di concerti, della serata
passata al Diadokon. Onestamente l’entusiasmo di Julian per la sua musica
l’aveva quasi messo in imbarazzo; era quantomeno ironico che tanto
apprezzamento provenisse proprio da lui. La chiacchierata non era stata male,
in ogni caso….. si stava abituando ad esse. Avevano continuato a discorrere
anche quando se ne erano andati, assieme; avevano lasciato nel negozio Aidan,
ovviamente, e Damien, giunto una mezz’ora prima, di ritorno da una riunione
pomeridiana a scuola, e particolarmente in vena di tormentare il suo vecchio amico.
“Ogni volta
che li lascio soli - aveva spiegato, mentre camminavano - Mi aspetto di
ritrovarli il giorno dopo finalmente accoppiati. Lo spero più che altro per
Aidan, povera bestia, ma se continua così farà tempo ad invecchiare.”
“Ma tu
credi che abbia delle possibilità? Voglio dire….. A Damien piacciono gli
uomini? Perché da come si è comportato l’altra sera…..”
“Da maschio
dominante che signoreggia su tutte le femmine fertili, intendi?”
“Non avrei
usato esattamente questi termini, comunque sì: gli interessano anche i
ragazzi?”
“Oh, questo
è un discorso complicato. Non riuscivo a capirlo, i primi tempi, e alla fine
gli chiesi francamente se gli piacessero gli uomini o le donne.”
“E lui?”
“Risposta
tipica, da parte sua: ‘a me piace chiunque sia disposto a venerarmi’. Non so
bene se ciò costituisca una speranza o un sventura per quell’altro
disgraziato.”
Chissà perché era così facile parlare con Julian.
Ogni volta preparava nella sua testa argomenti e discorsi ben precisi, con
l’intenzione di influenzare a proprio piacimento il ragazzo, e dare una visione
di sé artificiale, per mantenere le distanze. Ogni volta invece finiva con il
lasciarsi trasportare, coinvolgere, e le chiacchierate diventavano
imprevedibili, spontanee. Non andava bene, no. Non vedeva l’ora che quella
storia finisse.
Continuò a disegnare, scurendo, sfumando, definendo
i particolari; sorrise al pensiero della cena che avevano condiviso da Kadir.
Lui l‘aveva avvisato, di non chiedere dose extra di salsa piccante nel kebab,
ma Julian aveva voluto fare di testa sua. Bisognava riconoscergli una certa
inaspettata testardaggine, o stupidità, visto che nonostante il colorito
scarlatto che avevano assunto le sue labbra e guance, e gli occhi lucidi, era
arrivato fino in fondo al grosso panino facendo finta di nulla, senza
attaccarsi alla Coca Cola ghiacciata, nonostante le lanciasse lacrimose occhiate piene di desiderio.
“Va
benissimo, benissimo! Non capisco perché la dicevi così terribile…..”
Il sorriso
gli scomparve dalle labbra: lui lo costrinse a svanire, perché si rese
conto che non si trattava di un sorriso di scherno, ma di sincero divertimento.
Era stato
bene, quel giorno, e non era felice di ammetterlo. Fissò il disegno, una
creatura inesistente, che aveva le fattezze di Dietrich ma gli occhi,
inequivocabilmente, di Julian. Uno sguardo morbido, sincero, che stonava su
quel volto.
Accartocciò
il foglio e lo gettò via.
~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°
“Credevo ti
saresti fatto vivo prima: sei tornato da qualche giorno, ormai.”
“Considerato come ti sei comportato l’ultima volta, ho creduto che
non t’importasse molto di rivedermi.”
Alan storse la bocca in quel particolare modo che
lui trovava al tempo stesso superbamente attraente e pericolosamente irritante.
Gli prese il mento fra le dita, avvicinando il volto al suo.
“…..il
benvenuto che mi ha dato Julian è stato molto più caloroso e soddisfacente del
tuo. Vuoi che ti racconti, così magari prendi spunto?”
