CAPITOLO XI
di Yurika
Infine, giunse il
giorno della disputa tra la squadra di basket dell’Università
S. e quella dell’Università di Fukuoka.
Il team di Fukuoka era da sempre il rivale diretto dei ragazzi del
nostro Campus. Nessuno dei due schieramenti era disposto a perdere e la
tensione per quell’incontro era alle stelle. Gli
spogliatoi sprizzavano scintille.
“Per questo ho
deciso per un ricambio costante dei giocatori. Gli schemi li abbiamo
provati migliaia di volte e con ogni tipo di formazione possibile. Non ammetto
errori da parte di nessuno. Ricordatevi che siamo alle eliminatorie dirette,
perdere quest’incontro ci può costare molto caro. Il Fukuoka non è l’unico avversario che dobbiamo temere, ci
sono molte altre squadre altrettanto, se non più forti. Voglio che diate il
massimo e che ci facciate andare al prossimo turno senza nessun rimpianto. È
chiaro?”
Il coach Kanaya stava dando le
ultime direttive ai suoi ragazzi prima di mandarli in campo. Erano tutti
incredibilmente molto carichi.
“Sì!” risposero in
coro mentre attorniavano il loro allenatore che spiegava alcuni schemi con
l’ausilio di una lavagna a muro.
“Bravi ragazzi! Sasa e Satori! Conto soprattutto
su di voi per il coordinamento in campo delle azioni. Vi alternerete per tutta
la durata della partita. Satori, inizierai tu e ci
porterai subito in vantaggio distanziando quei pivellini già dai primi minuti.
Non dobbiamo dar loro tregua! Sasa, tu giocherai
l’ultimo quarto. È implicito che ti sto affidando le sorti ultime della
partita”.
Kanaya fissò lo sguardo negli occhi di Sasa e il brillio cobalto che vi lesse lo rassicurò più di
milioni d’inutili parole. Erano pronti e avrebbero sputato
sangue per consegnargli la vittoria tra le mani.
“Molto bene e
adesso... tutti fuori!” urlò battendo le mani e incitando i giovani a calcare
il parquet di gioco.
Appena i nostri si
presentarono sul campo furono accolti da grida di tripudio. In molti erano
venuti a vederli e di certo non volevano deludere i loro sostenitori.
Si misero a fare
il giro di corsa della loro metà campo mentre gli
avversari facevano lo stesso dall’altra parte. Al centro, le ragazze pon-pon di entrambe le università
si esibivano nei loro slogan acrobatici.
Taz aveva notato con preoccupazione una certa lucetta beffarda sul volto di Kaneda
e lo teneva d’occhio con attenzione. Purtroppo nemmeno lui era in grado di
fermare quel pazzoide quando si metteva in testa qualcosa.
All’improvviso, si
staccò dalla colonna dei suoi compagni e si slanciò verso le ragazze impegnate
in una spettacolare coreografia che prevedeva che alcune s’inginocchiassero
davanti e le altre, lasciando cadere i pon-pon, le
scavalcassero con un balzo. Kaneda ne
approfittò per afferrare uno dei pon-pon
incustoditi e per slanciarsi in mezzo alle majorettes
improvvisando un buffo balletto che fece andare all’aria tutte le coreografie.
Il peggio fu quando afferrò al volo uno dei bastoncini che erano stati lanciati
e dopo avergli fatto fare un paio di evoluzioni
assieme al pon-pon lo lanciò ad una delle ragazze.
Solo che la traiettoria era un po’ troppo lunga e, per riuscire a recuperare il
bastoncino fuggiasco, la ragazza fu costretta a
indietreggiare correndo senza vedere che stava andando addosso alle
sostenitrici dell’altra squadre che si stavano esibendo nella piramide umana.
Il risultato è
scontato. Un groviglio di gambe, braccia, imprecazioni varie
e Kaneda che si spanciava dalle risate.
Tripudio e ovazione di tutto il palazzetto.
“MA SEI UN CRETINOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!”
Quest’urlo insieme ad
una scoppola titanica che fece schizzare fuori delle orbite gli occhi di Kaneda misero fine all’ilarità generale.
“SI PUO’ SAPERE COSA TI PASSA IN QUELLA TESTA DA BRACHICEFALO???”
Prima che le cose
potessero degenerare, il vice-capitano pensò bene di mettersi in mezzo per
tentare di ristabilire un minimo di disciplina tra i ranghi.
“Su, su, non è il
caso di fare una strage proprio adesso Wakashimaru”
disse con un sorrisone pacificatore e le palme alzate
in segno d’armistizio.
