IL PRINCIPE AZZURRO 8

di Unmei


 

  “….. e mi ha detto che posso scegliere io il nome del suo gattino! È tutto nero e tanto bello e ci ho pensato un sacco, ma non riesco a decidermi…..”

 “Che ne dici di Belzebù?”

 Propose Damien, sfilando e risistemando la felpa di Fabian, che il bambino aveva indossato alla rovescia.

 “Se vuoi far imbiancare del tutto i capelli della cara signora Steine è perfetto.”

 

Gli rispose Aidan dal divano, girando un’altra pagina dell’ultimo numero di National Geographic Junior ma guardando con la coda dell’occhio il suo amico, ora occupato a rispondere divertito, e con una certa partigianeria, alle domande di Fabian su chi fosse Belzebù.

 

Ah Damien, quanto tempo era trascorso.

Si trovò a pensare al passato, a loro due e a Noel, il cui fantasma, la notte prima, aveva fatto sentire pesantemente la sua presenza.

 

È particolarmente immorale essere felici della morte del proprio fratello?

 

<Forse. Ma in tal caso l’immoralità è anche mia, perché sono felice nel vederti felice, quale che sia il prezzo.>

 

+++

 

 Aveva conosciuto Damien che entrambi avevano dieci anni.

Era una brutta giornata d’estate, grigia e piuttosto fredda, e lui soffriva di un attacco anticipato d’insofferenza adolescenziale, così era uscito e aveva preso a gironzolare, rimuginando su quanto fossero stupidi gli adulti e che lui mai, mai, mai sarebbe diventato come loro. 

 Era andato al parco e si era scompostamente  seduto su una  panchina, a fare nulla: un bambino che fantasticava di non tornare più a casa, perché sarebbe stata una gran soddisfazione far preoccupare i suoi! A distrarlo da quei pensieri furono alcune grosse gocce d’acqua fredda che gli caddero sulla testa: appena il tempo di rendersi conto che stava piovendo che le dighe del cielo si aprirono con violenza.

 

 “Oh, cavolo!”

 

Aveva esclamato, perché a quei tempi ancora non bestemmiava, e aveva fatto ciò che tutti gli altri stavano facendo: correre, a testa bassa, alla ricerca di un riparo. Così non aveva fatto caso a un ragazzino biondo che veniva in direzione opposta alla sua; doveva avere la sua stessa età, e sotto a quel diluvio camminava con calma, come se la pioggia non lo disturbasse affatto. Si erano ormai incrociati e superati quando si era sentito chiamare.

 

 “Ehi, tu! Aspetta!”

 

 Si stavano rivolgendo a lui? Non lo sapeva, ma per sicurezza si era fermato e voltato, benché un po’ titubante. Era Damien la persona che l’aveva chiamato, il ragazzino biondo; mentre lui se ne stava immobile gli si era avvicinato, tendendogli qualcosa.

 

“È tuo?”

 

  Era un videogioco tascabile. Automaticamente aveva portato la mano alla tasca posteriore dei jeans, dove esso avrebbe dovuto trovarsi, scoprendola vuota. Doveva essergli caduto mentre correva, e non se ne era accorto. Costava pochi dollari, ma gli sarebbe dispiaciuto perderlo, perché se l’era comprato da sé, e soprattutto perché non aveva ancora battuto il proprio record.

 

 “Oh, grazie.”

 

Aveva risposto, riprendendoselo e permettendosi di guardare bene l’altro ragazzino. Sua madre gli aveva detto spesso che non era buona educazione fissare le persone, ma in quel caso fu una fortuna, comportarsi contro le regole dell’etichetta. Se dopo aver ringraziato se ne fosse semplicemente andato, forse la loro amicizia non sarebbe nata.

 “Che c’è? Ho qualcosa che non va?”

 Aveva chiesto perplesso Damien, sentendosi sotto esame, e lui aveva scosso la testa in diniego.

  “No, è che….. guardavo la tua collana. È strana, sembrano ossa.”

