Il patto II
di Naika
Hanamichi sgranò gli
occhi facendo inconsapevolmente un passo indietro.
“A... accetti...?”
ansimò incredulo.
Ma accettava... cosa?
Lui gli aveva detto di
non possedere che se stesso.
E la volpe aveva
accettato.
Doveva dunque
considerarsi suo schiavo?
Era questo che
sottintendevano le parole del demone?
La volpe a nove code
gli voltò le spalle avviandosi verso il fondo della grotta, facendogli un
cenno indolente con la mano.
Con passi titubanti e
stanchi il rossino lo seguì nell’oscurità che andava ritraendosi di fronte
al giovane dalla carnagione pallida, quasi anch’ella ne avesse timore.
La caverna si rivelò
molto più lunga e profonda di quanto Hanamichi avesse immaginato.
La grotta iniziale,
quella in cui aveva incontrato la volpe, sboccava in un lungo corridoio di
pietra liscia e levigata quasi fosse stata scavata artificialmente.
Forse era così, pensò
il rossino, facendo scorrere una mano sulla pietra levigata stupendosi nel
trovarla leggermente tiepida al tocco, forse la volpe l’aveva scavata usando
la sua magia.
Camminarono per diversi
minuti nel buio assoluto mentre Sakuragi si guardava attorno spaesato,
cercando qualche punto di riferimento in quel buio fitto e labirintico,
senza sapere che cosa fare.
Non voleva irritare il
demone con domande stupide dato che la volpe aveva incredibilmente accettato
di aiutarlo ma lui non era persona da riuscire a restare in silenzio troppo
a lungo.
Aprì la bocca per
chiedere dove stessero andando quando d’un tratto il lungo corridoio di
roccia ebbe una brusca svolta a sinistra e Hanamichi dimenticò tutte le sue
domande sbarrando gli occhi incredulo.
Dinanzi a lui si apriva
una gigantesca cavità concentrica dalle altissime pareti smerigliate.
Tra le rocce appuntite
migliaia di splendidi cristalli catturavano la luce, rifrangendola in
milioni di arcobaleni colorati che illuminavano l’intero antro, disegnando
ombre iridescenti ed instabili.
Una serie di piccoli
scalini portava ad un piano leggermente ribassato rispetto all’entrata, da
cui loro provenivano.
Sulla sinistra, un po’
in disparte, un enorme vasca naturale in cui gorgogliava acqua termale,
scaldava l’intero ambiente con il suo piacevole calore facendo danzare sulla
sua superficie cristallina morbide volute di vapore elegante mentre una
piccola, tintinnate, cascatella di purissima acqua ghiacciata si riversava
su una cavità più piccola, adiacente alla prima.
Poco distante su una
grande base di marmo, rialzata di un paio di metri rispetto a tutto il
resto, giacevano pelli, pellicce, lenzuola, cuscini, e una miriadi di stoffe
e sete colorate a creare un enorme, soffice, giaciglio.
Il letto della volpe
probabilmente.
Hanamichi si guardava
attorno incredulo passando lo sguardo su tutte quelle meraviglie.
Nemmeno la reggia più
bella poteva vantare una tale magnificenza.
La volpe aveva scelto
con cura la sua tana.
L’ululato del vento
proveniva ovattato e lontano e sollevando il volto Hanamichi notò che sul
soffitto, altissimo, della grotta, si apriva una grossa spaccatura
irregolare, interamente ricoperta di levigato cristallo naturale, oltre il
quale poteva scorgere il cielo azzurro e le lunghe rame di qualche pino che
si era teso, accondiscendente, a mascherare il lucernario, proteggendolo
così dalla neve che avrebbe impedito alla luce di entrare copiosa e
scintillante nella grotta.
“Mortale...” la
voce cupa della volpe lo fece sussultare bruscamente.
Si volse in tempo per
ricevere in piena faccia qualcosa di morbido e profumato.