Taz grugnì guardando con occhi di brace Kaneda che si mordeva un lembo
della casacca della divisa singhiozzando.
“E tu Satori vai subito a prendere
un pallone e finisci il riscaldamento”.
“Non lo faccio
più... BWAAAAAAAHHHHHHHH!!!!” scoppiò Kaneda in un pianto disperato.
“NON LO FACCIO PIU’ STA MINCHMMPHHMM...”
Taz fu immediatamente tacitato da Sendoh e Mitsui che, senza
aggiungere una parola, lo trascinarono via mentre ancora si dibatteva.
“Bene Satori, adesso prendiamo una palla e facciamo qualche tiro
insieme, ma tu smetti di piangere, ok?” cercò di
calmarlo Noda accarezzandogli la testa (sto ragazzo
ha il complesso del cane -.- ndYu).
Kaneda annuì tirando ancora su col naso e lo
seguì.
In tutto questo,
il capitano Asada faceva meditazione zen nella
posizione del ‘fiore di loto’
su una panchina estraniandosi da tutto e il koach Kanaya aveva una mano che gli copriva il volto mentre le
spalle gli sussultavano sospettosamente.
Sugli spalti, uno
spettatore aveva seguito attentamente l’evolversi degli avvenimenti con molta
preoccupazione. Quando, però, vide che tutto si stava
sistemando senza grandi conseguenze si tranquillizzò e, sospirando, si rilassò
contro il sedile di plastica.
Shiro era andato ad assistere alla partita sotto
le insistenze di Tsukuku. Gli aveva detto che così,
almeno, avrebbe potuto vederlo agire sul serio e non parlare e basta. Sembrava
tenerci parecchio e il ragazzo era stato più che lieto di accettare, ma adesso
si stava domandando se tutte le loro partite fossero
così movimentate. A giudicare dal fatto che uno dei membri titolari era Satori, la risposta probabilmente era sì.
Le elucubrazioni
di Iida furono improvvisamente interrotte dall’arrivo
di due persone che occuparono i posti vicini al suo.
“Kyahh!!! Per fortuna siamo
arrivati appena in tempo!” strillò una vocetta acuta.
“Sì, Yoko-chan, ma siamo passati ben due volte col rosso per
colpa della tua impazienza e, se qualcuno lo scopre, mi toglieranno la patente.
Mi sai dire come faremo in quel caso?” le rispose una
voce seria, benché ancora giovanile.
Shiro si voltò verso i nuovi venuti. Lei era una
ragazza davvero molto bella, piuttosto alta, con un fisico magro e slanciato.
Aveva meravigliosi capelli neri con striature mogano che brillavano
alla luce dei riflettori. Gli occhi, di un nero molto vivace, avevano
lunghissime ciglia sottili, sottolineate
magistralmente da un tocco di mascara. Indossava un paio di shorts
blu scuro, una maglietta bianca scollata e una corta giacca di pelliccia
sintetica rosa shocking. Ai piedi portava un paio di stivali bianchi con le
zeppe alte e in testa un cappello da cow-boy, sempre bianco. Anche
le labbra erano segnate dal rossetto bianco, ma risaltavano bene sulla pelle
abbronzata che parlava del sole dei tropici più che del lettino di un solarium.
La persona che
l’accompagnava era un giovane sui trent’anni con
corti capelli castani pettinati all’indietro, un paio di occhiali
dalla montatura sottile che nascondevano uno sguardo dritto e penetrante e un
completo grigio scuro.
“Uff! Jinpachi-san come sei
noioso! Non ci ha visti nessuno e poi non potevo
perdermi neppure un minuto di questa partita!” sbuffò la ragazza.
“Ho capito Yoko-chan, me l’avrai
ripetuto centinaia di volte solo stamattina! Ma non potevamo di certo abbandonare
quella seduta fotografica prima che fosse finita! È
importante che tu appaia su quella rivista, è uno dei traguardi da raggiungere
per essere una idol famosa!” rimarcò l’uomo.
“Oh, nessuno lo sa
meglio di me! Ma, credimi, io diventerò la più famosa idol
del paese prima di compiere i 21 anni!”
“Ne sono certo, ma
prima di tutto, dovrai essere in studio di registrazione esattamente fra due
ore per quella pubblicità”.
Mentre Jinpachi continuava a parlare, la ragazza si voltò verso Shiro e, dopo avergli scoccato un’occhiata indagatrice, gli sorrise con fare altero e in un modo che sembrava dire:
‘Mi guardi perché mi hai riconosciuta, vero? Ebbene
sì, sono proprio io!’
