Ecco, con questo capitolo inizia il 'nuovo corso' di questa fic, entrano in scena nuovi personaggi, le loro vite cominciano ad intrecciarsi e c'è anche un certo cambio d'atmosfera ^^.
IL PRINCIPE AZZURRO - 4
di Unmei
Sarà stato un quarto d'ora buono che esaminava i due vecchi vinili, frustrato dal dubbio e completamente incapace di decidersi. Al di sotto della busta di plastica trasparente le copertine lo guardavano, invitanti e anche con l'aria di prenderlo un po' in giro. Come dicessero:
<Così impari ad uscire con pochi soldi in tasca e specialmente senza carte di credito.>
Sospirò, coccolandoli e leggendo i titoli delle canzoni per l'ennesima volta, come a voler ritardare il momento in cui avrebbe dovuto posarli dove li aveva trovati.
"Ti consiglio Secret Treaties. È un capolavoro."
Julian sobbalzò lievemente a quella voce, che aveva in sé qualcosa del velluto e della ruggine. Alzò gli occhi e lo sconosciuto parlò ancora.
"In Mirrors invece si sono prostituiti al commerciale, e si sente."
Decretò, passandosi una mano pallida tra capelli tinti di un colore impossibile in natura.
"Sì, hai ragione - rispose con un sorriso - è quasi pop. Ma sono lo stesso uno dei miei gruppi preferiti, e questi LP sono autografati!
Originali degli anni '70, ottime condizioni e con le firme di tutti i componenti del gruppo….. un sogno! E con un prezzo ovviamente adeguato.
Confidava nella comprensione di quel ragazzo vestito con pantaloni di pelle ed una vecchia ed attillata t-shirt dei Dead Can Dance; all'apparenza sembrava uno capace di rovistare tra pile di dischi per ore, a par suo, per trovare qualche pezzo interessante.
"Sei un collezionista?"
"Beh….. diciamo di sì. Non molto esperto, confesso."
"E non te li puoi permettere tutti e due?"
"Potrei, ma sono senza soldi in questo momento."
Confessò imbarazzato. Effettivamente era in tenuta da joggin, di un celeste assurdamente inadatto al luogo, e con sé aveva solo le chiavi di casa e il lettore di mp3.
"Non credo ci sia problema a metterteli da parte. Dai qua, e ripassa."
"Domani va bene?"
"E' giorno di chiusura. Dopodomani."
Grato gli porse i dischi e lo seguì al bancone della cassa.
"Ma allora questo posto è tuo?"
"Nah. Ma sono amico di quella bestia del padrone, che vedi laggiù, quindi posso fare quello che voglio."
"Fottiti, bello."
Fece qualcuno da un angolo della stanza.
"Taci e muovi il culo, invece di far lavorare me."
Appollaiato su uno sgabello vicino al muro il proprietario sembrava un grande ed elegante corvo, con lunghi capelli neri e lisci che gli coprivano le spalle e metà schiena. Leggeva una rivista letteraria, tenendo una bottiglia di birra a portata di mano e non sembrava molto interessato a quel che capitava nel negozio. Alan era convinto che se si fosse messo fuori dalla porta a regalare cd ai passanti quello non avrebbe fatto una piega.
Scrollò le spalle e sistemò i vinili su uno degli scaffali inferiori dietro il banco.
"Che nome metto?"
"Julian. Però non posso lasciare un acconto."
"E' okay così."
Rispose l'altro ragazzo, contrassegnando i dischi con un post it.
"Ti ringrazio davvero! Allora passo dopodomani."
"Figurati. Ci vediamo."
Alan continuò a stirare il suo sorriso, in risposta a quello del cliente, per ancora qualche secondo dopo che la porta si fu chiusa. E in fondo si trattava di un sorriso sincero, a modo suo.
