AUTORE: Yurika

PARTE: 10/20 + ss
DISCLAIMERS: In questo cap. i pg sono tutti miei e ci faccio quello che voglio BWAHAHAHAHAH!!! (aiuto, è pazza! Salvateci O.o ndKaneda)
PAIRINGS: KojiXMakoto (e non provate a protestare, sono di pessimo umore >.<)

RAITING: NC-17/X c’è una scena di sesso non consensuale
DEDICA: Vorrei dedicarlo ad Elfuccia per il suo supporto morale (che in quest’ultimo periodo mi serve come il pane), ma mi rendo conto che non è un bel capitolo da dedicare^^;;; facciamo così: ti lascio questo in pegno, poi te ne dedicherò uno migliore, ok?

 

 

 

IL CAMPUS

 

CAPITOLO X

 

di Yurika

 

Koji Ashton era un ragazzo molto ammirato per la sua capacità di mantenere inalterato il proprio sorriso beffardo in ogni circostanza. C’era chi detestava quel sorriso e chi sarebbe morto per esso, ma, di sicuro, non c’era nessuno che potesse ignorarlo.

Koji Ashton era anche molto temuto perché sapeva minacciarti delle più atroci ritorsioni con tono sensuale e carezzevole, così, mentre rimanevi nell’incertezza se credere più alle sue parole o alla sua voce, venivi definitivamente intrappolato da quegli occhi allungati fino all’innaturalità, dai quali trasparivano lame violette che ti lasciavano dentro piccole ferite che si infettavano a mano a mano che passava il tempo.

Koji Ashton era, in breve, il sogno e l’incubo di molte persone. Ma una cosa si può affermare di lui con sicurezza. Koji Ashton non era paziente.

Così, quella mattina, quando si era svegliato non particolarmente di buon umore (quel piccolo impudente aveva di nuovo abbandonato il suo letto durante la notte, non importava quanto lo sfinisse o lo umiliasse, non era mai riuscito ad ottenere che rimanesse accanto a lui fino al mattino dopo!) e aveva trovato un intruso nella sua camera, si era limitato a sollevare un sopracciglio e ad osservarlo con disgusto.

“Tu chi diavolo saresti?” domandò, più annoiato che effettivamente curioso.

Lo sconosciuto era seduto sulla sedia della scrivania che aveva spostato fino al lato del letto e lo guardava rivolgendogli un ampio sorriso, finto come la dentatura di suo nonno scomparso – pace all’anima sua!

“Finalmente ti sei svegliato, sono ore che aspetto” si rivolse a lui il ragazzo con tono gioviale.

“Non ricordo di aver preso appuntamenti per stamattina” replicò il biondo infastidito e, senza aspettare ulteriori spiegazioni, si alzò indossando un paio di boxer abbandonati lì vicino e una vestaglia di stoffa leggera che lasciò aperta.

Il ragazzo inclinò la testa da un lato, lasciando che alcune ciocche castane e bionde gli scivolassero sulle guance magre e puntò lo sguardo grigio e vacuo su Koji.

“Non credevo ci fosse bisogno di un appuntamento. Ho aspettato che Sasa sempai uscisse dal tuo alloggio e poi sono entrato io. Naturalmente senza farmi vedere” aggiunse subito come rassicurazione.

Ashton gli lanciò un’occhiata inceneritrice, riducendo le labbra ad una sottile linea dura.

“Si può sapere chi diavolo sei?” gli chiese spazientito.

Il ragazzo sbatté le palpebre e spalancò la bocca in un’espressione allibita.

“Oh! Ma che stupido, non mi sono ancora presentato!”

Si alzò in piedi e fece un breve inchino cerimonioso.

“Il mio nome è Makoto Nanase, primo anno d’ingegneria e riserva della squadra di basket universitaria. Gioco nel ruolo di ala piccola” concluse raddrizzandosi e riservandogli un altro di quei sorrisi di facciata.

“Ah” fu l’unica reazione di Koji.

“Sono qui per farti una proposta”.

Koji sbuffò tra il divertito e l’indignato. Si avvicinò ad un tavolinetto su cui stava un’elegante scatola in radica dalla quale estrasse una sigaretta che si accese con l’accendino in coordinato con il porta sigari, dopodiché si andò a sedere scompostamente sulla sua poltrona preferita e s’incantò a fissare le ammalianti volute di fumo che si alzano verso il soffitto. Un raggio di sole che penetrava dalle tende leggermente scostate creava strani giochi di luce con le spirali ascendenti, donando loro un colore lattiginoso e irreale.

