DISCLAIMER: i personaggi e la storia sono miei. (Si, questa è quella dei
cantanti xò i cantanti vengono (hem...) + avanti)
Il concerto
parte II
di
Schwarzefee
Il giorno dopo torno da lui. Entro, la porta è aperta. Lui non mi aspetta.
E' stravaccato sul materasso con addosso solo i jeans e gli anfibi. Mi siedo
accanto a lui. Gli sfioro una guancia. E' fatto. Il respiro è corto e
veloce.
La siringa è ancora sul pavimento. Decido di rimanere lì ad aspettarlo.
Intanto lo guardo. E' davvero bellissimo. Sento una stretta al cuore. Con un
dito percorro il suo profilo. Il naso diritto, gli zigomi alti, le guance
scavate, ricoperte da un velo di barba. Le labbra leggermente carnose. Sono
pallide, sembrano fredde. Improvvisamente sento il bisogno di accertarmene.
Appoggio le mie labbra sulle sue. No, sono tiepide e morbide.
Mi viene da ridere. E' il mio primo bacio e l'ho dato alla bella
addormentata.
Ma lei è talmente fatta che non si sveglia. E' il mio destino. Per me fin
da piccolo le favole sono sempre finite male. Cappuccetto Rosso è stato
mangiato dal lupo, Cenerentola ha continuato a fare la sguattera e Bianca
Neve è stata avvelenata dalla strega. I prìncipi non sono mai arrivati.
C'è qualcosa che non va. Qualcosa che manca. I suoi occhi. Sono chiusi.
E' come se il sole si fosse nascosto dietro un'eclissi. Senza quei suoi
occhi dannatamente azzurri tutto sembra diverso, più buio. Anche io mi
sento diverso, senza la loro luce posata su di me. Senza i suoi occhi che mi
sorridono.
Con il dito scendo, la gola, il petto glabro e scarno. Chissà da quanto
tempo non fa un pasto come si deve. Mi viene un'idea. Esco di corsa e corro
fino al supermercato più vicino. Prendo un po' di cose, pasta, burro,
verdure.
Penso che forse ha bisogno di carne, ma io non riesco a toccare un pezzo di
animale morto, è più forte di me, allora opto per le uova. Dovrebbe andare
bene lo stesso.
Torno a casa sua, sempre di corsa. Lui è sveglio. E' ancora sdraiato sul
materasso, ma ha gli occhi aperti.
- Mi mancavano i tuoi occhi - sussurro.
Lui mi guarda stupito entrare trafelato con la borsa di plastica appesa al
braccio come una brava massaia. Vederlo sveglio mi rende felice. Sento come
un peso scivolarmi via dal cuore. Nel cucinino trovo un paio di pentole.
In una ci cuocio la pasta, nell'altra le verdure, poi le uova.
Trovo dei piatti, bicchieri e forchette. Cucchiai non ce ne sono. Preparo
una tavola un po' approssimativa, però per il momento va bene così. Mi
riprometto di portare qualcosa la prossima volta. Lui è appoggiato allo
stipite della porta e mi guarda. Sempre più stupito. Quando tutto è pronto
lo invito a sedersi. Io mi siedo di fronte a lui e comincio a mangiare con
appetito.
Ma lui non mangia. Guarda il piatto e sorride, poi scuote la testa.
- No, non ce la faccio a mangiare tutta questa roba! -
- Be', comincia. Quando non ti va più smetti. Però ti conviene cominciare,
altrimenti si fredda. -
Lui mi guarda. Non sorride più. Si alza e torna di là. Una rabbia
improvvisa si forma nel mio petto. Mi alzo, picchio le mani sul tavolo
e lo seguo.
- Dove cazzo stai andando? E' così che mi ringrazi? Sono andato apposta a
comprare questa roba, e l'ho cucinata e tu te ne vai così? -
Lui si gira e mi fissa con rabbia, quasi con odio.
- Ma chi ti ha chiesto niente? E poi tu chi sei? Chi ti conosce? Solo perché
sei stato qui un paio d'ore ieri, non hai il diritto di venire qui a dirmi
cosa devo fare! Io non sono tuo amico! -
"Ma io si" penso con disperazione. Mi avvento su di lui e gli
mollo un pugno.
Lui crolla. Non ha la minima forza.
- Io non voglio niente da te! Hai capito? Non me frega niente di te! Non me
ne frega se ti stai riducendo a una larva. Io voglio solo che ti siedi al
tavolo e mangi quella cavolo di pasta! -
Lui mi fissa da terra. Il labbro sanguina debolmente. Mi guarda con gli
occhi sgranati. Si, sto piangendo. Me la sto prendendo per uno che neanche
conosco, per uno che domani potrebbe essere morto. Non lo so cosa voglio.
