Ovviamente, i personaggi della serie "Robin
Hood" non sono miei, altrimenti la trama sarebbe molto diversa, e dal mio
scritto non ricavo neppure un centesimo.
Il peccato di un angelo
di Aine Really
Marion si stava mordicchiando
l'unghia del pollice da ormai dieci minuti.
Non era da lei essere nervosa, ed esserlo fino al punto di ricadere in quel
brutto vizio da bambina non faceva che aggiungere più di una punta di amaro al
suo umore già alterato.
Detestava quando le succedeva di avere quelle "sensazioni".
Suo padre insisteva nel dire che erano solo delle "impressioni", cose da
prendere alla leggera perché prive di importanza, lasciando poi intendere, tra
le righe, che esse erano tipiche dell'altra metà del cielo.
Idee da niente, dunque. Ma non per chi riusciva a provarle con la medesima
intensità di un'emozione. Era impensabile sentire formicolare la propria pelle
e lasciar perdere, magari scambiando il brivido per l'effetto di un freddo
che, guarda caso, non sarebbe arrivato se non da lì a sei mesi.
Era estate, e la stagione era autentica quanto la convinzione di Marion di
non essersi immaginata nulla.
L'ultimo pezzetto dell'unghia scricchiolò tra i denti serrati prima di
spezzarsi ed una breve scossa di dolore trafisse il dito. La giovane soffocò
un'esclamazione che le avrebbe causato problemi maggiori di essersi rovinata
le mani - ed a quell'età, poi! - se suo padre l'avesse sentita.
A volte, non era facile essere una ragazza.
Forse era vero: le sensazioni provate erano solo una curiosa caratteristica
del suo sesso, ma per lo stesso motivo non le riusciva proprio di considerarle
prive di valore. Ben più difficile era ignorarle...
Come quella mattina, ad esempio. Niente avrebbe potuto farle cambiare idea
sul fatto che Sir Gisborne non era quello di sempre. Non si era affatto
sorpresa di trovarlo alla sua porta: le visite erano tanto puntuali da poterle
prevedere con noiosa precisione, persino nelle ultime settimane, quando esse
erano progressivamente aumentate fino a garantire almeno un "saluto alla più
bella dama del Regno" al giorno. Marion aveva da tempo smesso di impensierirsi
per la corte del cavaliere: riteneva di avere abbastanza nervo per tenere a
bada il pretendente, e sufficiente cervello da mascherare il tutto da
virginale ritrosia. Dentro si sé, ella non poteva nascondere di essere
lusingata dalle attenzioni di un uomo di sicuro fascino, tuttavia non
bisognava avere un intuito speciale per capire che il braccio destro di un
essere abietto come lo Sceriffo non sarebbe mai stato un corteggiatore, né
tanto meno uno sposo come gli altri.
Marion si sentiva combattuta ed insieme intrigata, durante i suoi colloqui
con Gisborne: era certa che qualcosa di tremendo si celasse nel passato
dell'uomo, un mistero capace di legarlo a doppio filo ai piani del suo
padrone... eppure, nel profondo del cuore, la giovane si era convinta che il
cavaliere non fosse votato al male quanto lo Sceriffo. Probabilmente, l'unica
cosa di lui che fosse completamente nera non era l'anima, ma i suoi vestiti.
Per quanto colpevole di chissà quanti peccati, poteva un uomo essere già
considerato dannato se nei suoi occhi brillava una luce capace di togliere il
fiato a Marion fin dal loro primo incontro? Anche un assassino poteva
commuovere il cuore di una donna, se ella leggeva in lui una fame di
redenzione pari a quella che la giovane vedeva nello sguardo del pretendente.
Marion sentiva di ricevere un dono prezioso ogni volta che il cavaliere
assumeva quell'espressione particolare, così diversa, per non dire opposta al
contegno militare di quando dava ordini ai suoi uomini o, peggio ancora, si
trovava al fianco dello Sceriffo. Le era ormai chiaro che Sir Guy l'aveva
scelta come confidente, prima ancora che come dama da corteggiare, e ciò le
bastava per non rifiutarsi mai quando lui si presentava con una scusa.
In fondo, non era difficile avere uno spasimante. Persino Robin era capace di
mostrarle il proprio interesse, benché in un modo ancora acerbo, da ragazzino
presuntuoso e sicuro, anche troppo sicuro di sé.
Era piacevole essere cercata da due uomini così diversi. I più diversi, in
effetti.
Ma neppure ricevere collane d'argento come timido dono o doversi ritrarre per
rifiutare la richiesta sfacciata di un bacio alla finestra della propria
camera potevano competere col privilegio raro, incredibile, di essere un
angelo agli occhi bruciati di un'anima perduta che chiedeva aiuto assieme
all'amore.
Ogni sguardo del cavaliere nascondeva qualcosa di tanto complesso da non
poter essere definito con chiarezza, né del tutto. C'era della paura, questo
sì... Per almeno un'infinità di cose. Marion la sentiva. Allo stesso modo, lei
sapeva di avere di fronte rabbia e speranza e disperazione, senza per questo
avere bisogno di riconoscerle.
Nella mattina, solo poche ore prima, aveva visto ancora del nuovo.
Un sentimento più confuso degli altri, seppure abbastanza nitido da averne
potuto scorgere la crescita, nei giorni passati. Ogni volta un poco di più, ed
ecco quello sguardo fatto di tanti altri, tutti sovrapposti. Che cos'era? La
giovane se lo domandava senza trovare risposta e non se ne stupiva: come
angelo, quella era forse la sua prima prova davvero difficile.
Decifrare l'anima di un altro essere vivente non è cosa da poco: non si è
avvantaggiati come nel conoscere se stessi, dove almeno si ha l'aiuto
apparente delle proprie idee.
L'altro da sé era un regno straniero. Se Gisborne lo era persino per un
angelo nato sulla terra, l'angelo che egli stesso cercava, Marion non l'aveva
ancora deciso.
Per il momento, la prova era lontana dall'essere superata; la giovane aveva
dieci dita ridotte ad unghie sfogliate e pellicine rosse a darne
testimonianza.
Alla fine, decise di non poter aspettare oltre.
Con una scusa uscì di casa e, sul suo cavallo sellato in fretta, si diresse
decisa verso Locksley. Mentre le attraversava veloce, quelle terre le
ricordarono per un attimo il fuorilegge a cui erano state tolte: era più di un
anno che esse avevano cambiato proprietario, ma ancora conservavano il nome di
quello vecchio. E legittimo. Si sarebbe potuto sospettare che ciò fosse
un'altra prova del dubbio umorismo dello Sceriffo.
