Today is Ria Day...buon compleanno Ria!!!
E visto che è il tuo compleanno... eccoti finalmente il seguito de "La
Dodicesima Luna" ^^
Il Primo Sole
di Naika
Un giorno... un
giorno l’avrebbe ritrovato e allora.... gli avrebbe fatto mantenere la sua
promessa....
“Kaedeeeeeeeeeeeeeeee!”
La voce di Raja fece
tremare le finestre del piccolo villino trapassando tutta la casa con la
potenza di un ruggito che rivelava molto della sua vera natura.
L’urlo disumano
tuttavia ebbe come unico effetto quello di far sollevare, leggermente, il
viso dell’interpellato, dalla sua tazza fumante, lo sguardo appannato e le
palpebre mezze abbassate, posate sul punto indistinto, davanti a se, da cui
proveniva la voce di sua madre.
“Non è possibile!! Sei
ancora in pigiama ma hai visto che ore sono!! Arriverai in ritardo a
scuola!!” disse la donna agitandosi per la cucina, rubando la tazza dalle
mani candide del figlio che la fissò stranito e leggermente interdetto.
“Forza!! Vai a lavarti
e a vestirti!!” continuò la vulcanica signora spingendo il moretto giù dalla
sedia.
Un mugolio vago fu
tutto ciò che ottenne ma il ragazzo si avviò, seppur zizzagando
pericolosamente, verso le scale che conducevano al piano superiore.
Parecchi minuti più
tardi lo zombie che era salito al primo piano, ridiscese nel mondo dei
vivi leggermente più sveglio, salutando la madre con un logorroico: “Io
vado..” borbottato a mezza voce.
Raja lo rincorse
nell’atrio affibbiandogli walkman e cuffiette, la sua assicurazione sulla
vita, dato che solo la musica riusciva a tenerlo quasi sveglio, non
che un veloce bacio, a
tradimento, sulla guancia candida.
“E’ il primo giorno di
scuola Kaede cerca di fare amicizia!!” lo spronò con un sorriso
incoraggiante.
“Hn..” fu
l’entusiastica risposta del giovane che inforcata la bicicletta scese in
strada, tagliando perpendicolarmente tutte e due le corsie di marcia,
mandando il postino ad arrampicarsi su un ciliegio e un paio di
automobilisti a lasciare due centimetri buoni di gomma sull’asfalto.
La donna fissò il
fautore di quel caos prendere a pedalare tranquillamente, ignorando gli
epiteti contro lui e tutti i suoi antenati, per almeno sei generazioni, che
venivano dai proprietari delle suddette automobili, sorridendo tra il divertito e
l’esasperato.
Attese sulla soglia
finchè non vide Kaede scomparire dietro una curva della strada, chiedendosi
quanto tempo ci avrebbe messo il suo bambino a ricordarsi che lo Shohoku era
dalla parte opposta a quella che aveva preso lui.
Rientrò in casa
scuotendo mestamente il capo mentre il suono inferocito dei clacson e
un’altro scroscio di urla l’informava che il suo ‘piccolo’ aveva compiuto
una sonnambula inversione ad “U” in mezzo alla strada prendendo finalmente
la via per la sua nuova scuola.
...
Il sole accarezzò il
volto del volpino mentre questi prendeva velocità, costeggiando il mare,
lasciando che l’aria fresca scuotesse un po’ i suoi sensi ovattati.
Che ci poteva fare se
stava letteralmente cadendo dal sonno?
Non che quella fosse
una novità... ma quel mattino il risveglio era stato ancora più difficile
del previsto.
Rukawa emise un lieve
sospiro mentre le note di “Wisper” scivolavano nella sua testa come lievi,
piccole, onde trasparenti.
Leggere, sospinsero
lontano i pensieri, cullando nel loro cristallino abbraccio i ricordi.
Sembrava passata un'eternità e invece era
accaduto solo poche ore prima...
“Scusami...” un
sospiro tra i respiri ancora affannosi.
“Non mi hai fatto
male...” un mormorio stanco sussurrato contro il suo petto.
“Kae..?” il suo nome
abbreviato in quella maniera strana ma pronunciato con tanta dolcezza.
“Hn?” una richiesta
distratta mentre i loro corpi si sfioravano piano, quasi ad accertarsi di
essere ancora l’uno accanto all’altro.
“E’ così anche tra
esseri umani?” una domanda porta con un lieve, innocente, imbarazzo.
E’ così anche tra
esseri umani?
Rukawa scosse il capo
mentre si piegava sulla bicicletta, sfrecciando lungo la via.
Ci avrebbe messo molto
meno in volo, pensò tra se, schivando con un abile zig zag i pedoni che
stavano attraversando sulle strisce.
La sua anima ruggì
contorcendosi, ricordandogli la sua vera natura mentre sul volto del volpino,
per un momento, si disegnava un lieve sorriso ferino.
La Dodicesima Luna era
ancora troppo vicina e i ricordi del suo lato animale ancora troppo freschi.
Tutti i suoi
ricordi....
“No, gli esseri
umani si coccolano, si baciano... è molto più...” un mormorio lieve, quasi
un sussurro per non infrangere la morbida crisalide di silenzio che li aveva
avvolti dolcemente.
“Vedi tra draghi
l’atto sessuale è solo passione, per gli uomini invece è anche... amore”
Amore.
Rukawa non ci aveva mai
creduto.
Era una bella ‘idea’.
Una ‘cosa’ che serviva
per coccolare i sogni delle ragazzine.
Non era contrario
all’amore.
Non pensava che fosse
necessariamente commerciale o una scusa per giustificare atti di follia.
Semplicemente... non
era per lui.
Sognare ad occhi
aperti?
Struggersi di dolore?
Sentire il cuore fare
le capriole?
Tremare al pensiero di
perdere l’amato?
No, non erano cose per
Kaede Rukawa quelle.
Controllo.
Quella era la parola
chiave.
Assoluto controllo di
se stesso.
L’unico modo per essere
al sicuro.
Per non commettere
errori.
Per non soffrire.
“Allora, quando
torneremo nel nostro mondo mi piacerebbe fare l’amore con te...”
Un sussurro che aveva
spezzato il suo respiro.
Un semplice mormorio
che aveva distrutto anni e anni di ferree convinzioni.
“Anche a me
piacerebbe...”
Tutto quello che era
riuscito a rispondere.
Tutto quello che
voleva.
Fare l’Amore con lui.
In modo da diventare
una cosa sola.
In modo da poterlo
portare per sempre con se.
In modo da non
perderlo...
Non poteva... non
voleva perderlo....
Eppure...
“Una volta varcati i
cancelli tu dimenticherai quanto è accaduto qui...”
Dimenticato.
Poteva sopportare
l’idea che lui l’odiasse.
Poteva accettare di
essergli indifferente.
Ma dimenticare....
essere dimenticato era come non essere esistito mai.
“Ci rivedremo, qui,
tra un anno...”
“Un anno è lungo...”
“E’ vero... ma tu
dimenticherai anche questo...”
Forse si era beffato
troppo dell’Amore.
Forse il ragazzino
alato, con cui gli occidentali amavano dipingere quel sentimento, si era
offeso.
Aveva incoccato la sua
freccia assassina e aveva dimostrato la sua leggendaria bravura
trapassandogli il cuore con precisione per poi lasciarlo lì, a fissare,
stupito, l’ipnotica lentezza con cui il suo sangue serpeggiava, piano, lungo
l’asta dorata.
Le minuscole goccioline
scarlatte sarebbero scivolate una dopo l’altra, come lacrime non versate,
rannicchiandosi tremanti all’estremità di quel dardo lucente per poi
precipitare, scandendo con il loro muto grido disperato il ticchettio del tempo che
ancora li separava.
Sospirò chiedendosi
dove fosse il suo compagno in quel momento.
Magari stava ancora
dormendo o magari anche lui stava correndo per raggiungere la sua scuola.
Infondo erano coetanei.
Svoltò l’angolo
chiedendosi in quale quartiere abitasse, chi avesse accanto ogni giorno.
E se nella sua vita
umana ci fosse stato qualcuno di importante?
Qualcuno che lui...
amava...
Arrivò a scuola
abbandonando il suo mezzo di trasporto in un angolo, insieme a quelle
riflessioni che non voleva affrontare, prima di dirigersi con passo stanco
verso l’atrio.
Scorse velocemente il
tabellone che indicava quale classe gli era stata assegnata prima di
scivolare silenziosamente lungo i corridoi fino all’aula in questione.
Scelse un banco
nell’ultima fila e, senza guardare in faccia nessuno, vi si stravaccò
addormentandosi poco dopo.
Diverse ore più tardi il suono della sveglia
lo riportò faticosamente al presente.
Allungò una mano per
spegnere l’odioso affare prima di rendersi conto della scomoda posizione in
cui si trovava.
‘Scuola’ gli ricordò la
sua mente e il ragazzo sbuffò seccato, riconoscendo nel suono della
campanella per il pranzo il fastidioso “drin drin” che l’aveva riportato ad
un presente fatto di malinconie.
Raccolse la borsa prima
di scivolare fuori della classe diretto alla terrazza.
Voleva dormire ancora.
