DISCLAIMER: i personaggi e la storia sono miei
^__^
NOTE: ecco la 3' parte. Sto cercando di postare almeno un capitoletto alla
settimana. Quando siete stufi, ditelo ^___^
Inutile dire che aspetto commenti e critiche.
Il concerto
parte III
di
Schwarzefee
E invece Yuri era deciso. Mi sono trasferito a casa sua, senza dire niente a
nessuno. Non ero certo che i miei mi avrebbero fatto cercare.
Meglio così. Loro non dovevano sapere di Yuri.
Mi ero procurato tutto prima. Cibo e poi camomilla, latte, tisane varie, e
antidolorifici, aspirine, calmanti. Tutto quello che avevo trovato
nell'armadietto del bagno dei miei. Fumetti, libri. Stracci, cerotti,
disinfettante.
Vestiti puliti, salviette, sapone. Insomma tutto quello che poteva servire.
Poi è cominciata la guerra. Una vera e propria guerra. Ancora oggi mi
chiedo come ho fatto ad uscirne vivo.
* * *
Sulle prima era tranquillo. Mi diceva - vedrai, vedrai...- e annuiva con la
testa. Aveva un'aria molto decisa, ma è facile essere decisi
quando la crisi non è ancora incominciata. Poi ha cominciato a camminare
avanti e indietro. Ogni tanto lanciava un'occhiata nella direzione della
scatola.
Ma la scatola non c'era più. Naturalmente l'avevo buttata.
Era sempre più nervoso. Si guardava in giro come un animale in trappola.
Si stringeva le braccia contro il petto tanto forte che le dita diventavano
bianche. Mi guardava con aria di supplica. Sapevo cosa stava pensando. Ma io
non mi muovevo. Ero seduto a terra contro il muro e lo guardavo.
Ero pronto a tutto. Persino a legarlo, persino a picchiarlo tanto da
stordirlo.
Non gli avrei permesso di toccare quella maledetta siringa mai più.
Si è seduto in un angolo, abbracciandosi le ginocchia, dondolando avanti e
indietro come un autistico. Emetteva un suono, un lamento prolungato, basso,
che andava avanti fino a quando non aveva esaurito il fiato e poi
ricominciava. E mi guardava, mi guardava continuamente. Sono strisciato fino
a lui, volevo abbracciarlo. Ma lui ha respinto la mia mano con rabbia.
- Non mi toccare -
Ha sibilato. Allora sono tornato al mio posto. E' stato il suo turno di
strisciare fino a me. In ginocchio, come un postulante.
? Ti prego -
Ha sussurrato. Avrebbe avuto gli occhi pieni di lacrime se il suo corpo
fosse stato ancora in grado di produrne. Io ho scosso la testa.
Allora è scattato in piedi. Da giorni non si muoveva quasi più, ma in quel
momento il suo corpo ha raccolto tutta la forza di cui era capace. Si è
buttato contro la parete, una due, dieci volte, gridando. Sembrava un
animale. Io mi sono rannicchiato nel mio angolo. Ho avuto paura.
Ma non è durata molto. E' crollato a terra. Con le mani scarne mi ha
afferrato per la maglietta. Teneva i denti scoperti, come un cane arrabbiato
e mi insultava, e bestemmiava. Dalla bocca gli usciva una schiuma rosa.
L'ho preso per le spalle e l'ho stretto contro di me, con forza.
- Passerà, - gli dicevo, - passerà -
Ma in quel momento nemmeno io ci credevo. Sarebbe stato così facile.
Uscire a cercare quel tizio. In casa c'erano ancora delle siringhe. Così
lui sarebbe stato meglio, avrebbe smesso di soffrire. Con rabbia ho
scacciato quel pensiero.
L'ho sentito sobbalzare ed emettere un gorgoglio. Stava vomitando.
Addosso
a me. Vomitava schiuma e sangue. Allora mi sono riscosso. Ho aspettato che
finisse di vomitare, poi sembrava più tranquillo. L'ho adagiato sul
materasso e sono corso a riempire la vasca di acqua calda. Mettercelo dentro
è stato più complicato di quanto pensassi, era un peso morto. Rischiando
di procurarmi uno strappo l'ho issato sul bordo e poi, tenendolo in
equilibrio, ho messo
in acqua prima una gamba, poi l'altra. Da quanto tempo non faceva un bagno?
E io? Mi sono spogliato e sono entrato nella vasca sedendomi dietro di lui.
Ho preso una spugna e l'ho lavato, dolcemente, cercando di massaggiarlo, di
rilassare i suoi muscoli contratti. Gli ho lavato anche i capelli.
Intanto immaginavo come sarebbe stato bello se lui fosse stato bene. Fare il
bagno insieme e poi fare l'amore. Forse sarebbe successo. Adesso avevo una
piccola speranza. Dovevo resistere e non cedere alla pietà. Dovevo essere
forte per tutti e due.
