Disclaimer: i personaggi di questa fic sono
miei ma siccome fanno quello che vogliono e come se non lo fossero -.-
Dediche: a tutte coloro che non hanno perso la
speranza ^^’’’’
Buon Halloween!
Il caso
Dracula
parte
I
di
Naika
John Arper aveva cinquant’anni e, in vita sua,
aveva parlato in tutto con una decina di persone.
Gli esseri umani non gli piacevano, non gli
erano mai piaciuti.
Troppo rumorosi, troppo fasulli, troppo
faticosi da gestire.
I suoi genitori si erano disperati a lungo
dicendogli che non avrebbe mai trovato un lavoro, scontroso e musone
com’era, ma si erano sbagliati.
John aveva un impiego ed era davvero il suo
posto ideale.
Nessun collega, buona paga e i suoi
clienti non si lamentavano mai.
L’uomo, dai movimenti ormai appesantiti
dall’età, piantò la pala accanto alla fossa che aveva appena terminato di
scavare osservandola con occhio critico.
Non aveva più la forza di una volta ma
svolgeva ancora bene il suo compito.
Si asciugò la fronte con un fazzolettone a
quadri bianchi e rossi e, dopo essersi pulito alla bell’e meglio le mani
sporche di terra sulla vecchia tuta da lavoro, recuperò la vanga e la fida
lanterna, alla cui luce aveva lavorato, per dirigersi verso la sua piccola
abitazione, poco oltre il recinto del cimitero.
Poggiò la pala al muro d’ingresso, accanto
alla piccola porta chiusa a chiave per poi cominciare ad armeggiare con la
serratura arrugginita quando un piccolo rumore familiare lo fece voltare,
sul volto un sorriso che nessuno dei suoi concittadini avrebbe mai potuto
sperare di vedersi rivolgere.
“Sei tornata eh birbantella!” mormorò con
affetto, osservando la spelacchiata gatta dal pelo grigio fumo.
“Miao...” ripetè lei senza tuttavia
avvicinarglisi com’era solita fare, gli occhi dorati che brillavano nel buio
come due piccoli fuochi fatui.
“Che cosa c’è?” le chiese perplesso dal suo
strano comportamento, senza curarsi del fatto che si stava rivolgendo ad un
felino.
Non amava parlare con le persone ma con i suoi
gatti lo faceva spesso.
Erano dei bravi ascoltatori e non
facevano finta d’interessarsi ai suoi discorsi, lo ascoltavano davvero, se
ne avevano voglia, facevano le fusa, se ne avevano voglia, e se ne andavano
quando ne avevano voglia.
E a John questo piaceva. Non aveva affibbiato
loro nessuno stupido nome, e non si preoccupava di cercarli se sparivano per
giorni, ma la ciotola del cibo e quella dell’acqua erano sempre piene in un
angolo riparato, sotto la finestra della cucina.
Tuttavia la micina grigia, un acquisto recente,
abbandonata lì da qualcuno che, definire bestia, sarebbe stato un offesa al
mondo animale, amava particolarmente le coccole e di solito gli saltava in
braccio non appena ne aveva occasione.
“Miao!” protestò la piccola randagia attirando
nuovamente l’attenzione dell’uomo su di se.
“C’è qualcosa che vuoi farmi vedere?” le
chiese lui riafferrando la lampada notando come la gatta puntasse lo sguardo
verso qualcosa, lontano, tra le tombe.
Perplesso ma incuriosito John si apprestò a
seguire il zizzagare della bestiola tra lapidi e grosse croci di pietra
fino a che il cono di luce che gli illuminava il cammino non sfiorò
qualcosa di eccessivamente colorato in tutto quell’austero grigiore: il
lembo di un vestito.
Un abito rosso, da sera, indossato da una
bella ragazza dai lunghi capelli biondi.
John non sussultò.
Era abituato ai cadaveri anche se di solito
glieli portavano già ‘confezionati’.
Quella invece era stata abbandonata lì e, a
giudicare dalla lieve colorazione rosata che ancora mantenevano le sue
guance, non era nemmeno morta da tanto tempo.