Era da un mese che pensava a come avvicinare quel tipo in un modo che fosse naturale, senza trovare la soluzione ideale. Avevano stili di vita troppo diversi, e frequentazioni incompatibili. Julian era un bravo ragazzo dalla faccia schietta che frequentava la Washington University e che usciva in compagnia di ricchi figli di papà, conservatori e vacui, tutti probabilmente abituati a vedere il mondo attraverso la nebbia dorata dei loro soldi. Spendeva in negozi fuori dalla sua portata, e in locali in cui lui sarebbe entrato solo per appiccare il fuoco, sperabilmente arrostendo nel contempo qualche decina di inutili e boriosi capitalisti. E soprattutto doveva trovare un modo che fosse anonimo, in maniera che Julian non andasse ignaro, felice e contento da Dietrich a raccontargli di essere stato abbordato un tipo dall'aria vampiresca e i capelli blu. In quel modo invece, anche se avesse detto qualcosa, anche Die avrebbe dovuto ammettere che si trattava di un caso, e non si sarebbe insospettito. Forse.
Già, perché Julian gli dava l'idea di essere il tipo che deve assillare il prossimo con la cronaca delle sue giornate.
Per questo gli era quasi preso un colpo, vedendolo entrare: un negozio di dischi e strumenti, specializzato in metal e gothic era proprio l'ultimo posto in cui credeva di incontrarlo. Vederlo poi avvicinarsi alla sezione dell'usato lo aveva portato a domandarsi se stesse vivendo in realtà una sorta di flashback da lsd. Invece gli dei per una volta gli avevano accordato simpatia. Sogghignò, pensando a quanto sarebbe stato facile, da quel momento in avanti; già sapeva di avere attirato la sua simpatia. Irretire un'anima tanto fiduciosa era un gioco da ragazzi, bastava mostrarsi amichevoli.
"Però ascolta i Blue Oyster Cult, e questo fa di lui un essere non del tutto inutile."
Commentò ad alta voce, inserendo un loro cd nel lettore e canticchiando sottovoce insieme al solista,
I choose to steal what you choose to show
And you know I will not apologize
You're mine for the taking
I'm making a career of evil
I'm making a career of evil
e intanto suonava un'immaginaria chitarra, più di buon umore di quanto non si sentisse da tempo.
"Hai un'aria un po' troppo compiaciuta, Alan. Che hai in mente?"
"Proprio niente, perché?"
Chinò la testa di lato, per poter leggere il titolo della rivista che l'altro stava leggendo, e la riconobbe. Alzò un sopracciglio e gli sottrasse la bottiglia di birra, buttandone giù una sorsata.
"Hanno pubblicato un altro dei suoi racconti?"
"Già."
"E com'è?"
"Inquietante."
"Non riesci proprio a lasciarlo perdere, vero?"
Nel suo commento c'erano simpatia e una punta di derisione, come se provasse pena per un amico che si intestardiva su un sogno impossibile. Un amico per cui si nutre una sorta di dolcezza, ed al tempo stesso ci si domanda con superiorità quando mai aprirà gli occhi.
Finalmente quello abbassò il giornale e lo guardò, l'irritazione tradita solo da una sottile linea verticale che si era disegnata tra le sopracciglia fini.
"Non ti riguarda."
"Ehi, non prendertela. Non intendevo provocarti."
"Con te non si sa mai."
"Ma finiscila. - sospirò, e si accese una sigaretta - Stasera suono al Diadokon, se hai voglia fatti vivo. Magari porta anche Damien."
Aidan non diede una risposta. Guardò l’amico allontanarsi, poi tornò al racconto che aveva ormai quasi concluso. Si sentiva stordito dalla prosa barocca, inghiottito dall'amarezza ironica di ogni riga, inorridito dalla parabola che intuiva dietro quelle parole.
<Parlavi di te? Quali sono i fiori bianchi che hai cresciuto con il tuo sangue? E anche tu intendi farti divorare da loro?>
Finì di leggere e non riuscì a capire le sensazioni che gli si erano appiccicate addosso, a parte una paranoica preoccupazione. Non sapeva come considerare certe frasi quando esse provenivano da un tizio che in passato aveva tentato il suicidio due volte. In entrambi i casi era stato lui a trovarlo, a prenderlo per i capelli prima che la sua anima spinosa andasse definitivamente alla deriva, e a scaricargli addosso un oceano di risentimento non appena quello era stato abbastanza saldo sui propri piedi per fronteggiare l'ondata. Era stato lui a portarsi addosso il peso, il segreto di quei gesti, senza ricevere mai una spiegazione per essi….. senza mai potersi sfogare con qualcuno, perché Damien gli aveva imposto di tacere, e lo sguardo che gli aveva piantato negli occhi avrebbe fatto sentire a disagio il demonio. Quello sguardo poi glielo aveva lanciato spesso, come se lo accusasse di essere al corrente di qualcosa di troppo privato, o gli desse la colpa dell'essere ancora vivo. Erano passati anni da allora e Damien sembrava aver messo da parte i pensieri autodistruttivi, almeno quelli così drastici, ma lui non poteva fare a meno di conservare un po' d'apprensione, e di osservarlo sempre per capire se qualche crisi fosse in arrivo.
