Il patto III
di Naika
Hanamichi lo fissò con occhi enormi, incredulo,
sprofondando in due oceani scuri, insondabili.
Non riuscì a distogliere lo sguardo.
Non riuscì ad abbassare le palpebre.
Non riuscì nemmeno ad emettere l’aria che quelle
sue parole gli avevano fatto bruscamente inspirare.
Rimase immobile, paralizzato da quegli occhi.
Kaede si chinò su di lui, lentamente, quelle
iridi dense di ombre e luci, fisse nelle sue, e più il volto del demone si
avvicinava al suo, più Hanamichi sentiva la propria anima venir risucchiata,
inghiottita, da quello sguardo che senza remore e scrupoli incatenava il suo.
“Fammi sentire il tuo calore...” sussurrò
il moretto, proferendo quelle parole a così pochi centimetri dalla sua bocca,
che ogni sillaba di quell’ordine suadente si tramutò in una leggera carezza
sulle labbra socchiuse e tremanti del rossino.
La lingua della volpe scivolò, lentamente, fuori
da quella bocca che prima l’aveva violato con tanta voracità, insinuandosi umida
tra le labbra socchiuse di Hanamichi, a cercare la sua.
Il rossino la sentì premere contro la propria,
accarezzarla languidamente per poi incitarla ad intrecciarsi con lei.
Lo sguardo affondato in
quelle iridi cobalto, reclinò il capo all’indietro rispondendo al suo bacio.
Rukawa lo lasciò andare dopo parecchi minuti,
staccandosi da lui senza tuttavia mettere troppa aria tra le loro labbra gonfie,
regalandogli un lungo sguardo intenso, prima di sollevarsi da lui per
distendersi al suo fianco.
Hanamichi volse il capo per guardarlo senza
tuttavia muoversi o cercare di alzarsi.
Fuggire gli sarebbe stato impossibile e poi...
doveva mantenere la sua parte di patto o tutta la fatica che aveva fatto per
giungere sino a lì, tutta l’umiliazione che aveva subito fino a quel momento,
non sarebbe servita a nulla.
Avrebbe salvato il villaggio
anche se questo avrebbe voluto dire perdere se stesso.
Fu bruscamente interrotto nelle sue elucubrazioni
da un tocco, leggero, fresco, sul suo ventre.
Sussultò spostando lo sguardo sul demone che
stava tracciando, quasi distrattamente, le linee dei suoi addominali, disegnando
piccoli cerchi piacevoli, quasi affettuosi, sulla sua cute.
Hanamichi gli cercò lo sguardo ma la volpe
sembrava persa nella contemplazione del contrasto tra la sua pelle candida e
quella abbronzata del suo bacino.
Lentamente, Sakuragi, vide con sgomento quelle
dita seguire la linea del ventre scivolando delicatamente verso il basso.
Istintivamente serrò le cosce intrappolando
quella mano elegante che aveva avuto a malapena il tempo di appoggiarsi sul suo
sesso.
La volpe sollevò il capo osservandolo in
silenzio.
E Hanamichi seppe che era giunto al capo linea.
O lo rifiutava seccamente o
si piegava ai suoi desideri.
Chiuse gli occhi con un lento sospiro, mordendosi
le labbra con forza per trattenere quell’accozzaglia di sentimenti che gli
stavano devastando l’animo, prima di allargare un po’ le gambe.
La volpe si mosse tra i cuscini accostandogli le
labbra all’orecchio, osservando divertito il suo volto teso, gli occhi serrati e
le labbra livide.
“Bravo piccolo...” gli sussurrò allungando
il viso per mordicchiargli il lobo tenero.
Il rossino serrò con forza le lenzuola sotto di
se, soffocando un mugolio contro le labbra martoriate.
“Rilassati...” fu il suadente consiglio
del demone prima che la sua mano cominciasse a scivolare lentamente verso il
basso.
Hanamichi sussultò spalancando gli occhi quando
sentì quel tocco fresco e leggero farsi strada sulla sua pelle accaldata e
ancora umida dal bagno bruscamente interrotto.
Mugolò agitandosi sulle lenzuola senza riuscire a
trattenere un ansimo.
Sentiva il corpo bruciare e il sangue scorrergli
impazzito nelle vene, il battito del suo cuore era assordante, così forte da
rendere lontano e inafferrabile ogni altro suono.
Un basso lamento gli sfiorò l’udito facendolo
rabbrividire quando si rese conto che quella era la SUA voce.