“Miao..” mormorò la gattina osservando con
occhi insondabili l’umana riversata sulla tomba della vecchia signora
Tompson.
“Una bella seccatura...” borborttò John
fissando la micina con una punta di rimprovero “Non potevi aspettare domani
mattina e farla trovare a qualcun’altro?”
“Miaooooo” protestò lei acciambellandosi sulle
zampine posteriori con aria offesa.
Il guardiano del cimitero sospirò e lanciò
un’altra occhiata al cadavere prima di tornare verso la sua abitazione alla
ricerca del telefono.
La lampada sfiorò un ultima volta il corpo
tornito della ragazza in rosso, accomiatandosi da lei con un veloce carezza
sui capelli spettinati, sul viso truccato con cura e sul lungo collo da
cigno, su cui spiccavano due piccoli forellini rossi.
“E con questa fanno tre...” borbottò Scott
Andarson sfogliando distrattamente il suo taccuino mentre osservava i
colleghi della scientifica fare le loro rilevazioni.
Il guardiano del cimitero non aveva potuto
dare loro nessuna informazione utile.
Aveva risposto a monosillabi alle domande e
non era nemmeno stato in grado di dire che ora fosse quando aveva trovato
Sheila Rox, questo il nome della vittima, dato che non portava l’orologio.
Inoltre l’uomo aveva perso un sacco di tempo
prima di chiamarli in quanto aveva dovuto raggiungere il paese per
telefonare, visto che al suo apparecchio erano stati tagliati i fili da anni
senza, per altro, che lui se ne fosse accorto.
“Hey Scott noi abbiamo finito possiamo
portarla via?” gli chiese il collega dell’obitorio e il detective annuì
cupo, lanciando un ultimo sguardo al collo della ragazza.
La stessa modalità degli altri due omicidi.
Bella ragazza, giovane, nessun segno di
maltrattamento.
Non era stato rubato niente, avevano trovato
la borsetta poco lontano, integra, appesa al braccio di una croce.
Ma la cosa più strana erano quei due maledetti
forellini sul suo collo e il sorriso estatico con cui lei aveva salutato il
suo assassino e che le si era grottescamente congelato in faccia con la
morte.
Le analisi del sangue avrebbero dimostrato che
era stata drogata, come le altre due, ma non avrebbero fornito loro nessun
appiglio in più.
Sospirò, tornando verso l'auto, massaggiandosi distrattamente una
tempia. Gli stava tornando l’emicrania e, nella fretta di arrivare sul luogo
del delitto, si era vestito troppo poco con il risultato che ora stava
gelando nel sottile capotto marrone.
“Peggio di così...” borbottò.
Non fece in tempo a pensarlo che un lampo di
luce squarciò la notte.
“Hey!!” gridò facendo mezzo passo in direzione
dell’uomo appostato dietro la recinzione del cimitero.
Ma era troppo tardi, l’individuo nascose la
macchina fotografica sotto la spessa giacca e si fiondò lungo la strada, di
corsa, ignorando i richiami degli agenti che gli intimavano di fermarsi.
Scott osservò un paio di suoi colleghi tentare
invano di agguantare il curioso che, veloce come un anguilla, si era già
infilato in una scassata utilitaria che partì facendo fischiare le ruote.
Stava giusto pensando che non poteva andare
peggio di così, giusto?
E invece ecco... il disastro che erano
riusciti ad evitare con le prime due vittime si era infine compiuto:
giornalisti.
Il suo cellulare prese a suonare un motivetto
pop del tutto fuori luogo data la situazione, l’ora e il suo umore,
spargendo le sue note allegre, con impudenza, tra le tombe, e Scott si
affrettò a portarlo all’orecchio e a mugugnare un: “Pronto” a metà tra il
ringhio e il lamento.
“Anderson! E’ vero? C’è stata un’altra
vittima?” tuonò Tomas Redek, il suo superiore, ferendogli l’udito e
procurandogli una fastidiosa fitta alla testa.
Scott sospirò passandosi una mano tra i
capelli castani, portandoli indietro come meglio poteva.