Shiro voltò subito la testa da un’altra parte
mordicchiandosi le labbra. Quella tipa lo metteva in tremenda soggezione!
“Sarò puntuale
manager! Ma proprio non posso perdere questa partita...”
“Sì, sì... perché
il tuo ragazzo ha promesso di dedicarti la sua azione migliore” proseguì per
lei l’uomo con fare esasperato.
“Fidanzato, prego,
non ragazzo” replicò mettendo in mostra la veretta d’oro
bianco che portava alla mano sinistra.
“Oh sì, certo,
perdonami!”
“Uuhh!! Eccolo, eccolo! È lui!” scattò in
piedi eccitata.
“Yukiiiiiiiiiii tesorooooooo sono quiiiiiiii” saltellò sventolando la mano per farsi vedere.
Sasa alzò il viso in sua direzione e le sorrise
strizzandole l’occhio, prima di tornare al suo riscaldamento.
“Oohh non è bellissimo?” esclamò la ragazza tornando a
sedersi e scuotendo il povero manager.
‘Allora questa è la famosa fidanzata di Sasa’ pensò
Shiro lanciandole una rapida occhiata.
“Yoko-chan per favore siediti! Ti avevo detto che non
avresti dovuto attirare l’attenzione, sai cosa potrebbe succedere se qualcuno
sapesse che sei qui? Già il tuo look non è granché anonimo,
almeno cerca di evitare di farti riconoscere!” la riprese Jinpachi riuscendo a sfuggire alle sue grinfie e
aggiustandosi la cravatta.
“Va bene, va bene,
starò attenta. Oh, guarda! Hanno iniziato!” esclamò
aggiustandosi i capelli e sfoderando il suo sorriso più affascinante.
Shiro tornò a concentrarsi sul campo tentando di
seguire le varie fasi del gioco. Non che ci capisse gran che,
ma a quanto pareva la loro squadra era messa piuttosto bene. Satori era scatenato, riusciva a costruire azioni molto particolari, ma quasi sempre vincenti. Anche l’altra squadra se la cavava piuttosto bene e dava
parecchio filo da torcere ai ragazzi dell’Università S.
Yoko era insofferente, non
faceva che sbuffare e cambiare posizione senza requie. Ogni volta che
entrava in scena Sasa urlettava
senza ritegno, gracchiando contrariata non appena l’azione si concludeva senza che venisse dedicata a lei.
Finalmente fu il
turno di Noda e Shiro
sorrise contento. Dopo tanta attesa poteva vedere il suo amico giocare. Per
quanto ne capisse, il ragazzo giocava nella stessa
posizione di Mitsui, anche se non era altrettanto
invincibile con i tiri da tre punti. In difesa, comunque,
sembrava essere insuperabile e stava mandando letteralmente in crisi il numero
5 avversario non permettendogli mai di avvicinarsi al canestro.
Iida si ritrovò a
incoraggiare la squadra esattamente come il resto degli spettatori presenti
senza nemmeno accorgersene. Era stato coinvolto dall’atmosfera di generale
euforia che permeava l’intero palazzetto. Quando poi Notoori riuscì ad andare
a canestro proprio grazie ad una splendida finta di Noda,
si alzò in piedi urlando d’entusiasmo.
Appena
se n’accorse, il cuore gli scoppiò in petto dall’imbarazzo e senti il sangue
affluirgli violentemente al viso.
Si voltò imbarazzatissimo e incontrò lo sguardo di
sufficienza di Yoko che lo osservava come se fosse un
povero mentecatto. Il giovane si rimise seduto mordicchiandosi le labbra e
senza avere più il coraggio di alzare la testa. Riuscì a rilassarsi di nuovo
soltanto a partita quasi conclusa.
Si era ormai
giunti agli ultimi secondi del gioco che vedeva in vantaggio l’Università S. di
cinque punti. Era andata esattamente come Kanaya
aveva previsto sin dall’inizio e lo si poteva vedere
sorridere soddisfatto seduto sulla sua panca.
Yoko ormai stava schiumando dalla rabbia. Yukito non le aveva ancora
mantenuto la promessa e, ormai, non avrebbe più fatto in tempo!
Proprio in quel
momento, gli spalti furono percorsi da un brivido d’eccitazione. Sasa aveva di nuovo portato la sua squadra all’attacco, ma
pareva non essere intenzionato a passare la palla. Il Fukuoka
non era di certo intenzionato a lasciarsi sbeffeggiare in quel modo da un unico
giocatore. Avrebbero perso, ma mantenendo l’onore!