Lo fissò stupito,
srotolando la stoffa identificando la ‘cosa’ come una semplice veste bianca.
L’osservò,
accarezzandola riverente con le mani.
Anche se non si poteva
dire un esperto di tessuti era certo che quella stoffa fosse molto pregiata.
Era morbida e calda pur
essendo molto leggera.
Si volse a fissare il
demone notando solo allora che il volpino aveva prelevato l’indumento da una
seconda, piccola grotta, che prima non aveva notato.
Gli bastò un’occhiata
all’interno della seconda caverna per restare totalmente senza fiato.
All’interno di questa,
infatti erano ammassati, con totale indifferenza, oro, gioielli, abiti,
c’era addirittura un’enorme carrozza di legno dorato completamente
incastonata di rubini.
Nemmeno il tesoro
dell’imperatore poteva annoverare pietre grosse come quelle.
“Non farti prendere
da stupide tentazioni...” fu la laconica minaccia del demone, prima di
dirigersi, senza degnarlo di uno sguardo, verso la grande vasca d’acqua
calda.
“Io non sono un ladro!”
protestò vivacemente il rossino, oltraggiato, fulminandolo con lo sguardo.
Il moretto scosse il
capo con indifferenza “Meglio per te...” sussurrò, liberandosi con un
gesto del proprio abito per poi scivolare con languida lentezza nella grande
vasca.
Hanamichi sbarrò gli
occhi, per l’ennesima volta paralizzato dalla sua bellezza.
La sua pelle candida
sembrava catturare la lucentezza dell’acqua, assorbendola per poi
rifrangerla più candida e pura.
Le volute di vapore si
schiusero per lui in petali vellutati, impalpabili labbra di un amante che
si preparavano ad accogliere la lingua del loro padrone.
La luce dei cristalli
si rincorse tra le sue ciocche scure disegnando riverberi notturni tra i
suoi capelli di seta mentre qualche scintillio, più coraggioso degli altri,
scivolava ad accendere il suo sguardo di screziature violacee.
Il demone si volse a
guardarlo in silenzio, muovendosi con muta eleganza e con tale ipnotica
lentezza che solo il sospiro estatico dell’acqua confermò ad Hanamichi che
egli si fosse effettivamente spostato di qualche passo verso di lui.
“Do’aho..” la
voce del demone lo riscosse dalla sua ammaliata contemplazione.
Ma, ancora, Hanamichi
non aveva idea di che cosa dovesse fare.
Il demone parve leggere
nel suo sguardo spaesato perchè sollevò un sopracciglio, sorpreso, prima che
i suoi occhi scintillassero di pericoloso divertimento.
Senza che Hanamichi
avesse modo di capire che cosa stava succedendo vide l’aria attorno a se
tremolare, avvertì sulla pelle uno sfrigolio fresco e poi si ritrovò
teletrasportato nella vasca a pochi passi da quella creatura magnifica ed
enigmatica.
“Magia!” esclamò
sorpreso, sussultando nell’accorgersi che i suoi vestiti erano invece
rimasti a terra, nell’esatto punto dove lui si era fermato, incantato, ad
osservare il demone.
“Do’aho...” fu
lo sbuffò indifferente della volpe.
“Senti vedi un po’ di
smett....” ogni ulteriore parola morì sulle labbra del rossino quando si
rese conto, con sgomento, di quanto gli fosse vicino il demone.
Come aveva potuto
giungerli accanto senza che lui se ne accorgesse?
Se lo stava ancora
domandando quando il moro fece scivolare, con languida indolenza, le mani
candide sui suoi fianchi abbronzati.
Hanamichi sbarrò gli
occhi schizzando indietro come se si fosse ustionato.
“Che.. che.. stai...?”
ansimò fissando con occhi enormi la luce divertita che scintillava nelle
iridi profonde del suo padrone.
Così profonde.
Profonde e buie.
Insondabili....
...Ipnotiche....
Fece un passo esitante
in avanti senza riuscire a capire perchè.