Marion spronò la propria cavalcatura: non era l'occasione adatta per pensare
a Robin. Nella sua testa vorticavano già troppi pensieri, e non valeva la pena
perdersi a farsi domande per un ragazzo ancora impastato di incoscienza,
specie quando egli era tanto incurante da sparire assieme alla sua banda per
ormai una settimana, senza farle avere alcuna notizia.
Come se desse per scontato che a lei non importasse.
Tipico, veramente tipico.
Quanto bisognava essere arroganti per credere di conoscere qualcuno al punto
da decidere al suo posto?
Animale!
Il cavallo rallentò in un trotto tranquillo in prossimità dell'edificio in
pietra. Marion smontò senza aspettare che si fermasse, cadendo sui piedi uniti
e con equilibrio impeccabile. Si rimproverò appena per essere stata tanto
distratta dal fare qualcosa che una normale amazzone non avrebbe neppure
sognato, e per giunta dove poteva essere vista: era troppo concentrata su ciò
che aveva deciso di fare per pensare ad altro.
Dopo un respiro profondo, bussò al pesante portone, mentre tra sé faceva un
rapido riassunto del piano: col pretesto di una visita di cortesia, avrebbe
conversato con Gisborne del più e del meno fino a quando la luce misteriosa
non sarebbe riapparsa negli occhi del cavaliere; quindi, con domande e piccole
astuzie, avrebbe guidato il discorso seguendone il luccichio, la scia... non
importa per quanto flebile potesse essere... così da potersi avvicinare alla
sua origine, se non addirittura scoprirla.
Semplice, facile. Del resto, ella non faceva altro che anticipare il loro
prossimo incontro.
Finalmente, le aprì un vecchio servitore: questi non esitò a farla entrare e,
sapendo quanto detestasse ricevere inchini da coloro che la legge voleva sotto
di lei, sostituì il saluto dovuto ai nobili con un largo e sincero sorriso per
quella dama che conosceva da quando era bambina.
Marion chiese di Gisborne e le fu detto che egli si era ritirato nelle sue
stanze, dando l'ordine tassativo di non venire disturbato.
Bene, pensò la ragazza. Se l'uomo riusciva a chiudersi in una stanza,
l'umore non poteva che essere quello giusto. Ciò che lei aveva notato al
mattino doveva essere cresciuto al punto da fargli cercare la solitudine. Le
risposte sarebbero venute fuori prima e più facilmente, se il cavaliere si
stava già interrogando nel segreto delle proprie riflessioni.
Intuendo l'imbarazzo del servo, e probabilmente un malcelato timore di
suscitare la rabbia del padrone, Marion rifiutò che il vecchio lo andasse ad
avvisare del suo arrivo.
"Vado da me, vi ringrazio. Conosco la strada."
In fondo, lei era venuta per parlargli in privato, e prima loro due
sarebbero rimasti soli, prima lei avrebbe avuto la risposta che cercava. Salì
le scale con il cuore in gola, ed i passi misurati che il decoro imponeva alle
donne del suo rango non le sembrarono mai tanto detestabilmente corti e lenti.
C'era solo da sperare che la sua visita a sorpresa non venisse fraintesa.
Sinceramente, le sarebbe dispiaciuto illudere il suo corteggiatore più di
quanto egli non facesse già da solo.
Doveva essere calma, si ripeté, e giocare d'ingegno. Aveva affrontato rischi
peggiori di un innamorato del genere cui apparteneva Sir Guy.
Appena mise il piede sull'ultimo gradino, ne udì la voce. Era calma, e se
lei non si fosse mossa con passo di gatto non avrebbe potuto sentirla da oltre
la porta di legno. Chiusa.
"E' molto che ti aspetto."
Impossibile trattenere un sussulto: come aveva fatto l'altro a sapere della
sua presenza? L'idea che egli avesse potuto vederla arrivare a cavallo venne
accantonata non appena la dama si ricordò che le finestre di quella parte del
maniero davano sul lato opposto alla strada da cui era giunta.
"Lo so."
Ecco, questo era decisamente inaspettato. Marion sentì la pelle formicolarle
tutta ed all'improvviso, nel provare la strana sensazione di sapere a chi
apparteneva la seconda voce ed insieme non trovare un motivo valido o almeno
logico per poterci credere. Di base, era qualcosa di molto simile ad una
normale sorpresa, ma ci mise poco per farsi più elettrizzante, come se si
fosse mescolata con dell'imbarazzo.
Imbarazzo? E per quale motivo?...
"Anche se una settimana mi sembra molto diversa da un'eternità." andò avanti
la seconda, conosciuta voce.
E' lui!, si disse Marion.
Ogni parola, ogni singola sillaba rendeva la certezza più ferrea, nonostante
lo stupore non volesse ancora svanire. Era lui, non c'erano dubbi! Impossibile
confondere quel timbro giovane, il tono pieno d'orgoglio e sfacciataggine. Non
c'era bisogno di vedere il volto per sapere che ora, c'era da giurarci, vi era
dipinto uno di quei sorrisi che ben riassumevano il carattere del fuorilegge.
"Tu dici?"
Gisborne era calmo e freddo come in qualsiasi altro incontro con il suo
nemico e, bisognava dirlo, rivale. Per lo meno, all'inizio di esso: un fugace
momento di quiete prima della tempesta, in un certo senso, quando i due si
studiavano, si sfidavano e, specie da parte di Robin, si davano
deliberatamente sui nervi. Una ricetta collaudata e dal fin troppo noto
effetto.
"Già. Questa settimana è stata molto peggio."
Ma che stava succedendo? Marion non capiva. Robin era davvero così stupido
da andare a cercare Gisborne per provocarlo? E dopo non essersi fatto vivo,
con lei, per giorni interi?
Dentro la giovane stava suonando una campana: il suono era ancora lontano, ma
lei poteva udirlo, secco e frenetico come quando si dava l'allarme di un
incendio.
Che cosa sta succedendo?! si domandò nuovamente
Sentì il cuore iniziare a correre.
A quel punto, non fu più capace di trattenersi: senza rendersene nemmeno
conto, spinta da chissà quale istinto, si ritrovò in ginocchio ad accostare
l'occhio al buco della serratura.
Va bene, quello era decisamente il giorno del ritorno all'infanzia...
L'occhio mise a fuoco il piccolo lembo di stanza giusto in tempo per vedere
Sir Guy attraversarlo con ampie falcate. Robin se ne stava in piedi, con le
mani puntate sui fianchi, proprio al centro della visuale della ragazza.
Stranamente, Gisborne non gli si fermò davanti: invece andò oltre, ma nel
passare accanto al fuorilegge non dimenticò di scontrargli un braccio.