Il playmaker si
portò avanti scartando un paio di avversari e
compiendo anche un back-roll turn. All’improvviso, si
trovò bloccato dal pivot, una vera e propria montagna umana. Yukito stoppò, sorrise e, senza dargli il
tempo di provare a rubargli palla, saltò. L’altro gli fu subito dietro,
tentando d’intercettare il tiro, ma Sasa, che si
aspettava quella mossa, stupì tutti con un lancio in sospensione all’indietro.
Canestro. Fischio
dell’arbitro. Avevano vinto la partita con sette punti di vantaggio.
Il ragazzo dalla
lunga frangia nera che, in parte, gli velava lo sguardo di un particolare blu,
si voltò verso le gradinate dove stava Yoko e
sorrise. Con gesto cerimonioso e sicuro fece un elegante inchino nella sua
direzione, portandosi una mano sul cuore.
A quel punto la
ragazza non riuscì più a trattenersi e scattò in piedi saltellando e urlettando di gioia.
“L’ha fatto! L’ha
fatto davvero! Hai visto? Hai visto?”
“Certo che ho
visto, Yoko-chan, hanno visto tutti e così, addio
copertura!” sbuffò Jinpachi mentre cercava di farla
risedere.
Intorno a loro si potevano
sentire persone bisbigliare: “Ma quella non è Yoko Iomomiya?... Chi? Quella della
pubblicità?... Sì, l’ho vista l’altro giorno su una
rivista! È proprio lei!... Non ci credo! Che ci fa qui?”
La ragazza si
ricompose tornando tranquilla, anche se persisteva una luce di trionfo negli
occhi neri dalle lunghissime ciglia.
“Non ti
preoccupare manager! Lascia pure che si sappia che il mio fidanzato è un
campione di basket!” mormorò con un sorriso
affascinante.
“Fai come vuoi”
concluse lui aggiustandosi gli occhiali con incuranza.
Yoko si girò verso Shiro
il quale reagì cercando di appiattirsi contro lo schienale del sedile.
“Quel giocatore è
il mio fidanzato e mi ha dedicato quella giocata perché noi ci amiamo molto. Mi
dice sempre che sono bellissima” gli disse scoppiando
in una risata quasi infantile.
Shiro si mordicchiò l’interno di una guancia
pensando disperatamente a come poter replicare. Gettando nervosamente
un’occhiata sul campo, la sua attenzione venne
attratta dalla buffa scena che vi si stava svolgendo.
Le ragazze delle
tifoserie erano ricomparse per il numero finale e stavano compiendo nuove
evoluzioni. Kaneda le adocchiò immediatamente e gli
occhi gli s’illuminarono di luci smeraldine.
“Pon-pon!” esclamò.
FIUUUUUUUUUUNNNNNN
I ragazzi si
voltarono verso quello strano suono e scoprirono con orrore che Satori si era già lanciato in direzione delle ragazze.
“No!”
Un’altra figura fu
più rapida di lui e gli fu subito addosso.
Taz lo afferrò per il retro della maglia
sollevandolo di qualche centimetro mentre i piedi di Kaneda
correvano sbatacchiando nel vuoto.
“Stavolta non mi
scappi!” gli ringhiò pericolosamente Tadashi.
“Avanti Taz, fai il bravo e rimettilo giù” cercò di intromettersi Noda con sorriso conciliante.
“Col cavolo che lo
metto giù! Non gli permetterò di ripetere lo
spettacolo di prima!” gli urlò contro Tadashi rafforzando la presa sull’altro ragazzo che si
dibatteva piagnucolando ‘voglio i pon-pon’. Sendoh e Mitsui stavano lì
vicino, pronti ad intervenire, scuotendo la testa.
Shiro sorrise. Guardò Yoko,
la cui attenzione si era già spostata su qualcun altro. Di sicuro lei era
bella, anzi, bellissima! Però quando la guardava
intorno a lei percepiva solamente colori opachi e sbiaditi.
Tornò a fissare i
suoi amici in campo. Loro brillavano con colori intensi e brillanti. Sì, loro
erano infinitamente migliori.
Il piccolo Iida si alzò senza farsi notare e sgattaiolò verso il
passaggio che lo avrebbe portato ad unirsi a quel gruppo scintillante.
In mezzo alla
confusione generale, improvvisamente si alzò un grido.
“Sasa! Mio eroe!!!”