Voleva che il sonno lo
abbracciasse nuovamente conducendolo ancora una volta ad Asgard... da
lui.
...
“Uhh...”
Rukawa emerse dal suo
sonno, sollevandosi lievemente intorpidito, passandosi una mano candida tra
i capelli corvini ma, a quel movimento, il suo corpo protestò facendogli
sfuggire un lieve “che male..” che venne brutalmente zittito da una voce
arrogante.
“Togliti dai piedi
pivello!!”
Il volpino spostò lo
sguardo sull’omuncolo che aveva osato svegliarlo fissandolo dall’alto della
sua altezza con uno sguardo glaciale che valeva più di mille parole e questi si ritrasse,
inconsapevolmente, cominciando a sudare freddo mentre quegli occhi blu gli
gelavano l’anima e, l’ingannevolmente calma, voce del moretto, chiedeva:
“Siete stati voi a darmi un calcio?”
Non attese risposta.
La sua era una
domanda retorica.
Quei quattro avevano
commesso tre gravi colpe:
Colpirlo.
Svegliarlo.
E riportarlo al
presente, strappando dalla sua mente l’immagine dell’amante, dolcemente
accoccolato contro di lui, sul grande prato ai limiti del bosco di Asgard.
La sua gamba scattò
senza lasciar loro il tempo di dire nulla, piantandosi con precisione
nello stomaco del più vicino degli esseri umani, mentre l’occhialuto
scagnozzo del primo l’aggrediva, vigliaccamente, solo a parole: “C...che
diavolo vuoi scemo!!” gridò senza riuscire tuttavia a trattenere un tremito
nella voce “Eh? Parla!”
Lo sguardo gelido del
moretto scivolò con sufficienza sul ragazzo: “Sono Kaede Rukawa, primo anno,
sezione L” mormorò prima che nei suoi occhi si accendesse una luce
pericolosa “E non perdono chi disturba il mio sonno!”
....
Rukawa fissò i corpi a
terra con indifferenza.
Erano durati troppo
poco.
Non erano buoni nemmeno
per sfogarsi un po’.
Sbuffò, indeciso se
tornare a dormire o meno, quando la porta della terrazza si aprì con un
piccolo ‘clack’ rivelando la presenza di nuovi arrivati.
Kaede si augurò
mentalmente che non si trattasse di professori.
Non voleva seccature il
primo giorno di scuola anche perchè rischiava di non potersi iscrivere al
club di basket e quella era l’unica attività che gli avrebbe dato la
possibilità di far scorrere il tempo fino alla successiva Dodicesima Luna.
Si volse, lentamente,
verso la porta, lo sguardo che si spostava centimetro dopo centimetro, quasi
il Tempo, attorno a lui, avesse improvvisamente rallentato la sua corsa per
poter osservare cosa accadeva su quel piccolo tetto.
Come se sapesse già ciò che quegli occhi blu
avrebbero visto e volesse godersi la sua reazione.
Rukawa se ne rese vagamente conto mentre il
suo sguardo scorreva...
... sulla ringhiera
contro il cielo chiaro....
... sulla casupola di
cemento che proteggeva le scale...
... sulla porta di
metallo....
... sulla persona, in
piedi, dinanzi a lui:
Capelli rossi.
Occhi nocciola.
Pelle dorata.
Alto, muscoloso.
Rimase immobile mentre
nella sua mente quelle quattro frasi rimbalzavano all’infinito come uno
screen saver inceppato.
Capelli rossi.
Occhi nocciola.
Pelle dorata.
Alto, muscoloso.
Lo fissava senza
riuscire a pensare a nulla, il cielo blu di Asgard che per un momento si
frapponeva a quello azzurrino di Kanagawa.
Capelli rossi.
Occhi nocciola.
Pelle dorata.
Alto, muscoloso.
La splendente distesa
verde smeraldo della Valle che si sostituiva alle mattonelle rovinate della
terrazza.
Scaglie rosse.
Occhi lucenti.
Ventre dorato.
Ali possenti.
Un giorno... un
giorno l’avrebbe ritrovato e allora.... allora gli avrebbe fatto mantenere
la sua promessa.
“Hanamichi...” quel
nome accarezzò le sue labbra senza tuttavia lasciarle.
Era lui.
Il suo drago rosso.
Il suo amante.
Il suo compagno.
“Chi diavolo sei tu?”
la domanda del moretto che accompagnava il suo rossino lo riportò al
presente.
Fissò Hanamichi che lo
guardava con la stessa richiesta negli occhi.
Quei pozzi dorati che
avevano racchiuso e rispecchiato il suo volto stravolto dal piacere...
Quei laghi di
cioccolato che gli avevano sorriso dolcemente chiedendogli di essere il suo
amante anche una volta tornati sulla terra...
Quegli occhi scuri
ora...
... ora...
portavano una sola domanda: chi sei?
....
“Kaede sei tornato?”
Raja trotterellò fino
all’ingresso, pulendosi le mani sul grembiule.
“Ma che hai fatto???”
chiese preoccupata notando la fasciatura che gli stringeva il capo.
Il moretto scosse la
testa con un gesto noncurante prima di salire le scale che conducevano alla
sua stanza.
L’aveva ritrovato.
Era lui!
Il suo rossino.
Ma non ricordava
niente.
Peggio ancora...
sembrava... interessato... a una RAGAZZINA!!
Aveva fatto a botte con
lui.
Di nuovo... gli
rammentò la sua mente ricordandogli come, anche su Asgard, tutto fosse
cominciato così...
Solo che poi erano
finiti col fare l’amore!
Invece quella mattina
no... era stato costretto ad andarsene per non prenderlo per il colletto
della divisa e risvegliare i suoi ricordi a forza di baci.
Tirò un pugno al
cuscino facendo svolazzare piume per tutta la stanza.
“Lui è mio!” ringhiò
con voce spaventosamente bassa.
...
Hanamichi camminava
distrattamente lasciando che gli amici scherzassero alle sue spalle.
Quel mattino si era
svegliato indolenzito e con la sensazione di essere profondamente cambiato.
Eppure per quanto si
sforzasse non riusciva a capire perchè si sentiva così.
Si passò distrattamente
le dita sulle labbra contuse mentre con il pensiero ritornava a quel
ragazzo.
Kaede Rukawa.
Quel nome aveva
qualcosa di stranamente familiare.
Prima, quando nessuno
lo stava guardando, aveva provato a pronunciarlo.
Rukwa.
Kaede.
Kae...
Perchè gli sembrava che
le sue labbra fossero abituate a scandire quelle lettere?
Perchè inevitabilmente,
poi, si sentiva malinconico?
“Hey?” Yohei gli posò
delicatamente una mano sul braccio riportandolo al presente.
“Sei stranamente
silenzioso...” mormorò.
“Stai ancora pensando a
quella bella prugnetta?” chiese Takamya dandogli una gomitata nelle costole.
“Già com’è che si
chiamava...?” mormorò pensieroso Noma.
“Haruko...” sussurrò
Hanamichi piano.
Già... Haruko...
L’aveva incontrata
quella mattina e aveva pensato che era proprio il suo tipo.
Lui aveva bisogno di
una persona così.
Dolce, allegra,
gentile.
Quello era il genere
che piaceva a lui!!
I glaciali e scorbutici
gli lasciava agli altri.
Scosse il capo
forsennatamente domandandosi da dove arrivasse quel pensiero.
E perchè poi gli era
venuto in mente il volto della volpe?
Perchè da quella
mattina quando l’aveva visto lì, con il sole alle spalle, i capelli sottili
accarezzati dal vento, la pelle candida macchiata di sangue rosso e quegli
occhi blu così scuri, così profondi, non riusciva a toglierselo dalla mente?
Perchè aveva desiderato
toccarlo?
Perchè anche nel
colpirlo la sua pelle era stata attraversata da una sottile corrente
elettrica così... familiare?
"Perchè?"
....
Il vento quel mattino
sospingeva delicatamente la sua bicicletta senza che lui dovesse nemmeno
pedalare.
Sembrava quasi che
l’aria tiepida, che si divertiva a far suonare le foglie dei grandi ciliegi
che costeggiavano la strada, lo stesse dolcemente invitando a sbrigarsi.
Il moretto sorrise tra
se accelerando il ritmo delle pedalate.
Aveva riflettuto a
lungo per tutta la notte e alla fine era arrivato ad una sola conclusione.
Se il rossino non si
ricordava di lui c’era una cosa soltanto da fare: riconquistarlo!
L’impresa non si
presentava facile, soprattutto visti gli auspici, ma... lui era Kaede
Rukawa!!
Era sempre riuscito ad
ottenere ciò che voleva e non aveva mai desiderato tanto qualcosa come ora
voleva l’amore di quel rossino rumoroso.
Il problema numero uno
da affrontare era la ragazzina... Harika, Herika, Hurika...
sì insomma la babbuina!
Durante la notte aveva
formulato diverse ipotesi.
L’ipotesi A, la sua
preferita, consisteva nell’ucciderla e far scomparire il corpo.
Purtroppo quest’idea
aveva diverse controindicazioni spiacevoli, come ad esempio il rischio di
macchiare di sangue la sua tuta preferita e così aveva dovuto scartarla.