“Allarga un po’ le gambe...” l’ordine
della volpe, sussurrato nel suo padiglione auricolare, si insinuò come un soffio
di brezza fresca tra le volute dense e calde del piacere che gli stava
annebbiando i sensi.
Ansimò piano, lottando con quel brandello di
coscienza che ancora resisteva disperatamente.
“Lasciati guardare...” la voce ipnotica
del demone mandò una cascata di brividi lungo tutta la sua schiena che, sotto la
loro dispettosa punzecchiatura s’inarcò con un sospiro, allargando
istintivamente le gambe, obbedendo così al comando del suo torturatore.
Kaede lo ricompensò sollevandosi su un gomito,
cominciando a posare una serie di piccole lappatine sulla sua pelle salata,
spingendolo ad artigliare le lenzuola, tendendosi, inarcandosi nuovamente per
offrirglisi inconsciamente, facendo più spazio alla sua mano, nel tentativo di
trovare sollievo.
Gridò quando le labbra del demone si socchiusero
ad accogliere un capezzolo mentre la lingua giocava con esso, lambendolo
dolcemente per blandirlo dopo che i denti l’avevano dolcemente obbligato a
sollevarsi.
“Ka...e...de...” gli uscì come un rantolo
indistinto, senza che nemmeno se ne accorgesse.
“Sì, mia bella fenice, chiama il mio nome..”
sussurrò il volpino sulla sua pelle prima di succhiarla con suadente costanza,
registrando su di essa il proprio marchio di proprietà.
Hanamichi si agitò sotto il suo tocco, ansimando
alla ricerca disperata di un po’ d’aria fresca.
Ma i suoi polmoni sembravano riempirsi di lava
incandescente ad ogni respiro e quel calore andava a fondersi a quello nel suo
corpo, rendendo ogni centimetro della sua pelle bruciante.
Una sensazione insopportabile e al con tempo
intossicante che scioglieva nel suo fuoco ogni pensiero.
Seguendo l’istinto, unico suo compagno insieme a
quel piacere traditore che lo stava ipnotizzando, Hanamichi cominciò a sollevare
i fianchi per assecondare quella mano che lo stava strappando dal mondo che
conosceva per scaraventarlo in una luce incandescente in cui, ancora non sapeva,
se avrebbe trovato finalmente la pace o solamente una rapida morte, in una
bruciante fiammata.
Kaede lo sentì tremare e decise di assaporare
finalmente il suo calore.
Serrò con forza la mano su di lui, aumentando la
profondità delle sue carezze e il loro ritmo.
Hanamichi si tese mordendosi a sangue le labbra,
ansimando.
“Forza piccolo, lasciati andare... vieni.”
E Hanamichi obbedì.
Tutto il suo corpo fu scosso da un brivido
violento mentre quella luce si tendeva, ghermendolo, straziandolo per poi
inghiottirlo fino a scioglierlo.
S’inarco tra le lenzuola arruffate regalando alla
mano candida del demone il suo calore bruciante prima di accasciarsi sfinito tra
i cuscini.
Kaede lasciò che il suo respiro affannoso
condensasse nella grande caverna, unico suono a riempire l’aree calda oltre al
tintinnio cristallino della piccola cascata poco lontana.
Solo alcuni minuti più tardi, Hanamichi socchiuse
le palpebre cercando di mettere a fuoco, stancamente, quello che gli stava
attorno.
E lo sguardo gli si posò sulla lingua del demone
che stava ripulendo con golose lappate quella mano candida che gli aveva
strappato l’orgasmo.
Sembrava un gattino che lecca la zampina finita
nel latte.
Arrossì furiosamente, improvvisamente consapevole
di ciò che aveva appena fatto, balzando improvvisamente a sedere desiderando con
tutte le sue forze di scappare lontano da lì.
Il più lontano possibile da quegli occhi blu, che
lo inchiodavano con il loro sguardo di ghiaccio alle coperte, mentre la lingua,
rossa del demone, ancora saettava tra le lunghe dita eleganti.
La volpe portò meticolosamente a termine il suo
lavoro, senza staccare lo sguardo da quei due laghi di cioccolato in
ebollizione, in cui rabbia, imbarazzo e un miliardo di altri sentimenti diversi
si mescolavano tra loro disegnando ombre dorate e luci castane.
Solo quando ebbe finito il suo sguardo lasciò
quello del rossino per correre sul suo ventre abbronzato, laddove tracce di quel
piacere perlaceo ancora macchiavano la sua pelle dorata.