Un ragazzo dai
capelli gialli a cespuglio e un piercing ad anello
sul labbro inferiore si gettò addosso a Yukito e, approfittando
del suo shock momentaneo, gli diede un focoso bacio con tanto di lingua ben in
evidenza.
Un boato si sollevò
dagli spalti, divertiti da quel fuori programma inaspettato.
“AAAAAAAAAHHHHHHH!!!!!!!” urlò Yoko balzando in
piedi e correndo via come una furia, inseguita subito dal manager.
Sasa riuscì a liberarsi dall’esaltato
assestandogli una ginocchiata nel basso ventre e facendolo accasciare per terra
dolorante e piangente. Mentre lo guardava così
disteso, pensando se fosse il caso o meno di prenderlo a calci nei denti, si
sentì richiamare da una leggera pressione sulla spalla destra e, voltandosi, si
trovò di fronte ad una Yoko tremante d’ira.
“Sei solo uno
sporco TRADITORE!!!” disse lei facendo aumentare
pericolosamente il tono della voce mentre parlava e culminando con un poderoso
schiaffo.
Sasa sentì un sapore ferruginoso invadergli la
bocca e si portò una mano alle labbra accorgendosi di una ferita, provocata da
uno degli anelli della sua fidanzata, che sanguinava copiosamente.
“Yoko-chan! Stai bene?” chiese Jinpachi
preoccupato, vedendo che la ragazza si stringeva il polso della mano colla
quale aveva colpito Yukito e che una smorfia di
dolore le deturpava il viso da bambola.
“Ti odio!” urlò Yoko prima di scappare rincorsa dal suo manager.
Sasa si guardò intorno, non capendo ancora bene
cosa fosse successo esattamente.
“A-aspetta.... Yoko!”
la richiamò unendosi all’inseguimento di Jinpachi.
Mitsui fischiò colpito.
“Caspita! Una
scena degna della migliore telenovela sudamericana!” disse quasi con
ammirazione.
“Oh, per favore! È stato solo patetico!” commentò Sendoh
con una smorfia.
Kaneda non disse nulla, si limitò a seguire con
lo sguardo la corsa di Yukito fuori
dal palazzetto.
Ma cos’era successo? Era certo che, questa volta, Sasa
non c’entrasse nulla. Era evidente che non conosceva
quel ragazzo. Aveva letto sorpresa, disgusto e
confusione in quegli occhi che, suo malgrado, conosceva tanto bene. Chi era,
allora, quello sconosciuto? Possibile che fosse un ammiratore di Yukito, solo più intraprendente degli altri? Come mai non
si era mai rivelato prima, ma proprio il giorno in cui era presenta
anche la fidanzata di Yukito (cosa che non era di
certo ignorata tra chi lo conosceva)?
“Va tutto bene Kaneda?”
Una voce calda lo
richiamò indietro e poi un tocco lieve, una carezza appena accennata sul suo
zigomo. Alzò lo sguardo e incontrò due occhi bruni ricolmi d’amore e di
preoccupazione. Occhi sinceri e limpidi, costantemente rivolti verso di lui,
occhi di cui non avrebbe mai potuto fare a meno.
Kaneda sorrise e annuì.
“Va tutto
benissimo”.
Non capendo
neppure lui il perché, Taz arrossì per quel sorriso
di vera felicità rivolto solo a lui.
“Mh... hai... hai visto che scenettina
romantica che si sta svolgendo proprio di fianco a noi?” mormorò cambiando
argomento nel titanico tentativo di regolarizzare i
battiti del suo cuore impazzito e di bloccare sul nascere l’impulso di
stringere a sé quel ragazzo – il suo ragazzo – e di baciarlo e baciarlo e
baciarlo fino a rimanere senza fiato e senza volontà.
“Dove, dove?”
domandò subito curioso Kaneda girando intorno lo sguardo.
“Ooohhhh!” esclamò poi, quando ebbe inquadrato ciò che Taz gli aveva indicato.
Iida, con le guance lievemente imporporate e i
grandi occhi nocciola lucidi e brillanti, si stava complimentando per la bella
partita con Noda che sorrideva euforico incastrando
una mano nella foresta di rasta scuri.
“Davvero! Io non
me ne intendo, però vedervi giocare mi ha emozionato moltissimo!” stava dicendo il ragazzo più giovane.
“Ti ringrazio, è
sempre bello ricevere dei complimenti sentiti dal cuore” rispose l’altro.
“Immagino che però
sia stata una bella faticaccia!”
“Sì, abbastanza!
Il team di Fukuoka era molto agguerrito e non ne
voleva sapere di lasciarci vincere in pace” disse il giocatore ridendo.