 Damien aveva sorriso, e in quel sorriso già c‘era traccia di dell’ironia divertita che gli sarebbe diventata abituale in futuro.

 “Sembrano ossa perché sono ossa. Sono vertebre di serpente.”

 “Cosa?”

 Incredulo Aidan si era avvicinato, gli occhi di nuovo fissi sul girocollo color avorio, e aveva alzato una mano, come per toccarlo, ma si era fermato poco prima.

 “Posso?”

 “Fai. Non morderò.”

 

***

 

 

Così si erano conosciuti, e di lì in poi erano diventati presto inseparabili.

  E dopo, inevitabilmente, aveva conosciuto anche Noel.

Non si poteva dire che tra loro vi fosse stato un legame profondo, ma i loro rapporti erano buoni, e la continua frequentazione aveva creato familiarità e fiducia. Tutto era cementato dal condividere sentimenti così forti verso Damien: profondo affetto fraterno da una parte, e intensa amicizia che si sarebbe trasformata in amore negli anni dell’adolescenza dall’altra.

Qualche volta aveva avuto l’impressione che Noel fosse geloso di lui. Non un sentimento malevolo, Noel non sapeva voler male a nessuno, solo malinconico disappunto nel rendersi conto di non essere più l’unica persona davvero importante per il fratello minore, e paura di vedersi messo da parte.

 Ma era un timore ingiustificato, perché Damien non lo aveva mai trascurato. Era sempre stato premuroso, protettivo, indulgente; pronto a curare le sue insicurezze, a incoraggiamenti e consolazioni, a rimproveri se necessario. Guardando al loro rapporto aveva la sensazione che Damien, per assurdo, fosse una sorta di rassicurante figura paterna per Noel, benché più giovane di lui.

 

 Gli anni erano passati.

Avevano frequentato le stesse scuole, si erano iscritti all’Università. Aveva gioito per Damien quando aveva pubblicato i primi racconti, e si era preoccupato per lui quando si era dimostrato così incline all’autodistruzione, affascinato dalla morte per noia, per insoddisfazione, per superbia. Per sprezzo verso il resto del mondo.

 Aveva avuto il cuore spezzato dopo il suo primo tentativo di suicidio, e Damien era ancora in un letto d’ospedale, dopo la lavanda gastrica che gli aveva portato via dallo stomaco tutte quelle dannate pasticche di Roipnol, quando lui lo aveva aggredito a male parole, con le lacrime agli occhi e la voce incrinata. Quello era stato il giorno in cui la confessione del suo amore gli era sfuggita di bocca, suonando come un‘accusa e un‘implorazione.

 

 “Pensi che questo basti a impedirmi di riprovarci?”

 

Era stata la risposta di Damien, che poi aveva semplicemente chiuso gli occhi e preso a ignorarlo. Lui era uscito dalla camera insultandolo e sbattendo la porta, ‘fanculo se erano in un ospedale.

Noel era in corridoio, pallido, con le braccia raccolte al petto come sentisse freddo, e spaventato, senza il coraggio di entrare e incontrare il fratello, smarrito e più che mai fragile, ora che avrebbe dovuto essere forte. E credeva, come tutti gli altri, che fosse stato un incidente, un volersi stordire finito male, un errore di calcolo, non il tentativo di porre fine a se stessi. Poco importava sapere che Damien non era tipo da imbottirsi di alcol, e che non toccava mai pasticche di nessun genere, Excedrin a parte.

 Forse chi non lo conosceva poteva abboccare, ma non Noel, che stava solo cercando di convincere se stesso per non affrontare quel problema troppo grande per le sue forze. Per non ammettere di avere fallito, e di non aver capito quali pensieri fatali riempissero la testa del suo adorato fratello.

 Aidan avrebbe voluto urlargli in faccia.

 

 “Vattene a casa! Illuso, non gliele frega niente di te e di me! Proprio niente, avremmo dovuto capirlo prima!”