Toglierlo dalla vasca è stato ancora più complicato che mettercelo.
Da bagnato scivolava da tutte le parti. E mentre mi dannavo l'anima per
strapparlo fuori, ho sentito uno strano gorgoglio. Stava per vomitare
un'altra volta.
E invece no. L'ho guardato. Stava ridendo. Rideva di me. Allora mi sono
guardato nello specchio. Si, ero davvero ridicolo, in piedi sul bordo della
vasca, nudo, che tiravo e sbuffavo, più sudato che bagnato. Qualcosa mi si
è sciolto dentro il cuore e anche io ho cominciato a ridere.
Poco dopo eravamo sul materasso, con le lenzuola pulite e due tazze di thè
fumante fra le mani. Yuri stava meglio. Almeno fino alla prossima crisi.
* * *
Le prime crisi sono state tutte uguali. Lui tremava e batteva i denti.
Diceva che aveva freddo. Le coperte non bastavano mai, il freddo era dentro
di lui e niente avrebbe potuto farglielo passare. A volte piangeva e a volte
gridava. - Ti prego, aiutami, sto male - ... - sto morendo, Hansi, sto
morendo
- E io non sapevo cosa fare. Cominciavo a credere che non sarebbe mai
finita.
L'intensità delle crisi era sempre la stessa e anche l'intervallo fra una e
l'altra.
Finalmente dopo qualche giorno sono diventate più rare e più leggere.
Yuri aveva imparato a fronteggiarle, si preparava quando le sentiva
arrivare, e così duravano sempre meno e ad erano sempre meno violente.
Poi ha cominciato a stare meglio e persino a mangiare qualcosa. Ormai non
vomitava più e io ero raggiante. Ce la stavamo facendo. Quando stava meglio
parlavamo, lui sapeva ormai tutto di me, dei miei problemi con i miei, della
scuola, degli amici. Invece lui parlava di musica e delle sue foto, dove le
aveva fatte e perché. Di lui, del suo passato, della sua famiglia, non
parlava mai. Era come se non esistessero.
* * *
Poi ho capito che sarebbe stato ancora più difficile.
Un giorno, proprio durante una crisi, ha suonato il campanello. Yuri è
balzato in piedi ed è corso alla porta. Ci ho messo qualche secondo per
realizzare cosa stava succedendo. Era lo spacciatore. Cazzo!
Fortunatamente la porta era chiusa a chiave e Yuri non sapeva dove la
tenevo.
Sono scattato in piedi anche io e l'ho raggiunto mentre scuoteva la porta
tentando di aprirla. Quando ho cercato di trascinarlo via, si è voltato con
rabbia e mi ha dato una spinta, buttandomi per terra. No! Non ora!
Ce la stiamo facendo! Pensavo disperatamente.
- Yuri, no, non farlo. Non aprire la porta! -
Gridavo. Ma lui non mi ascoltava. Picchiava contro la porta, tirava la
maniglia.
L'avrebbe buttata giù a costo di rompersi una spalla.
Con la forza della disperazione mi sono avvinto a lui e l'ho trascinato in
camera. Gli ho dato un pugno, e poi un altro e un altro ancora.
Fino a quando non è rimasto immobile sul pavimento.
Sono corso in cucina e ho preso un coltello, poi sono tornato alla porta.
La chiave era nei miei jeans. Ho aperto. Davanti a me il solito tizio, con
gli occhi sgranati.
- Vattene! -
Ho gridato, puntandogli addosso il coltello. Il tizio mi guardava,
combattuto fra la paura di beccarsi una coltellata e la paura forse ancora
più grande di non prendere soldi. Niente soldi, niente dose. Gli sono
saltato davanti, vicinissimo, sempre brandendo il coltello e intanto gridavo
e agitavo le braccia.
- Vattene, vai via! -
Ma lui non si muoveva. Allora l'ho preso per le spalle e l'ho semplicemente
gettato dalle scale.
L'ho guardato ruzzolare. "E' morto" ho pensato. Invece si è
rialzato.
Era talmente fatto da non sentire il dolore. Avrebbe potuto anche avere
delle ossa rotte e alzarsi lo stesso e andarsene.
- Se torni ti ammazzo -
Gli ho gridato. Poi sono tornato in camera, affannato, con il cuore che
batteva a mille all'ora.
In quel momento ho capito che non sarebbe bastato aspettare la fine delle
crisi. Lui ci avrebbe pensato, anche dopo, ancora per mesi. Per anni forse.
Lui sarebbe stato tentato ancora. Ogni volta che si sarebbe sentito giù,
lui ci avrebbe pensato. E io? Ero pronto per questo? Ero sicuro di volere
passare la vita tenendolo continuamente d'occhio, sempre con la paura di
tornare a casa un giorno e trovarlo con un ago infilato nel braccio?
No. La risposta era no. Ma non potevo fare diversamente.
* * *
Yuri era accoccolato contro il muro. L'ho abbracciato. Tremava come una
foglia.