Doveva farseli sistemare ormai da settimane ma
non ne aveva mai avuto il tempo e così le ciocche, di un caldo color
castagna, continuavano a piovergli dispettosamente davanti al naso ogni
volta che chinava un po’ il capo.
“Sì capitano...” mormorò mesto massaggiandogli
gli occhi stanchi “...e stavolta c’era pure un giornalista” borbottò
allontanando il telefono dall’orecchio appena in tempo per evitare di essere
assordato.
Dall’altra parte della cornetta seguì infatti
una serie di colorite imprecazioni, alcune delle quali assolutamente
fantasiose, poi, senza nemmeno un saluto di congedo, Redek riagganciò il
telefono in faccia al suo miglior detective che si rassegnò a tornare a casa
e dormire quelle poche ore che gli restavano prima di doversi presentarsi in
centrale.
<Il caso Dracula>
Scott fissava il monitori del suo pc, su cui
campeggiava quella scritta in anonimi caratteri neri, seppure senza vederlo.
Non solo il capo aveva ideato un nome
assolutamente ridicolo per quel caso ma, proprio quel mattino, quando Scott
combatteva ancora con l’insonnia e un inizio di influenza causata dal freddo
della sera prima, gli era giunta la ‘bella’ notizia che l’intelligence
avrebbe mandato loro un agente speciale per ‘aiutarli’.
Un modo carino di dire quello che già tutti
sapevano: quelli dei reparti speciali li consideravano un branco d’incapaci.
Tuttavia a Scott era stato ordinato di
collaborare con il nuovo venuto, un certo Kyle Shark, e aveva dovuto passare
tutta la mattina a stilare un rapporto dettagliato per il signorino.
Sbuffò lanciando un occhiata distratta
all’orologio da polso, erano le cinque e un quarto e ancora Shark non
si era fatto vedere. Sfogliò nuovamente le cartelle delle tre vittime
osservando le foto di quel particolare che avevano tutte in comune: il
morso.
Ma da lì a credere ai vampiri ne passava!
Scott si era sempre vantato della sua solida
praticità, era stato grazie ad essa che aveva fatto carriera e aveva risolto
tanti casi; anche quando gli altri agenti sembravano farsi confondere dai
trucchi dei criminali lui era sempre riuscito a scovare la verità che si
nascondeva dietro la menzogna.
Quel caso dunque, e il nome che il suo capo
gli aveva affibbiato, era quasi un offesa personale.
Abbandonò il fascicolo per gettare un’occhiata
al giornale che aveva comprato all’edicola, poco distante dalla centrale,
durante la pausa pranzo.
<Un vampiro a Roswild!> campeggiava a lettere
cubitali sul quotidiano.
Scott lo buttò nella spazzatura senza nemmeno
leggere l’articolo.
“Vampiri... tzè!” sbuffò con stizza.
“Abbiamo uno scettico...” gli sussurrò una
voce profonda, morbida ma al contempo ipnoticamente melodiosa, direttamente
nell’orecchio, accompagnata dal respiro del suo proprietario.
Il moretto sussultò voltandosi di scatto,
portandosi istintivamente una mano alla gola, laddove il fiato dell’altro
l’aveva accarezzato, un’impalpabile, calda, carezza, scontrandosi con un
viso a pochi centimetri dal suo e con il sensuale sorriso di uno
sconosciuto.
Non lo aveva sentito avvicinarsi!
“Kyle Shark” si presentò l’uomo tendendogli
una mano affusolata, fasciata in un elegante guanto di pelle nera.
Scott Anderson non credeva ai vampiri. Se lo
ripetè un paio di volte, tra se e se, giusto per sicurezza, prima di tendere
la propria mano e stringere quella del nuovo collega.
Non credeva ai vampiri ma se mai avesse dovuto
immaginare un figlio della notte non avrebbe saputo dire chi meglio di Kyle
Shark poteva interpretare quel ruolo.
Più alto di lui di qualche centimetro l’agente
dell’intelligence aveva un volto dai lineamenti regali, alteri, e una pelle
candida come neve appena caduta. I capelli, seta cangiante di un
pallidissimo biondo cenere, erano legati in una bassa coda di cavallo che
gli si acciambellava con grazia sulla spalla destra, lasciandosi sfuggire
solo alcune, lunghe, ciocche lunari, che gli ricadevano in affilati lampi di
luce sulle guance e in fiammate di ghiaccio sulla fronte.