 

 Ma gli erano mancati la voce e il cuore per farlo. Guardando quel volto pallido e gli occhi arrossati poteva sentire tutto il terrore attraverso cui era passato, cui si aggiungeva un doloroso, lacerante senso di inadeguatezza. Noel non sapeva che fare, che dire, temeva il momento in cui si sarebbe trovato di nuovo faccia a faccia con Damien, pur desiderando stargli vicino. Lui se n’era andato senza sfogare la propria rabbia, ma anche senza dargli incoraggiamento: sentendosi solo e sconfitto, tradito, era tornato a casa a cercare di strapparsi l‘amore dal cuore.

 

  Non era servito.  L’amore era rimasto lì, testardo e inattaccabile, anche quando Damien mesi dopo ci aveva riprovato, ignorando ancora una volta i suoi sentimenti, facendo di nuovo tremare pericolosamente il mondo intorno a Noel, ora privo della possibilità di negare la realtà

 Era stata un’altra sfuriata, e per risposta altra indifferenza, altro sarcasmo. Era stato lo stesso smarrimento e dolore, impotenza, del fratello più grande.

 Ma quella volta, poi, Damien aveva chiesto scusa a tutti e due. A modo suo, quasi stupito che qualcuno potesse davvero soffrire per la sua perdita. E sempre a modo suo aveva offerto rassicurazione:

 

 “Dopotutto non sono ancora abbastanza famoso per ammazzarmi con profitto.”

 

Era sembrato deluso quando avevano dimostrato di non gradire la battuta, e non aveva tentato  di spiegare loro quel tutto e quel nulla che gli facevano desiderare di finirla, o la sensazione di liberazione quando pensava a un se stesso non più esistente. Era stato di nuovo il solito Damien, forse aspettando che fratello ed amico lo considerassero guarito e abbassassero la guardia.

 E la vita era continuata.

 

 Noel aveva iniziato a fare teatro. Sul palco finalmente sembrava diventare disinvolto e sicuro di sé, non bisognoso della guida di Damien; perché quella non era vita, ma un copione da seguire, un gioco dove nulla di male poteva accadere. Recitando si sentiva più che mai tranquillo e a suo agio, e proprio recitando aveva conosciuto e si era innamorato di Christine.

 E a Damien Christine non piaceva per nulla.

 

Non aveva poi torto, in questa sua antipatia.  Lei era splendida; mora, sinuosa, dagli splendenti occhi color giada, ma era anche capricciosa ed egoista. Desiderava essere una primadonna, ma non si distingueva per talento; si potevano affidarle giusto parti secondarie, e ciò la frustrava e rendeva scostante. Se a questi difetti fosse stata associata un’intelligenza brillante sarebbe stata forse un tipo notevole, benché difficile, ma così non era. Christine era un corpo stupendo con un pessimo carattere, senza un briciolo di dolcezza nell’animo. Che mai aveva visto Noel in quella ragazza? L’attrazione fisica sarebbe stata comprensibile, ma lui si era davvero, pateticamente, ciecamente innamorato; voleva una storia seria con lei, non solo andarci a letto.

Christine ne era stata compiaciuta; come avrebbe potuto respingere la corte di un bellissimo ragazzo, il miglior attore della compagnia? Ma purtroppo lei conosceva soltanto il Noel che saliva sul palco, il padrone della scena, e non aveva mai avuto a che fare con il fragile ragazzo di tutti i giorni. Se avesse saputo forse non avrebbe iniziato una relazione con una persona così insicura e passiva.

La loro storia sarebbe nata e morta naturalmente e senza strascichi se Christine, accortasi dell’errore di valutazione, non avesse cercato di portarsi a letto Damien, giudicandolo molto più affascinante e adatto a lei del docile fratello.

Ma Damien le aveva riso in faccia, respingendola e dicendole spassionatamente tutte le cose poco lusinghiere che pensava di lei.