<Ma ora non tenterebbe più nulla del genere, lo so. Ora è salvo. Salvo, e non per merito mio.>
Decise di chiudere il negozio per il resto della giornata e se ne andò.
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Ruotò il collo indolenzito, si levo gli occhiali da lettura, massaggiando il ponte del naso, e mollò sulla scrivania i compiti da correggere, rimandandoli a dopo una fumata consolatoria e magari anche un tazzone di caffè forte, di quello che a lui piaceva tanto e che i suoi amici definivano simpaticamente ‘catrame’.
Si arrotolò una sigaretta, sottile e senza filtro, con movimenti che ormai avrebbe potuto compiere a occhi chiusi, e l'accese con soddisfazione, sentendosi già meglio. Il tabacco oppiato era l'unico vero vizio nel quale indugiava. Non aveva mai toccato nulla di più pesante e poteva benissimo fare a meno dell'alcol, ma non di quelle, anche se da quando viveva con Fabian le aveva drasticamente diminuite. Si limitava a fumarle quando lui non era nei paraggi, ed in quel momento stava dormendo beatamente nel grande letto matrimoniale, come aveva constato una mezz'ora prima, quando era andato a controllare e lo aveva riposizionato nel letto, dal quale stava rischiando di cadere. Era già successo un paio di notti, in realtà, che capitolasse di sotto….. ma Fabian non si era nemmeno svegliato: aveva solo borbottato qualcosa nel sonno. Pazzesco.
Si sentiva strano ora che la fine del suo periodo di supplenza di avvicinava. Era convinto che quella dell'insegnamento fosse una delle più nobili professioni esistenti, e che riservasse grandi soddisfazioni ai suoi sacerdoti, ma lui non si era mai sentito tagliato per quel mestiere. Richiedeva troppo contatto umano, per i suoi gusti; lo aveva considerato una soluzione temporanea, poiché per quanto pagassero bene i suoi racconti, quelle entrate non erano abbastanza regolari per costituire una base affidabile. La sua classe aveva migliorato il rendimento, da quando l'aveva presa in carico, e i ragazzi dimostravano simpatia, rispetto nei suoi confronti, il che forse voleva dire che dopotutto un minimo di attitudine l'aveva. E questo non se lo aspettava.
Sapeva di piacere ai suoi studenti. Perché era giovane, bello e sembrava uscito da un numero di Sandman, perché non stava mai dietro quella che era vista come la barriera tra i ragazzi e gli insegnanti. Lui sedeva sulla cattedra, a gambe incrociate, o sui banchi, e aveva un atteggiamento indolente, a volte canzonatorio, ma quando iniziava a spiegare la sua personalità era soverchiante. In verità erano gli altri insegnanti a girare al largo da lui, e gli erano giunti tali pettegolezzi sul suo conto da farlo genuinamente ridere. A dar retta ad essi, lui in realtà gestiva un postribolo, era un satanista, per di più in cura da uno psichiatra per un disagio non ben identificato e girava con uno stiletto d'argento nascosto negli stivali. Probabilmente lo stiletto era d'argento nell'eventualità che un licantropo si fosse fatto vivo durante una messa nera.
Ne usciva fuori un'immagine piuttosto pittoresca, e lui era sempre curioso di saperne di nuove sul proprio conto, o di dare volontariamente freschi spunti ai pettegolezzi, per vedere cosa ne sarebbe nato.
Era a più di metà sigaretta quando bussarono alla porta, e non ricordava di aspettare qualcuno. Talvolta dava qualche lezione supplementare ai ragazzi, gratuitamente, ovvio, ma non era quello il giorno designato. Non è che avesse granché voglia di vedere un altro essere umano, e pensò di rimanersene zitto ed attendere che lo scocciatore si levasse dai piedi. Quello invece si produsse in una bussata più decisa, preludio ad una sonora scampanellata, che gli fece decidere di aprire, se non altro per evitare di svegliare il bell'addormentato.