Un paio di sottili occhiali da vista, senza
montatura, rifrangevano le luci dell’ufficio nascondendo dietro il loro
gioco di specchi due occhi verde giada, dalle sfaccettature azzurro-grigio,
dall’iride così chiara da risultare quasi innaturale.
A completare l’opera il nuovo venuto indossava
un lungo cappotto nero che gli fasciava le ampie spalle, ricadendogli
aperto, a rivelare un corpo perfetto, dalla muscolatura felina, messo in
risalto da un completo scuro, italiano, in cui l’unica nota di colore era
data dalla cravatta azzurro ghiaccio, che riprendeva ed esaltava
l’incredibile colore dei suoi occhi.
Sembrava più un modello o un Lord del medioevo
scaraventato nel presente che un poliziotto.
Un’altro problema.
Perchè se c’era qualcosa che Scott odiava,
anche più degli sbruffoni dell’intelligence, erano gli uomini belli.
E Kyle Shark non era bello... era dannatamente
stupendo.
Dalla padella alla brace.
Sperando di non essere miseramente arrossito
quando il biondo aveva fatto scivolare lo sguardo dalla punta delle sue
scarpe, leggermente infangate per la visita notturna al cimitero, lungo il
suo completo da grandi magazzini, per poi fermarsi, senza curarsi
minimamente di nasconderlo, ad osservare il suo viso, Scott mollò la sua
mano guantata come se fosse improvvisamente diventata incandescente
borbottando il suo nome.
“Molto piacere Scott...” mormorò l’uomo,
dimostrando per altro di avere un ottimo udito, con quella sua voce
maledettamente sensuale, piegando le labbra sottili in un morbido sorriso
sornione.
E il moretto lo fissò paralizzato mentre quelle
tre parole gli scivolavano dentro come una colata di lava, fondendo quel
poco autocontrollo che gli era rimasto, tingendogli inevitabilmente le
guance di rosso.
Un uomo della veneranda età di trent’anni che
arrossisce?
Dove si era visto mai?
E come si permetteva ‘quello lì’ di seviziare
il suo nome facendoselo fuoriuscire dalle labbra come se fosse una parola
oscena?
Pratico. Sii Pratico. S’impose.
“Piacere” ringhiò con un tono che esprimeva
l’opposta sensazione, prima di tendergli il fascicolo che il capo lo aveva
obbligato a preparare quella mattina.
Kyle lo prese, appoggiandosi alla sua
scrivania, apparentemente indifferente al fatto che così stropicciava il suo
costosissimo cappotto, coprendo un pigro sbadiglio dietro la mano guantata.
“Alle vittime non è stato succhiato il
sangue...” mormorò distrattamente, sfogliando il fascicolo.
Scott annuì, felice che il discorso si fosse
spostato sul piano professionale “Neanche una goccia. Si tratta certamente
di un pazzo” mormorò.
L’altro annuì, scostando distrattamente una
lunga ciocca bionda dietro l’orecchio “Manca l’ultimo reperto della
scientifica” constatò.
“Possiamo andarlo a prendere ora, Ken,
dell’obitorio, ha appena chiamato dicendo che è pronto” mormorò Scott
raccogliendo il capotto.
Il biondo annuì, coprendo un altro sbadiglio,
seguendolo fuori dall’ufficio, in silenzio, e il moretto si disse che tutto
sommato non gli era andata male. Il suo nuovo collega non pareva il tipico
agente, borioso e schizzinoso, dell’intelligence, anche se, ora che lo
osservava con un po’ di distacco, sembrava mezzo addormentato.
Scott liquidò la faccenda dicendosi che
probabilmente anche il suo nuovo compagno aveva lavorato la notte precedente
ed estrasse di tasca le chiavi dell’auto facendo scattare la serratura
automatica solo per accorgersi che l’altro non era più dietro di lui.
Si guardò attorno, perplesso, notando che il
biondo era fermo sull’uscio della centrale un’espressione disgustata ad
alterargli i lineamenti regali.