 Christine non era mai stata rifiutata, men che meno in quel modo sprezzante, e la cosa l’aveva riempita di veleno. Livida di rabbia e umiliazione, dentro di sé aveva promesso di fargliela pagare; colpire l’uomo che l’aveva derisa non era facile, perché era troppo forte e troppo disinteressato a lei per potergli causare un qualsiasi dolore….. ma tra le mani aveva Noel, e aveva capito quanto i due fratelli fossero legati: poteva avere attraverso lui la sua rivincita.

 

Era rimasta con Noel pur non amandolo, pur non essendo interessata a lui, pur non tollerando la sua remissività, solo con l’intenzione di tormentarlo, e di allontanarlo dalla presenza stabilizzante di Damien.

E nulla di ciò che Damien diceva sembrava far ragionare il fratello; giorno dopo giorno, aveva visto Noel fare di tutto per compiacere Christine, deprimersi se lei sembrava scontenta, stare male per una parola cattiva, essere ridicolmente felice se  gli dava una piccola dimostrazione d’affetto. A nulla era valso cercare di aprirgli gli occhi, presagendogli la rovinosa caduta che l‘aspettava. Damien avrebbe potuto raccontargli di come si era ritrovato Christine più nuda che vestita a strusciarglisi contro, ma non se l‘era mai sentita, e in ogni caso Noel probabilmente non l‘avrebbe nemmeno ascoltato. Purtroppo così i suoi accenni all’insincerità della ragazza sembravano solo una scusa, malcelata gelosia, e la straordinaria connessione che tra i due fratelli c’era sempre stata andava affievolendosi, soffocata dall’incomprensione.

 

Era stato presente anche al fatale litigio che aveva incrinato definitivamente il rapporto tra i due. Lo ricordava bene. All’inizio non era stato diverso dalle discussioni che l’avevano preceduto, ma a differenza di queste era finito in vera tempesta. O meglio, con Noel che litigava con Damien, che nonostante l’irritazione e la pazienza ormai esaurita cercava di restare calmo e di far ragionare il fratello. Ma poi Noel se ne era uscito con un:

 “Basta! Smetti di dirmi cosa devo fare! Desideri che la lasci solo perché non vuoi che io sia felice con qualcuno che non sei tu! Lasciami in pace!”

 

Forse appena le parole ebbero lasciato la sua bocca Noel si era reso conto di quanto fossero stolte e infantili, orrendamente sbagliate, e avrebbe voluto rimangiarsele, cancellarle, chiedere scusa. Ma ormai un lampo era passato negli occhi di Damien, la caduta dalla grazia degli dei, e  il sorriso era comparso sulle sue labbra. Un sorriso aspro e cattivo che sapeva di vendetta, che metteva freddo, e poi troppa, troppa calma nel parlare

 

 “Come desideri. Non preoccuparti, non interferirò più.”

 

E se ne era andato.

 

 Noel non era riuscito a ribattere, o a fermarlo, spaventato dalla collera gelida, dalla punta di disprezzo che aveva colto nella voce ipocritamente zuccherosa del fratello. Aveva guardato verso Aidan, implorandolo mutamente d’aiutarlo, di rimettere a posto le cose, di far tornare tutto come prima.

 Lui ci aveva provato.

 

 “Non rompere i rapporti con Noel per questo. Non lo pensava davvero, lo sai. Non fare il bastardo più di quel che sei….. Non puoi smettere di parlargli per questo; lui ti vuole bene, lo distruggeresti.”

 

Aveva sorriso placidamente, Damien, come se davvero non provasse rancore.

 

 “Non voglio negargli la parola, mi prendi per un bambino? Ma che mai più venga a piangere da me: quel che farà di se stesso d’ora in avanti, insieme a quella stronza, non mi riguarda più, lascerò che si rovini come meglio gli pare.”

 

Aveva sperato che fossero frasi pronunciate per effetto di una rabbia ancora vivida, ma fu presto chiaro che non aveva scherzato. Damien non aveva rotto i ponti con il fratello, ma era diventato disinteressato; indifferente ai suoi patemi e ai suoi tentativi impacciati, sperduti, disperati di placarlo. Noel aveva paura: un’angoscia così grande di perdere Damien che non sarebbe nemmeno riuscito a spiegarla.