“Allora, cosa mi dici?”

La voce di Makoto lo riscosse dal torpore di quella contemplazione lasciandogli il sapore di un disgustoso fastidio in bocca.

Ma sei ancora qui tu?” fece bruscamente.

“Certo, ancora non hai ascoltato la mia offerta!” replicò l’altro sorridendo nuovamente.

“E non ho nessuna intenzione di ascoltarla!” disse Koji alzando la voce e facendo calare un pugno sul bracciolo della poltrona.

Il ragazzo non sembrò per niente impressionato e si mise a ridere senza intenzione di scherno.

“Secondo me prima di giudicare dovresti ascoltare”.

Ashton fece un gesto impaziente con la mano.

Se questo poi ti porterà molto lontano dalla mia stanza, avanti, parla, ma fai in fretta”.

Makoto sembrava non aspettare altro e si sistemò meglio sulla sedia con aria eccitata.

“Immagino tu sappia quanto tu sia popolare sia tra i ragazzi che tra le ragazze per quanto concerne le tue doti... come dire...amatorie’. Dicono che tu sia un vero stallone, uno che a letto fa scintille...

“Sì, sì, so perfettamente cosa dicono” lo interruppe Koji ormai al limite della sopportazione “e, se è questo che vuoi sapere, è tutto vero. Ma se vuoi che io venga a letto con te, sappi che non m’interessi minimamente”.

“Aspetta, aspetta, non ho mica finito!” riprese Makoto muovendosi di nuovo sulla sedia.

“Allora vedi di fare in fretta, non ho tempo da perdere con i bambocci come te!”

“Voglio che tu m’insegni i tuoi trucchi!”

“Eh?” esclamò Koji rischiando di strozzarsi con una bocconata di fumo.

“Hai capito benissimo, voglio che tu diventi il mio maestro in materia di educazione sessuale, voglio che tu m’infonda tutta la tua scienza in merito, voglio che tu mi trasformi nell’amante perfetto! Ovviamente, non pretendo che tu faccia questo gratis. So benissimo che ogni cosa ha un prezzo e io sono disposto a pagarti molto bene”.

Koji sbuffò decisamente esasperato. Si alzò dalla poltrona e spense accuratamente la sigaretta nel posacenere posto sul basso tavolino lì di fianco. Poi si portò al centro della stanza e si scostò i capelli di lato cominciando a parlare.

“Senti... mmh... Nanase, hai detto?... oh, beh, non importa... permettimi di darti ragguagli sulla mia posizione. La mia famiglia ha più soldi di quanti riuscirei mai a spenderne in una vita. E con ciò, bye bye carino!” terminò con un gesto di saluto per fargli comprendere che la loro conversazione era bella che finita.

Ma non era quello il genere di pagamento cui mi riferivo”.

Makoto inclinò nuovamente la testa di lato in quell’atteggiamento da cucciolo indifeso che irritava irrimediabilmente il suo ospite.

‘Questa volta lo ammazzo’ pensò difatti Koji con le mani che già gli tremavano di rabbia.

Cosa mai potrei volere che tu possa offrirmi?”

Makoto si mise a giocare con una ciocca di capelli, attorcigliandosela attorno all’indice, e fissando distrattamente lo sguardo in un punto qualsiasi dietro le spalle del suo interlocutore.

“Non so sei hai ascoltato bene la mia presentazione di poco fa, ma se mai ti ripeto un passaggio fondamentale. Faccio parte della squadra di basket di questo Campus, anche se ancora come riserva”.

Un campanellino d’allarme risuonò nella testa di Koji e, suo malgrado, si ritrovò improvvisamente interessato alle scempiaggini di quell’inopportuno.

E allora?” gli domandò con uno sguardo che voleva essergli d’ammonimento a non provare a prendersi gioco di lui.

“A te Sasa sempai piace molto, vero?”

“E questo cosa...?”

“Gli stai sempre intorno, lo segui dappertutto... ti ho visto spesso gironzolare sugli spalti della palestra durante gli allenamenti. A quanto pare il sempai non è proprio così entusiasta delle tue attenzioni”.

Koji fece una smorfia stizzita e si avvicinò a Makoto.

“Mi stai stancando mocciosetto. Arriva al punto o esci da questa stanza, prima che mi arrabbi sul serio”.

“Il punto è che a te piace il sempai, ma lui è riluttante alle tue avances – anche se non credo gli dispiacciano del tutto visto che passa spesso la notte con te – e questo porta al fatto che ti serva un informatore, qualcuno che possa sempre tenerlo sott’occhio per sapere cosa fa, dove va, ma, soprattutto, con chi è”.