Per un momento il moro si chiese che cosa gli
desse tanto fastidio registrando distrattamente come l’altro si era stretto
nel cappotto, sollevandone il collo fino a coprirsi metà del viso ombreggiandosi l’altra metà con una mano guantata.
Le lenti dei suoi occhiali si scurirono
gradualmente fino a divenire due specchi neri prima che Shark si azzardasse
a spostarsi dall’ombra dell’edificio per raggiungere l’auto di servizio,
parcheggiata sulla strada, nell’abbraccio degli ultimi raggi solari.
Scott lo fissò perplesso ma il biondo liquidò
l’implicita domanda nel suo sguardo con un gesto scocciato della mano e un
vago “La luce solare mi irrita gli occhi”.
Non solo la luce solare gli irritava gli
occhi, il detective Shark sembrava avere un avversione atavica per tutto ciò
che riguardava il giorno.
Fino a quando le prime ombre notturne non si
allungarono tra i palazzi aveva continuato a sbadigliare ogni cinque-dieci
minuti, ininterrottamente.
Decisamente deve aver lavorato solo di notte
negli ultimi tempi, ragionò Scott, notando come, non appena il sole
si era ritirato dietro l’orizzonte, l’altro era riemerso dal suo strano
torpore. Tipico di chi aveva lavorato di notte per un lungo periodo di
tempo, gli orari finivano inevitabilmente per invertirsi.
Glielo fece notare, così giusto per fare un
po’ di conversazione e riempire il silenzio che regnava tra loro e Kyle ridacchiò
sommessamente, un suono che gli spedì una lunga serie di brividi lungo la
schiena.
“In effetti...” mormorò il biondo con quella
sua voce vellutata “...si può dire che io viva solo di notte”
disse porgendogli un enigmatico sorriso.
Le lenti dei suoi occhiali erano andate
schiarendosi man mano che la luce era diminuita e Scott si ritrovò a
rimpiangere quelle scure che schermavano quei suoi occhi felini, leggermente
sinistri.
Essere fissato da lui gli dava una strana
sensazione.
Un misto tra un morbido languore e una punta
di gelido panico.
Si sentiva in pericolo ma al contempo non
poteva non essere affascinato da lui.
Mi piace. Constatò con allarme il moretto,
cercando di concentrarsi sulla strada che conduceva all’obitorio.
Da quanto qualcuno non catturava il suo
interesse?
Tanto, troppo tempo.
“Siamo arrivati...” mormorò arrestando la
macchina
accanto al marciapiede.
Il biondo scivolò fuori dell’auto scrutando
l’edificio quadrato, di uno smorto giallo limone, prima di seguire il
collega all’interno.
Ken, che li attendeva nella hall, salutò Scott
con un sorriso prima di fissare il nuovo venuto e sgranare gli occhi.
“Kyle Shark” mormorò il moro,
presentandoglielo, mentre il detective dell’intelligence porgeva la mano al
ragazzo.
Ken la strinse riprendendosi dall’attimo di
sgomento, sorridendogli, ma quando fece per ritrarla, dopo una veloce
stretta, l’altro gliela imprigionò con dita d’acciaio, impedendogli di
ritirarsi.
“Profumi di... sangue” sussurrò Kyle socchiudendo
gli occhi, avvicinando il viso a quello del ragazzo che
lo fissò con gli occhi spalancati “Ah... io stavo... bhe ho appena finito un
lavoro e... credevo di essermi lavato bene le mani...” balbettò imbarazzato.
Kyle lo lasciò finalmente andare, senza
riuscire tuttavia a sopprimere un piccolo brivido, “E’ un profumo a cui sono
particolarmente sensibile...” sussurrò con voce di un ottava più bassa del
solito.
Ken lo fissava completamente paralizzato
mentre Scott passava lo sguardo da uno all’altro, perplesso.
“Come fai a fare il poliziotto se ti da
fastidio l’odore del sangue?” chiese infrangendo la strana atmosfera tra
loro.
Il biondo sollevò un sopracciglio, sorpreso,
voltandosi verso di lui, prima di cominciare a ridere in quel modo sommesso
che aveva la capacità di scombussolargli tutto il sistema nervoso.