“Non credo
di averne bisogno.”
Dietrich lasciò che Alan scostasse il viso,
infastidito, che infilasse una mano tra i capelli della sua nuca, attirandolo
verso di sé per baciarlo. Sentì il profumo pungente della sua pelle, i suoi
denti mordergli le labbra, e l’erezione imprigionata nei jeans gli sembrò ancor
più impaziente; ansimò di piacere e sollievo quando Alan slacciò la patta e la
prese in mano, attraverso la stoffa dei boxer. Si staccò dalla sua bocca quel
tanto che gli serviva per parlare.
“Cosa
facciamo qui in entrata? Andiamo in camera.”
“E se mi
sentissi offeso dal tuo silenzio e non avessi voglia di scopare?”
“Ti
violenterei, molto semplicemente.”
“Oh. Tremo
di paura.”
“Ma a dire
che non ne hai voglia saresti davvero un bugiardo. Un pessimo bugiardo.”
Sogghignò, cominciando a sospingerlo verso la
stanza da letto. Alan lo fissava con sfida, opponendogli una falsa resistenza,
e poi lentamente gli sorrise; quando con le gambe arrivò a sfiorare il letto,
il suo musicista lo prese per le braccia, scambiando le loro posizioni.
“Credo di
essermi comportato davvero male l’ultima volta…..”
“Sono
felice che tu ci abbia riflettuto.”
“Allora
lascia fare tutto a me: mi farò perdonare.”
Lo spinse sul letto, e lui fu ben felice di
mettersi comodo, lasciando che Alan gli si mettesse cavalcioni e gli
sbottonasse lentamente la camicia. Aveva le mani stranamente fredde, in quel
momento; il loro tocco lo faceva rabbrividire, ma gli piaceva. Gli piaceva Alan,
quando si comportava così, e quando si sottometteva, quando si ribellava; tutte
le sfaccettature contrastanti del suo carattere, fragili e taglienti. Era
come….. un bell’oggettino di cristallo.
Alan lo spogliò, si liberò dei propri vestiti e si
chinò su di lui, leccandogli le labbra, sfiorandole con un sorriso lascivo.
Dietrich
ripensò ai primi tempi passati insieme, e a come Alan era stato diverso.
Stava venendo fuori dalla droga….. e lui gli stava
dando una mano, se così si poteva dire, affascinato più da quel tentativo e
dalle reazioni che provocava, che realmente
fiducioso in una sua riuscita. Lo aveva visto ansioso, i primi giorni;
inappetente, depresso, e stanco, divorato dal desiderio di cocaina, per quanto
negasse, testardo, di sentirne il bisogno. Dopo aveva iniziato a dormire gran
parte della giornata, a mangiare abbondantemente e nervosamente, senza mostrare
più alcun desiderio per la droga. Quello era solo l’inizio, l’organismo che
tentava di rimettersi in sesto, di trovare un equilibrio: non era una
guarigione, nemmeno una apparente. Per questo lo aveva ancora una volta
respinto, nonostante lo trovasse ancor più desiderabile, sconvolto a quel modo.
“Eri un
tossico, e resti un tossico; sei solo passato attraverso una crisi d’astinenza.
Non mi hai dimostrato proprio nulla.”
Quanto si
era incazzato, a quelle parole. Lo aveva fissato ferocemente, insultato,
mandato all’inferno; aveva fatto per prenderlo a pugni, ma si era trattenuto,
sfogandosi poi prendendo a calci i mobili e riuscendo a distruggere un paio di
sedie. Ma lui non aveva mentito: la prima fase della disintossicazione era la
più semplice da superare, nonostante le apparenze. La liberazione era momentanea, ingannevole, e il peggio era
ancora a venire.