L’ipotesi B prevedeva
invece di concentrare l’attenzione del rossino su di se, motivo per il quale
quel mattino era saltato giù dal letto due secondi PRIMA che suonasse la
sveglia, aveva fatto colazione velocemente e poi aveva inforcato la
bicicletta.
Aveva sentito delle
voci sul fatto che Sakuragi e la ‘creatura’ si erano visti in palestra
qualche giorno prima e sembrava che dovessero ripetere la cosa anche quella
mattina dato che la ragazzina aveva qualcosa da farsi perdonare e il rossino
sembrava intenzionato a restare nel club di basket.
Avrebbe fatto in modo
di essere lì anche lui.
E avrebbe fatto in modo
che Hanamichi lo vedesse.
“Oh... mi vedrai.... mi
vedrai eccome...” sussurrò tra se curvando a tutta velocità.
....
Sakuragi camminava
orgogliosamente al fianco di Haruko, nel cortile deserto della scuola.
Le lezioni sarebbero
cominciate solo mezz’ora più tardi e lui aveva ben trenta minuti di totale
solitudine con la ragazzina del suo cuore.
Sollevò una mano
coprendo uno sbadiglio mentre lei apriva la porta della palestra, il pallone
da basket sotto un braccio.
“Sakuragi-kun oggi ti
mostrerò come si palleggia correttamente!!” cinguettò la moretta cominciando a
far saltellare il pallone maldestramente.
Il rossino le sorrise
cercando di snebbiare un po’ la testa.
Forse per la
levataccia, forse a causa di quegli strani sogni che al mattino aveva
dimenticato, ma che lo tormentavano già da un po’, si sentiva stanco.
Tuttavia non appena
Haruko si avvicinò al canestro anche lui le andò dietro desideroso di
dimostrarle il suo entusiasmo per quello sport scoperto da poco.
Fu in quel momento che
la porta dello spogliatoio si aprì con un suono secco e forte facendoli
voltare entrambi.
Dalle finestre ad est
una pioggia di morbidi raggi solari tagliava la penombra della palestra in
fasci di polvere di luce.
E tra loro ce n’era
uno... uno... che sembrava più luminoso degli altri, come un faro puntato su di
un palcoscenico, che illuminava proprio quella porta spalancata.
Haruko lasciò cadere la
palla boccheggiando, ormai incapace di fare entrare l’aria nei suoi piccoli
polmoni, mentre Hanamichi rimaneva immobile le labbra socchiuse dallo
stupore, lo sguardo puntato sulla creatura che da quella luce era baciata.
I capelli corvini,
bagnati, gli scivolavano liquidi sulla pelle candida del volto, disegnando
languide onde d’inchiostro nero che andavano a lambire la sua carnagione
nivea in lunghe, umide, pennellate.
Miriadi di piccole
goccioline luminescenti come diamanti, sotto il lieve bacio dei raggi
solari, costellavano quella seta morbida di stelle incandescenti
rifrangendosi con muti sospiri d’estasi sulla sua pelle lunare.
Con la lentezza di una
moviola Sakuragi vide uno di quei piccoli astri scivolare lungo il collo
candido, scendere nella morbida curva della gola prima di precipitare lungo
lo sterno nudo, e poi giù...
...sempre più giù...
Il rossino deglutì a
vuoto mentre quel minuscolo cristallo di luce disegnava con lussuriosa
ingordigia la felina potenza di quei muscoli scolpiti nella seta, per poi
morire con un sospiro appagato sul morbido tessuto dei pantaloni, bianchi, che il moretto indossava.
Pantaloni così
dovrebbero essere vietati per legge, si ritrovò a pensare il rossino mentre
sentiva il volto andargli in fiamme.
La vita era così bassa
da lasciar intravedere la linea elegante dell’inguine.
Per non parlare poi del
tessuto... il volpino doveva averli infilati in fretta sul corpo bagnato,
ipotizzò, mentre sentiva il cuore partire al galoppo, con il risultato che
quella stoffa pallida, già così leggera, ora non era altro che un lieve,
malizioso, velo trasparente, teso a disegnare ogni umida perfezione di
quelle lunghe gambe.
Hanamichi aprì la bocca
e la richiuse, un paio di volte, chiedendosi mentalmente come si faceva ad
usare le corde vocali e la lingua.
Prontamente un’immagine stracciò la
sue mente, inondandola di petali di rosa rossa e lenzuola di seta, su cui due
giovani, che si rifiutava di identificare, facevano largo uso delle suddette
lingue e corde vocali.
Scosse il capo con
furia chiudendo con forza gli occhi, cercando di calmarsi.
Li riaprì pochi secondi
più tardi, convinto di esserci riuscito, solo per assistere allo spettacolo
della volpe che sollevava una mano regale a scostare le ciocche scure dal
volto, lo sguardo turchino, acceso di viola e lambito dalle ombre nere delle
lunghe ciglia, che si spostava indifferente per la palestra, fino a fissarsi
su di lui.
Il cuore che prima gli
esplodeva nel petto, a ritmo impazzito, semplicemente si arrese, morendo ai
piedi del suo nuovo padrone, mentre quegli occhi blu perforavano l’anima del
rossino con il loro silenzioso dominio.
“Avevo sentito dei
rumori...” sussurrò il volpino con il suo tono più basso e sensuale,
giustificando con quella frase indifferente, dal tono quasi pornografico, il
suo assassinio, prima di scrollare le spalle con noncuranza e scomparire
nuovamente oltre la porta dello spogliatoio.
Hanamichi non sentì il
tonfo sordo con cui Haruko stramazzava a terra era ancora troppo impegnato a
ricordare come si faceva a respirare.
....
Rukawa sonnecchiava sul
banco ripensando soddisfatto a ciò che era accaduto in palestra.
Nella sua mente erano
ancora impressi a fuoco gli occhi del suo rossino così grandi, sgranati, le
sue guance arrossate d’imbarazzo, le labbra socchiuse dalla sorpresa.
Gongolò tra se
soddisfatto.
Chissà se il do’hao si
era accorto che gli tiravano i pantaloni?
Semmai glielo avrebbe
ricordato lui la prima volta che si sarebbero incontrati.
Presto... molto
presto...
Si sistemò meglio,
ignorando la voce del professore di storia che lo richiamava, chiedendosi
quale fosse il prossimo luogo adatto a tendere un agguato al do’aho.
....
Hanamichi si sciacquò
per l’ennesima volta la faccia con l’acqua fredda.
Non riusciva a
crederci.
Non riusciva nemmeno a
pensarci...
Si era... eccitato.
Guardando un maschio.
E non un maschio
qualsiasi!
“Che mi sta
succedendo...?” sussurrò osservando l’immagine che lo specchio gli
rifletteva.
L’accarezzò
distrattamente, tracciando con le dita bagnate il contorno del suo stesso
viso trovandolo... sbagliato.
No, non era esattamente
sbagliato.
Era... gli dava come la
sensazione che fosse solo UNO dei suoi aspetti.
“Che stupidaggine...”
borbottò “...prima quei sogni assurdi e adesso questo... la scuola mi fa male!”
decise uscendo dal bagno per dirigersi alla sua classe.
Si lasciò cadere sulla
seggiola con un sospiro.
Non riusciva a capire
che cosa gli stava succedendo.
Il suo corpo gli dava
improvvisamente segnali che non riusciva a decifrare.
Alcuni giorni prima si
era alzato stanco e dolorante quasi avesse passato la notte all’addiaccio.
Quella mattina si
eccitava guardando Rukawa.
Non aveva senso.
Che cosa aveva quella
volpe surgelata per colpirlo tanto!
Niente!!
Assolutamente niente!!!
A parte forse
due discreti occhi blu come il mare in tempesta....
A parte forse la
sua pellaccia candida come neve incontaminata...
A parte forse
quei suoi stupidi capelli così neri che il sole li accendeva di riflessi
blu...
A parte forse
quel fisico stupidamente atletico e perfetto...
A parte forse
quella sua insopportabile eleganza regale...
In poche parole....
NIENTE!!!!
Scosse il capo con
veemenza scarabocchiando con furia la pagina del suo povero quaderno, con lo
schizzo di una volpe impiccata, trovando comunque poca soddisfazione nel
rimirare, poi, lo sgorbietto che ne era uscito.
“Hana che hai, tutto
bene?”
Il rossino si volse
verso Yohei abbozzando un sorriso un po’ tirato.
“Tutto bene..” mormorò
senza riuscire ad ingannare l’amico.
Mito tuttavia decise di
rispettare la sua volontà e lanciato un ultimo sguardo d’accertamento al
compagno di classe tornò alla sua partita di battaglia navale con Noma,
lasciando che il rossino decidesse tempo e luogo per le dovute spiegazioni.
....
Rukawa palleggiava
distrattamente lanciando di tanto in tanto occhiate alla sua preda.
Erano passati due
giorni dal suo primo agguato e non era più riuscito a bloccare il rossino.
Il ragazzo aveva
dimostrato un’incredibile dote per la fuga.
Il moretto aveva dunque deciso
di lasciarlo a macerare nei suoi pensieri per un po’ prima di tentare una
nuova mossa.
Con somma soddisfazione
aveva comunque notato come Sakuragi, perso com’era nelle sue riflessioni,
scodinzolasse meno appresso alla ragazzina.