Koji incrociò le braccia al petto e fissò lo sguardo duro su di lui, squadrandolo con insistenza come se fosse un macellaio che valuta la qualità di un pezzo di manzo.

“Cos’hai in mente?” gli chiese dopo qualche secondo di silenzio.

Makoto allargò leggermente le gambe e vi mise in mezzo le mani appoggiate sul sedile, in modo da farvi peso sopra e potersi sporgere maggiormente verso il suo interlocutore.

“Io vivo con lui. Posso essere informato tempestivamente di ogni cosa che lo riguarda”.

“Non credo venga a confidare a te i suoi segreti”.

“Certo che no, ma devi sapere che il sempai non riesce a tenere per sé un certo tipo di notizie. Posso capire, comunque, che tu non ti fida del primo che si presenta alla tua porta. Per questo la prima informazione sarà gratuita”.

Ma quanta generosità! E, sentiamo, cos’avresti di così interessante da dirmi?” domandò Koji ironicamente.

“Tra qualche giorno disputeremo una partita contro la squadra dell’Università di Fukuoka”.

Koji scoppiò in una risata cattiva.

“Sai che notizia! Ultimamente nel Campus non si parla d’altro! Neanche fosse la finale della Coppa del Mondo! Mi stupirei se qualcuno ancora non lo sapesse!”

“Questo è vero, ma io mi stupirei altrettanto se tu mi dicessi che sei già informato di chi verrà a fare un tifo particolarmente ‘caloroso’ per Sasa...

L’espressione di Koji mutò repentinamente facendosi seria e severa, un’espressione che non permetteva errori o avrebbe mantenuto l’implicita promessa di vendetta che implicava. Makoto rabbrividì impercettibilmente, ma si costrinse a mantenere lo sguardo fisso e un’aria tranquilla, per nulla preoccupata.

“Di chi parli?” chiese il biondo lentamente, con tono basso e intimidatorio.

“Della fidanzata di Sasa sempai. Mmhh... Yoko... mi pare si chiami così”.

Il corpo di Ashton sembrò essere attraversato da una scossa elettrica. Il ragazzo spalancò gli occhi e le pupille gli si dilatarono tanto che Nanase si domandò se fosse ancora in grado di vedere chiaramente.

“Stai mentendo” disse mantenendo il tono di prima.

“A... a che mi gioverebbe? Lo scopriresti in fretta e mi uccideresti per questo”.

Makoto ormai tremava visibilmente. Era sbiancato e girava intorno freneticamente gli occhi in cerca di una possibile via di fuga.

Hai ragione, ti ucciderei. Sai che potrei farlo” mormorò Koji mettendosi proprio davanti a lui e strappandogli ogni speranza di salvezza.

‘Lo farebbe, lo farebbe davvero’ gli gridò una voce direttamente nel cervello. Sentì un pizzicore salirgli dalla collottola fino alla sommità del capo e si rese conto che i capelli cercavano di rizzarglisi sfidando qualunque legge di gravità.

“Comprendi bene che il patto che mi stai proponendo è basato sulla fiducia. Io mi devo poter fidare di te, quindi non dovrai mai mentirmi, lo capisci questo?” disse Koji chinandosi per portarsi all’altezza del suo viso.

Makoto stava morendo di paura, persino respirare gli costava una fatica assurda. Quegli occhi lo stavano facendo impazzire, le pupille erano troppo larghe e non riuscivano a stare ferme, come fiere ribelli che cercassero di sfuggire al controllo del loro domatore che riusciva a mantenerle al loro posto solo con l’uso costante della frusta.

Però non poteva in alcun modo tirarsi indietro proprio ora. Aveva una missione da compiere, aveva pronunciato un giuramento e ormai era andato troppo lontano per poter tornare al punto di partenza.

Si afferrò strettamente al bordo del sedile per farsi coraggio. Era inutile cercare di fingere una tranquillità di cui non era padrone, perciò decise di mostrarsi per quel che era: spaventato, ma determinato ad andare fino in fondo.

“Lo capisco... e non ti sto mentendo. Non ho alcun interesse per te o per il sempai. Voglio solo quello che ti ho richiesto”.

La bocca di Koji si spiegò in un ghigno ancora più spaventoso dell’espressione precedente.

“Siamo d’accordo allora. Stringiamoci la mano e il contratto sarà stipulato” gli disse tendendogli la destra.