Shiro si unì a quella risata.
“Aspetta!” esclamò
improvvisamente, notando che Tsukuku si stava
asciugando un rivoletto di sudore con il bordo della maglia.
Rovistò un po’
nella borsa che si era portato dietro, traendone, infine, un asciugamano bianco
che porse all’amico con un sorriso.
“Ecco, prendi”.
“Ah, grazie!”
disse Tsukuku spiegando il telo per potersi asciugare
con più facilità. A quel punto, però, spalancò gli occhi in un’espressione
sorpresa e si voltò verso Shiro in cerca di una
spiegazione.
Il brunetto abbassò gli occhi arrossendo maggiormente,
stropicciandosi le dita con nervosismo.
“L’ho fatto fare apposta per te” mormorò in un soffio.
Tsukuku si rimise ad osservare il regalo che gli
era appena stato fatto.
Un semplice
asciugamano di spugna. Se non fosse per un particolare.
Stampato al centro, faceva mostra di sé il dolce musetto di un collie bianco e
rosso.
“Perché?” domandò Tsukuku ancora
incredulo.
“Volevo sdebitarmi
in qualche modo. Grazie al tuo aiuto il mio quadro è stato iscritto ad un prestigioso concorso cui non mi sognavo neppure di poter
partecipare. Senza di te non ci sarei mai riuscito” spiegò
Shiro con vocina vergognosa.
“Ma no, sono io quello in debito. Io ho rovinato l’altra tua
opera”.
Iida alzò lo sguardo e si mise a ridere.
“Per questo ti
sono riconoscente! Se avessi presentato quella schifezza al posto del tuo
ritratto a quest’ora non
starei partecipando al P.N.A.E.”.
“No, non dire
così! Sono certo che anche quel quadro fosse molto
bello, anche se non l’ho potuto vedere bene perché era ricoperto di fango e
altre schifezze, però non è certo merito mio se partecipi al concorso, anzi, io
se mai sono una penalità, ma il fatto è che tu sei bravo, bravo davvero,
cioè... non che io me ne intenda molto, anzi, per niente, però... però...” disse Tsukuku di getto,
investendolo con la sua agitazione crescente per il dubbio di non riuscire a
spiegarsi bene.
Shiro scoppiò in una risata fresca e genuina che
fece morire i pensieri in testa a Tsukuku, il quale
si decise a chiudere la bocca e a guardarlo sorridendo felice.
“Comunque, grazie davvero. Per l’asciugamano, intendo” aggiunse alla fine goffamente.
“Non ringraziarmi,
per favore. Sono io che ti sarò sempre grato. Mi hai dato molto più di quello
che pensi”.
Il ragazzo più
giovane si sentiva rilassato come poche volte gli capitava, al massimo quando
era da solo in camera ad ascoltare musica e a leggere un buon libro o quando
disegnava. Ed era tanto più strana quella situazione
se si tiene in considerazione che era in un posto molto affollato e con un
sacco di gente che lo guardava, cosa che in genere lo mandava in panico. Però stava bene in quel momento e ne imputò la causa alla
presenza di Noda. Il sempai
riusciva sempre a farlo sentire a suo agio con il suo sorriso tranquillo e lo
sguardo privo d’incertezze. Era esattamente il prototipo del fratello maggiore
che avrebbe sempre voluto accanto a sé a confortarlo e a rassicurarlo.
“Va bene, allora non ti ringrazio più. Però
è stato davvero un gesto carino. E poi è proprio un
bel collie!” riprese Tsukuku ammirando allegramente
l’asciugamano.
“Sono felice che
ti piaccia. Quando l’ho scelto ho ritenuto che in quel
modo avresti sempre potuto avere qualcosa che ti ricordasse Mitchel.
Ora potrai pensare a lui ogni volta che lo userai”.
Tsukuku fissò su di lui lo sguardo, puntandogli addosso gli occhi profondi.
‘Troppo per non rischiare di perdermici’
pensò Shiro senza capirne la ragione né sapere cosa
fare.
Poi Tsukuku fece una cosa ancora più strana. Sollevò la mano
destra e la posò sul collo niveo di Shiro,
accarezzandogli il mento e la guancia con il pollice.
“Sarà a te che penserò ogni volta che lo userò”.
Iida rimaneva a guardarlo non osando neppure
respirare.
“Mi spiace
disturbare il vostro momento idilliaco, ma il coach
ha dato l’ordine di rientrare negli spogliatoi. Che ne
dite di rimandare il vostro romanticismo a più tardi?” disse Akira che si era avvicinato ai due con sorriso malizioso e
che aveva appoggiato una mano sulla spalla di Tsukuku.