Purtroppo, per contro, quella non smetteva di sbavare ogni volta che lui si muoveva.
La prima volta che si
erano rivisti, quello stesso pomeriggio del suo primo agguato in palestra,
Haruko era diventata bordeaux nel guardalo e poi era svenuta.
Una vera seccatura.
Forse doveva
riconsiderare l’ipotesi A...
Scosse il capo
allontanando quel pensiero quando il capitano decretò la fine
dell’allenamento ordinando alle matricole di riordinare la palestra.
Se il rossino avesse
potuto vedere la luce che era balenata negli occhi blu del drago nero, a
quelle parole, probabilmente se la sarebbe data a gambe ma....
...gli dava le
spalle....
....
Hanamichi passava
nervosamente lo straccio sul parquet, lavorando velocemente.
Erano rimasti solo lui
e la volpe in palestra e la cosa non gli piaceva affatto.
Era così intento nelle
sue elucubrazioni che non si accorse del pallone che il volpino aveva
colpito con la scopa facendolo rotolare esattamente davanti a lui.
Vi inciampò sopra,
stramazzando pesantemente a terra con un grido strozzato.
Dopo mezzo secondo si
era comunque rialzato, balzando in piedi come una molla.
“Dillo che vuoi che ti
metta le mani addosso!” ringhiò minaccioso.
Un lampo malizioso
attraversò le iridi blu del numero undici che sorrise lievemente nel lasciar
rotolare sulla lingua un morbido: “Do’aho...” dal tono sornione.
Hanamichi rimase
paralizzato, attraversato da quell’unica parola come da una violenta
corrente elettrica.
“Adesso mi hai stufato
stupida lucertola!” ringhiò convertendo in rabbia quei brividi senza nome,
prima di buttarglisi addosso.
Rukawa avrebbe potuto
facilmente parare il pugno del rossino ma era rimasto troppo stupito
dall’appellativo che aveva usato.
Lucertola.
Come lo chiamava
su Asgard!
Il primo pugno lo
riportò dolorosamente al presente, si piegò in fretta per evitare il secondo
e con una abile mossa dei fianchi riuscì a scaraventare il rossino a terra.
...Sotto di lui...
Un lampo viola accese
le iridi scure mentre il volpino faceva scattare le mani a bloccargli i
polsi, premendo il proprio bacino su quello del numero dieci.
“Ti ricorda niente
tutto questo...?” si chinò a sussurrargli in un orecchio prima di afferrare
delicatamente il lobo tra i denti e tirarlo piano.
Hanamichi non riuscì a
trattenere un flebile mugolio prima che i suoi occhi si sbarrassero e tutto
il suo corpo si tendesse.
“Che... che diamine
stai facendo???” ansimò cercando di liberarsi dalla presa incredibilmente
ferrea del suo aguzzino.
Non poteva essere così
forte, pensò tra se il rossino.
Non era così forte
quando facevano a pugni!!
Eppure in quel
momento... Hanamichi tese le braccia ma la presa di Rukawa non cedette di un
millimetro.
Nessuno era mai
riuscito a bloccarlo a terra in quel modo.
Ad immobilizzarlo
totalmente, così.
Eppure... perchè gli
sembrava che non fosse la prima volta...?
“Prova a ricordare...”
gli soffiò il moretto, direttamente nell’orecchio prima di strofinare
delicatamente il suo inguine contro quello del rossino.
“Ri...ricordare?”
balbettò stranito.
Come faceva la volpe a
sapere che lui, da giorni, si tormentava convinto di aver dimenticato
qualcosa di importante?
C’entrava lui?
Aveva a che fare con il
ragazzo che lo stava bloccando a terra la cosa che aveva dimenticato?
Possibile?
“Ricorda Hana...”
sussurrò il moretto piantando i suoi occhi in quelli sbarrati del rossino
“...ricorda cos’è accaduto poche notti fa...” mormorò prima di abbassarsi a
chiudere le labbra socchiuse, del compagno, con le sue.
Hanamichi sbiancò
nell’avvertire la lingua del numero undici infilarsi sinuosa nella sua
bocca, trattenne il fiato mentre quell’organo caldo lo accarezzava
dolcemente sfiorandolo, incitandolo, senza tuttavia obbligarlo, a dargli una
risposta.
Emise un flebile
sospiro abbandonandosi al calore che spiraleggiava nel suo corpo, allungando
senza nemmeno rendersene conto, il capo verso quelle labbra
sapienti.
Si trovarono ben presto
sprofondati in un bacio che fondeva le loro bocche e i loro sospiri in
maniera totale rendendo quasi impossibile distinguere dove iniziasse uno e
finisse l’altro.
Si staccavano per
brevissimi respiri prima di reincontrarsi con frenesia.
Con bisogno.
Quasi dovessero colmare
in quei pochi minuti il vuoto di giorni.
Quel pensiero fece
sussultare Hanamichi che si scostò di scatto dal compagno.
Le labbra gonfie, i
capelli spettinati da quelle dita candide che si erano infilate tra le sue
ciocche ad accarezzarlo.
Che cos’era accaduto
tra lui e Rukawa?
Perchè ora ne era
sicuro... qualcosa era successo.
Aveva riconosciuto il
tocco di quella bocca, le carezze di quelle mani, sebbene non riuscisse a
ricondurle a nessuna immagine nitida.
“Cos.. cos’è successo
poche notti fa?” chiese senza sapere se davvero voleva avere la risposta.
“Abbiamo fatto
l’amore...” gli sussurrò la volpe, gli occhi blu due pozzi di desiderio e
passione.
Nessuna menzogna.
Nessuna bugia in quelle
iridi ammalianti.
“I.. io non
ricordo...?” riuscì a malapena a pigolare Hanamichi.
“Posso sempre
rinfrescarti la memoria...” si offrì il volpino con un sorriso malizioso che
fece schizzare in piedi Sakuragi.
“Stammi lontano!!”
ansimò “Io non credo una parola di quello che dici, chiaro!!” ringhiò
stringendo la maglia della divisa tra i pugni, con forza.
Rukawa incrociò le
gambe sedendosi comodamente sul pavimento, fissando il rossino con una
scossa di spalle.
“Che tu mi creda o
meno, questa è la verità...” mormorò placidamente.
“Io non sono gay!!”
tuonò il rossino reso furioso dalla tranquillità che il compagno ostentava
quando lui invece si sentiva completamente sottosopra.
“Oh davvero?” mormorò
il volpino alzandosi con grazia dal pavimento.
“E come mai ti sei
eccitato l’altro giorno, solo guardandomi?” sussurrò avvicinandosi con passo
felino ad Hanamichi che, senza rendersene conto, di riflesso,
indietreggiava.
“E perchè hai risposto
al mio bacio poco fa?” gli ricordò, facendolo arrossire, mentre si
avvicinava ancora, inesorabilmente.
Hanamichi si ritrovò
con la schiena contro il muro a fissare l’avversario ormai a pochi
centimetri da lui.
“Allora... che cosa mi
rispondi do’aho?” gli chiese ad un soffio dalle labbra prima di posarvi di
nuovo le proprie sopra.
Ma questa volta non si
limitò al bacio.
Mise le mani sui
fianchi del rossino, che gli stava artigliando le spalle nel tentativo di
staccarlo da se, e attirò il suo bacino contro il proprio facendo strofinare
i corpi separati solo dal tessuto leggero e umido dei pantaloncini.
Hanamichi ansimò
socchiudendo così le labbra, lasciando nuovamente accesso alla lingua del
suo nemico mentre le lunghe dita di questo si infilavano serpentine sotto la
leggera canottiera rossa.
Nuovamente quel torpore
ipnotico che prendeva possesso di lui quando il volpino lo baciava lo
sopraffece spingendolo ad abbassare le palpebre e a stringere le mani sulla
sua schiena, non più per allontanarlo ma per trattenerlo.
Tremò quando una mano
del moretto scivolò ad accarezzargli la colonna vertebrale costringendolo ad
inarcarsi un po’, accogliendo così il suo ginocchio candido tra
le proprie gambe.
Rukawa strofinò la
coscia tra le sue, strappandogli un debole lamento che morì soffocato tra le
loro labbra, mentre la mano destra scivolava sotto l’elastico dei pantaloncini a
accarezzare le natiche sode.
Si staccarono diversi
minuti più tardi quando il moretto scese ad assaggiare la pelle delicata del
collo facendo rabbrividire e gemere il ragazzo tra le sue braccia.
Hanamichi si tese
spingendo i fianchi contro quelli del compagno ormai totalmente perduto
nella malia delle sue mani candide e di quella lingua rossa che stava
segnando, inequivocabilmente, la sua pelle e la sua anima.
“Hey c’è qualcuno?
Siete ancora qui?”
La voce di Yasuda
riportò bruscamente il rossino al presente.
Senza una parola si
divincolò con forza dall’abbraccio del volpino, che ormai aveva allentato la
presa, scappando letteralmente negli spogliatoi.
Rukawa emise un basso
ringhio che ben poco aveva di umano girandosi verso la porta con uno sguardo
che avrebbe spaventato anche il peggiore dei malintenzionati.