L’equilibrio appena conquistato, infatti, si era
velocemente sgretolato in un umore pessimo, irritabile; aveva vissuto a casa di
Alan, in quei giorni, e lo aveva visto sempre più agitato e intrattabile,
irritato e spaventato. Alan si chiedeva che mai poteva riservargli il futuro, e
come affrontarlo, privo del rifugio e della forza, pur ingannevole e fatale, della coca. L’aveva
rimpianta, in quei giorni? Probabile, quasi certo. Forse, se non l’avesse
tenuto d’occhio, sarebbe corso dal suo spacciatore, per avvelenarsi ancora,
illudendosi di trovare la pace. Lui gli aveva impedito di uscire, lo aveva
anche chiuso a chiave in camera quando aveva cominciato a dare in
escandescenze, ed era rimasto al di là della porta serrata ad ascoltare i suoni
della sua rabbia: gli improperi a suo indirizzo, i pugni contro il muro, gli
oggetti buttati a terra, fino a quando giungeva un esausto silenzio. Non era
forse la prova, quel folle squilibrio, che Alan era molto più in là nel cammino
della tossicodipendenza di quanto lui stesso volesse ammettere? Probabilmente
lo aveva fermato appena in tempo, prima che la sua vita, la sua bellezza, la
sua stessa identità, svanissero in un cumulo di polvere bianca.
In realtà
non gli importava molto di ciò che Alan voleva fare di sé, ma gli piaceva
osservare la sua battaglia, tormentare il suo orgoglio; erano poche le cose che
tenevano vivo a lungo il suo interesse, ma quel ragazzo dal cuore circondato
dai rovi….. sembrava essere un’eccezione.
Ora Alan si muoveva sensualmente su di lui; quelle
mani, la bocca, la lingua, conoscevano tutto del suo corpo, sapevano come
compiacerlo e come esasperarlo. Dietrich ricordava molto bene come era stato,
la prima volta, il sesso insieme. Molto diverso, ma non meno piacevole, anzi.
La sensazione di totale, violento dominio che aveva provato….. bastava solo il
pensiero ad eccitarlo, a fargli desiderare di sentirla ancora, e ancora. Questo
lo spingeva ad essere quasi sempre violento ed aggressivo con Alan, ma la sua
sottomissione non aveva più lo stesso dolce sapore, perché quel ragazzo
spezzato, completamente sperduto, aveva cessato di esistere, almeno ai suoi
occhi.
L’Alan di allora era esausto e inerme. La difficile
fase di rabbia e violenza si era esaurita di colpo, lasciandolo consumato e
depresso, debole nel corpo e nell’anima, ma ricco di una bellezza sofferente ed
esangue che aveva bruciato il suo autocontrollo. Una bellezza che molti
avrebbero trovato morbosa e disturbante, ma non lui.
“Sei
stato bravo.”
Gli aveva sussurrato un giorno, e l’aveva spinto
bruscamente sul letto. Aveva aspettato anche troppo a lungo, giocando con lui e
con i suoi stessi limiti, per poter indugiare in provocazioni, o in qualunque
tipo di preliminari, per quanto potessero essere eccitanti. Gli aveva
praticamente strappato di dosso gli abiti, si era spogliato in fretta, e
frugando nel cassetto del comodino aveva trovato un tubetto quasi finito di
lubrificante. Alan lo fissava immobile, gli occhi dilatati e il respiro
accelerato; la sua pelle era pallidissima, ma si stava in fretta accendendo di
rossore. Si mordeva le labbra, eccitato fino a tremare, e aveva immediatamente
aperto le gambe, offrendosi. Lui non aveva perso un attimo, né detto una
parola. L’aveva penetrato con forza, senza preparazione, strappandogli un grido
rauco. Non aveva usato preservativo, perché conosceva le sue recenti analisi e
sapeva che era sano, e perché voleva sentire quella carne stringere la sua,
senza barriere, per quanto sottili.
Alan aveva gli occhi appannati, il respiro
ansimante; completamente passivo, smarrito nel piacere e nel dolore che gli
stava offrendo in abbondanza; sentiva le sue dita aggrappate alla schiena, le
unghie graffiarlo, e il proprio cuore rimbombare nelle orecchie.