Hanamichi si ritrasse di scatto, mormorando un
“no...” che sembrava il pigolio di un uccellino spaventato, quando il volpino
chinò il volto su di esse.
Kaede sollevò il volto per fissarlo con sguardo
indecifrabile.
Se Sakuragi fosse stato un osservatore più
attento e meno confuso si sarebbe accorto del respiro affrettato e del lieve
alone rosato che colorava le guance candide del demone, le sue labbra socchiuse,
gonfie, ancora macchiate di bianco.
Ma Hanamichi fu, per l’ennesima volta, catturato
dalla luce insondabile di quegli occhi blu e non si rese conto dell’effetto che
aveva avuto il loro amplesso sul demone.
Gli sembrava gelido e freddo esattamente come
prima.
Solo un giocattolo.
Strinse la mandibola e la volpe sorrise tra se,
notando le fiamme bruciare in quegli occhi scuri.
Non aveva perso la sua anima.
La teneva ancora stretta, rifiutandogliela.
“Ricorda i patti...” fu la soffiata
minaccia del demone prima che afferrasse bruscamente il rossino per i fianchi e
lo ritirasse vicino a se.
La sua bocca calò violenta a mordere, più che a
lambire, la pelle dorata, rincorrendo su di essa le tracce di quel piacere che
gli aveva strappato.
Ne cancellò ogni piccola goccia rubando piccoli
gemiti di dolore e ansiti soffocati alla sua preda prima di allentare la presa
sui suoi fianchi.
Le sue mani scivolarono ad incorniciare tra le
dita i glutei sodi, accarezzando quella pelle liscia con sensualità mentre la
sua bocca si abbassava a cercare la sua virilità.
Hanamichi spalancò gli occhi con un rantolo
quando le labbra della volpe posarono un bacio casto sulla punta del suo sesso.
Il demone sollevò il volto per osservarlo prima
di allungare la mano destra, lasciando per un momento i glutei, fino a cercare
quella del rossino, contratta in una presa spasmodica sulle lenzuola.
Lo obbligò a liberare le dita accompagnandole
fino al suo viso.
“Accarezzami...” ordinò, notando con
divertimento le labbra del suo amante serrarsi e i suoi occhi fiammeggiare.
Con una titubanza innocente che tanto contrastava
con quello sguardo assassino il ragazzo fece scivolare la mano tra i suoi
capelli corvini, portando indietro alcune ciocche scure.
Momentaneamente soddisfatto la volpe si riabbassò
sul suo sesso riprendo a posarvi piccoli baci con lo scopo di raccogliere ciò
che restava del suo sperma e di risvegliare nuovamente la sua eccitazione.
E ben presto, una presa più forte tra le sue
ciocche scure gli disse che stava ottenendo l’effetto voluto.
Hanamichi ansimava pesantemente.
Si agitava imbarazzato, confuso.
A disagio, nonostante il piacere che il demone
sapeva dargli.
Quella era una parte di se che fino ad allora
solo lui stesso aveva toccato, e ora... che il demone lo... leccasse... lo stava
mandando in crisi.
Si sentiva inadatto, goffo e sporco.
La volpe stava pretendendo da lui un intimità che
sarebbe stato suo diritto scegliere a chi donare.
Non voleva essere toccato così, lì, da lui.
Non voleva che accadesse così.
Si agitò di nuovo, cercando di sfuggire alla
presa del piacere che serpeggiava dai suoi lombi su, lungo lo sterno,
obbligandolo ad inarcarsi, a stringere la mano su quella massa di seta nera che
sfuggiva tra le sue dita, scivolando ad accarezzargli i fianchi in piccole
lingue d’inchiostro liquido.
Tremò cercando di tirare indietro il bacino
mentre gli sfuggiva dalle labbra un gemito che si spezzò a metà, con un suono
discordante.
Il demone non vi diede peso facendo scivolare le
mani sotto si suoi glutei per obbligarlo ad alzare i fianchi ed allargare le
gambe, allungando la lingua per tracciare i contorni di quella carne turgida che
attirava le sue labbra come una calamita.
Di nuovo i gemiti del rossino si fecero alti e
nuovamente, a metà, essi si spezzarono, obbligando la volpe a sollevare il capo,
curioso di comprendere quale fosse la natura di quello strano ansimo.
Ciò che vide gli tolse il
fiato.
Quegli occhi fiammeggianti erano brillanti.
Ma lo scintillio che li accendeva non era quello
del desiderio.