Yasuda divenne cinereo
sotto quell’occhiata assassina balbettando qualcosa sul fatto che dovevano
chiudere la palestra prima di decidere saggiamente di fuggire a gambe levate.
Il moretto vagliò
seriamente l’idea di inseguire l’umano e sbranarlo ma poi scosse il capo,
snebbiando la mente dai fumi omicidi.
Non ne valeva la pena.
Anzi... forse avrebbe
potuto sfruttare qull’interruzione.
Si passò la lingua
sulle labbra avvertendo ancora, sulla loro umida superficie, il dolce sapore
del suo amante.
“Non ti lascerò
scappare...” sussurrò smaterializzandosi.
...
Hanamichi si chiuse la
porta di casa alle spalle con un tonfo, dirigendosi poi a passo di marcia
verso il bagno.
Si liberò dei vestiti
in fretta prima di aprire al massimo il getto dell’acqua calda e fiondarcisi
sotto.
Non poteva essere
accaduto.
Non poteva essergli
piaciuto.
Lui amava Haruko.
Una ragazza.
Dolce, carina.
Si sarebbe sposato e
avrebbe avuto dei figli come volevano i suoi genitori.
Non era gay!
E anche se lo fosse
stato... mai e poi mai avrebbe scelto Rukawa.
“Mai...” ripromise, ad
alta voce, a se stesso, mentre la sua mano scivolava ad accarezzare le labbra.
Erano ancora gonfie.
Gonfie dei suoi baci.
Su di esse poteva
ancora avvertire il sapore di quella lingua vellutata che le aveva
esplorate, accarezzate, prima di infilarsi senza permesso dentro di lui.
Gemette appoggiando la
fronte alle piastrelle fredde.
Non voleva pensarci.
Non voleva
assolutamente ricordare.
Ma come poteva
dimenticare il tocco delle sue mani...
Tutto il suo corpo era
ancora teso al ricordo di quelle sue lunghe dita, di quei suoi occhi
suadenti.
Ansimò piano mordendosi
a sangue le labbra, stringendo i pugni con forza, concentrando tutta la sua
volontà nel bloccare la mano destra che si era pericolosamente avvicinata
alla sua virilità.
Era ancora eccitato.
E la situazione non
migliorava certo se continuava a pensare a lui!
Perchè gli faceva
quell’effetto?
Perchè quel dannato
bastardo doveva riuscire ad annientare tutte le sue difese con uno sguardo?
Sussultò, sorpreso,
quando avvertì il tocco leggero delle sue stesse dita sul proprio sesso.
Non voleva farlo.
Non voleva masturbarsi
pensando a lui.
Gemette cercando un
appiglio mentre le sue dita stringevano piano il suo membro.
“Smettila...” ansimò
piano mentre la sua mano scivolava delicatamente verso l’alto.
“Smettila ti prego...”
gemette quando il pollice salì a strofinare la punta già umida.
“Non voglio...”
...
Rukawa gemette piano
ordinando alla mano del rossino di chiudere il getto caldo della doccia.
Creare il legame
mentale con lui non era stato difficile.
I suoi poteri gli
consentivano di fare cose molto più complicate che controllare il corpo di
un mezzo sangue a pochi chilometri di distanza da casa sua.
Quello che non aveva
calcolato era che, essendo legati, le sensazioni del rossino arrivavano
inevitabilmente fino a lui.
E mantenere la
concentrazione sull’incantesimo, attraversato com’era dalle ondate di
piacere che s’infrangevano sulla coscienza del rossino, non era esattamente
facile....
....
Hanamichi si ritrovò a
trascinarsi verso la sua camera da letto senza avere bene coscienza di ciò
che stava facendo.
Il suo corpo non gli
rispondeva.
Si accasciò sul letto
emettendo un sospiro quando la sua schiena nuda e ancora bagnata dalla doccia
bruscamente interrotta venne a contato con le lenzuola.
Si tese con un
sussulto ritrovandosi ad allargare le gambe per lasciare più spazio alla
tortura della sua stessa mano mentre la sinistra saliva a sfiorare un
capezzolo, pizzicandolo per poi massaggiarlo con i polpastrelli sensibili.
Scosse il capo
spargendo i capelli bagnati sulle lenzuola mentre la sua voce saliva in
gemiti inframmezzati da suppliche.
Non riusciva a
fermarsi... era come se le sue mani fossero guidate dalla volontà di qualcun
altro.
Ansimò inarcando la
schiena mentre la sua mente traditrice disegnava per lui l’immagine di un
Kaede nudo, splendido, che si chinava su di lui.
Portò la sinistra alle
labbra ritrovandosi a succhiare avidamente le sue stesse dita mentre la
destra stringeva il suo sesso facendolo sussultare e gemere.
Boccheggiò a fatica
quando le dita scivolarono fuori delle sue labbra, accarezzandogli il mento,
il petto, per poi correre lungo il fianco, in una languida carezza umida.
Singhiozzò supplicando
soddisfazione mentre quell’immagine mentale lo obbligava dolcemente a
sdraiarsi su un fianco.
La sua mano destra
prese a spingere con forza sul suo sesso, percorrendolo per tutta la sua
lunghezza, obbligando i suoi fianchi a rincorrerla con spinte sempre più
forti, alla ricerca di quel piacere che lo stava facendo annegare nella sua
luce senza tuttavia concedergli l’oblio dell’appagamento mentre la sinistra
ridiscese il suo fianco tracciando la soda rotondità delle natiche
scivolando lentamente tra esse.
Hanamichi trattenne il
respiro, sbarrando gli occhi, quando sentì il suo dito indice accarezzare la
piccola apertura.
“Smettila di
torturarmi...” ansimò supplicando non tanto se stesso quanto quell’immagine
mentale della volpe, che lo stava portando alla follia.
L’indice affondò nel
suo corpo strappandogli il respiro e un urlo quando la destra, con perfetto
sincronismo, si strinse sul suo sesso.
Si tese, ormai al
limite, gli occhi socchiusi, appannati, fissi su un punto che non riusciva a
vedere.
“Kaede...” supplicò e
l’immagine della volpe lo accontentò salendo un ultima volta ad accarezzare
il suo sesso, affondando con decisione anche il medio nel suo corpo.
Con un lungo lamento
Hanamichi macchiò le lenzuola del suo letto con il proprio sperma prima di
perdere i sensi.
....
Rukawa boccheggiò a
fatica lasciandosi cadere a terra, le gambe ormai troppo deboli per reggerlo
ancora.
Aveva i pantaloni
bagnati.
E l’aveva toccato solo
con il pensiero.
Che cosa sarebbe
successo il giorno in cui avrebbero fatto l’amore davvero?
....
Hanamichi si svegliò
poche ore più tardi rabbrividendo per la bassa temperatura.
Si sollevò a fatica
gettando a terra il lenzuolo bagnato, avvolgendosi solo nelle coperte.
Alla fine l’aveva fatto
davvero.
Aveva immaginato di
fare l’amore con lui.
Si era masturbato
pensando a lui.
Era venuto immaginando
che quelle due dita che avevano violato il suo corpo fossero il suo membro.
Aveva desiderato...
aveva voluto... Rukawa... dentro di se.
Affondò il capo nel
cuscino chiedendosi cosa aveva dimenticato.
“Abbiamo fatto
l’amore...”
Pazzo!
Era pazzo, come poteva
credergli?
Come poteva accettare
di essere andato a letto con quello che, per lui, pochi giorni prima era un
emerito sconosciuto.
Lui che non era
riuscito ancora a baciare una ragazza...
Già... ma da Rukawa si
era lasciato baciare.
L’aveva baciato a sua
volta.
E quelle loro ‘gare
d’apnea’ non potevano certo considerarsi i semplici tocchi di due persone che
giocano o sperimentano.
No... i loro baci erano
passione.
Liquida, incandescente
come lava.
E come magma bollente
quei baci avevano fuso tutto ciò che avevano trovato sul loro cammino.
La sua razionalità.
Il suo autocontrollo.
Le sue convinzioni.
La sua... anima....
Gemette stringendo con
forza il cuscino.
Perchè... perchè
nonostante lo sgomento, nonostante, la paura, nonostante la rabbia....
Perchè... si sentiva
così felice?
....
Rukawa giunse sulla
terrazza della scuola e si concesse un respiro a pieni polmoni, dell’aria
che sapeva di salmastro, prima di voltarsi verso la figura appoggiata alla
ringhiera, in silenzio.
Sakuragi era piombato
nella sua classe quella mattina con l’aria di uno che non aveva chiuso
occhio per tutta la notte, ordinandogli, più che chiedergli, di farsi
trovare sulla terrazza durante la pausa pranzo.
E Kaede era stato più
che felice di accontentarlo.
Le cose si stavano
muovendo.
Lo capiva dal modo in
cui lui evitava di guardarlo in volto, da come i suoi occhi lanciassero di
tanto in tanto una fugace occhiata alle sue labbra o alle sue mani prima che
sul quel volto abbronzato si stendesse un velo lieve di rossore.
Si sentì in colpa
quando il rossino sollevò il volto stanco per guardarlo.
Aveva imbrogliato.
Per averlo lo aveva
confuso, sconvolto.
Ferito anche.