“In effetti è sempre stato un problema...”
mormorò divertito, riprendendo fiato “Andiamo?” chiese tornando a voltarsi
verso Ken.
Il moretto annuì, leggermente tremante,
avviandosi verso la camera mortuaria.
Il rapporto di Ken non aggiungeva nessuna
novità alle informazioni che già possedevano.
“Siamo punto a capo” borbottò Scott passando
il fascicolo al collega.
Kyle lo esaminò con attenzione per qualche
momento prima di riporlo nel cruscotto. “Fino ad ora come vi siete mossi?”
chiese pensieroso.
“Le solite cose...” borbottò l’altro “Abbiamo
controllato le liste dei ricercati, abbiamo fatto fare un profilo
psicologico del nostro presunto vampiro, abbiamo cercato di infilarci al
Midnight, un locale ‘tipico’, poco fuori dal centro, ma non ci hanno nemmeno
fatto entrare e non possiamo ottenere un mandato senza dei sospetti
concreti.” Sbuffò “Ma non posso avere dei sospetti concreti se non frequento
il ‘settore’!! Siamo in un vicolo cieco.”
“Non fatico ad immaginare perchè non ti hanno
lasciato entrare...” mormorò il biondo, interrompendolo, facendo scivolare
lo sguardo sulla sua figura.
“Con questo che diamine vorresti dire!” tuonò
il moretto schizzando a sedere, rigido.
“Solo che si capisce lontano un miglio che sei
uno sbirro...” disse Kyle con calma “...l’albergo dove alloggio non è
lontano, andiamoci, ho un idea.” mormorò piantandogli gli occhi verdi in
volto.
Scott lo fissò ancora mezzo offeso per la sua
affermazione di poco prima ma annuì.
D’altronde non poteva fare diversamente... gli
avevano ordinato di obbedire agli ordini dell’intelligence.
“Assolutamente no!”
Ripensandoci poteva anche non obbedire agli
ordini dell’intelligence.
Soprattutto a certi ordini!
“Non riuscirai nemmeno ad entrare al Midnight
se non ti cambi” mormorò il biondo pazientemente.
Scott fissò per l’ennesima volta i vestiti che
l’altro aveva tirato fuori dal suo armadio e la sua risoluzione si fece
ancora più forte.
“Assolutamente no!” ripetè.
Kyle sospirò sollevando gli occhi al cielo
“Allora vorrà dire che andrò da solo” mormorò ben sapendo di toccare un
tasto delicato.
Il moretto lo fissò torvo lottando
disperatamente con il suo orgoglio ritrovandosi tuttavia a doversi
arrendere.
“Oh e va bene!” cedette sentendo tuttavia lo
stomaco contrarglisi quando prese in mano i vestiti per dirigersi al bagno.
Kyle gli porse un sorriso un po’ troppo
soddisfatto per i suoi gusti ma Scott s’impose di non pensarci troppo prima
di chiudersi la porta alle spalle e cominciare a cambiarsi.
I jeans che l’altro gli aveva dato erano così
stretti da essere indecenti e avevano più strappi che stoffa. Per non
parlare della maglia rosso sangue, senza maniche, due pezzi di stoffa tenuti
insieme, lateralmente, da un laccio di cuoio nero.
A completare l’opera, e farlo sentire
enormemente ridicolo, un collare borchiato e due identici polsini gli
serravano il collo e i polsi.
Scott lanciò un occhiata allo specchio
sentendosi andare a fuoco.
Fortunatamente nessuno dei suoi colleghi
poteva vederlo in quel momento!
L’abbigliamento aveva però l’effetto di
ringiovanirlo di parecchi anni e metteva in ampia evidenza la sua pelle
dorata, dandogli un aria trasgressiva.
Scott si portò indietro i capelli castani
specchiandosi con uno scettico sguardo nocciola che s’impose di ignorare
mentre tornava nell’altra stanza.
“Sei pronto?”
Il moretto sussultò voltandosi di scatto,
ritrovandosi Kyle di fronte, apparentemente comparso dal nulla. La pungente
affermazione che aveva in mente tuttavia gli si era congelata sulla lingua.