Si struggeva per lui, e si struggeva per Christine; innamorato nonostante tutto, tentava di costruire un solido rapporto, un futuro. Ci credeva davvero: aveva lasciato l’appartamento in cui viveva con Damien e aveva preso in affitto un minuscolo alloggio dove era andato a vivere con lei. La manteneva, assecondava sempre i suoi desideri, la riempiva di tenerezze, vivendo solo per vederla sorridere, sperando un giorno di raggiungere quell’amore ideale in cui credeva. Chissà cosa aveva spinto Christine a portare tanto avanti quel gioco, a continuare a restare con Noel anche dopo aver chiaramente raggiunto lo scopo di creare una rottura. Chissà, forse lo aveva amato anche lei, un po’….. forse la faceva sentire importante, forse gentilezza e il romanticismo di Noel in qualche modo la tenevano legata a lui suo malgrado.

Altrimenti perché accettare di andare a vivere con lui?

Altrimenti perché tenere il bambino, quando era rimasta incinta?

 

Il bambino. Noel  era stato fuori di sé dalla gioia all’idea di diventare padre, così felice che il suo sorriso sembrava tornato quello radioso di un tempo. Era allegro, pieno di progetti, di sogni, convinto che finalmente tutto sarebbe andato a posto: che lui e Christine avrebbero così formato una famiglia, che lo strappo con Damien si sarebbe ricucito….. suo fratello sarebbe stato felice per lui, no? Avrebbe finalmente capito che quella era una storia davvero importante, si sarebbe ricreduto.

 

Faceva male al cuore pensare a quanto ancora stava sbagliando Noel. Quel bambino, che nascendo avrebbe dovuto rimettere a posto la situazione, l’aveva fatta precipitare irrimediabilmente.

 Per prima cosa Damien non ne era stato felice della gravidanza; sembrava anzi disgustato dall’idea e forse, anche se non lo avrebbe mai ammesso, ferito, perché il nascituro avrebbe rappresentato per lui una nuova, più profonda spaccatura fra loro. Il giorno della nascita non si era fatto vivo, nemmeno per telefono, per sapere come stesse il piccolo, o per congratularsi; se n’era andato chissà dove con un ragazzo conosciuto da qualche mese, Alan, e si era reso irreperibile per giorni.

 Solo lui, Aidan, era stato con Noel all’ospedale, e aveva potuto vedere il neonato appena venuto al mondo, e quanto era commosso il neo-padre: felice e affranto allo stesso tempo.

Noel non riusciva ad essere arrabbiato con Damien, anche se ne avrebbe avuto tutte le ragioni; non riusciva a non credere che in fondo fosse colpa sua.

E sempre Aidan aveva visto lo strazio sul viso di quel ragazzo, quando, speranzoso, aveva portato il piccolino da Damien, offrendoglielo, perché lo prendesse in braccio, lo cullasse e imparasse a volergli bene.

Ma Damien si era limitato a gettargli uno sguardo privo d’espressione, senza nemmeno fare il gesto d’accettarlo, come se il neonato non esistesse, come se lo disprezzasse per ciò che rappresentava, e aveva detto:

 “La prossima volta che verrai a trovarmi, fallo da solo.”

 

 Né la nascita di un figlio era servita a stabilizzare il rapporto con Christine. Lei si era fatta ancora più scostante, insoddisfatta. Incolpava il bambino di portarle via la libertà, di aver sciupato il suo fisico con smagliature e chili di troppo, e incolpava di tutto il resto, di ogni sua frustrazione e fallimento,  Noel. E purtroppo Noel stesso aveva finito col crederci.

 Sempre più sfiduciato, sempre più depresso, aveva finito col lasciare la compagnia teatrale ed era come invecchiato d’improvviso; dimagrito in un modo malato, i capelli biondi erano diventati opachi, e c’erano ombre scure sotto i suoi occhi. Il suo corpo aveva assunto un’apparenza malata, fragile quanto il suo animo.