Noda tolse subito la mano dal volto dell’amico
e sorrise innocentemente a Sendoh. Iida, ovviamente, arrossì, balbettando qualche scusa.
“Ah sì, scusate!
Io... io vi sto trattenendo e... tanto dovevo andare... mi dispiace...
salutatemi anche gli altri... Ah! E... bella
partita...” così dicendo fece un breve inchino e corse
via.
“Ma... l’ho spaventato io?” domandò Akira
piuttosto perplesso.
“Certo che sì! Con
la brutta faccia che ti ritrovi!” scherzò Tsukuku ridacchiando.
“Sentitelo! Ha parlato Rodolfo Valentino!” replicò Akira
con tono ironico.
“Modestamente!”
esclamò Tsukuku massaggiandosi il pizzetto con aria
tronfia.
“Ma piantala!!!” rise Akira
spingendolo verso gli spogliatoi.
Continuando a
prendersi in giro, i due amici raggiunsero i loro compagni.
Nel frattempo, un
altro membro della squadra era sempre sulle tracce della fuggitiva. Ormai
l’aveva cercata intorno al palazzetto senza successo
e stava abbandonando la sua impresa. Sospettava che Yoko
se ne fosse già andata da un pezzo, probabilmente con
la macchina del suo manager. In più, iniziava ad avere proprio freddo. Era
uscito di corsa, ancora sudato e con solo la leggera divisa da basket addosso.
Rischiava di prendersi una polmonite! In fondo, erano solo i primi giorni di
marzo e le temperature non erano di certo clementi.
Era giunto
all’ingresso della struttura quando si sentì chiamare
da qualcuno. Si guardò intorno, ma non vide nessuno che conosceva. Convinto di
essersi sbagliato, fece spallucce e mise una mano sulla porta, ma si bloccò
nuovamente al suono di una voce.
“Yukiiii!”
Sasa rabbrividì e non solo per la leggera
brezza che gli stava asciugando il sudore della fatica sportiva sul corpo.
Aveva riconosciuto quella voce.
Si voltò verso
destra e guardò in direzione dell’angolo dell’edificio. Era certo che il
proprietario della voce si trovasse lì dietro.
Rimaneva lì
immobile, volendo pensare al da farsi, ma senza
riuscirci realmente. La sua mente era un foglio bianco e, per quanti sforzi
compisse, non riusciva ad intaccarne l’immacolatezza.
Semplicemente, ad
un certo punto il suo corpo si mosse da solo, risucchiato dall’incanto di quel
richiamo.
Svoltò il famoso
angolo, ma non trovò nessuno. Stizzito, si voltò per andarsene.
“Yukiiii!”
Di nuovo lei, di nuovo quella voce! Ma questa
volta più vicina, più potente. Più pericolosa.
Sasa avanzò di qualche passo, spaziando con lo
sguardo ceruleo alla ricerca del Pifferaio di Hamlin
che lo stava conducendo nella sua trappola.
Una mano, uscita
da chissà dove, gli afferrò il polso e lo trascinò in una piccola rientranza
della parete, in parte celata alla vista da una muratura di cemento. Una volta
lì, Sasa fu sbattuto contro la
fredda muratura e una bocca avida s’incollò alla sua, dettando subito il ritmo
di un bacio forsennato. Mani bollenti andavano alla febbrile ricerca della sua
pelle e delle sue forme. Mani che s’intrufolarono sotto la maglietta sottile e
gli pizzicavano i capezzoli, gli solleticavano l’ombelico, gli sottolineavano le leggere pieghe dei muscoli. Sembravano
avere vita propria ed essere alla ricerca dell’unico elemento che desse loro vita e che per questo frugassero senza sosta. Riuscirono a valicare i pantaloncini della divisa, a sgominare le
difese degli stretti ciclisti e, infine, dopo un duro assedio, conquistarono
l’interno degli slip aderenti. Qui si prodigarono in una lenta e lasciva
carezza sui glutei nudi e vi si fermarono sopra, ormai paghe per ciò che
avevano ottenuto.
Nello stesso
momento, anche la bocca diede fine al bacio soffocante.
Sasa riaprì gli occhi che aveva tenuto chiusi
per tutto il tempo e incontrò l’ametista della sua ossessione.
“Ashton!” sibilò con disprezzo.
“Ciao Yukito” rispose Koji sorridendo.
“Cosa vuoi?”