Makoto non riuscì a staccare lo sguardo dal suo e lentamente allungò la mano tremante. Quando entrò in contatto con quella di Koji sussultò. Ghiacciata. Sembrava che la vita l’avesse abbandonata da tempo.

‘Ho appena venduto la mia anima al diavolo. Oh beh, ma che importa? Anche se continuo a respirare io sono morto quel giorno’ pensò, cercando di rannicchiarsi in sé stesso per trovare un posto dove ci potesse essere ancora del calore, della speranza. Non lo trovò.

All’improvviso Koji lo afferrò per un braccio e lo scaraventò sul letto sfatto.

Ed ora, caro allievo, benvenuto alla prima lezione” disse sfilandosi la vestaglia.

Poi, fu tutto confuso e terribile.

Koji gli fu immediatamente sopra schiacciandolo con il suo peso e strappandogli i vestiti di dosso. Cercava di ribellarsi e di urlargli di scostarsi, ma, benché fosse il più alto, l’altro era dotato di una forza che non avrebbe mai sospettato. Tentò di toglierselo di dosso graffiandolo e scalciandolo, ma Koji riuscì a sederglisi a cavalcioni sullo sterno, bloccandogli le braccia con le gambe e lo schiaffeggiò facendogli schizzare la testa di lato. Makoto sgranò gli occhi spalancando la bocca in un grido muto. Poco dopo un altro schiaffo lo raggiunse dalla parte opposta. Aveva le guance in fiamme e la testa gli vorticava tanto da sembrare che il cervello gli volesse scappare via dalle orecchie che fischiavano fastidiosamente.

Quando si accorse che le sue guance erano bagnate da grosse lacrime si mise ad urlare.

Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, urlò il suo dolore, la sua paura e la sua disperazione, urlò per sé e per ciò che significava il suo essere lì, in quella situazione.

Koji gli ficcò in bocca senza tante cerimonie un lembo del lenzuolo, rischiando di soffocarlo.

“Mi piace quando urlate, ma non posso permettermi che ti senta tutto il Campus” gli sussurrò abbassandosi sul suo orecchio.

Makoto singhiozzò lottando contro la stoffa che gli premeva contro la gola. Sentiva l’erezione del biondo strusciarsi contro lo stomaco e un senso di nausea lo investì.

Fu peggio, però, quando sentì Ashton afferrargli il pene e cominciare a strattonarlo con poca delicatezza. Di nuovo cercò di ribellarsi scalciando, ma in questo modo non faceva che aumentare i movimenti di quella mano fastidiosa che non ne voleva sapere di lasciarlo in pace.

Koji glielo tirava su e giù così forte che sembrava volerglielo strappare! Non gli piaceva, non gli piaceva per niente, bruciava da morire e pensava che andando avanti così avrebbe finito col sanguinare.

Quando il mezzo inglese si ritenne soddisfatto della sua opera, che lo aveva ripagato con l’erezione della sua vittima, lo fece voltare stendendoglisi sulla schiena e bloccandogli i polsi con le mani.

Makoto riuscì finalmente a liberarsi dell’imbavagliatura, sputacchiando la saliva acida che gli era rimasta sotto la lingua.

“Fermati Ashton... ti prego... fermati...” singhiozzò mentre sentiva il sesso del suo compagno tendersi fra le natiche.

“Sei tu che me l’hai chiesto” gli rispose questi con tono distratto, troppo impegnato in ciò che stava facendo per dare realmente ascolto alle suppliche di Nanase.

“No... non così... quello che volevo...”

“Ti consiglio di mordere il lenzuolo” lo interruppe il gaijin e, senza aspettare che l’altro desse retta al suo suggerimento, entrò in lui con un’energica spinta.

I polmoni del ragazzo più giovane si svuotarono all’istante di tutto l’ossigeno che contenevano. Il grido che voleva uscire prepotentemente da lui si era bloccato all’altezza della gola, pulsando forte contro la trachea. La testa cominciò a vorticargli più forte che sull’ottovolante e lo stomaco si contorse in un doloroso conato.

Affondò il volto nel cuscino mordendolo tanto che le mascelle sembrarono frantumarglisi. Non lo faceva perché gliel’aveva detto Koji, ma solo perché quello era l’unico modo che aveva trovato per scaricare quel dolore che lo stava spezzando.

Il ragazzo sopra di lui cominciò a muoversi in violente spinte che gli facevano sussultare tutto il corpo.

Le gambe gli tremavano incontrollate, preda degli stessi crampi che gli attanagliavano le viscere violate.