Il suo corpo si muoveva
rispondendo ad un muto richiamo che lui non poteva ignorare.
Che non voleva
ignorare.
Fece un altro passo,
incerto, tornando verso il demone, sentendosi irresistibilmente attratto da
quello sguardo imperioso, la volontà completamente annientata dalla luce che
spiraleggiava sinuosa in quelle polle blu.
La volpe gli rimise le
mani sui fianchi tirandolo delicatamente contro di se, lo sguardo scuro
piantato in quei laghi di cioccolato fuso che avevano improvvisamente perso
la loro coscienza.
“Da bravo piccolo non
fare resistenza...” gli soffiò sulla bocca prima di chinare il viso
sfiorandogli le labbra con le sue spingendo la lingua tra esse, reclamando
l’attenzione della sua.
Hanamichi emise un
flebile gemito arrendevole chiudendo gli occhi, abbandonandosi contro il
petto della volpe, reclinando il capo all’indietro, nell’offrirglisi senza
remore.
Tuttavia, nel momento
stesso in cui le palpebre scesero pesanti a proteggere lo sguardo vacuo del
rossino, l’incantesimo che aveva incatenato la sua volontà a quella della
volpe si spezzò ridestandolo bruscamente dall’oblio in cui era scivolato.
Ansimò pesantemente
piantando entrambe le mani sul petto del demone, allontanandolo bruscamente.
La volpe sollevò un
sopracciglio senza tuttavia scomporsi minimamente o cercare di riattirarlo a
se.
“Hai cambiato idea?”
sussurrò tranquillamente, appoggiandosi con languida eleganza alla parete
della vasca mentre faceva scivolare lo sguardo indifferente sul rossino, che
si stava portando una mano tremante alle labbra.
“Non vuoi più salvare
il tuo prezioso villaggio?” insinuò, suadente, il demone attirando
bruscamente la sua attenzione su di se.
“Certo che vogl... e tu
come fai a saperlo?!” esclamò Hanamichi sbarrando gli occhi nel rendersi
completamente conto di quello che la volpe aveva appena sussurrato.
Lui non gli aveva mai
detto che genere di aiuto voleva da lui.
Il demone scosse le
spalle con sufficienza “Ho le mie fonti...” mormorò enigmatico.
Hanamichi lo fissò
incredulo ma la volpe non si degnò di dargli altre spiegazioni, tendendogli
invece una mano candida.
“Torna qui mortale...
ora credo tu abbia compreso che cosa ‘desidero’ da te...” sussurrò
malizioso.
Sakuragi sussultò
stupito, la volpe gli aveva letto nel pensiero?
Più probabile che
avesse compreso dalla sua espressione spaesata che non aveva assolutamente
capito che cosa volesse davvero da lui.
Ma ora sapeva.
Ed era spaventato.
Tra tutte le ipotesi
possibili, QUELLA, non l’aveva mai nemmeno sfiorato.
Era disposto a
sacrificare la sua vita per salvare il villaggio, certo, ma quello che la
volpe gli chiedeva di fare...
Rinunciare al suo
orgoglio, alla sua dignità, al suo essere uomo, al suo stesso essere umano.
Fare l’amore con un
demone.
Tremò intimamente
all’idea, senza riuscire a muoversi, sfuggendo quello sguardo scuro che sin
troppo facilmente sapeva piegare la sua volontà.
“Allora?” sussurrò la
volpe con tono annoiato.
Hanamichi strinse le
mani conficcandosi le unghie nei palmi prima di fare un esitante passo
avanti, il capo chino a fissare l’acqua che i suoi movimenti mandavano ad
increspare in morbide onde concentriche.
Il demone incurvò le
labbra in un leggero sorriso soddisfatto, osservandolo avanzare lentamente.
Sapeva che avrebbe
ceduto.