Si morse le labbra a
quell’ultimo pensiero mentre Sakuragi lo fissava per un interminabile
secondo.
“Io...” cominciò,
restando però poi con le labbra socchiuse senza sapere cosa dire.
Rukawa gli si avvicinò
e Hanamichi fece forza sulla sua volontà per non fare un passo indietro.
Ma quella mattina negli
occhi della volpe non c’era la luce predatrice della sera precedente.
Ora nei suoi occhi
c’era dolcezza... tenerezza e... qualcosa di ancora più grande...
Il moretto sollevò una
mano accarezzandogli la guancia e il rossino chiuse gli occhi, stancamente,
reclinando il capo per appoggiarci il viso sopra.
Si era arreso.
Arreso dopo una notte
fatta di pensieri inconcludenti e negazioni inutili.
Era attratto da Rukawa.
Non avrebbe saputo dire
fino a che punto, ma era innegabilmente affascinato da lui.
Non aveva mai provato
le sensazioni che la volpe gli aveva dato, semplicemente pensando a
lui.
Non aveva mai sentito
il suo cuore esplodere come quando quegli occhi blu si posavano su di lui.
E poi c’era quella
sensazione...
Quella sensazione di
appartenenza... a lui.
Era dovuta al fatto che
avevano fatto sesso?
No... Rukawa aveva
detto... “abbiamo fatto l’amore...”
Ma come poteva averlo
amato e poi dimenticato?
Aveva passato la notte
a chiedersi se voleva indietro ciò che aveva perduto.
Rivoleva le sensazioni
che la sua mente aveva cancellato?
Desiderava riavere...
Rukawa?
Non lo sapeva con
certezza.
Che cosa aveva perso?
Passione?
Piacere?
O qualcosa di molto più
grande e prezioso?
L’unico modo che aveva
per trovare una risposta a quelle domande era riscoprire che cosa li legava.
Così quel mattino era
piombato nella classe del moretto e gli aveva chiesto di raggiungerlo lì.
Per porgli le sue
domande.
Per avere delle
risposte.
Per prendere una
decisione che gli avrebbe permesso di non impazzire.
Ma non appena lo aveva
visto pensieri e parole si erano dissolte e ora... ora ogni suo proposito si
scioglieva nel calore di quella carezza dolce, di quel calore lieve che gli
sfiorava la guancia.
Avvertì il fruscio dei
vestiti che venivano a contato e poi l’abbraccio protettivo, gentile, con
cui il volpino l’aveva avvolto.
Rimasero così a lungo.
Rukawa a godere del
semplice calore di quel corpo finalmente abbandonato tra le sue braccia,
Hanamichi a chiedersi perchè in quel momento si sentiva per la prima volta
dopo tanto, tantissimo tempo, veramente in pace.
“Dammi una
possibilità...” gli sussurrò il moretto all’orecchio prima di porgli due
dita sotto il mento, costringendolo ad alzare lo sguardo.
“Voglio fare l’Amore con
te....” disse, sottolineando la parola in modo da far intendere bene al
rossino che non si riferiva alla mera unione dei corpi, che voleva l’unione
delle loro anime.
“Concedimi un mese di
tempo per convincerti...” mormorò dolcemente “Un mese e poi accetterò la tua
decisione...” sussurrò e Hanamichi lesse in quei ferrei occhi blu un tale
disperato bisogno, in quella voce gelida una nota così spaventata che non potè che annuire piano con il capo.
Il moretto gli sorrise
dolcemente allungando il viso per sfiorargli le labbra con le proprie.
Un tocco leggero e
delicato, fatto solo di riverenza e rispetto prima di sedersi a terra
attirandolo nuovamente tra le sue braccia.
“Mi dispiace se ti ho
fatto piangere...” sussurrò passandogli dolcemente una mano tra i capelli
rossi, alludendo agli occhi gonfi del numero dieci.
Questi emise un sospiro
accoccolandosi contro di lui, allontanando tutti i se, i forse
e i no, per appoggiare il capo contro la sua spalla e, cullato dal
suo calore, scivolare in un sonno esausto.
....
Hanamichi fissò il
moretto che lo attendeva appoggiato la muro della scuola.
Rukawa gli aveva
chiesto di uscire e in virtù di quella promessa che gli aveva fatto il
mattino, sulla terrazza, Sakuragi aveva accettato anche se ora si sentiva
pieno di dubbi.
Che cosa facevano due
ragazzi insieme?
Mica potevano
passeggiare mano nella mano o cose del genere?
Come funzionava la
cosa?
Lui non era mai
arrivato al punto di avere nemmeno una fidanzata, figurarsi un fidanzato!!
“Do’hao ti sei
addormentato?” gli chiese Rukawa fissandolo, divertito nel leggere sul volto
del ragazzo tutte le sue perplessità.
“Non offendere il
genio!” tuonò il rossino riacquistando tutta la sua verve “E poi quello che
dorme in piedi sei tu!” sbottò incrociando le braccia sul petto.
“Dai andiamo...”
sospirò il moretto afferrandolo per un polso e cominciando a trascinarlo per
il marciapiede.
Hanamichi si divincolò
prima di affiancarglisi e seguirlo verso il centro.
Nonostante gli seccasse
ammetterlo doveva dire che l’idea della volpe per il loro primo appuntamento
gli piaceva.
Il moretto l’aveva
portato al cinema a vedere l’ultimo film d’azione uscito.
Guardare il film lo
toglieva dal terribile impaccio del: “cosa dico, cosa faccio” mentre il buio
della sala concedeva loro un po’ d’intimità.
Pochi minuti dopo che
le luci si furono spente il volpino fece scivolare la sua mano sulla sua, un
tocco leggero, senza ulteriori scopi che non quello di far sentire al
compagno la sua vicinanza.
Uscirono dal multisala
mescolandosi alle altre persone prima di dirigersi verso casa, fermandosi a
mangiare il ramen ad un chiosco prima di decidere di separarsi per ritornare
alle rispettive abitazioni.
“Bhe... buona notte...”
mormorò Hanamichi, leggermente impacciato, quando giunse il momento dei
saluti.
Erano soli nella
piccola stradina secondaria che conduceva a casa sua.
Aveva passato un
pomeriggio piacevole come non avrebbe mai creduto possibile e
ora...
Un po’ gli dispiaceva
lasciarlo.
Scosse il capo
allontanando quel pensiero.
“Buona notte do’aho..”
gli sussurrò il volpino prima di posargli un bacio fugace sulle labbra.
Hanamichi rimase a
fissarlo inebetito, allontanarsi, per diversi minuti, prima di urlare con
tutto il fiato che aveva in gola: “Do’aho a chi stupida volpeeeeeee!!”
...
Dopo quella prima sera
divenne una specie di silenziosa consuetudine, per loro, uscire al termine
degli allenamenti.
Il più delle volte si
limitavano a partite di basket al campetto vicino alla spiaggia o ad andare
a mangiare insieme.
Avevano cominciato a
parlare... o meglio Hanamichi parlava e Rukawa ascoltava.
Le prime volte il
rossino aveva pensato che il compagno si limitasse a dormire con gli occhi
aperti invece era rimasto piacevolmente sorpreso nel notare, dai piccoli
mugolii di commento e da qualche sporadica domanda, che la volpe lo stava
ascoltando davvero.
Il mese promesso era
così trascorso fin troppo velocemente per Hanamichi.
Gli piaceva la muta
complicità che si era sviluppata tra lui e la volpe.
E, nonostante non
volesse ancora ammetterlo, gli piacevano quelle piccole, invisibili,
attenzioni del volpino, per lui, quel suo atteggiamento lievemente
minaccioso nei confronti di chi gli si avvicinava, il modo protettivo con
cui cercava, senza però farglielo notare, di proteggerlo.
Sapeva sempre come
fargli sentire la sua presenza e il suo affetto senza tuttavia limitare la
sua libertà.
Lo
sfiorava o lo accarezzava in continuazione ma non si era spinto a niente di
più, attendendo che fosse lui a fare il primo passo.
Si erano dati qualche
bacio leggero ma non si erano più trovati ad annegare l’uno nell’altro così
come la prima volta in palestra.
Hanamichi sospirò
lanciando uno sguardo al volpino che ascoltava il suo walkman, l’attenzione
puntata sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino del treno.
“Tutto ok Sakuragi?”
gli chiese Kogure posandogli una mano sul braccio.
“Eh?” chiese il rossino
riscuotendosi bruscamente dai suoi pensieri.
“Non preoccuparti anche
se è la tua prima partita è solo un’amichevole...” lo rassicurò il vice
capitano pensando che il ragazzo fosse teso per l’imminente incontro con il
Ryonan.
Il rossino gli sorrise
proclamando che il Tensai non aveva certo paura di quelle mezze cartucce,
accantonando i pensieri con un risata.
...
La partita era finita.
Avevano perso e gli
dava fastidio.
Non tanto per la
partita in se quanto per... Sendoh!
Non gli era piaciuto.
Non gli era piaciuto
per niente come aveva sfidato Rukawa.
Non gli era piaciuto
come Rukawa aveva ceduto alle sue provocazioni.
Un rivale.
Quella parola lampeggiò
nella sua mente strappandogli il respiro.