 

 Damien era tornato sui propri passi, perché nonostante tutto gli era insopportabile vedere il fratello in quel misero stato. Aveva accantonato l’orgoglio e fatto un ultimo tentativo, con lui, contando che finalmente riconoscesse la negatività di quel rapporto che lo stava portando alla rovina. Ancora una volta era stato inutile.

 

 Sono io che sto sbagliando qualcosa….. Mi amerebbe, mi amerebbe se fossi migliore, se fossi più forte….. Se potessi offrirle una bella vita, una bella casa. Se cambiassi, se ci riuscissi…..”

 

Damien era troppo stanco anche per arrabbiarsi; smise di insistere. Raccoglieva ancora le lacrime di Noel quando questi andava da lui a sfogarsi e a cercare un po’ di calore, un po’ di triste sorriso nei ricordi del tempo in cui erano stati inseparabili, ma in casa sua non aveva mai più messo piede, né aveva più tentato di convincerlo a lasciarsi quella donna alle spalle.

  Il tempo era passato, senza che nulla cambiasse in meglio, e poi…..

 

Christine aveva piantato Noel. Senza preamboli gli aveva annunciato che entro qualche giorno se ne sarebbe andata, giusto il tempo di sistemare un po’ di affari. Aveva trovato un altro, una relazione che in realtà esisteva già da mesi e che Noel aveva finto di non vedere, che sarebbe andata a vivere con quell’amante in un’altra città, giù, in California. E si sarebbe portata via il bambino, che ormai aveva circa tre anni.

Il bambino che lei non poteva soffrire, di cui non le importava niente, ma che voleva prendersi solo per fargli l’ultimo, atroce torto. Avrebbe distrutto la sua vita portandosi via l’unica gioia che ancora fosse capace di farlo sorridere serenamente.

 Aidan ricordava quando Noel aveva bussato sconvolto alla porta di Damien, implorando un consiglio, con gli occhi rossi di lacrime, chiedendogli aiuto, come se lui avesse il potere di fermarla. Aidan ricordava anche il mezzo sorriso, storto e soddisfatto, che aveva accarezzato le labbra di Damien; un sorriso spiacevole a vedersi, crudele, anche se forse non intenzionalmente.

 

 “Non è un mio problema. E non dovrebbe esserlo nemmeno per te.”

 

Un’altra cosa che ricordava era la lite scoppiata tra i due dopo quella frase, le voci rabbiose, l’uno accusare l’altro di essere un bastardo egoista, l’altro definire l’uno idiota ed incapace.

 

 Il giorno dopo, per strada, tra la gente, Noel aveva ucciso Christine con due colpi di fucile.

 

Da chi e dove se lo fosse procurato non lo avevano mai scoperto. Due colpi  sparati da vicino, con le lacrime che gli annebbiavano e confondevano la vista. E poi aveva brevemente vagato, sconvolto e sporco di sangue, con il fucile imbracciato, prima di essere fermato dalla polizia. Anche se non aveva gettato l’arma quando gli era stato imposto, anche se non si era fermato quando gli era stato ordinato, Aidan era certo che Noel non avrebbe più fatto del male. Non era pericoloso per nessuno, al di fuori di se stesso; forse avrebbe camminato fino alle pattuglie e avrebbe diligentemente consegnato il fucile, e avrebbe lasciato che l’ammanettassero e conducessero via. Ma ad un assassino armato e  imbrattato di sangue che ti viene incontro, gli agenti avevano infine risposto nell’unico modo possibile, dopo ripetuti avvisi: avevano sparato. E nemmeno si poteva dire che avessero torto.

 

Così era morto Noel, a ventisette anni, ed era una morte che forse lui stesso aveva preparato pian piano, amando testardamente chi non meritava il suo amore. Sì, su questo Damien aveva avuto ragione. Chissà perché riversare un sentimento tanto puro e forte su una donna mediocre come quella. Chissà cosa vedeva lui, cosa provava.

 

 “Quelli dell’assistenza sociale vogliono parlare con me. A quanto pare sono il parente più prossimo, quindi potrebbero affidarmi il bambino.”