Anche il biondo si era cambiato sostituendo il
completo elegante con un paio di pantaloni neri, una seconda pelle di
tenebra scura, dalla vita oscenamente bassa, e una fronzoluta camicia di
seta bianca, dalle ampie maniche, che giaceva socchiusa sul suo petto
muscoloso, gareggiando in candore con la sua pelle.
I capelli, lasciati sciolti sulle spalle, gli
cadevano attorno al viso in mille saette di ghiaccio, gli occhiali
abbandonati chissà dove, erano stati sostituiti da un paio di lenti a
contatto dalla pupilla affilata come quella di un gatto.
“Mo...molto vampiresco...” mormorò maledendosi
per il balbettio rauco che produsse la sua voce.
Kyle gli porse un inchino che fece svolazzare
le ampie maniche della sua camicia “Detto da uno scettico vale doppio”
ridacchiò prima di puntare quel suo sguardo innaturale su di lui.
E Scott fu improvvisamente conscio di ogni
centimetro di pelle che il suo vestiario lasciava nuda.
“Il rosso ti dona...” sussurrò enigmatico il
biondo.
Per dirigersi al Midnight presero l’auto di
Shark.
Niente a che vedere con la sua sobria e
pratica berlina, l’auto del detective dell’intelligence era un mostro nero
così basso che risultava dannatamente scomodo salirci, e che, una volta
acceso il motore, emise un morbido fuseggiare schizzando in avanti come un
proiettile.
Scott registrò i sedili di pelle nera, il
cruscotto cromato, e quello che, più che un computer di bordo, sembrava il
display di un aereo prima di fissare torvo il collega.
“Vi pagano bene all’intelligence, eh?”
borbottò.
Kyle ghignò scalando la marcia con scioltezza,
superando il limite di velocità di almeno cento chilometri orari, “Quando si
hanno molti anni a disposizione si riesce ad investire il denaro in modo
proficuo”.
“Molti anni?” mormorò Scott perplesso “Avrai
al massimo la mia età!”
“Anno più anno meno...” ridacchiò il biondo,
svoltando verso la periferia.
Il moretto corrugò la fronte osservando il suo
profilo con attenzione.
Quanti anni poteva avere?
Non molti.
La sua pelle era troppo liscia e troppo chiara
per appartenere ad un uomo con più di trent’anni.
Eppure se si fermava ad osservarlo con
attenzione... c’era qualcosa di strano, d’indefinito, nei suoi lineamenti
che lo faceva sembrare più vecchio, anzi più che vecchio quasi... antico.
Assurdità, naturalmente.
Scott scosse il capo
allontanando quelle idee balzane voltandosi a fissare il paesaggio che
scorreva veloce dietro il finestrino oscurato, rendendosi conto che, infondo
alla strada, si scorgevano già le luci del Midnight.
Kyle infilò la sua auto tra una sportiva rossa
e un grosso fuoristrada prima di spegnere il motore e voltarsi verso di lui.
“Cosa sai sui vampiri?” mormorò il biondo
facendosi un po’ troppo vicino per i suoi gusti.
“A parte che non esistono?” gli rispose scettico,
cercando di racimolare il proprio sangue freddo.
Kyle fece una smorfia scuotendo le spalle con
indifferenza “A parte questo, sì...”
“Vivono di notte, si nutrono di sangue
umano, temono il sole, l’aglio e i crocefissi
d’argento” riepilogò.
Il biondo sbuffò disgustato “Fandonie da film”
lo liquidò “E’ vero che la luce del sole ci indebolisce e anche che
prediligiamo il sangue umano ma possiamo nutrirci benissimo anche d’altro.
Quanto all’aglio, trovami qualcuno a cui piaccia farsi uno che emana un tale
effluvio...” sbottò “...e per i crocefissi... bhe c’è stato un malinteso un
paio di secoli fa e continuiamo a portarcelo dietro...” borbottò quasi
imbarazzato.
“A..aspetta?” lo interruppe Scott fissandolo
incredulo “Che significa ‘continuiamo’??” esclamò.