Lasciò che il suo
sguardo scorresse libero sul suo corpo muscoloso, dorato, vestito della
scintillante carezza delle goccioline d’acqua, avvolto dal vapore che
scivolava languido attorno a lui.
Ma non era ancora ciò
che voleva.
Ciò che l’aveva colpito
in quel mortale era altro.
Ciò che l’aveva spinto
ad accettare di aiutare un umano.
Mai
si era abbassato a tanto.
Le vicende di quelle
stupide creature lo disinteressavano totalmente, anzi.
Meno ce n’erano in
giro, meglio era.
Così, fastidiosamente,
rumorosi.
Sempre di corsa.
Sempre ad inseguire
qualcosa.
Mai soddisfatti di
nulla.
“Di più!” pareva
essere l’imperativo di quella razza assurda.
Più potere, più
ricchezze, più terre....
Di più, di più, di più.
Non bastava mai.
Non erano mai
soddisfatti, non erano mai felici.
Gli facevano pena, li
compativa e li disprezzava, ignorandoli, uccidendoli se osavano
infastidirlo.
Ma quell’umano
particolare....
Quell’umano che aveva
sfidato la tempesta di neve...
Che aveva sfidato la
notte gelida...
Il bosco suo alleato...
E al fine... aveva
osato... sfidare... LUI!
Gridare, a voce alta,
con tutto il fiato che aveva in gola, con rabbia... “Baka kitsune fatti
trovare!!”
Nel suo territorio.
Nella sua casa.
Aveva preteso di dargli un ordine!
L’aveva lasciato
entrare, l’aveva fatto arrivare davanti a lui per schiacciarlo.
Distruggerlo, dopo
avergli mostrato contro ‘cosa’ aveva alzato la voce.
Si era aspettato che di
fronte a tutto il suo potere, di fronte alla sua forma demoniaca quel
ragazzino scappasse singhiozzante, terrorizzato.
L’aveva visto con
soddisfazione impallidire, abbassare il capo e stringersi le mani intorno al
ventre, aspettava solo di vederlo crollare in ginocchio...
...e invece...
“Sembri una
verginella che va a sacrificarsi sull’altare...” sussurrò divertito.
E allora rivide ciò che
cercava.
Ciò che gli aveva
bloccato il respiro in gola per un interminabile, incredulo, secondo.
Quegli occhi
fiammeggianti.
Quei due fuochi di
volontà scintillante d’oro.
Quella luce calda,
densa, come il cioccolato in cui annegava.
Mai
aveva visto una fiamma simile in nessuna creatura, demone o mortale che
fosse.
I suoi capelli rossi
parvero incendiarsi sotto il riflesso colorato dei cristalli mentre la linea
decisa della sua mascella si serrava e quegli occhi impudenti si piantavano
nei suoi, senza paura.
Sfidandolo.
Magnifico.
Assolutamente
splendido.
In quel momento la sua
piccola preda scintillava di rabbia tramutandosi in una magnifica fenice
scarlatta.
Lo attirò bruscamente a
se chiudendogli la bocca tesa con la sua, violando quell’antro caldo che gli
si rifiutava, con la lingua, spingendola a fondo, con forza, tentando di
catturare quell’anima indomita che si rifiutava di piegarglisi.
Hanamichi lottò contro
di lui cercando di liberarsi dalla sua presa ferrea ma la forza del demone
era di molto superiore alla sua e si ritrovò ben presto imprigionato contro
il bordo della vasca, i polsi incatenati nella mano sinistra della volpe
mentre la sua bocca vorace lo obbligava a reclinare il capo all’indietro per
cercare di sfuggire al suo assalto.
Il demone si staccò da
lui fissandolo con uno sguardo di scintillante soddisfazione prima di
sussurrare: “Kaede...”.
“Eh?” non potè fare a
meno di domandare, con voce affannosa, il rossino, perplesso.
Il demone gli infilò un
ginocchio tra le gambe strappandogli un brusco sussulto mentre tornava a
chinarsi sul suo viso.