Non aveva fatto niente
per far capire a Rukawa se aveva delle speranze durante quel periodo di
prova.
Certo non aveva fatto
niente nemmeno per scoraggiarlo però...
E se il volpino si
fosse stancato di rincorrere qualcuno che non sembrava volerlo?
Se avesse deciso che
Sendoh era più attraente e più disponibile di lui?
Quella mattina era
ancora pieno di dubbi su quali fossero i sentimenti che lo legavano al
volpino ora...
Ora il terrore che gli
attanagliava le membra poteva avere un solo significato....
Si era innamorato della
volpe.
Aveva la risposta alla
domanda di Rukawa.
Uscì dagli spogliatoi
ancora avvolto nei suoi pensieri indeciso sul da farsi.
Doveva andare dalla
volpe e dirgli la verità?
Doveva confessargli di
essere infine riuscito a dare un nome al suo sentimento?
Il suono di una voce
conosciuta lo fece arrestare di scatto.
Poco più avanti nel
corridoio Akira stava parlando con Rukawa.
Hanamichi s’impose
d’ignorare la voragine che si creò nel suo stomaco quando l’asso del Ryonan
chiese alla sua volpe di uscire quella sera stessa.
Strinse la mascella
passando loro accanto a passo di marcia, deciso ad ignorarli, qualsiasi
fosse stata la risposta di Rukawa, ma il moretto allungò una mano
afferrandolo saldamente per un braccio.
“Che vuoi stupida
volpe, lasciami andare!!” gli ringhiò contro Hanamichi.
“Do’aho...” fu tutto
quello che gli rispose la volpe lanciandogli uno sguardo indecifrabile.
Sendoh tuttavia
ridacchiò sollevando entrambe le mani in segna di resa.
“Ok... messaggio
recepito!!” disse stupendo non poco il rossino che invece non era riuscito a
capire che cosa stava accadendo.
“Scusami Rukawa non
sapevo fossi già impegnato...” disse l’asso del Ryonan allontanandosi per il
corridoio sventolando una mano.
“Co...come.. cosa...?”
mormorò il rossino confuso guardando prima il numero sette che se ne andava
e poi il volpino che ancora lo teneva per un braccio.
Rukawa sospirò
scuotendo il capo esasperato.
“Non importa...” disse
con una scossa di spalle.
“Sì che importa
invece!!” tuonò Hanamichi furente “Quello lì ci prova con il mio ragazzo e
poi se ne esce con delle frasi strane e io voglmphh...” non riuscì a
terminare la frase che si ritrovò addossato alla parete, le labbra
dell’amante sulle sue.
Cercò inutilmente di
resistergli per alcuni secondi prima di arrendersi e sollevare le braccia
per cingergli il collo rispondendo alla carezza della sua lingua.
“Perchè...?” gli chiese
con voce roca pochi minuti dopo che si erano separati.
Rukawa sollevò un
sopracciglio in silenzio.
“Pe..perchè questo
bacio così... così...” Hanamichi arrossì ma non terminò la frase.
“Do’aho...” soffiò il
moretto con un lieve sorriso sulle labbra “...non ti sei accorto di quello
che hai detto?” gli chiese dolcemente.
Hanamichi aggrottò la
fronte “Che Sendoh dice delle cose strane?” provò.
Rukawa scosse il capo
“Hai detto che ci prova con il tuo ragazzo...” gli ricordò facendolo
boccheggiare, per un momento, incredulo.
Era così arrabbiato che
gli era sfuggito!!
“E’ questa la tua
risposta Hana?” gli chiese accarezzandogli una guancia con la mano.
Hanamichi gli sorrise
posando il volto su quella dita lunghe e calde “Sì: questa è la mia
risposta.”
Rukawa annuì, facendo
un passo indietro, tendendogli una mano “Andiamo a casa...” sussurrò e
Hanamichi gli ricambiò il sorriso intrecciando le dita con le sue,
avviandosi con lui verso l’uscita della palestra.
...
Il sole li osservava
camminare uno accanto all’altro scivolando piano, sempre più in basso sulla
linea dell’orizzonte, quasi volesse avvicinarsi ai due, per spiarli,
nonostante le nuvole si tingessero del suo arrossato imbarazzo nel notare le
occhiate fugaci e il leggero sfiorarsi delle mani dei due ragazzi che si
stavano dirigendo verso
quel luogo che li avrebbe visti uniti senza più possibilità di negazione o
rifiuto.
“Ecco... siamo
arrivati..” mormorò piano Rukawa, quasi temesse che se avesse rotto il
morbido silenzio che li aveva avvolti il suo rossino avrebbe trovato una
scusa per scappare.
Hanamichi osservò la
piccola villetta elegante.
“I tuoi?” chiese
improvvisamente irrigidito dall’idea di trovarsi di fronte alla famiglia del
volpino ma il moretto scosse il capo, porgendoli un sorriso.
“Vivo solo con mia
madre ma questa settimana e a Kyoto per lavoro” lo informò ringraziando
mentalmente Raja per aver scelto di fare la rappresentante.
“Oh...” mormorò
solamente, il rossino, osservandolo mentre armeggiava con le chiavi di casa.
La porta si aprì e
Rukawa si volse verso di lui tendendogli nuovamente la mano.
Hanamichi fissò il
palmo candido per un momento prima di porvi la sua sopra e lasciarsi tirare
dentro.
La porta si chiuse alle
sue spalle con lo stesso, piccolo, tonfo che fece il suo cuore nel
constatare che erano, per la prima volta, davvero soli, insieme.
E stavano per fare
l’amore...
“Hana...” la voce del
moretto, così vicina al suo orecchio lo fece sussultare violentemente.
Rukawa gli scostò con
dolcezza una ciocca rossa dal volto imbarazzato “Hey...?” mormorò
avvicinandosi per guardarlo negli occhi improvvisamente sfuggenti.
Gli mise una mano sotto
il mento obbligandolo a sollevare il viso prima di posare delicatamente le
labbra sulle sue.
Lo baciò piano,
accarezzando con riverenza quella bocca morbida, passandovi delicatamente la
lingua senza tuttavia forzarla.
Hanamichi emise un
lieve sospiro contro la sua pelle allungando le braccia per stringerle alla
sua schiena prima di socchiudere le labbra e lasciare che la sua lingua
scivolasse tra esse ad incontrare quelle del volpino.
Si staccarono qualche
minuto più tardi, solo di pochi centimetri, per fissarsi un momento e questa
volta Hanamichi non potè evitare gli occhi azzurri del compagno.
“Hana... va tutto
bene?” gli chiese Rukawa dolcemente, passandogli una mano tra i capelli
rossi.
Non voleva forzarlo.
Voleva che fosse amore.
Nessun istinto animale
questa volta.
Nessun imbroglio.
Soltanto loro e quel
sentimento che era sbocciato nei loro cuori non una, ma addirittura due
volte.
Sakuragi socchiuse gli
occhi, come un gattino che faceva le fusa, prima di regalargli un sorriso
tinto d’imbarazzo e candore.
“Voglio fare l’amore
con te...” mormorò e la sua voce ebbe un emozionato, lieve, tremito, nel
pronunciare quelle parole che tuttavia non contenevano dubbio.
Kaede non aggiunse
frasi inutili, si limitò a coprire nuovamente la piccola distanza che li
separava posando le labbra sulle sue in un tenero bacio.
“Andiamo di sopra..”
mormorò poi, intrecciando le dita candide con quelle dorate, indicandogli le
scale.
....
La porta della camera
da letto si chiuse con un piccolo ‘clack’ prima di accogliere contro la sua
lucida superficie il corpo del rossino allacciato a quello del drago nero.
Le giacche caddero a
terra, dimenticate, così come le camicie e i pantaloni che vennero slacciati
e poi lasciati scivolare sul pavimento, morbidi petali di tessuto che
andavano sfaldandosi permettendo al cuore del fiore di mostrarsi infine in
tutta la sua fragile, magnifica, purezza, all’aria della prima sera.
Il sole morì con un
ultimo
sospiro, annegando la stanza in un mare di velluto rosso, mentre Rukawa
faceva
sdraiare il compagno, ormai nudo, tra le lenzuola chiare.
Le loro bocche si
incontrarono ancora, giocando, rincorrendosi e trovandosi in morbidi morsi e
sensuali intrecci tra i quali si accoppiavano i loro respiri sempre più
affrettati.
Hanamichi tese la
schiena quando i loro corpi vennero a contatto strappando dalla gola candida
del suo amante un lento ansimo sensuale.
Le mani di Kaede
scivolarono lungo la linea dell’addome per poi scendere a stringere i
fianchi mentre la sua bocca venerava ogni centimetro di quella
seta dorata facendo rabbrividire e sospirare l’angelo che teneva tra le
braccia.
Rukawa socchiuse le
labbra allungando la lingua per leccarle con dolcezza quel corpo abbandonato
con languida arrendevolezza tra le lenzuola del suo letto mentre le sue
mani, il palmo aperto e le dita allargate, quasi volesse coprire con esse
più superficie possibile, scivolano ad aiutare quelle schiena arcuata a
tendersi verso di lui.