Quelle iridi dorate erano lucide.
Lucide di lacrime.
Piccole stille salate che rotolavano silenziose
sulle guance arrossate fino a perire, soffocate, tra i cuscini.
Qualcosa dentro di lui si spezzò.
Qualcosa che non credeva di conoscere, che non
sapeva di poter provare, si risvegliò in tutta la sua potenza costringendolo ad
immobilizzarsi.
Non era quello che voleva.
Non era così che lo voleva.
Quella visione aveva avuto il potere di turbarlo
più di quanto avesse mai potuto supporre.
Corrugò la fronte, scacciando quei pensieri
molesti, sollevandosi per portare il proprio viso all’altezza del suo.
“Piangi?” chiese con voce sorpresa.
Una domanda, più che una constatazione,
nonostante l’evidenza del fatto.
Hanamichi chiuse gli occhi, voltando il capo
sulle lenzuola sfuggendo i suoi occhi, ma le dita candide della volpe gli
afferrarono il mento obbligandolo a riportare lo sguardo su di lui.
“Io... io... non posso...” ansimò il rossino a
fatica.
“Non posso farlo... non così...” mormorò con voce
rotta.
Gli occhi della volpe si tinsero di nero e, per
un lungo momento, mentre le tenebre offuscavano le iridi azzurre, Hanamichi si
chiese che cosa ne avrebbe fatto di lui, ora, il demone.
Senza un suono la volpe lo lasciò andare,
alzandosi, raccogliendo da terra un mantello chiaro, drappeggiandoselo sulle
spalle, con gesti meccanici.
“Come vuoi mortale...” disse voltandogli
le spalle.
Hanamichi rimase immobile, ancora una volta
incredulo, senza sapere se si sentiva deluso o felice di quelle parole.
La volpe lo lasciava andare.
Era esattamente ciò che voleva, no?
E allora perchè si sentiva... abbandonato?
“Il nostro patto è rotto...” la voce del
demone lo riscosse come una secchiata di acqua fredda.
“Vestiti e vattene!” ordinò seccamente,
senza nemmeno voltarsi a guardarlo, prima di scomparire in un’elegante voluta di
fumo candido.
Hanamichi rimase paralizzato, a lungo, tra le
lenzuola che ancora portavano i loro profumi mescolati, prima di rannicchiarsi
su un fianco e scoppiare in singhiozzi.
Il ritorno al villaggio fu ancora più difficile
dell’andata.
Era stanco, aveva la febbre e in più portava
sulle spalle il peso del suo fallimento.
Aveva gettato anche la sua ultima possibilità.
Perchè?
Era così importante non perdere la stima per se
stesso?
Sì, lo era.
Ma in cambio... in cambio aveva dato la
sofferenza della sua famiglia.
Da solo non sarebbe mai riuscito a liberare il
villaggio dalla presenza di Krag.
Poteva solo sperare che quegli uomini si
stancassero e se ne andassero.
Poteva solo cercare di rendere il più difficile
possibile vivere lì per loro, in modo da spingerli ad andare altrove.
Giunse al villaggio che l’alba già salutava il
nuovo giorno senza concedergli che poche ore di riposo.
Era così stanco ed avvilito.
Distrutto, fisicamente e moralmente.
Ogni passo gli costava una fatica enorme, non
solo fisicamente.
Ogni metro che s’imponeva di percorrere si
chiedeva... perchè?
Perchè continuare?
Perchè non lasciarsi cadere
tra l’abbraccio della neve?
E riposare.
Finalmente... riposare.
Era così stanco.
La valle si aprì ai suoi occhi, bellissima,
scintillante di neve candida sotto i raggi dorati del primo sole.
Per un momento rimase incantato da tutto quel
bianco immacolato.
Per un momento dimenticò l’incubo che quella
visione magnifica nascondeva.
Così come la sua pelle, la sua bellezza.
Bianca, lucente, purissima.
Eppure lui era un demone.
Un demone dal potere oscuro.
Scosse il capo con forza.
Non doveva pensare alla volpe.
Non l’avrebbe rivista mai più.
Lui non sarebbe risalito sul monte e il demone,
da quanto si narrava, non si era mai spinto nelle terre degli uomini.
Rientrò attraverso la palizzata, in quel punto in
cui i lavori non erano ancora stati completati, sgattaiolando tra le ombre prima
di giungere alla sua piccola casa.
Si lasciò cadere stremato sul letto di foglie e
paglia a malapena coperto da una ruvida coperta scura.