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Damien gli socchiuse appena la porta, non disse una parola e se ne tornò in cucina, lasciandolo libero di entrare, e quella era esattamente l'accoglienza che Aidan si aspettava.. Non c'era ostilità dietro al silenzio e all'apparente indifferenza, quello era il suo solito modo di fare, anche con gli amici, quasi pensasse 'mi stai seccando, ma nella mia incommensurabile magnanimità ti dedicherò un po' del mio prezioso tempo'.
In realtà non intendeva nulla del genere…..non sempre, almeno….. ma ciò era sufficiente a mettere a disagio i veri seccatori e tenerli alla larga. Quel tipo aveva uno straordinario talento nel far sentire la gente come indesiderata.
Aidan però sapeva che nel suo caso la cosa aveva il significato 'fa' come se fossi a casa tua'. E in fondo casa sua vera e propria si trovava solo due piani più sotto.
"Ho appena fatto del caffè, ne vuoi?"
Gli fece Damien, senza salutare, versandone una seconda tazza.
"Non voglio morire 'così' giovane."
"Nemmeno conducessi un'esistenza degna di nota."
"Mi compiaccio della mia inutilità, d'accordo?"
L'altro sorrise, con una punta di divertita perfidia, alla stoica sopportazione del compagno. Lungi da lui ammetterlo, ma probabilmente Aidan era il suo migliore amico, nonostante gli avesse salvato la vita.
"Con quale scusa ti presenti questa volta?"
"Invito da parte di Alan al Diadokon stasera."
"Potevi telefonarmi invece di venire a seccare. E poi non dovresti essere in negozio?"
"Quanto non ti sopporto."
Qualsiasi cosa stesse per ribattere Damien, a proposito della reciproca sopportazione e del probabile masochismo di entrambi, non lo fece: quando vide cos’era la rivista che Aidan teneva arrotolata in una mano la sua attenzione fu completamente assorbita.
"Dammi quell’orrore, che lo brucio."
Ordinò, senza ottenere obbedienza.
"A me è piaciuto."
"Tu sei poco affidabile."
"Tu piantala di dire stronzate."
"Io dovrei piantarla di mandare racconti a riviste che accettano schifezze come quest'ultima che mi hanno pubblicato. Ci rimette la mia reputazione."
"Perché devi essere così critico? Si sente che era un racconto ispirato."
"Già. Ispirato dalla rata della macchina da pagare."
Distratto dalla discussione Aidan agì sovrappensiero e si rese conto d’aver mandato giù un sorso di caffè solo quando ormai era troppo tardi.
"Cristo, che schifo!"
Cercò salvezza aprendo il frigo e buttando giù una sorsata di Du Demon, che gli lasciò in bocca un retrogusto dolciastro.
"Se ti dico che l'ho trovato un buon pezzo puoi credermi, o non tieni in considerazione il mio giudizio?"
"Francamente, Aidan, i tuoi giudizi sono quelli di cui meno mi fido al mondo. Cerco di non dare peso al parere di qualcuno che potrebbe stare usando la lusinga per venire a letto con me."
"Stronzo. E stavolta dico sul serio. Se pensi davvero questo non hai capito un cazzo."
Sembrava offeso veramente, ora, persino addolorato, ma Damien non era pentito di ciò che aveva detto. Forse al massimo delle parole scelte. I sentimenti di Aidan erano troppo forti per renderlo obiettivo, ecco tutto. Quindi non gli avrebbe chiesto scusa, che poi era una cosa che certo l’altro non si aspettava da lui: in diciotto anni di conoscenza non lo aveva mai fatto, nemmeno quando avrebbe dovuto. O almeno non lo aveva mai fatto in maniera convenzionale.
Aidan voltò il viso per evitare di guardarlo in faccia. Che fosse capace di ferire orribilmente le persone senza pensarci un attimo lo sapeva bene e non ci faceva caso, ma quell'ultima battuta l'aveva trovata pesante, troppo. Insensibile e derisoria. Poteva prendersi gioco di tutto quello che voleva, mandarlo al diavolo quando desiderava stare da solo e coprirlo di miserie se aveva voglia di sfogarsi….. ma non farsi beffe dei suoi sentimenti o metterne in dubbio la sincerità.