Kyle gli porse un sorriso così malizioso da
risultare sinistro “Per questa notte fingerò di essere il tuo vampiro”
“Il mio vampiro?!” chiese sempre più
preoccupato Scott.
Il biondo annuì serio “I vampiri hanno spesso
dei compagni che, oltre a fornir loro il sangue, scaldano le loro gelide
membra...” mormorò suadente.
“Vuoi fingere di essere il mio amante?!”
ansimò Scott sentendo lo stomaco attorcigliarsi.
“Non è esatto...” mormorò Kyle con calma “TU
sarai il mio amante” spiegò “E dovrò anche starti particolarmente addosso
hai una spetto molto appetitoso...” sussurrò facendo scivolare lo sguardo
sugli addominali fasciati dalla maglia rossa.
“A..a..app...?” ansimò Scott incapace persino
di ripetere la parola.
“Appetitoso” lo aiutò bonariamente il collega
“Pelle dorata, capelli di un caldo castano, occhi color cioccolato... se
esistessero davvero i vampiri tu saresti una tentazione irresistibile”
mormorò abbassando la voce di un ottava mentre allungava una mano a
sfiorargli il collare di cuoio che gli proteggeva la gola.
Scott lo fissò incredulo, per un lungo
istante, specchiandosi nelle sue iridi di ghiaccio, chiedendosi
distrattamente come la sua pupilla potesse essersi leggermente ristretta
dato che indossava delle rigide lenti a contatto, relegando però la domanda
in un angolo lontano della mente, troppo impegnato ad occuparsi di questioni
più pressanti.
Kyle gli aveva appena detto che lo trovava
attraente?
Che era ‘appetitoso’?
E doveva fingere di essere il suo amante?
Oh certo non gli sarebbe dispiaciuto... temeva
esattamente il contrario!
E se mesi e mesi di astinenza gli avessero
giocato un brutto scherzo?
O il biondo si era informato su di lui e,
sapendolo gay, si divertiva a farlo diventare matto?
O se, peggio ancora, ci stava provando?
Sapeva come sarebbe finita.
Finiva sempre così con gli uomini belli.
Sarebbe stato scaricato, magari con una
telefonata, passata la curiosità del momento o la scopata di turno.
No, si era ripromesso di non farsi incantare
mai più da un bel corpo o da un viso affascinante.
E c’era riuscito... fino a quel momento.
“Andiamo?” mormorò il biondo, scendendo dalla
macchina prima di dargli il tempo di esaminare una qualsiasi delle domande
che gli vorticavano nel cervello.
Scott annuì ringraziando l’aria fredda
della notte che lo aggredì, strappandolo a quei pensieri che non era ancora
pronto ad affrontare.
Rabbrividì stringendo le braccia intorno al
corpo, chiedendosi come diamine faceva Kyle a non congelare con il petto
completamente scoperto.
Il buttafuori li fece entrare dopo aver dato
loro una lunga occhiata esaminatrice, chinando il capo, con un cenno di
rispetto, all’indirizzo di Kyle, quando questi gli passò accanto.
“Sei già stato qui?” chiese perplesso il
moretto, notando la cosa.
“No... ma quell’uomo ha fiuto per certe cose”
mormorò il biondo, enigmatico, con una scrollata di spalle, allungando un
braccio per farglielo scivolare attorno alla vita.
“Che stai facendo?!” gracchiò il moretto
improvvisamente dimentico di tutto, colto alla sprovvista dal suo gesto e
dalla pelle d’oca che gli aveva ricoperto l’intero corpo in risposta.
Kyle gli sorrise, abbassando il volto per
parlargli nell’orecchio sebbene la musica che proveniva dal locale, oltre le
porte d’ingresso che si stagliavano enormi di fronte a loro, non fosse
ancora così forte da rendere necessaria una simile vicinanza.
“Recito la parte, ricordi?” gli soffiò
spingendo i grandi battenti laccati di nero con la mano libera “Per questa
notte sarò il tuo vampiro.” mormorò.
E Scott, senza sapere bene perchè, provò
l’irresistibile tentazione di voltarsi e fuggire.
continua....
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