“Ho già quello che
voglio!” ridacchiò divertito Koji aumentando di poco
la pressione sulle natiche di Yukito.
“Temo che quello
non appartenga a te” disse Sasa con sguardo malizioso
e provocatorio.
“Ah no? Non dirmi
che è esclusiva del punkettaro
dalle labbra bollenti!” gli soffiò Koji
mordicchiandogli e succhiandogli il lobo.
Yukito rabbrividì, ma riuscì ad allontanare
leggermente l’altro da sé afferrandolo per le spalle.
“Hai visto anche
tu?” gli domandò con occhi di mare in tempesta.
“Ebbene sì, lo confesso. Sono venuto a
vedere la partita, non ho resistito all’impulso di vederti sculettare
per quaranta minuti” rispose Koji prima di fiondarsi sul suo collo baciandolo e leccandolo.
Yukito lo lasciò fare, beandosi del forte
desiderio di lui che aveva il biondo.
“Ho voglia di te”
gli sussurrò Koji all’orecchio.
“Non qui” rispose
lui sorridendo.
“Perché no?” domandò Koji
succhiandogli la base del collo.
“Perché non sono la tua troietta
che ti puoi sbattere dove vuoi ogni volta che ti viene la voglia. E poi devo ancora fare la doccia e cambiarmi” gli rispose
senza, tuttavia, allontanarlo da sé.
“Ma a me piaci così, tutto sudato. Mi eccita il tuo odore
acre e pungente” sussurrò Koji
spostando una mano dal suo sedere per afferrargli una gamba e mettersela
intorno alla vita, in modo da far combaciare i loro bacini.
Yukito gli gettò le braccia al collo e si
strusciò su di lui.
“Pervertito” disse
con voce roca e il respiro accelerato.
“Certo che sì! È
per questo che mi ami” mormorò continuando a baciarlo
sul collo e sulle spalle nude.
“Io non ti amo
affatto” disse Yukito soffocando un gemito.
Koji abbandono definitivamente il possesso del
suo fondo schiena per strattonargli i capelli all’indietro e fargli piegare la
testa per poi invaderlo con un altro violento bacio.
“Bugiardo”
sussurrò quando si staccò da lui a corto di fiato.
“Per niente. Se mai, sei tu che sei innamorato di me” disse Sasa con una luce trionfante negli occhi azzurro cielo.
“Non ho certo
difficoltà ad ammetterlo” sghignazzò Ashton divertito
“Mi fai impazzire, ti amo e ti desidero come un
dannato, non mi sazierò mai di te. Mai!”
Mentre parlava lo
aveva stretto maggiormente a sé, quasi tentasse di
inglobarlo nel suo corpo. Con lenti movimenti pelvici faceva
strusciare i loro sessi tesi.
Yukito ansimava pesantemente sulla sua spalla che
mordeva con forza per trattenere i gemiti che tentavano di scappargli dalla
bocca.
“Io ti amo davvero
e non mi sarei mai comportato come quella zoccoletta vistosa che porti a letto e che ha osato ridicolizzarti
davanti a tutta quella gente” continuò a sussurrargli mentre scariche di puro
piacere dovute alla vicinanza di quel corpo tanto bramato lo investivano senza
sosta.
Yukito spalancò gli occhi stringendosi con forza
al retro della sua giacca.
“Lei non ti
merita, non è di quella lurida cagna che hai bisogno.
Tu hai bisogno di qualcuno che ti voglia per come sei,
di qualcuno che sappia domarti come hai sempre desiderato. Tu hai bisogno di
me!”
“Maledetto
bastardo!!!” urlò Sasa con
tutto il fiato che riuscì a racimolare e spinse Koji
con quanta più forza poteva facendolo andare a sbattere contro la parete
opposta del loro nascondiglio.
Il biondo lo
guardò spiazzato per quella reazione del tutto inaspettata.
“Ma cos...”
“Tu c’entri! Sei
stato tu, lo so, non mentire!” lo investì Yukito con furia cieca e occhi di ghiaccio.
Koji fece una smorfia divertita, cercando di
trattenere una risata.
“E se fosse?” domandò.
Gli occhi di Sasa si ridussero a spiragli sottilissimi.
“Mi fai schifo. Ti
odio, mi senti? Io ti detesto!” sibilò
prima di correre lontano da quel posto che gli metteva i brividi.
“Bugiardo”
sussurrò Koji guardandolo fuggire.
Poi non riuscì più
a trattenersi e scoppiò in una furiosa risata.
FINE CAPITOLO XI