Decisamente non era comodo e caldo come il
giaciglio della volpe...
Hanamichi si maledì per quel pensiero e giratosi
con rabbia su un fianco, senza nemmeno accorgersene, cadde in un sonno esausto.
“In piedi scansafatiche!”
Un calcio in pieno ventre riportò bruscamente al
presente il rossino.
In piedi, troneggiante su di lui, uno degli
uomini di Krag lo fissava con malignità.
“Il sole è già alto e il lavoro ti aspetta!” gli
ricordò questi, assestandogli un altro calcio, giusto per sottolineare le sue
parole.
La veste, già logora, del rossino, si strappò
contro lo stivale dell’uomo, rivelando la pelle dorata che, sotto i raggi del
mattino mise in bella mostra i segni che la volpe gli aveva lasciato.
“Oh., oh... ma cosa abbiamo qui....” mormorò
l’uomo divertito, allungando una mano per strappare il resto della veste.
Hanamichi si ritrasse bruscamente, caricando un
pugno, ma la stanza vorticò violentemente attorno a lui, impedendogli di portare
a segno il colpo, costringendolo a lasciarsi cadere sul suo giaciglio per non
stramazzare a terra.
La febbre e la stanchezza reclamavano il loro
pagamento.
“A quanto pare ti sei divertito stasera eh?”
ridacchiò malevolo l’uomo, spingendolo con malagrazia sulla coperta ruvida.
“E dato che le donne erano tutte con noi...”
ghignò mentre nei suoi occhi si accendeva una luce maliziosa “....ma non mi
dire... ti piacciono i maschi?” suppose, prendendo a slacciarsi, con sommo
orrore di Hanamichi, la cintura dei pantaloni.
Sakuragi cercò di mettersi in piedi guardandosi
in torno alla disperata ricerca di qualcosa che potesse usare come arma, quando
un pugno ben assestato lo rispinse supino.
Il sicario gli montò cavalcioni gettando lontano
la veste stracciata, lasciandolo nudo mentre armeggiava con i suoi pantaloni,
per liberare il suo sesso.
“Potevi dirmelo subito sai...” sussurrò suadente
artigliandogli un fianco per impedirgli di agitarsi troppo “...vedrai che saprò
farti gridare...” promise malevolo abbassando la bocca per baciarlo.
Hanamichi ansimò, gli occhi sbarrati, scostando
in fretta il volto per non lasciare che quelle labbra venissero a contatto con
le sue ma l’uomo non parve farci caso, succhiandogli il collo mentre con l’altra
mano lottava con i lacci dei propri pantaloni.
Sakuragi, tremava, dimenandosi con le poche forze
che gli erano rimaste, ben sapendo che non sarebbero state sufficienti.
Non poteva essere vero....
Aveva negato alla volpe il suo corpo condannando
il villaggio, per salvare la sua dignità e ora doveva vederla strappata così, da
quell’uomo che era la causa di ogni suo problema.
Lottò disperatamente ma le sue forze erano
decimate dalla febbre.
Il suo aguzzino gli artigliò le gambe
obbligandolo ad aprirle per lui e Hanamichi chiuse gli occhi.
Era quella la punizione che gli dei avevano
deciso per lui?.
Aveva anteposto se stesso alla salvezza della sua
famiglia e ora doveva pagare?
Nel più crudele e assurdo dei modi, perdendo
proprio quel rispetto di se che aveva tentato di mantenere?
Ebbe a malapena il tempo di pensarlo....
Un grido di dolore straziante spezzò l’aria
attraversando tutto il villaggio con la sua terrorizzata agonia.
Un boato tremendo, spaventoso, fece tremare tutta
la casa prima che altre grida si unissero alla prima.
L’uomo lasciò andare bruscamente Hanamichi, i
pantaloni ancora allacciati, balzando in piedi di scatto, riconoscendo, in
quell’urlo che l’aveva interrotto prima che potesse divertirsi, la voce del suo
capo.
Hanamichi lo vide correre fuori incredulo e
sollevato, prima di raccogliere velocemente il suo vestiario ed arrischiarsi ad
uscire di casa, nella mente migliaia di pensieri che vorticavano impazziti.
Non poteva essere...
Avevano rotto il patto...
Non poteva essere LUI....
In mezzo alla grande piazza, scintillante in
tutta la sua devastante magnificenza, la volpe a nove code teneva tra le enormi
fauci il corpo straziato di Krag.
continua....
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