“Kaede...”
ripetè soffiandogli quel nome direttamente nell’orecchio “...è il mio
nome...” spiegò allungando la lingua per leccare la pelle calda della
gola, salendo poi a mordicchiargli il lobo dell’orecchio.
Hanamichi si agitò tra
le sue braccia senza riuscire tuttavia a trattenere un ansimo.
“Per.. perchè me l’hai
detto?” cercò di distrarlo, tentando di divincolarsi.
“Così avrai qualcosa da
gridare...” fu la candida risposta della volpe prima che egli tornasse a
chiudergli prepotentemente la bocca con la sua.
Il rossino si inarcò
con un sussulto violento quando il demone spinse il proprio bacino contro il
suo, strofinandoglisi maliziosamente contro.
Hanamichi lottò
disperatamente per sfuggirgli, per riuscire a respirare, cercando di non
soccombere al calore bruciante che gli stava obliando i sensi.
La volpe lo liberò
della propria lingua, scostando il volto di pochi centimetri dal suo, per
fissarlo con attenzione.
“Non stai
rispettando il patto mortale...” gli sussurrò, liberandogli i polsi e
tirandosi improvvisamente indietro.
Sakuragi respirava
affannosamente, appoggiato pesantemente contro il bordo della vasca, suo
unico appiglio dato che le gambe sembravano improvvisamente incapaci di
sostenerlo.
“Li... libera il
villaggio e poi.. poi... avrai quello che vuoi..” mormorò a fatica,
abbassando lo sguardo.
“Conosco le vostre
bugie, umano...” sussurrò fredda, la volpe.
Hanamichi sollevò il
capo fissandolo con occhi brucianti.
“Maledetto bastardo,
non fuggirò se è questo che intendi!” ringhiò.
Ma la volpe rise
sommessamente, divertita.
“Non esiste luogo..”
mormorò avvicinandoglisi lentamente “... in cui potresti nasconderti...
da me...” sussurrò gelandolo con uno sguardo oscuro, il blu di quelle
iridi magnetiche improvvisamente inghiottito da lunghe ombre nere.
“A..allora... libera il
villaggio e dopo...” mormorò Hanamichi, incapace di terminare la frase, ma
la volpe scosse il capo deciso.
“Ma perchè?” chiese il
rossino, disperato.
Se almeno avesse saputo
che il villaggio era finalmente libero, forse...
Forse si sarebbe
sentito meno umiliato da quelle mani candide, da quella bocca fin troppo
sapiente.
“Non sarebbe
altrettanto divertente...” fu la maligna risposta del demone, prima
che questi lo smaterializzasse per poi scaraventarlo sul suo letto.
Hanamichi cercò di
mettersi seduto tra le lenzuola e i cuscini ma si ritrovò immobilizzato
sotto il corpo di Kaede, comparso sopra di lui.
“Credo che tu non abbia
ancora capito bene, mortale...” sussurrò suadente il demone, avvicinando il
volto al suo, Hanamichi piegò di scatto il viso di lato e il moretto fu
costretto ad afferrargli il mento tra le dita per costringerlo a guardarlo
negli occhi.
“Non voglio un corpo
da violentare...” gli chiarì fissandolo dritto negli occhi
Il rossino lo fissò
perplesso e Kaede accostò il volto al suo orecchio per essere sicuro che
ognuna delle sue parole entrasse nella testa di quel do’aho.
“Voglio sentire i
tuoi gemiti, voglio sentirti chiedere di più, voglio le tue gambe a
stringermi i fianchi, voglio vederti scioglierti di piacere contro il mio
corpo...” soffiò facendo irrigidire bruscamente il ragazzo intrappolato
sotto di lui.
Rukawa sollevò il volto
fissando quegli occhi nocciola, sgranati, osservando le guance tinte
d’imbarazzo e le labbra gonfie, umide e socchiuse
“Voglio la tua
anima, mortale, e tutto il suo calore!”
continua....
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