- Perdonami - ha singhiozzato - io non volevo. E' stato più forte di me.
Quando ho capito che era lui io ho pensato solo che stavo male e che lui
poteva fare qualcosa per farlo smettere. Io non ce la faccio più! -
- Lo so ... anzi no, non so cosa provi, cosa senti. Vedo solo che stai male.
E mi sento così ... inutile! Vorrei poter fare di più per te. Ma non devi
cedere ora. Non lo capisci? Dopo tutto quello che hai passato, che abbiamo
passato. Non puoi ricominciare tutto da capo. Tu non ce la faresti mai. - ho
preso il suo viso fra le mani, fissandolo negli occhi - E nemmeno io! -
Improvvisamente mi sentivo sfinito.
- Sono così stanco! - ha detto lui, come leggendomi nel pensiero. - Vorrei
che fosse finita -
- Lo sarà. Presto. Io sono qui, con te, e non ti lascerò fino a quando non
sarà finita. -
Era come essere nelle sabbie mobili. Lui affondava e io lottavo per tenerlo
su. Ma per quanto tempo ancora ne avrei avuto la forza?
Io lo amavo. Questo mi dava forza. Ma, dannazione, io avevo solo quindici
anni. E stavo fronteggiando una cosa che avrebbe distrutto molti adulti.
Comunque non avevo scelta.
* * *
Poi le cose hanno cominciato a migliorare.
Un pomeriggio siamo usciti. Lui mi voleva accompagnare al supermercato.
Io ero felice come una Pasqua. Abbiamo girato un po' per la città, evitando
accuratamente i posti che frequentava prima. Non doveva rivedere i suoi
vecchi amici, avrebbe potuto anche essere pericoloso.
Io ci pensavo spesso. Uscire dalla droga non è così semplice. Eravamo
fortunati perché il suo fornitore era ormai in fin di vita, ma c'erano
altri che non sarebbero stati affatto contenti di perdere un buon cliente.
Yuri stava già pensando di cambiare casa. Voleva allontanarsi da tutto e
ricominciare da capo. Una vita tutta nuova.
Passeggiando siamo passati davanti ad un ristorante. Yuri, sorprendendomi
completamente, si è messo davanti a me e mi ha preso entrambe le mani nelle
sue.
- Permettimi di invitarti a pranzo - mi ha detto con gli occhi che
luccicavano.
- Cos'è questo? Un invito ufficiale? - ho chiesto scherzando. Ma dentro di
me sentivo un'emozione mai provata.
- Mh! Un appuntamento in piena regola! - sorrideva. C'era il sole e i suoi
occhi non erano mai stati più azzurri. Due incredibili zaffiri. Gli ho dato
un'occhiata. I jeans erano sbiaditi ma integri e la maglietta era una
semplice T-shirt nera. I capelli erano raccolti in una lunga treccia ed
emanavano un buon profumo di vaniglia. Si, poteva andare. Anzi, era
perfetto. Avevo notato più di una ragazza voltarsi al nostro passaggio e
certo non era per merito mio.
- OK, accetto l'invito. -
* * *
E' stato un pomeriggio fantastico. Dopo pranzo siamo andati a fare incetta
di CD. E poi a casa. Da una specie di garage sotto il palazzo ha tirato
fuori una moto. Una Harley! Quel ragazzo non smetteva mai di sorprendermi.
Era pulita e lucida.
- Sai, avevo quasi dimenticato di averla. Una volta eravamo inseparabili, ma
ultimamente non mi piaceva più guidarla. Ieri sono sceso mentre dormivi e
gli ho dato una sistemata. Volevo farti una sorpresa. -
- E ci sei riuscito! Accidenti se ci sei riuscito! E' uno spettacolo! -
saltellavo in giro come un bambino davanti ai regali di Babbo Natale. Ma la
sorpresa non era finita. C'erano anche due caschi e due giubbotti di pelle,
uguali!
- Noooo! E' per me questo? E anche questo? - mi sono buttato al suo collo e
gli ho schioccato un bacio sulla guancia.
- Ti amo! - gli ho detto. Si, in quel momento erano parole dette così per
dire, parole che avevo detto un sacco di volte a un sacco di persone.
Tipo un ringraziamento. Ma poi ho ripesato bene quello che avevo detto.
Tenevo ancora le mani incrociate dietro la sua nuca. I nostri visi erano così
vicini.
Sentivo il suo respiro che mi solleticava il viso. Allora l'ho ripetuto,
questa volta con l'intenzione di dire proprio ciò che stavo dicendo.
Sottovoce.
Fissandolo negli occhi.
- Ti amo. -
Ho sentito le sue mani sui miei fianchi, che mi attiravano vicino, sempre più
vicino. Le nostre labbra erano separate da un velo.
- Anche io ti amo - ha sussurrato sulla mia bocca. E poi le nostre labbra si
sono incontrate.
FINE P.3
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