Marion riconobbe in ciò un primo gesto di sfida. Due, se si considerava il
modo con cui il cavaliere aveva superato l'altro con aria noncurante, quasi
che nella sua stanza non fosse entrato il suo peggiore nemico, bensì...
nessuno.
Era un vero peccato che un uomo altrimenti di intelletto e carattere -
"adulto", rifletté lei -venisse facilmente portato ad assecondare le
provocazioni da bambino di Robin con comportamenti parimenti infantili.
C'era da capirlo, in fondo.
Cresci, stupido!
Ignaro di quel rimprovero solo pensato, il fuorilegge si voltò verso il
punto dove ora doveva trovarsi il cavaliere; Marion non riusciva a vederlo
bene, ma immaginò stesse ancora dando le spalle all'altro quando sentì Robin
dire: "Hai deciso di ignorarmi?"
La risposta arrivò subito e con tono asciutto.
"E' solo colpa tua se le settimane si sono messe ad assomigliare
all'eternità." una pausa infinitesimale, con il solo scopo di sottolineare le
parole aggiunte: "Per te."
Robin piegò il capo di lato ed anche oltre la porta, per le orecchie del
resto ben tese, si udì la risatina compiaciuta.
"Non avevi detto che mi stavi aspettando?"
Tu. Sei. Veramente. Un. Idiota!
Marion levò lo sguardo al cielo, esasperata, prima di tornare ad incollarlo
alla serratura.
Chiunque con un briciolo di senno avrebbe compreso che almeno metà degli
scontri tra i due uomini si sarebbero potuti evitare, se l'eroe di Sherwood
fosse stato così cauto da voler proteggere anche se stesso dall'ira di
Gisborne. Possibile che soltanto la testa di Robin fosse tanto dura da non
raccogliere quel semplice dato di fatto?
Evidentemente, sì.
Da parte di Gisborne venne una sorta di sbuffo, un "Mh" di sufficienza, e poi
ecco il cavaliere ritornare indietro.
"La mia attesa non ti riguarda. Del resto, anche tu devi aver aspettato e
ben più di me..." commentò, e nel parlare prese a girare attorno a Robin, il
quale ne seguì il movimento con lo sguardo; i due davano mostra di
un'identica, forzata calma "...perché, ci tengo a fartelo notare, alla fine
sei tu che ti sei trascinato fino in casa mia."
"Mia."
"No, mia." ripeté Guy, senza battere ciglio "E quasi viene da chiedersi cosa
può averti trattenuto per giorni."
Robin piegò la testa dall'altro lato, ed incrociando le braccia assunse una
posizione che Marion non dovette studiare a lungo per interpretarla: in quel
momento, il fuorilegge aveva scritto da tutte le parti "Allora lo vedi che
avevo ragione io?".
La giovane sentì il battito del cuore farsi ancora più rapido, quasi a
voler competere con i rintocchi della campana che ancora le risuonava in
testa, ora più vicina ma sempre mossa da una misteriosa sensazione "a pelle".
Si picchieranno anche questa volta. Lo so. Se le daranno di santa ragione e
stasera Robin sarà a cavalcioni della mia finestra perché io lo veda e sappia.
Quando racconterà di adesso, non sarà stata colpa sua, certo. Darà per
scontato che gli creda e lo curi, avrà persino il coraggio di lamentarsi se la
fasciatura sarà troppo stretta. E sarà pronto per la prossima volta.
Almeno un punto era chiaro, eppure fu con un certo disagio che Marion
accolse la nuova domanda che accompagnò quella certezza. Per quale motivo lei
non riusciva a muoversi, ad alzarsi ed aprire la porta, per mettere fine a
quelle stupide punzecchiature prima che arrivassero alla loro naturale
conclusione? Cosa le impediva di distogliere lo sguardo dal buco della
serratura?
Le venne da pensare che spiare non era mai stato divertente come in quel
momento.
Divertente?!...
Che parola buffa, per qualcosa di cui lei conosceva ogni singolo passaggio!
"Problemi di lavoro."
La giovane si ritrovò a boccheggiare letteralmente come un pesce, tanto la
motivazione accampata da Robin le era sembrata un inconcepibile "eufemismo".
Gisborne doveva avere avuto la sua medesima impressione, perché rise, e di
cuore.
"Pensavo di essere io, il tuo... come hai detto? Problema di lavoro?"
"Cos'è, sei geloso?"
"Ne ho motivo?"
Eccolo lì! Un rintocco più forte e gli occhi della dama si spalancavano a
quelle improvvise allusioni. La vecchia storia stava prendendo una piega
insolita. Marion arrossì.
Robin fece un passo verso il rivale, che ora se ne stava dritto di fronte a
lui: lo stava aspettando, pronto a rispondere alla prossima mossa o battuta
con altre.
Un sospiro, e l'aria nella stanza sembrò mutare di nuovo.
"Vi ho visti, stamattina. Tu e Marion."
Ah, ecco. Marion sentì un brivido percorrerle la schiena. Non immaginava che
i due potessero parlare di lei, quando si trovavano faccia a faccia. Davvero
il fatto che Guy la corteggiasse infastidiva Robin allo stesso modo di vedere
l'altro vivere nella sua casa, come padrone ostile delle sue terre e della sua
gente? E se era così, era solo fumo negli occhi, un motivo in più per odiare
chi lo aveva ridotto ad un ricercato oppure... c'era un'altra spiegazione?
E, ad ogni modo, come osava quel presuntuoso spiarla, quasi non di fidasse
di lei?!
"Perché sei andato da lei?"
La voce si era velata di impazienza.
"Non vedo perché dovrei dirtelo."
"Non hai ragione neppure per tenermelo nascosto."
"Intanto, lo sai già da te." rispose l'altro con tono stanco.
Un lungo silenzio, nel quale Marion si sforzò di non battere le palpebre
per non perdersi nulla di quel momento che intuiva cruciale. Robin stava
perdendo velocemente la sua sicurezza, benché cercasse ancora si mascherarlo;
tuttavia, non passò inosservato da chi lo stava fissando - ad un passo da lui
e dietro alla porta - che egli cominciò a guardarsi attorno, il capo un po'
chino quasi a cercare la spavalderia che stava scappando da lui.
Fece per parlare un paio di volte, ed infine chiese:
"Tu la ami?"
Guy si concesse un attimo di riflessione, vera o finta che fosse.
Perché non gli risponde come prima, che non è affar suo?
...
O perché ci mette così tanto a dire di sì?
"Potrei."
...
"E che cazzo di risposta è?!" saltò su l'altro, con in volto un'espressione
di scherno, mentre dal suo nascondiglio Marion si sentì impallidire nel porsi,
quasi all'unisono con Robin, la medesima domanda. Bé, quasi...