Sono confuso e spaventato. Lui si alza a fatica, mi viene vicino e mi
abbraccia.
Appoggia il mento sulla mia spalla.
- Ok - sussurra.
Mangia poco, solo qualche pezzo di uovo e un po' di verdura. Sembra che ogni
boccone stia per soffocarlo. Alla fine si lascia andare sul materasso
e si addormenta. Lo lascio così.
Da quel giorno sono andato da lui tutti i giorni, dopo la scuola. Portavo
sempre qualcosa da mangiare e lui tutti i giorni riusciva a mangiare
qualcosa di più. A volte ci litigavo e dovevo costringerlo. Capitava anche
che si rifiutava, allora dovevo rincorrerlo con la forchetta in mano,
bloccarlo sul materasso e costringerlo a ingoiare. Per me era diventata una
questione vitale. Non potevo fare niente per farlo smettere di bucarsi, ma
potevo tentare di rallentare la distruzione del suo corpo. E della sua
mente. Parlavo con lui, lo ubriacavo con le mie chiacchiere. Mettevo su la
sua musica preferita a volume altissimo. Volevo distrarlo, farlo pensare ad
altro che non fosse la roba. A volte mi sembrava di riuscirci.
Sembrava talmente preso dai nostri discorsi da dimenticare. Ma poi
riconoscevo quell'espressione sul suo viso, una fretta improvvisa che lo
prendeva, e andava a prendere quella scatola.
Quante volte ho sognato di distruggerla, quella maledetta scatola! In quei
momenti mi sentivo così sconfitto. E disperato. Volevo prenderlo per le
spalle e gridargli "Basta! Smettila! Tu devi vivere! Ti prego! Devi
vivere per me!". Si, per me. Perché io ormai non potevo più fare a
meno di lui.
I primi giorni pulivo, sistemavo. Avevo portato delle cose, stoviglie, ceste
di vimini, dei cuscini, persino lenzuola e coperte, spugne da bagno. Anche
qualcosa per lui, qualche t-shirt, calze, mutande.
Ma lui stava sempre più male, reagiva sempre meno. Non potevo più nemmeno
forzarlo a mangiare perché poi vomitava tutto. Si alzava dal materasso solo
per uscire a procurarsi la roba.
Un senso di inutilità mi pervadeva. Cosa potevo fare?
Mi chiedevo dove prendesse i soldi. Soprattutto adesso che non usciva più
da casa. Ma questa è una cosa che ho scoperto molto più tardi.
Intanto speravo che sarebbero finiti, così avrei avuto qualcosa a cui
attaccarmi.
Invece non finivano mai e l'incubo continuava, ogni giorno peggiore del
primo.
Alla fine non pulivo più, non facevo più niente. Niente mi sembrava avere
più uno scopo. Avevo cominciato a portarmi qualcosa da fumare, era troppo
duro stare lì a guardarlo a mente serena.
Un giorno non ce la faceva.
Ha cominciato a tremare, e subito si è fatto prendere dal panico. Si è
infilato l'ago nel braccio, una, due, tre volte. Niente da fare. La vena non
aveva intenzione di farsi trovare, o semplicemente non c'era più. Io
piangevo in silenzio. Le lacrime mi scorrevano giù dagli occhi senza che io
potessi fare niente per fermarle.
Allora l'ho aiutato. La pietà è stata più forte della consapevolezza che
lo stavo aiutando ad ammazzarsi. Con dolcezza gli ho tolto la siringa. Gli
ho messo il laccio sull'avambraccio, poi ho preso la sua mano ed ho in
filato l'ago nella vena sul dorso. Ho tirato. Perfetto, la vena c'era.
Allora ho spinto. Piano. L'ho guardato, i suoi occhi mi hanno fissato pieni
di un muto ringraziamento, poi sono scivolati via.
Quando me ne sono andato quella sera ho giurato di non tornare più.
Mi stavo riducendo come lui. Non mangiavo più nemmeno io e fumavo troppo.
Fra poco l'hashish non mi sarebbe più bastato. Cosa sarebbe successo? Avrei
cominciato anche io a bucarmi? Oppure avrei passato i suoi ultimi giorni ad
aiutarlo a farsi, sarei persino uscito a procurargli la roba al suo posto.
No. Questo era l'inferno. Dovevo fare qualcosa. Ma cosa?
* * *
L'ultima goccia è caduta un giorno. Stavamo sdraiati su quel materasso,
ormai lercio e incrostato del suo sangue. Non cambiavo neppure più le
lenzuola.
Andavo da lui e passavo tutto il tempo tenendolo stretto, come se fosse
l'unico modo per tenerlo con me, per impedirgli di andarsene. Lui non mi
stringeva più. Non ne aveva la forza. A volte si lamentava, guaiva come un
cucciolo. A volte si scuoteva, sobbalzava. Poi tornava immobile.