Sembrava
un’altra persona il giovane che ora era sceso con la bocca tra le sue gambe;
somigliava molto di più al ragazzo sfrontato che si sarebbe volentieri fatto
scopare nel parcheggio. Quando Alan si staccò dalla sua erezione,
istintivamente lo spinse subito verso essa, ma lui scostò la testa dalla sua
mano. Diede una lenta, lasciva, leccata al glande, e si raddrizzò, carezzandogli
i fianchi e guardandolo con un vago sorriso.
“Ti
dispiacerebbe finire ciò che stavi facendo?”
“Voglio
chiederti una cosa, prima.”
“Ti sembra
il momento?”
“Sì; ho
pensato che saresti stato più malleabile.”
“Forse lo
sarei, ma mi indispone il ghigno che hai sulla faccia.”
“La faccia
che hai tu ora, invece, mi diverte moltissimo. Oh, non arrabbiarti! Ti ho detto
che voglio farmi perdonare il pessimo comportamento dell’ultima volta, no? Se
venerdì sera verrai al Diadokon ci sarà una sorpresa per te.”
“Perché
proprio lì?”
“Non lo
immagineresti mai….. quindi non fare domande, tanto non risponderò. O che
sorpresa sarebbe?”
“Venerdì
sera, eh? Dopodomani.”
“Puoi
uscire, o il quattrocchi ti tiene il guinzaglio corto?”
Aveva
indovinato le parole giuste, glielo lesse nello sguardo: Dietrich si accigliò,
un breve istante, dal significato molto chiaro. Mai mettere in dubbio il suo
predominio e la sua libertà, eh?
“Sarò lì
alle nove, ma non potrò fermarmi troppo a lungo, per ovvi motivi. Spero
capirai.”
“Ma certo
che capisco. Guinzaglio corto, come temevo.”
Disse, sarcasticamente. Ma sapeva dove fermarsi:
non voleva irritarlo, e fargli cambiare idea. Abbandonò le provocazioni, e
alzandosi sulle ginocchia si posizionò sopra la sua erezione, impalandosi
lentamente, guardandolo fisso negli occhi. Qualsiasi parola, qualsiasi protesta
Dietrich avesse voluto porre alla sua presa in giro, affogarono nel piacere,
mentre Alan cominciava a muoversi sopra di lui.
***
Si era raggomitolato
al centro del letto e stava lì, immobile.
Era fatta, ormai. Quasi fatta. Fermarsi
ora….. non voleva farlo, e forse nemmeno poteva. In fondo, quando stai
precipitando, non è possibile frenarti a metà strada, sospeso. Ma quei pensieri
sussurravano solo in un angolo della sua mente, soffocati dal fragore di altre
emozioni, di sentimenti che gli stringevano la gola. Sentiva addosso una cupa
ansia, un vuoto pesantissimo, un malessere indefinito e inesorabile, che
riconobbe immediatamente. Non lo provava da ANNI, né mai lo aveva provato in
quelle condizioni, eppure era lui.
Un tempo
lo assaliva dopo gli orgasmi solitari della masturbazione.
Il lampo di piacere, poi gli franavano addosso
freddo e solitudine, angoscia, amarezza e disgusto. Il desiderio di avere
qualcuno accanto, e la paura che quel qualcuno non ci sarebbe mai stato.
Era un terremoto emotivo che non riusciva mai
a contrastare, e si odiava per quei sentimenti vigliacchi. Si odiava anche per
essersi masturbato….. gli sembrava così patetico.
Era un
adolescente, allora, e gli anni e i compagni di letto aveva cancellato quei
turbamenti. O almeno così credeva: ora erano tornati, tutti insieme, forti come se volessero prendersi una
rivincita, recuperando il tempo perduto, strangolando. Quel male amaro lo aveva
investito mentre ancora era scosso dall’orgasmo, mentre ancora Dietrich era
dentro di lui, e in un istante tutto il piacere si era trasformato in ansia. Se
ciò aveva un significato, lui non voleva pensare a quale fosse.