"Marion è una brava ragazza. E' forte, onesta. Sa quello che vuole. C'è
molto, in lei, che ne farà una moglie invidiabile."
Il rivale strinse i pungi, ed il gesto trattenne di certo una reazione ben
più istintiva del commento nervoso che seguì.
"E non dici anche che suo marito sarà un uomo felice? Perché è questo che tu
sarai, o mi sbaglio?"
Dunque lui non ha mai pensato di chiedere la mia mano?...
"Lo sanno tutti che vuoi sposarla. Forse lo avresti già fatto, se io non la
confondessi quello che basta a farle venire dei dubbi e tenerla lontana da
te!"
...
Con uno scatto improvviso, che fece sobbalzare per lo spavento Marion,
Gisborne si fece addosso al rivale, gli si buttò contro e con un'unica mossa i
due si ritrovarono a terra, l'uno sopra l'altro. Robin non aveva fatto nulla
per schivare l'attacco, né ora cercava di liberarsi dall'uomo che lo
sovrastava. Nel silenzio carico di tensione e pericolo, rotto solo dai respiri
affannati di entrambi, Marion osservò con il cuore in gola il profilo affilato
del cavaliere avvicinarsi a quello dell'altro: i loro sguardi dovevano essere
roventi come quelli di bestie rabbiose, eppure nessuno dei due mostrò un cenno
di paura o di resa. Era una sfida terrificante che si specchiava in una sua
gemella, e così aumentandola a dismisura assieme a se stessa.
"Lontana da me?... Lontana da me, dici?!" sibilò Guy, tanto vicino al viso
del fuorilegge che il pollice che, forse, li separava faceva fatica a
chiamarsi distanza "Tu non sai niente, parola mia, né mai capirai!"
Robin deglutì, ed era solo un'impressione o stava davvero tremando?
"Lontana da me..." continuò l'altro "Proprio non vedi cosa sono disposto a
fare?... Io la sposerò, sul serio. Cercherò persino di renderla felice, per
quanto mi sarà possibile, perché lei non merita quello che le sto facendo. No,
non merita di venire ingannata... Non sono per lei le menzogne che le
racconto. Mi spezza il cuore nascondere ciò che sento, truccarlo in qualcosa
che non provo... per lei."
Di colpo, Guy sollevò i polsi di Robin, che teneva stretti tra le mani, e li
sbatté contro il pavimento; nemmeno questa volta ottenne una reazione.
"Ma io continuerò lo stesso a mentirle... ne farò la mia sposa, a qualunque
costo, perché sei lei non merita tutto questo, tu, al contrario, vali bene la
mia dannazione!"
La campana nella testa di Marion era ormai diventata assordante.
Era venuta a Locksley per avere delle risposte, ma quelle che stavano
prendendo rapidamente forma al di là della porta non appartenevano a nessuna
delle domande che ella si era mai fatta! Se anche avesse voluto gridare,
sbattere i pugni contro il legno fino a scuoterlo così come la rabbia le
agitava il petto, non avrebbe potuto. Presa da un forte capogiro, appoggiò i
palmi aperti alla porta, tremando.
Ma né vertigine né ira furono più forti del desiderio di continuare a
guardare.
Guardava e basta.
Adesso, i sentimenti che provava erano potenti, ma era strano accorgersi che
essi la riempivano come se provati non per sé stessa, per il suo orgoglio
ferito, bensì per un'altra Marion, una donna che non era lei e che lei nemmeno
conosceva.
Nella stanza, Gisborne tornò a parlare, questa volta con voce sull'orlo di
un'ira non meno sorda di quella provata da Marion... oppure, del pianto?
"Qualunque posto, Robin, lo giuro! Preferisco vedere quell'angelo ovunque,
anche tra le braccia del male incarnato, e che Dio mi perdoni quando l'avrò al
mio fianco, in Chiesa e nella vita, perché sarà l'unico modo per non vederla,
mai, accanto a te!"
Ancora non venne risposta dal fuorilegge; egli si mosse appena sotto al
peso del nemico, incurante della stretta che gli bloccava i polsi e del corpo
che doveva schiacciarlo.
"Che Dio mi perdoni questo e tutto il resto. Conti le mie colpe e mi punisca
pure, se crede. Protegga Marion dalla mia scelta, così che lei non debba
scoprirla e la scambi sempre per l'amore che non posso darle. Ma non ci
guardi, adesso... Dio deve chiudere gli occhi ogni volta che sono con te,
perché tu sei l'unico peccato per cui non chiederò mai perdono!"
In quanti modi si può misurare il tempo? Secondi, granelli di sabbia...
battiti di un cuore, anche. Ma quanti modi di contare ha, un cuore? Già solo
quei tre, così vicini, ne avevano ciascuno uno proprio, nato da emozioni
simili solo nella loro tempestosa irruenza.
La disperazione di Guy.
La consapevolezza attonita di Marion.
E poi, Robin, con in sé mille tempi diversi ed un corpo solo per tenerli
tutti.
C'era l'urlo del sangue che gli scorreva nelle vene, specie ai polsi che
formicolavano sotto la forza della dita dell'altro. Il petto si alzava ed
abbassava come onde di un mare mai visto, troppo squassato perché esistesse
altro vento, se non l'amore, capace di muoverlo a quel modo. Le idee si
facevano sempre più veloci lungo le strade invisibili della mente,
scontrandosi nelle loro corse elettriche e facendo nascere via via altri
pensieri, che le emozioni coloravano subito di paura, stupore, orgoglio... e
gioia.
"Davvero?"
Dopo tanto silenzio, la voce sembrava quasi irreale. Era diversa da prima,
eppure manteneva qualcosa del proprio padrone. Non era più arrogante, ma
neppure servile: al contrario, si percepiva in essa, e distintamente, docilità
unita a forza.
Come in un animale che si è lasciato avvicinare, ma solo da qualcuno che ha
scelto lui.
"Davvero..."
Robin fece per aggiungere qualcosa, ma le labbra di Guy glielo impedirono.
Il bacio non doveva essere inatteso, perché il giovane vi rispose subito e
con tutto se stesso: Marion lo vide aprire la bocca all'insistenza dell'altro
ed assecondarne i movimenti con tranquillità calibrata. Le labbra si
staccavano appena ogni volta che Gisborne piegava la testa da un lato o
dall'altro, cambiando angolazione di continuo per un bacio di troppa passione
perché egli rinunciasse ad una soltanto delle possibili varianti.