Mentre guardava altrove non poté accorgersi dell'altro che gli si avvicinava, con l’aria distrattamente languida che era in lui spontanea.
Inspirò profondamente dalla sigaretta ormai quasi finita e si riempì i polmoni; gli prese il mento tra le dita, facendolo voltare e aprendogli la bocca, con tocco leggero. Sorpreso, Aidan non reagì, lo guardò ad occhi spalancati, increduli.
Damien avvicinò le labbra alle sue, tanto da sfiorarle. Sentì il suo amico dai lunghi capelli neri irrigidirsi al punto da tremare, e alzare un braccio per cingergli la vita, ma esitare lasciandolo ricadere quasi subito, dopo averlo appena carezzato, consapevole che non voleva essere toccato. Percepiva l'emozione e la frustrazione chiaramente come fossero musiche discordanti, suonate insieme ad un ritmo forsennato. Sapeva di essere crudele nel provocarlo in quel modo, ma la tentazione era troppo forte, e osservare le sue reazioni troppo soddisfacente. Gli piaceva poter esercitare tanto potere su una persona con un così piccolo gesto. Gli soffiò il caldo fumo inebriante nella bocca, lentamente, fissandolo negli occhi, sfidandolo a fare qualcosa. Quando si staccò da lui, buttando quel che rimaneva della sigaretta nel lavandino, Aidan era ancora impietrito, con il respiro che s'era fatto più corto e veloce. Se almeno avesse provato solo attrazione fisica nei confronti di Damien le cose sarebbero state più facili, ne era certo. Invece lo amava, merda.
"Ti piace tormentarmi, vero?"
"E' moderatamente divertente."
Divertente, pensò Aidan. Come quando al locale lasciava che le ragazze gli si sedessero sulle ginocchia e gli passassero le dita tra i capelli e sul petto. A lui si seccava la gola per la gelosia, e quel bastardo faceva spallucce, dicendo che gli piaceva il tocco delle mani femminili, per le loro unghie lunghe e laccate.
"Dovrei smetterla di venire qui a rendermi ridicolo."
"Non ho mai pensato che tu sia ridicolo. O non perderei il mio tempo con te."
<E certe volte sembra che tu non l'abbia ancora capito, idiota.>
Aggiunse mentalmente
Intanto la porta si socchiuse e ne fece capolino una testa bionda e arruffata. Fabian entrò, appena sveglio, soffocando uno sbadiglio, e rimase sulla soglia per qualche istante a guardare i due. Sorrise e salutò Aidan, ma si diresse subito ad abbracciare Damien, che era sempre il primo, infallibile, catalizzatore di tutta la sua attenzione.
Fabian, con i capelli biondi, la pelle bianca e sottile e gli occhi azzurro intenso, dalle iridi orlate di un blu scuro che sfumava verso l'interno. A guardarlo sembrava la copia ridotta di Damien….. Aidan non esitava a credere che quando i tratti infantili del suo viso di cinque anni avessero passato l'adolescenza, ne avrebbero assunto le stesse caratteristiche androgine. Il bambino si attaccò alla camicia del giovane perché si abbassasse, e potergli così stampare un bacio sulla guancia.
"Ho sognato - raccontò poi - una signora giovane con i capelli rossi che mi portava al parco….. era la mamma, forse?"
"Tua madre non aveva i capelli rossi. Ed eri troppo piccolo, non la puoi ricordare."
"Non gli parli mai di Christine?"
Si intromise Aidan.
"Non era una donna che valga la pena commemorare."
Rispose seccamente Damien, carezzando però con dolcezza la testa del bambino.
"Ma era pur sempre sua madre!"
"E questo dovrebbe essere un motivo sufficiente? Io voglio che la dimentichi completamente."
Proseguendo con quel discorso avrebbero finito con il litigare, era già capitato, e di comune e silente accordo lasciarono cadere l'argomento. In fondo, si disse Aidan, Fabian stava crescendo bene, era felice ed intelligente….. e Damien lo adorava, era evidente in ogni gesto, in ogni parola che riservava al piccolo. L'amore urlava in ogni sguardo che posava su di lui.