‘Ti prego, ti prego, fai che finisca, che tutto questo abbia un termine, morirò se continua, mi sta uccidendo, basta, basta!’ pregò non sapendo bene neppure lui a chi si stesse rivolgendo.

Provò a regolarizzare il respiro, cercando di concentrarsi su quello, ma era tutto inutile, quello stupido non ne voleva sapere di eseguire i suoi ordini, non faceva che incastrarsi in una regione non ben precisata tra la gola e i denti.

Percepiva, goccia dopo goccia, il sangue che usciva dal suo orifizio slabrato. Provò ad aprire gli occhi e a fissare lo sguardo su qualcosa, ma la sua vista era appannata dalle lacrime e l’unica cosa che riusciva a percepire erano i contorni sfumati di una realtà troppo crudele da accettare.

Poi, un volto si fece largo nella sua coscienza, un volto che gli sorrideva con occhi tristi e il cuore di Makoto s’incrinò ancora un po’.

‘Perdonami, perdonami!’

I singhiozzi del giovane facevano a gara con i grugniti di Koji i cui movimenti si facevano sempre più veloci e concitati.

Koji lo afferrò per i capelli strattonandogli la testa all’indietro e provocandogli un altro grido di dolore, dopodiché, si avventò famelicamente sul suo collo nudo, mordendolo e succhiandolo con forza.

Finalmente, con un grido gutturale, lasciò dentro il ragazzo sotto di sé il suo seme e un gran senso di disgusto.

Nanase continuò a piangere, gravato del peso di Ashton che si era accasciato sopra di lui senza abbandonarlo. Sentiva male dappertutto, specialmente là in basso dove era riempito dal sesso inerme dell’altro e dove il seme salato faceva bruciare senza tregua le abrasioni dell’intestino. Eppure, era troppo esausto e distrutto per riuscire a sollevare la benché minima protesta.

Fortunatamente, Koji, appena riacquistate un po’ di forze, si rotolò lontano da lui e, dopo pochi minuti, si alzò.

Non si premurò nemmeno di coprirsi, si avvicinò al tavolinetto con il porta sigari e si accese un’altra sigaretta.

Perché l’hai fatto? Ti avevo detto di fermarti!” gli chiese Makoto non riuscendo ad arginare le lacrime.

“Smettila di guardarmi con quell’aria da vergine oltraggiata!” sbuffò Koji di rimando espirando il fumo acre.

“Ma era questo che ero: vergine! Potevi essere almeno un po’ più delicato!” rivendicò il ragazzo con gli occhi velati di nubi gonfie di pioggia.

“E’ colpa tua che hai scelto un’occasione come questa per la tua prima volta” disse Koji alzando le spalle in atteggiamento disinteressato.

“Non era questo che volevo! Desideravo semplicemente che tu mi svelassi qualche strategia, che mi dessi qualche consiglio!”

Ashton scoppiò a ridere scuotendo la testa incredulo.

Ma dico, sei scemo? Speravi che qualche consiglio avrebbe potuto aiutare un caso disperato come il tuo? Santo cielo, farlo con te è stato come metterlo in un sacco di patate!”

Makoto aveva smesso di piangere, anche se rimanevano tracce evidenti della sua disperazione negli occhi e sul viso. Lo osservava con attenzione, come a voler soppesare ciò che stava dicendo.

“Pensi che per me non ci sia speranza?”

Koji si stupì della serietà con cui gli era stata posta quella domanda. Fissò il ragazzo ancora sdraiato a pancia in giù che si reggeva a malapena sui gomiti puntellati sul materasso. Era molto pallido e un accenno d’occhiaie gli stava solcando il contorno degli occhi grigi. Alcune ciocche di capelli gli erano rimaste attaccate al sudore della fronte e gli incorniciavano il volto ovale un po’ allungato. Una linea determinata gli segnava le labbra esangui.

Era strano quel ragazzo. Chissà perché desiderava tanto il suo aiuto. All’inizio pensava solo di divertirsi un po’ con lui, prendendolo in giro. In fondo, gli aveva fornito un’informazione utile e gli sembrava cortese ripagarlo con una mezz’ora del suo preziosissimo tempo. Ma il fuoco che stava covando sotto quelle ceneri grigie gli piaceva. Cosa lo spingeva a tanto? Oh beh, non che avesse molta importanza per lui! In fondo, perché no, poteva anche prestarsi ad aiutarlo.