Ormai capivo quando aveva bisogno di un buco. Mi alzavo come uno zombi e
prendevo la scatola. Era come se fosse la mia.
Quel giorno il campanello ha suonato. Sono andato ad aprire senza nemmeno
chiedere chi fosse. Sulla porta stava un tizio, una specie di cadavere.
Mi ha guardato con sospetto e ha cominciato a biascicare qualcosa. In bocca
non aveva nemmeno un dente. Ha tirato fuori un pacchettino. Consegna a
domicilio.
Sono andato da Yuri e lui mi ha indicato una scatola nel mobile dei Cd.
Dentro c'erano una decina di buste. E dentro le buste soldi. Ho tirato fuori
tre banconote e le ho date la tizio, ricevendo in cambio il pacchetto.
Poco dopo stavo preparando l'ennesima pera. Ne ho preparato mezzo grammo in
più. Yuri mi guardava con quei suoi occhi terribilmente belli. Mi sono
chiesto per quanto ancora li avrei visti. Gli ho bucato il polso. Ormai lo
avevo bucato dappertutto. Le vene erano sempre più poche. Cercavo di
tenerlo pulito, se si fossero formate delle croste poi sarebbe stato più
difficile. Gli ho iniettato la solita dose. Cinque grammi, fra poco avrei
dovuto usare due siringhe. Ho sospirato, il cuore vuoto. Ormai avevo pianto
tutte le mie lacrime.
Nella siringa ne era rimasta un po'. Ne avevo preparata appositamente di più.
Ho preso il laccio e me lo sono legato appena sotto l'ascella, aiutandomi
con i denti. Ormai ero abituato a bucare la pelle, ma sentire l'ago dentro
di me mi ha spaventato. L'ho sentita entrare. E' stato come esplodere. Per
un attimo ho pensato che forse era troppa per il primo buco. Poi una mano ha
cominciato a strizzarmi dappertutto, come si strizza un limone. Allora ho
sentito un suono, come un grido prolungato. Ho impiegato qualche secondo per
capire che ero io che stavo gridando.
* * *
Avevo deciso di lasciarlo. Non potevo fare altro. O almeno avevo deciso di
dargli un ultimatum. O me o la droga. Ma che cavolo di ultimatum era?
Era logico chi avrebbe scelto. Quale tossico sceglieva qualcos'altro che non
fosse la roba? E poi cosa ero io per lui? Solo un ragazzino che gli girava
continuamente fra i piedi. Non ero neanche sicuro che gli facesse piacere.
Forse non mi scacciava solo perchè non aveva più la forza per farlo.
Comunque questo era quello che avevo deciso. E così ho fatto.
Mi ricordo i suoi occhi mentre glielo dicevo. In un primo momento erano
inespressivi, come sempre. Poi il senso delle mie parole si è fatto strada
nella sua coscienza intorpidita. E i suoi occhi sono cambiati. Sono
diventati quelli di un animale in trappola. Si è aggrappato al mio collo.
La sua reazione è stata così improvvisa e violenta che per un attimo ho
avuto paura.
- No! Ti prego, non lasciarmi solo. - la sua voce era rauca e disperata.
Erano le prime parole che diceva da giorni. - Ti prego! Solo tu puoi
aiutarmi.
Non voglio morire! Solo tu puoi salvarmi! -
Allora l'ho stretto fra le braccia. Era così debole! Così indifeso.
- Io non ti lascio. Non ti lascerò mai. Ma tu mi devi promettere che
smetti.
Io ti aiuterò. Sono io che ti prego di non lasciarmi. Io ho bisogno di te.-
A queste parole si è raddrizzato, come se una nuova forza lo avesse
pervaso.
E' stato allora che mi ha baciato. Il nostro primo vero bacio. Ci siamo
lasciati andare sul materasso. Ho cominciato ad accarezzarlo dappertutto,
preso da una smania incontenibile. Lui era abbandonato, completamente senza
forze. Quando l'ho spogliato è stato come spogliare una bambola. Poi si è
messo a piangere. Ancora una volta l'ho stretto fra le braccia. Sapevo cosa
stava provando.
Semplicemente non ce la faceva.
Siamo rimasti così, stretti. Io lo abbracciavo cercando di trasmettergli
tutto il mio calore. Lui si aggrappava a me come un naufrago. E' stato
allora che me l'ha promesso. Io gli dicevo di si, continuavo a parlare, non
so cosa dicevo, parlavo e parlavo. Ma non gli credevo. Avevo conosciuto
troppe persone che avevano fatto quella promessa decine di volte e nessuno
mai l'aveva mantenuta.
continua...
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