Il motivo per cui ora viveva, e per cui avrebbe continuato a farlo senza farsi più affascinare dalla morte oltre il limite, l'avrebbe forse attesa a braccia aperte ma senza più andarla a cercare, era qual bambino e niente altro. Non poteva illudersi di avere un peso paragonabile anche solo alla lontana nell'esistenza di Damien, e un po' ne era geloso, in fondo….. perché se anche il legame del sangue è profondo, quel bimbo era al mondo solo da pochi anni, mentre lui era al fianco del suo amico da lungo tempo. Ma anche lui voleva molto bene al cucciolo, e si sentiva meschino dopo simili pensieri.
"Beh, me ne vado - annunciò, spento - se ti va ci vediamo più tardi al locale."
"Ehi."
Lo chiamò l'altro, un attimo dopo.
"Fermati qui fino a stasera. Dopo ci andiamo insieme."
L'invito spiazzò Aidan, non abituato a certi eccessi di socievolezza.
"Ne sei certo, o tra un quarto d'ora mi butterai fuori a pedate?"
"Devo finire il mio lavoro, adesso. Intanto puoi andare in camera di Fabian, così ti fa sentire che sta imparando a suonare la tastiera."
Il visetto ancora sonnacchioso del bambino si vivacizzò di colpo. Rise e corse da Aidan, prendendogli una mano e trascinandolo per il corridoio, cominciando a raccontargli con entusiasmo di quel nuovo, bellissimo gioco.
"Mi sta insegnando Alan! È bravissimo, conosce un sacco di canzoni, sai?"
Non oppose resistenza e si lasciò condurre, ma si voltò a lanciare un'occhiata interrogativa a Damien, e vide che li osservava sorridendo, in un modo così gentile e benevolo, inaspettato e inconsueto, che un improvviso calore si irradiò dal suo cuore, scaldandogli il sangue fin nella più piccola e nascosta vena. Pensò quel bel sorriso come dedicato solo al piccolo, e provò una quieta malinconia.
Scioccamente non immaginò la semplice verità: che era per tutti e due.
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Julian trovò Dietrich alla scrivania, addormentato sui libri. Si avvicinò silenziosamente e gli fece una carezza tra i capelli. Non era certo la posizione più comoda per riposare, quella. Forse avrebbe dovuto svegliarlo e costringerlo a infilarsi nel letto, ma temeva che se l'avesse destato quello si sarebbe rimesso subito a studiare, accumulando ancora stanchezza su stanchezza.
Die avrebbe avuto risultati eccellenti anche impegnandosi di meno, prendendo le cose con più tranquillità, ma non c'era modo di convincerlo a rallentare il ritmo. Frequentare l'università grazie alle borse di studio era per lui un'enorme responsabilità: doveva continuare ad essere il migliore, volente o nolente. Così almeno diceva, ma Julian era convinto che in qualsiasi caso avrebbe desiderato emergere, mettersi in luce: certe persone hanno la competizione nel sangue. Senza alcun dubbio era destinato ad una carriera brillante, in un famoso studio legale. Sarebbe diventato importante, e con le sue sole forze.
Non come lui, che arrancava svogliatamente, e che anche nel peggiore dei casi aveva le spalle coperte dalla ricchezza di suo padre. Sapeva di essere debole, e terrorizzato all'idea di iniziare ad affrontare il mondo e le responsabilità che prima o poi, inevitabilmente, si sarebbe trovato ad avere. Poteva guardare Dietrich, e desiderare di essere come lui: maturo, e indipendente….. doveva prenderlo ad esempio, attingere alla sua forza, contare sul suo appoggio. Un giorno sarebbe riuscito ad essergli pari.
Lo baciò su una tempia e lo lasciò dormire, pensando che al più gli avrebbe fatto poi un massaggio per rilassargli i muscoli così irrigiditi. Si diresse verso il bagno e aprì l'acqua nella vasca, accantonando le riflessioni malinconiche e pensando a cose felici. L'anno accademico quasi al termine. La vacanza che in segreto voleva organizzare per sé e Dietrich. I dischi autografati che lo aspettavano in quel negozio. Quando si immerse, con un sospiro soddisfatto, le sue preoccupazioni gli sembravano già sbiadite
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