Gli baciò il ventre
spingendo poi la lingua a tracciarne la morbida linea, precipitando giù,
lentamente, tra le sue gambe e Hanamichi ansimò con
forza, mordendosi le labbra nel cercare di soffocare i gemiti, alzando il
bacino verso quelle labbra calde e umide che non si fecero pregare,
aprendosi per lui, accogliendo con grazia, accarezzandolo con riverenza.
I gemiti del rossino
salirono velocemente di tono mentre stringeva spasmodicamente le mani
tra i capelli neri del compagno.
Rukawa prese a suggere
piano, salendo e scendendo, stringendo le labbra quando si allontanava,
allargandole quando lo accoglieva, premendo la lingua sulla punta del suo
membro, teso, quando lo sentiva fremere più forte, raccogliendo le piccole
stille perlacee che si formavano su di esso.
“Kae... Kaede... “ la
voce di Hanamichi era poco meno di un rantolo spezzato dagli ansimi.
Rukawa lasciò il suo
sesso strappandogli un sussulto e un lamento prima di ripercorrere al
contrario la strada che aveva fatto per scendere, ancorandosi con le mani ai
suoi fianchi, attirandolo contro di se, costringendolo dolcemente ad aprire
le gambe per accoglierlo contro il proprio corpo.
Si baciarono con una
passione che aveva ormai sciolto in essa ogni altra cosa, affondando le
lingue uno nella bocca dell’altro alla ricerca di un contatto profondo e
intimo che permettesse loro di scindersi per poi ricomporsi in un essere
solo.
Kaede spinse la mano
destra lungo il suo fianco e Hanamichi sollevò i glutei per lui, invitandolo
a toccarlo.
Il moretto allora fece
scendere la sua mano tra le gambe dell’amante, strofinando il palmo sul suo
sesso bagnato di sudore, saliva e sperma, torturandolo con le lunghe dita,
prima di spingere la mano ancora più a fondo, più indietro, facendo
strofinare il polso e l’avambraccio contro il suo membro teso, nel momento
stesso in cui le sue dita si aprivano un varco tra le natiche alla ricerca
della piccola porta tra esse.
Hanamichi strinse il
labbro del volpino tra i denti, strappandogli una minuscola stilla di
sangue, quando l'indice scivolò dentro di lui rubandogli un
grido.
Rukawa raccolse il suo
stesso sangue con la lingua prima di cercare nuovamente la bocca del
compagno per mescolare anche quel sapore con lui e il rossino strinse le
mani sulle sue spalle scendendo a baciargli il collo, a leccargli il lobo
dell’orecchio, così come gli aveva insegnato a fare mentre il volpino
premeva anche l’anulare contro di lui facendosi strada nel suo corpo.
Kaede quasi urlò quando
sentì Hanamichi ansimargli direttamente nell’orecchio, il suo fiato caldo
gli sfiorò la pelle umida in un’onda violenta e impalpabile che
s’infranse sulla sua cute tramutandosi in miriadi di piccoli brividi
assassini.
Ricordava che una
volta, da piccolo, aveva attaccato la presa delle lucine di natale ad un
interruttore con un voltaggio troppo alto.
Le piccole sfere di
vetro iridescente erano saltate una dopo l’altra con una serie di
scoppiettii consecutivi e un’esplosione di frammenti d’incandescente luce
colorata.
Così quell’ansimo aveva
ridotto le sue cellule.
Non poteva più
aspettare e il modo in cui Hanamichi lo invocava gli fece capire che anche
il rossino era ormai giunto al limite.
Fece scivolare le dita
fuori dal suo corpo solo per stringerlo a se con forza, appoggiando il pene
contro quell’anfratto caldo, ora deliziosamente umido e socchiuso per lui.
Sollevò il viso
affondando nell’oro liquido del suo sguardo, tinto dell’ultimo ansimo del
sole e del primo sospiro della neonata sera prima di affondare in lui con
delicata decisione.
Hanamichi si tese
chiudendo gli occhi, riversando il capo sui cuscini mentre le sue labbra
bagnate si socchiudevano a liberare un suono sensuale e roco che Rukawa
rincorse, cercandogli la
bocca con passione, desideroso di catturare e assorbire quel
gemito che l’aria attorno a loro aveva ingiustamente assaggiato.
Si tese nel suo corpo,
aiutandolo con le mani a sollevare i fianchi, accompagnandolo dolcemente in
quelle prime, incerte, spinte, gli occhi che si cercavano e si sfuggivano,
socchiudendosi quando il piacere inarcava i loro corpi.
Trovò con lui un ritmo
delicato e forte, lento e profondo, che li faceva tendere e ansimare
avvolgendoli nelle sue scintillanti onde di calore e luce, travolgendo e
rimescolando ogni loro pensiero, fondendoli in un unica stella pulsante
fatta di ansimi e gemiti, di piacere e unione.
La sera era scesa
silenziosa, quasi timorosa di disturbare, avvolgendo la stanza nei suoi veli
d’ombra leggera quando la vista di Hanamichi si tinse di una calda luce
dorata nel sentire il proprio calore lasciarlo e quello del compagno
riempirlo premurosamente.
Si accasciarono esausti
tra le lenzuola arruffate, osservandosi quasi con curiosità, prima di
regalarsi un dolce sorriso e un candido bacio, leggero, sulle labbra gonfie.
“Ti amo...” mormorò
piano Hanamichi scostando con incantata riverenza una ciocca umida dal volto
candido del compagno, ancora steso su di lui, ancora dentro di lui.
“Ti amo..” ripetè
Rukawa chinandosi a sfiorargli le labbra con un altro lieve bacio prima di
scivolare con delicatezza fuori da quello scrigno caldo.
Hanamichi sospirò
piano, prima di accoccolarsi
tra le sue braccia, il capo appoggiato al suo petto.
Strofinò la guancia
contro il suo torace lasciando che le palpebre
calassero pesanti a velargli lo sguardo, stringendo la mano che Rukawa aveva
fatto scivolare ad intrecciarsi con la sua, per non lasciarlo solo, nemmeno
nel sonno.
La luna li trovò così,
addormentati, l’uno tra le braccia dell’altro.
...
Kaede socchiuse le
palpebre sollevando una mano per proteggere gli occhi dai primi raggi del
nuovo giorno.
Lo sguardo scivolò
inevitabilmente alla figura che dormiva placidamente, accoccolata contro il
suo fianco.
I capelli rossi, una
macchia carminio contro il suo petto candido, le pelle abbronzata, tinta
d’oro dalla carezza del giorno.
Rukawa gli passò una
mano sul viso accarezzando il volto dell’amato, piano, con la stessa
delicata riverenza dei raggi solari che ora li avvolgevano nel loro tiepido,
impalpabile, abbraccio.
“Kaede...” Hanamichi
socchiuse gli occhi fissandolo per un momento confuso, prima di sorridergli.
“Buongiorno...” mormorò
Rukawa regalandogli una bacio leggero.
Hanamichi rincorse le
sue labbra per richiederne un altro e solo dopo un terzo i due si
separarono.
“Sai... ho fatto un
sogno strano...” mormorò il rossino “... eravamo tu e io su un grande prato
che non avevo mai visto.. eppure mi sembrava tutto così familiare...”
sussurrò.
Rukawa gli sorrise
dolcemente passandogli una mano tra i capelli rossi.
“Hai sognato Asgard...”
mormorò.
“Asgard?” chiese il
rossino trovando quelle sillabe familiari.
Rukawa annuì piano “E’
il luogo dove abbiamo fatto l’amore la prima volta...” gli spiegò facendo
scivolare la mano tra i suoi capelli rossi, giocando distrattamente con le
sue ciocche.
“Ohh...” mormorò
Hanamichi, godendo di quella lieve carezza prima di rendersi conto del
significato delle parole del compagno.
Sbarrò gli occhi
voltandosi di scatto verso di lui “Vu...vuoi dire che abbiamo fatto l’amore
su un prato??” chiese preso dal panico.
Rukawa rise alla sua
espressione buffamente spaventata “Non ci ha visto nessuno do’aho.. almeno
credo..” aggiunse sadicamente.
“Come sarebbe a dire
‘almeno credo’!!” tuonò Sakuragi passando dal pallore mortale al rosso
aragosta.
“E’ una lunga
storia...” sussurrò il volpino fissandolo con uno sguardo enigmatico,
chiedendosi se il compagno fosse pronto per sapere la verità.
Tutta la verità...
“Tanto, comunque, non
ti libererai di me molto presto..” lo avvertì minaccioso Hanamichi,
incrociando le braccia sul petto.
“Bene allora...”
mormorò Kaede, felice dall’ostinata determinazione che leggeva nelle iridi
del suo amante.
“Un giorno... un
giorno l’avrei ritrovato e allora.... gli avrei fatto mantenere la sua
promessa....” sussurrò cominciando a raccontare mentre, oltre la
finestra, il primo sole saliva a lambire il cielo con la luce incandescente
di un nuovo giorno.
fine...
Tantissimi auguri di buon compleanno Ria e un grazie grande come
tutto quello che fai sempre per me ^_^
Ahhh....!!! Avrei voluto scrivere una
dedica un po' più carina (e magari anche una fic più decente ^^''') ma mi
ritrovo sempre senza parole quando si tratta di queste cose >///<
Tantissimi auguri ancora!!! (_ _)
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