 “A te? Si vede che non ti conoscono.”

 “Tenterò di fare pessima impressione.”

 “Ma non c’è nessuno dalla parte di Christine? I suoi sono vivi, avrei creduto che…..”

 “Non ne hanno diritto: Christine non ha mai riconosciuto il bambino, solo lui lo aveva fatto.”

 “Cosa?! Ma allora non avrebbe potuto portarselo via! Se Noel…..”

 “Noel deve complicarmi la vita anche dopo morto. Bell’intralcio in eredità, mi ha lasciato.”

 

Aveva risposto seccamente Damien, e poco dopo era uscito per recarsi all’appuntamento. Parole dure, fredde, quanto era stato freddo nell’organizzare il funerale di colui che era stato suo fratello. Aidan non era riuscito a guardare attraverso la corazza di ghiaccio e acciaio, ma sapeva che quel risentimento Damien lo stava rivolgendo principalmente verso se stesso, che tutta quella rabbia era proporzionale all’affetto che aveva nutrito, e che qualcosa si era spezzato nell’anima del suo amico.

Aidan aveva temuto che il contraccolpo si sarebbe fatto presto sentire, che le incrinature si stessero diffondendo velocemente nel cuore di Damien e che lo avrebbero mandato in frantumi, presto o tardi. Aveva avuto il terrore che ora che il legame era stato troncato in maniera fatale e irreparabile, Damien avrebbe udito ancora il richiamo fascinoso della morte, e chissà, chissà se dio o chi per lui gli avrebbe permesso di salvarlo ancora.

 

Intralcio.

Così aveva definito il bambino. Intralcio alla sua libertà, una responsabilità, un peso….. l’inviso frutto di un’unione detestata e disprezzata.

Se qualcuno, quel giorno, avesse profetizzato a Damien che in breve tempo si sarebbe completamente innamorato del bambino, tanto da metterlo al di sopra di se stesso, tanto da fare di lui il centro della vita, lui l’avrebbe trovata una divertente e surreale barzelletta.

 

E invece, quel bambino era Fabian.

 

All’inizio, davanti a quell’amore profondo e inaspettato, Aidan aveva creduto che Damien stesse trasferendo sul piccolo l’affetto che aveva provato per il fratello, o che forse rivedesse in Fabian l’immagine di Noel stesso.

Ma non era così, e lo aveva capito in fretta: non era un sentimento ‘riciclato’, ma qualcosa di incontaminato e profondo, di totale, che non ammetteva paragoni. Damien aveva chiuso in un sepolcro il ricordo del fratello, mettendolo da parte come se facesse parte della vita di qualcun altro, e stava cercando di cancellare dalla mente di Fabian il ricordo dei genitori. Ci stava riuscendo, in verità: papà e mamma erano figure vaghe, nebulose, che il bambino sapeva di aver avuto ma di cui non rammentava quasi più nulla, e anche quel poco sarebbe presto svanito.

 

Aidan non approvava; non lo trovava giusto nei confronti di Noel, che aveva voluto bene al figlio, e in quelli di Fabian stesso, che aveva il diritto di ricordarlo. Però anche non credeva di aver mai visto un bambino più felice, più dolce e più amato. Forse, dopo tutto, andava bene così.

 

+++

 

 “Non possiamo prenderlo anche noi un gattino? Per favore?”

 “Ma tesoro, abbiamo già Aidan! Se tenessimo un altro animaletto ci starebbe male, potrebbe ingelosirsi.”

 “Temi che poi per dispetto ti farei pipì sui tappeti?”

 

Si intromise Aidan, tirandogli contro la rivista. Damien la prese al volo, mentre Fabian corse da lui e gli sedette sulle ginocchia, accarezzandogli premurosamente la testa e rassicurandolo che non l’avrebbero preso, un altro gatto. Lui sospirò e ringraziò; decise che non avrebbe protestato fino a quando non avessero tentato di mettergli un campanellino al collo.