Baci veloci, a fior di pelle, sugli angoli della bocca; baci pieni e voraci;
baci che non chiedevano altro che se stessi, di potersi ripetere fino a far
smettere di respirare; baci per i quali sarebbe bastato guardare la mano che
dal polso si era spostata ad accarezzare il collo per indovinarne la
carnalità.
Non sembrava vero che le gole potessero riuscire, in mezzo a simile passione,
anche a vibrare di gemiti languidi, più o meno profondi a seconda che fossero
dati da un fugace scontrarsi di denti oppure dall'avere ciò che si voleva
proprio come lo si era sognato per giorni. E notti. Notti che erano state per
forza insonni nella loro lancinante lunghezza, ed ora venivano dimenticate
proprio dall'amore che le aveva rese tali.
Amore.
Dunque, era questo...?
Marion non poteva credere a ciò che vedeva. Com'era possibile che non si
fosse accorta di nulla? Come era successo, quando era cominciato?
Nuove domande nascevano istintivamente, senza che lei se ne desse cura.
Ipnotizzata, stregata... qualunque fosse il motivo, la giovane non sentiva in
sé nessun desiderio che non fosse quello di continuare a guardare i due uomini
che, senza saperlo, si rivelavano a lei attraverso un bacio senza fine.
Le mani liberate di Robin si serrarono tra i capelli scuri dell'amante,
arruffandoli e tirandoli senza cattiveria. Per una volta, esse si muovevano
prive dell'intento di fare del male, ed era un piacere curioso scoprirle
capaci di essere tanto dolci per il corpo di un nemico.
Guy passò a baciare il collo inarcato, coperto dalla corta peluria bionda,
toccando ogni lembo di pelle che le sue dita eleganti scaldavano con il loro
passaggio. Presto la carne esposta non gli fu più sufficiente: senza attendere
un permesso e, del resto, senza trovare resistenza, cominciò a slacciare la
maglia rovinata che ancora copriva il petto ansante. La foga dei movimenti
rendeva ogni laccio un nodo odiosamente più stretto di quanto non fosse in
realtà, me ebbe il merito di risvegliare Robin dal languore nel quale doveva
essere scivolato sotto l'incanto dei baci.
Il fuorilegge impiegò un attimo per tirarsi su quel tanto che bastava ad
aiutare l'altro, spogliandosi e, nel contempo, non resistendo alla voglia di
fare altrettanto al compagno: le braccia si agitarono e tirarono le maniche
quando la corta maglia venne fatta passare dalla testa e, prima che
l'indumento toccasse l'angolo della stanza verso il quale era stato gettato
alla cieca, le mani erano già indaffarate sulle fibbie ed il cuoio nero che le
impedivano di toccare la pelle calda nascosta sotto.
Robin e Guy scontrarono mani e bocche varie volte, ciascuno incapace di
abbandonare ciò che faceva: un bacio, ed intanto la giacca di cuoio scivolava
pesante dietro alla schiena ampia e forte che la calzava così bene; indumenti,
cinture e stivali venivano seminati senza cura per tutta la stanza. Il colpo
di uno stivale contro la gamba del tavolo coprì per un secondo sospiri e
mormorii, già resi rochi alla sola vista dei corpi che venivano spogliati,
pezzo per pezzo, mostrando pelle d'uomo così nuova nel suo fascino da non
sembrare vera.
Cicatrici vecchie e nuove saettavano su entrambi i corpi, disegnandole con la
loro irregolarità. Marion deglutì, provando un senso di disagio al pensiero di
quanti scontri, spesso quasi mortali, erano rimasti impressi a quel modo su
uomini tanto giovani. L'eccitazione che stava scoprendo lasciò per un attimo
il passo ad una forte tristezza quando Guy spinse Robin perché si girasse su
un fianco, mostrando l'ampia cicatrice che lo segnava.
Era terribile, persino adesso che si era trasformata in una linea bianca ed
appena in rilievo sotto alle dita ruvide che la accarezzavano, perché era, e
sempre sarebbe rimasta, il ricordo di quando il fuorilegge era stato più
vicino alla morte.
Metteva paura pensare che ad infliggere il colpo era stata la medesima
persona che adesso baciava la cicatrice con ardore, seguendone il tragitto con
la lingua più volte, calcando con la punta umida di saliva per poi tornare a
lambirla con leccate ampie ed amorevoli, fino a quando non l'ebbe come
ritracciata una, dieci, innumerevoli volte, mentre infiniti e languidi erano
sospiri che simile cura strappava al compagno.
C'era da avere il serio sospetto di poter provare piacere anche solo
ascoltando i lamenti di Robin, quasi osceni nella loro carica erotica. Erano
musica peccaminosa, e forse ancora più illecita perché sembrava rubata agli
angeli del Paradiso. Note dolci dall'effetto spietato: un fuoco liquido che
intossicava, uno strano ed esotico veleno che la stessa vittima desiderava
bere fino a perdere i sensi prima ancora della vita.
Le labbra erano esuli che non conoscevano riposo, incapaci di scegliere un
posto dove fermarsi tante e tanto splendide erano le terre carnose che
venivano offerte. I denti brillarono nel loro candore pericoloso prima di
chiudersi su un capezzolo, teneramente; sparirono sotto alle labbra quando
esse li sostituirono per succhiare la carne così dolcemente ferita, e la
lingua lambì la pelle a lungo prima che lo spettacolo venisse ripetuto
sull'altra parte del petto con identico, invidiabile successo.
"Magnifico..." disse Gisborne con voce sognante, rialzandosi a sedere e
tirando a sé il fuorilegge per baciarlo con foga, le mani sul collo ed aperte,
a premere su una pelle che non sarebbe mai stata abbastanza.
Quando Robin venne spinto nuovamente giù, schiena a terra, Marion sussultò e
fu un miracolo - se mai il Cielo ha sprecato miracoli con quel genere di
peccati - che il gemito che le sfuggì non fosse tanto forte da tradire la sua
presenza... ma solo frutto dell'emozione che la scosse nel vedere,
all'improvviso, il sesso del giovane spuntare tra la stoffa dei pantaloni
aperti.
Marion era ancora innocente, e come tale non aveva mai visto un maschio
nudo. Non era un'ingenua, certo: le era stato spiegato quanto serviva, non
appena era entrata nell'età in cui una donna poteva prendere marito, ma la
descrizione vaga della balia, troppo cauta e legata a ciò che chiamava decoro
per scegliere di raccontare tutto piuttosto che un meno rischioso troppo poco,
non l'aveva preparata a ciò che adesso vedeva attraverso il buco della
serratura.
Aveva fantasticato più di una volta su ciò che distingueva gli uomini dal
suo sesso.