Adesso era di nuovo solo, e il giorno era ancora
alto; non poteva lasciar svanire nel sonno le sue inquietudini, perché poi la
notte sarebbe stata insonne e infinita,
troppo pesante da sopportare, con il suo silenzio. Si costrinse ad
alzarsi, a farsi una lunga doccia e a uscire, sperando che un lungo giro in
moto, fuori città, potesse anestetizzargli il cuore.
~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°
…..Saturday
wait
And
sunday always comes too late
But friday never hesitate.….
Ci vollero solo due squilli perché Julian
rispondesse al telefono, e lo investisse con parole e un tono del tutto
inaspettati.
“TI HO DETTO CHE NON NE VOGLIO SAPERE, LASCIAMI IN PACE!”
Rimase qualche istante in interdetto silenzio, prima di tentare
timidamente:
“….. Julian?”
“……Alan?”
“Sì.
Ehm….. Chiamo in un brutto momento?”
“No, no, scusami! Fino a
trenta secondi fa stavo parlando con mio padre, e visto che gli ho appena
attaccato il telefono in faccia ho dato per scontato che fosse lui. Non ho
nemmeno fatto caso al nome sul display.”
“Certo che
fa impressione sentirti gridare….. non sembri il tipo capace di arrabbiarsi.”
“Di solito
non mi capita, ma quell’uomo spingerebbe all’omicidio persino Buddha.”
Sospirò afflitto, suscitando una
risata morbida in Alan.
“Ascolta –
riprese poi il musicista – hai da fare in questo momento?”
[No, non
ce l’hai. Perché Dietrich sarà qui a momenti, e sei da solo in casa, non è
vero? Lui è uscito, e ti ha detto che starà via per un po’, ma che non farà
tardi,e tu lo stai aspettando….. ma hai almeno un’ora da dedicarmi.]
Sentì Julian esitare, probabilmente chiedendosi
cosa fosse il caso di rispondere; decise di dargli un piccolo aiuto.
“Scusa la
mancanza di preavviso, ma c’è una cosa che vorrei tu vedessi…. Potresti passare
al Diadokon, diciamo tra una mezz’ora?….. Non ti porterò via molto tempo.”
[Ed ora devi solo rispondere di sì. Solo questo, e
facciamola finita.]
~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°~°
Julian non
notò la modesta Ford color argento parcheggiata a poca distanza da dove lui
posteggiò la sua scandalosamente lussuosa Carrera. Male, perché se l’avesse
fatto avrebbe riconosciuto la targa, ormai ben memorizzata, e avrebbe capito
che apparteneva a Dietrich, e si sarebbe chiesto cosa mai ci facesse da quelle
parti. Ma non era poi strano che non vi avesse badato: perdersi facilmente
sulle nuvole era sempre stata una sua caratteristica, e l’inaspettata chiamata
di Alan aveva avuto il potere di spedirlo a farsi una passeggiata tra di esse.
Amava Dietrich, non aveva dubbi, però quell’altro
ragazzo stava diventando importante, anche se forse era ancora troppo presto
per chiamarlo amico.
Era presto
e c’era ancora poca gente nel locale. Alan e il suo gruppo si sarebbero esibiti
solo più tardi; le prime note di “Wormwood” suonavano nell’aria, cupe e
magnetiche. Notò ad uno dei tavoli due musicisti della band, il bassista
orientale e l’alto chitarrista dai capelli rossi; sul momento non ricordava i
loro nomi, ma si avvicinò per salutarli. Quando disse loro che stava andando da
Alan, nel camerino, lo avvisarono:
“…..c’è il
suo ragazzo con lui…..”