Ad essere sinceri, non era stato un grande passatempo: ciò che sapeva era
proprio insufficiente perché lei trovasse il gioco intrigante, anche con tutta
la curiosità di giovane vergine.
Non immaginava che fosse così: semplicemente, non aveva potuto. Non si
aspettava quella carne affusolata e scura, né che essa potesse stare ritta, al
centro del suo nido di peli dorati: invece, vide il membro piegarsi ancora
verso il ventre piatto e ben delineato dai muscoli... quasi mosso da una forza
propria. Quale sortilegio della Natura si celava dietro ad un fatto tanto
incredibile? La balia aveva solo accennato ad una durezza necessaria a
concepire figli nella legittimità del talamo nuziale ed il racconto della
congiunzione carnale era una storia troppo complicata perché una fanciulla
potesse riempirne le lacune da sola, indovinando la capacità di una carne
tanto insignificante di alzarsi fino a diventare qualcosa di...
... bello.
Marion si morse il labbro, lasciando che il sangue le imporporasse le guance
ed il petto fino a farle il solletico alla pelle: il tepore era violento e
maledettamente piacevole, così tanto che ella si sentì dispiaciuta solo dal
fatto di non averlo sperimentato prima.
L'occhio sgranato era fisso sulla verga: non la abbandonò un attimo,
studiando con trepidazione quella parte misteriosa dalla quale ora, vedendola
per la prima volta, la ragazza si scopriva fatalmente intrigata. Avrebbe
desiderato vederla più da vicino, poterla osservare da ogni angolazione...
anche toccarla, sì...
Oh, buon Dio...!
Se la sola vista poteva essere tanto sconvolta, se il solo guardare Robin
nudo le dava così tante emozioni, allora quale rivelazione avrebbe potuto
regalarle la possibilità di toccarlo?
Gli uomini erano ben strani, pensò, per avere qualcosa di tanto buffo e,
insieme, capace di rapire lo sguardo. Indifeso e tenero, un giocattolo da
strapazzare e ricoprire di cure allo stesso tempo. Da tenere nascosto. Solo
per sé.
Marion si sentì andare a fuoco maggiormente quando i movimenti bruschi di Guy,
impaziente di sfilare i calzoni al compagno, fecero sobbalzare il membro
eretto. E, sotto di esso, la borsa ora nuda e visibile, da divorare con gli
occhi non meno del resto.
Avrebbe dovuto andarsene, si disse lei. Non lo fece con molta convinzione;
in compenso fu con fermezza ammirevole che ignorò i suoi stessi pensieri.
Non avrebbe dovuto guardare; intanto l'occhio si socchiudeva per non perdere
nulla ed il tepore inebriante che avvertiva al ventre si spandeva ovunque.
Era Robin, per l'amore del Cielo! Si conoscevano da quando erano bambini!
Se lui avesse saputo, si sarebbe sicuramente arrabbiato. Ma vedere nudo un
giovane che conosceva, un maschio bello e nel fiore degli anni, non poteva che
essere nuova legna per un incendio comunque indomabile. Era intrigante e
proibito... delizioso... sfacciato... Un segreto, e del tipo migliore.
Perché smettere?
E poi... anche Guy...
Solo quel pensiero riuscì a spostare l'attenzione di Marion. Sul paio di
calzoni di pelle ora stretti non solo su cosce forti ed allenate, ma sulla
verga ancora in gabbia: il rigonfiamento che sformava il cuoio la lasciava
indovinare grossa ed appetitosa.
Il capogiro tornò, rischiando di far perdere i sensi alla giovane,
inopportuna spia.
Ella fremette fin nelle ossa, si sentì scivolare e poi piena di vita. Il suo
sesso era bagnato, e quella prima volta fu tanto intensa da far colare il
succo lungo l'interno rovente delle cosce.
Un suono secco, intrusione inspiegabile nella musica di ansimi e parole
mormorate con il respiro pesante. Guy aveva sputato sul palmo della sua destra
e, prima che la dama potesse chiedersene il motivo oltre che sentirsene
imbarazzata, egli avvolse le dita sulla verga di Robin e cominciò a muoverle
su e giù.
Per un attimo, Marion temette che il cavaliere fosse tornato ad indossare il
ruolo di nemico spietato, che egli avesse solo finto i baci ed il resto per
poter torturare il fuorilegge quando questi sarebbe stato più vulnerabile: i
gemiti del ragazzo biondo si erano fatti così forti... disperati... non
appena la mano si era chiusa su di lui. I muscoli tesi, contratti, sembravano
permettere alla sola schiena di muoversi, inarcandosi come un ponte.
"Sssh... Buono, piccolo." lo tranquillizzò l'altro, scostandosi nervosamente
una ciocca di capelli che il sudore aveva incollato alla fronte "Non devi
ancora venire, lo sai?"
Priva dell'aiuto della mano dominante, la sinistra stava goffamente cercando
di sbottonare la patta: doveva muoversi da sola, guidata dall'esperienza di
chissà quanti incontri clandestini, dato che tutta l'attenzione del moro era
concentrata sul corpo che si contorceva davanti a lui.
Gambe tornite, magre ma ben lontane dall'essere povere di forza, cercavano
di allacciarsi ai fianchi di Gisborne, fosse solo per fare leva e permettere
ai fianchi di andare incontro alla mano che accarezzava abilmente il sesso.
Robin era un'onda. Si muoveva con la medesima eleganza, ne condivideva la
perfetta continuità.
Marion non lo aveva mai trovato così bello come in quell'istante, nella
consapevolezza che egli era sempre stato lontano, irraggiungibile, per lei. La
tristezza di saperlo acuiva il desiderio di rendere senza fine almeno quelle
briciole d'amore rubato con gli occhi, senza diritto... ma, forse, anche senza
colpa.
"Guy... Ti amo, Guy..."
Le braccia lunghe spazzavano la pietra sulla quale erano distese, incapaci
di trovare pace: non toccate, né baciate, ma ugualmente scosse dalla passione.
Dalla bocca spalancata continuavano a sgorgare fiumi di mugolii che Marion
non riconosceva, impreparata com'era a sentire dalla labbra di un uomo fatto
gemiti tanto dolci. Ella fu felice di avere un istinto in grado di riscattare
ciò che la mente non aveva imparato prima, e con abilità quasi liberatoria
tradusse ogni brivido che vide percorrere le membra del fuorilegge, ogni
minimo gorgoglio della gola ed anche le urla soffocate dai morsi
sull'avambraccio, quando la mano imprimeva un colpo più deciso alla verga
imprigionata.
Dita che scivolavano veloci, sapendo cosa fare e mettendolo in pratica alla
perfezione.
Non poteva essere altrimenti: se fosse esistito un piacere superiore a
quello che stava facendo impazzire Robin, rifletté Marion, nessun amante
sarebbe sopravvissuto alla sua prima volta.
"Ecco..."
La giovane dovette stringere i denti una volta di più: finalmente, Guy era
riuscito ad averla vinta sui bottoni che gli stringevano il sesso, ed in un
numero che, probabilmente, era apparso esagerato, interminabile a tutti e tre.
Il respiro di Gisborne si era fatto ancora più pesante e difficile, come se
stesse tremando assieme al resto del corpo. Due lamenti distinti che
sembrarono di dolore - e forse lo erano - accompagnarono l'ultimo gesto, col
quale egli liberò il proprio sesso ed abbandonò quello del fuorilegge.
A bocca aperta, la spia in ginocchio osservò il membro infiammato: era più
grosso dell'altro, e dall'aspetto massiccio al punto da far dubitare che
potesse essere fatto solo di carne.
Erano molte le differenze tra i due uomini, la giovane dama ne era
consapevole da tempo; ne aveva scoperte di impensate solo negli ultimi
minuti... ma ora, soprattutto, come si poteva paragonare la fragilità
irrequieta del sesso di Robin, bello nella sua leggera curvatura e dalla
lunghezza perfetta per riempire mani femminili, con la verga salda dell'altro,
che se ne stava lì gonfia e ritta come un serpente minaccioso, rossa più di un
tizzone e terribile quanto un esercito nemico? Come si poteva guardare due
cose tanto diverse e chiamarle con lo stesso nome?
Di un rosso cupo, ferino, la verga tesa di fronte al giovane biondo riempiva
la vista in parti uguali e generose di stupore, desiderio, spavento.
Ed impazienza, a giudicare dallo scatto con cui Robin vi si gettò addosso.
C-cosa...?! No, non ci credo!
Ogni nuova scoperta fatta da Marion superava la precedente, in una sorta di
veloce gara dagli sviluppi elettrizzanti ed imprevedibili. Già la facilità con
cui ciò succedeva aveva del meraviglioso, specie per una ragazza che non aveva
neppure il sospetto che certi giochi potessero essere pensati, prima ancora di
essere messi in pratica, leciti o meno.
Ma quello che i due uomini stavano facendo andava oltre ogni cosa.
Spiando prima i baci, poi i corpi sudati ed allacciati, Marion si era
rapidamente resa conto che la propria purezza le aveva nascosto un mondo
intero, misterioso quanto la soglia del Regno delle Fate, ma fatto di sesso.
E proprio quando la giovane si era convinta che in questo mondo si potesse
trovare tutto e molto altro ancora, gli amanti oltre la porta le mostravano il
suo errore.
Perché quel mondo aveva davvero tutto, tranne dei confini.
Dio, aiutami...
Non poteva essere vero.
Era frutto di immaginazione, un sogno fatto da altri: Robin si era messo
carponi e con il corpo curvo sulla propria preda - Oh, come si potevano adesso
dire perfette le cosce, se esse salivano su forti e snelle, attaccandosi al
busto in un paio di natiche che le superavano in bellezza, e senza sforzo
apparente? - , i gomiti appena puntati a terra, aveva preso in mano il largo
fallo che gli veniva offerto per riversargli sopra ogni briciola di passione
che aveva dentro di lui.
Cominciò a baciarlo con foga, passando la punta delle dita tra la folta
peluria nera, e se egli era incurante o piuttosto incitato dai gemiti di Guy,
dalla sua mano che gli accarezzava i capelli, Marion non sapeva dirlo. Non
voleva neanche chiederselo: sarebbero stati secondi e pensieri sprecati,
invece di continuare a divorare la scena.
Un nuovo rivolo colò denso dalla sua intimità, ferendola di altro piacere.
Robin muoveva la mano con lentezza calcolata, seguendo il ritmo di una
precisione imparata su un terreno contro il quale nessuna donna poteva
competere: il suo stesso corpo, quello di un uomo, un essere che assieme alla
gioventù ed al vigore condivideva con il proprio amante i punti sensibili e
l'astuzia di quando e come toccarli.
La lingua uscì fuori, ma senza alcuna voglia di scherzare: non per prendersi
gioco, bensì per giocare, essa iniziò a ruotare attorno alla punta del sesso,
solleticandolo a lungo prima di passare a strofinarsi sotto di essa, là dove
il frutto di carne viva si univa all'asta.
Guy ripeteva il nome del giovane con voce man mano più roca, ed a fatica, e
nell'ascoltarne i lamenti Marion decise che il piacere può diventare dolore
senza per questo negare se stesso.
I due dardi rossi e sproporzionati si provocavano a vicenda, uno torturando
e l'altro facendo venire voglia di fargli di peggio. Il fuorilegge sostituì
per un poco le dita alla lingua, e fu ripagato da un grido che il compagno
soffocò appena in tempo con entrambe le mani. Su, giù... Su, giù... Attorno...
Disegni di cerchi e linee fatti con una casualità solo apparente da dita
abili, in grado di aspettare il secondo esatto per cambiare senso ai loro
giri. Su, giù... A destra, a sinistra...
Un delirio, si disse Marion, e con improvvisa illuminazione si ricordò di
quanto il tiro con l'arco, negli anni, avesse reso ruvidi i polpastrelli di
Robin. Callosi da impazzire, proprio come l'ultima volta che il giovane le
aveva sfiorato l'interno del polso prima di sparire come un fantasma, veloce
ed impunito.
Gisborne doveva aver superato da un pezzo le porte della follia. Ormai si
stava letteralmente mordendo una mano per impedirsi di urlare.
Chissà cosa prova... Chissà cosa dev'essere... si chiese tremante la spia, e
non aveva minor voglia di gridare dell'altro.
Il biondo, dal canto suo, sembrava l'essere più tranquillo della terra:
impresse altri piccoli baci sul sesso catturato, dando l'idea di pensarci su
prima di decidere dove accostare le labbra socchiuse.
Non smise quando dalla carne uscì uno strano liquido lattiginoso, anzi ne
leccò via le prime gocce, grosse come perle, con una soddisfazione sospetta,
quasi le stesse aspettando.
"Ti amo così tanto..." mormorò tra sé, come se non pensasse neppure di
venire ascoltato.
Le dita aperte tornarono ad avvolgersi sul sesso congestionato e, scivolando
appena sull'asta liscia, si sporcarono del latte che aveva preso a colare giù,
denso e maliziosamente invitante; il polso ruotò in un senso, poi in un altro,
salendo e scendendo prima che il giovane abbassasse di nuovo il capo e
prendesse la verga in bocca.
Marion e Guy sussultarono insieme.