Julian non seppe dirsi il perché, ma la delusione
gli punse improvvisa il petto, minando per un momento il suo sorriso. Alan aveva
un ragazzo. Ovvio che fosse così: era bello, interessante, attraente, per forza
doveva avere qualcuno, anche se lui non aveva mai preso in considerazione la
cosa. E poi che mai poteva cambiare, questo fatto? Anche lui aveva un compagno,
e lo amava. Amava Dietrich, si disse ancora, sentendosi in colpa per le cose che gli aveva tenuto nascoste (chissà
perché, poi…. Non c’era niente di male, giusto?), e perché già sapeva che
gli avrebbe taciuto anche quella piccola uscita.
Quando arrivò al camerino sentì le voci provenire
dall’interno; arrossì d’un tratto, perché sembrava fosse arrivato in un momento
piuttosto ‘intimo’. Si preparò a bussare, la porta era socchiusa, ma la mano
gli si fermò a metà strada. La voce di Alan la conosceva bene, ma l’altra….. l’altra
ancora meglio.
O così gli
sembrava.
No,
certamente sbagliava, stupido che era. Però quell’accento era noto, quella
bassa risata di gola era così familiare, anche se c’era in essa una nota
spiacevole, più fredda, maligna, che gli era sconosciuta.
La bocca
gli si seccò, e il cuore premeva contro il petto a grandi tonfi; non si
calmava, per quanto lui continuasse a ripetergli che era un errore, una
semplice somiglianza. Restò in ascolto,
mentre sempre di più la terra gli sfuggiva da sotto i piedi; il pugno che aveva
stretto per bussare si sciolse, e lentamente spinse, con la punta delle dita,
la porta.
[Non è un errore.]
Fu la prima cosa che pensò. Dietrich era addosso ad
Alan, contro il muro; a torso nudo entrambi, pantaloni aperti, mani che toccavano,
stringevano, corpi che si strofinavano, si aggredivano con passione. Erano
ferocemente belli, e Dietrich era diverso, così completamente diverso da
come lui lo conosceva. Fu Alan e voltare per primo la testa nella sua
direzione; c’erano emozioni nel suo sguardo che non riuscì a decifrare.
“Ecco - gli
disse - vedi? Abbiamo più cose in comune di quante tu credessi.”
Allora
anche Dietrich si accorse di lui. Fu quasi buffa l’espressione che gli passò
sul volto, e il modo in cui il colore passò dall’accaldato rossore del sesso,
al bianco della sgradita sorpresa, e ancora al rosso, ma carico di rabbia. Lo
fissò con ostilità, qualcosa di cui non lo credeva capace, ma non gli disse
nulla. Tornò a voltarsi verso Alan, e lo strinse per le braccia
“Che cosa…..”
Ma Alan non gli diede tempo di finire: scoppiò a
ridere. Una risata priva d’ilarità, secca, alta, isterica, nel cui squilibrio
si coglievano pari soddisfazione e disgusto. Sconforto e compiacimento…..
Vittoria e irreparabile sconfitta. Rimpianto sì, ma per chi e per cosa?
Era irreale, privo di logica e di perché. Era uno
scherzo, una visione, un incubo? Fece un passo indietro, per allontanarsi da
quella scena e da ciò che essa significava.
L’aria era
poca e rovente, così sembrava a Julian. Non riusciva a respirare, non riusciva
nemmeno a pensare; la scossa di terremoto era stata così tremenda, così
distruttiva da lasciarlo frastornato, incapace di provare una reazione
immediata. Dipanare i pensieri, i sentimenti, decifrarli, capirli, rendersi
conto di ciò che era successo, erano azioni al di fuori della sua capacità, in
quel momento. Dietrich parlava, ma con Alan, non con lui….. lui non era stato
degnato di parola.
Ancora un
passo indietro, e ancora un altro. Voltò le spalle, infine, uscendo a passi
veloci, tirando fuori dalla tasca le chiavi della macchina, che quasi gli
caddero, per il tremore. Si ritrovò nel locale dove, a differenza della sua
vita, nulla era cambiato; era quasi offensiva, quella normalità. Non rispose al
saluto di Sen e Terrence (ecco come si chiamavo, gli amici di Alan), e uscì.
Fuori l’aria era fresca e leggera, ma il fiato ancora gli mancava.