E come le labbra e le dita che l'avevano preceduta, neppure la testa rimase
ferma: al contrario, prese a muoversi con il medesimo ritmo studiato,
lasciando che la preda venisse ingoiata fino alla sua metà.
Sta succhiando...
Il movimento delle guance non lasciava dubbi. Robin si era attaccato al
sesso dell'amante e non sembrava avere l'intenzione di lasciarlo andare: anzi,
dopo le prime, quasi tenere succhiate, le labbra si erano serrate con
decisione sull'asta, aspirando senza tregua, quasi che il giovane temesse che
sia lui sia il compagno sarebbero scomparsi nell'aria se egli avesse cessato
le proprie cure.
Fu quindi Guy a porvi fine, e chissà con quale sforzo.
"Robin... Robin, smettila!"
Spinse via il compagno; quindi, tirandolo per un braccio, lo fece alzare
perché fosse in ginocchio, come e davanti a lui. Gli sollevò il mento,
lasciando poi cadere il braccio per permettere a Robin di allacciargli le
braccia dietro al collo; le mani sembrarono smettere di tremare, per un
attimo, e lo fecero posandosi sui fianchi - sulla cicatrice, anche - del
fuorilegge.
Si guardarono negli occhi in silenzio, entrambi cercando di ritrovare un
respiro calmo.
Il moro si sporse un poco, e con tenerezza infinita baciò la fronte del suo
amore, il quale si mosse per andargli incontro e ricevere quel bacio, e nel
venire toccato dalle labbra chiuse gli occhi, per non sentire altro.
Robin stava sorridendo.
C'era così tanto amore, in quella stanza.
Forte e luminoso da mettere paura.
"Non mi lasciare." mormorò Guy, le labbra ancora accostate alla fronte; la
tristezza che si sentiva in quella semplice preghiera avrebbe potuto spaccare
il cuore al diavolo "Non te ne andare mai. Sono perduto, se mi lasci solo."
"Non lo farò."
E così, all'improvviso, davanti a Marion non c'erano più due uomini nudi ed
eccitati, né il loro peccato, ma soltanto due amanti ed il loro piccolo mondo
segreto.
Il bacio che si scambiarono parve completare la formula silenziosa capace di
sciogliere la ragazza dall'incanto che l'aveva tenuta soggiogata fino a
quell'istante. Lentamente le figure dei giovani abbracciati si fecero piccole
piccole... sfocate, mano a mano che lei allontanava il volto dalla serratura.
Premendosi il petto con una mano - quasi che una frana potesse bloccare un
terremoto - , Marion deglutì. Mentre oltre la porta ricominciavano flebili
mugolii e lamenti soffocati, si alzò lentamente in piedi. Le ginocchia le
facevano male ed il sangue bruciava i muscoli nel tornare a percorrerli, ma
ogni sensazione le arrivava come attutita.
Un gemito appena più forte servì a risvegliarla dal torpore.
Sentiva ancora i capezzoli duri spingere sotto alla veste ed i resti di un
primo orgasmo che non aveva riconosciuto bagnarle il sesso in un modo
deliziosamente insopportabile.
Appena giudicò di essere di nuovo salda sui piedi addormentati, scese le
scale senza fare rumore, così come era venuta.
Ma io non sono mai stata qui, oggi. pensò. Ho già avuto troppo. Non li ho
perduti, perché non li ho mai avuti. Non sono riusciti a proteggermi, se
questo era ciò che davvero volevano. Non è colpa loro. Non posso separarli e
neppure lo desidero. Invece, posso fare un lavoro migliore del loro...
Quello che era accaduto avrebbe dovuto essere tutto peccato, a cominciare dal
primo bacio che Guy e Robin si erano scambiati, le loro parole, anche la più
lieve carezza.
Avrebbe dovuto essere sbagliato.
Avrebbe dovuto essere odioso, meritevole solo di condanna.
Avrebbe dovuto darle il diritto di una rabbia irrefrenabile.
Eppure, nonostante... o proprio per questo... Marion riusciva solo ad
invidiare con una forza crescente quanto lei aveva potuto osservare e nulla
più.
"Andate già via?" le chiese l'anziano servitore quando la vide tornare al
piano inferiore.
Lei sorrise ed annuì, sorprendendosi di sentirsi tanto serena.
"Potreste fare due cose per me?"
L'uomo aggrottò la fronte, non capendo, ma rispose ugualmente di sì.
"Non disturbate Sir Guy per alcun motivo, né voi né gli altri servi.
Aspettate che sia lui a scendere o a chiamare. Ed in secondo luogo..."
Silenzio.
"Ditemi pure, mia signora." fece l'altro, esitante.
Lei gli sorrise e continuò: "In secondo luogo, non parlate a Sir Guy della
mia visita. Fate come se io non fossi mai venuta qui."
"Come...?"
"Facciamo che è un segreto." disse ancora la giovane, quasi stesse parlando
a se stessa.
Uscì dalla magione, alla piena luce del sole, seguita dal servo che le
balbettava dietro di spiegarsi meglio, di aspettare, e se per caso era
successo qualcosa...
"E' un nostro gioco, state tranquillo!" disse nel montare a cavallo "Non vi
piacciono i giochi?"
Fece un ampio respiro, lasciando che quella perfetta giornata estiva la
accarezzasse con la sua luce intensa.
Non scalda neanche una decima parte di quello che ho visto.
Il cavallo partì al galoppo al primo colpo di talloni. Il vecchio rimase a
guardarla sparire oltre la collina, con aria stranita: avrebbe fatto qualunque
cosa per quella dama tanto gentile e bella, ma questo non significava che non
avrebbe trovato strana una richiesta tanto enigmatica. Ad ogni modo, restò al
gioco.
Saprò mantenere il segreto meglio di quanto hanno fatto loro, adesso che è
anche mio. si promise Marion, incitando la sua cavalcatura a correre più
veloce.
Robin e Guy.
Quanto li avrebbe odiati, una volta tornata nel nido sicuro e casto della
sua casa. Li avrebbe detestati con rabbia, ma non per quello che li aveva
visti fare: sarebbe stata la frustrazione di non poter far tornare indietro
quelle immagini preziose, non poterle più vedere se non con la fame del
ricordo a toglierle la pace per lungo tempo.
Pensava di essere il loro amore, ed invece non li conosceva neppure.
Si era convinta di poter salvare qualcuno, ma era solo stata cieca ed
arrogante.
Li aveva visti insieme, entrando come una ladra in un paradiso fragile e
pericoloso.
...
Non sarebbero mai stati suoi.
E questa sarebbe stata la punizione per un angelo ed il suo peccato.
|