“No... sei carino, se t’impegni sono certo che, col mio aiuto, potrai fare molti miglioramenti” disse infine con sorriso beffardo.

“Riuscirai a farmi diventare.... desiderabile”.

Koji trattenne una risata di scherno mascherandola in una boccata di fumo.

“Farò di te la Messalina di quest’università, se vorrai”.

Makoto sembrò riflettere su qualcosa per alcuni minuti, poi rialzò lo sguardo sull’altro ragazzo e annuì deciso.

“Ci sto”.

Ok, allora. Inginocchiati davanti a me e apri la bocca” replicò il biondo con sguardo di sfida.

Il brunetto resse lo scherno che quegli occhi gli volevano trasmettere e, con un gran sforzo di volontà, riuscì a mettersi in piedi. Una fitta gli attraversò il corpo e gli piegò le ginocchia, le gambe erano ancora tremanti e troppo deboli per reggere il suo peso, così si fece scivolare a terra. Strinse le labbra e, dopo aver preso respiro un paio di volte, gattonò fin dove si trovava l’altro. A quel punto si rizzò, rimanendo inginocchiato davanti a lui.

 

Passò, così, una settimana. Makoto cercava di sfruttare al meglio ogni istante che Koji gli concedeva. Benché fosse spesso umiliato, schiacciato e trattato poco più gentilmente di una larva di scarafaggio, il suo impegno e la sua costanza non venirono mai meno stupendo persino il suo maestro che, a volte, si sorprendeva a pensare a lui quasi con ammirazione.

Koji lo piegava a qualunque tipo di giochetto e Makoto, anche se sul punto di scoppiare in lacrime, anche se il suo corpo si contorceva per gli spasmi della spossatezza e fosse costretto ad inghiottire i numerosi conati che gli salivano dall’esofago, si prestava a tutto senza protestare.

Aveva succhiato ed era stato succhiato, aveva dovuto imparare a darsi piacere e a darne all’altro, aveva anche dovuto sopportare la vista di un sé stesso riflesso allo specchio che veniva preso da uno sconosciuto incappucciato – un qualche amico di Koji, supponeva – mentre doveva tenersi a mente tutte le cose che gli venivano fatte e che gli procuravano godimento.

In quei giorni, necessariamente, si sentiva sfibrato. Faceva fatica ad alzarsi la mattina e agli allenamenti aveva le gambe spezzate. L’allenatore Kanaya, ovviamente, non ne era per niente contento e così puniva Nanase facendogli correre ulteriori giri di campo.

Solo che, un giorno, il corpo di Makoto cedette e il ragazzo si accasciò esanime sotto gli occhi inorriditi dei suoi compagni.

“Oh, maledizione” imprecò il coach ad alta voce “Presto, portatelo in infermeria!”

Già prima che l’uomo avesse finito di dare le sue direttive, il ragazzo era stato preso per le braccia da Noda e per le gambe da Notoori e trasportato nell’edificio del Campus che era adibito al primo soccorso.

“Vai pure, vice-capitano, ci penso io ad aspettare la prognosi del dottore” disse Notori, una volta che i due ebbero lasciato il loro compagno nelle mani del medico.

“Sei sicuro Nanny? Neanche tu sembri stare troppo bene” rispose Noda osservando l’amico.

Nanny sorrise gentilmente.

“Non temere, è solo un po’ di preoccupazione. Quando ho visto Nanase cadere sul pavimento mi è venuto un colpo!”

“Sei la solita mamma chioccia esagerata!” rise Noda dandogli una rassicurante pacca sulle spalle.

“Forse hai ragione” tentò di schermirsi Nanny.

Ok, allora io vado. Mi raccomando, facci sapere qualcosa appena hai il responso” concluse Noda incamminandosi.

“Contaci” lo salutò l’altro con un gesto della mano.

Trascorse circa mezz’ora che a Notoori parve un’eternità. Sfogliò tutte le riviste che aveva a disposizione, imparò a memoria le scritte dei cartelli appesi ai muri, si mise persino a contare le foglie della piantina decorativa che stava in un angolo della sala d’attesa.

Alla fine meditò di prendere a capocciate il tavolino delle riviste, almeno per medicarlo avrebbero dovuto portarlo dentro e avrebbe saputo qualcosa di più sulle condizioni di Makoto.

Fortunatamente, in quel momento uscì il medico e gli si avvicinò con aria tranquilla.

“Nulla di preoccupante, solo un leggero collasso dovuto ad uno stato di generale debilitazione. A quanto pare il ragazzino si è dato parecchio da fare, ultimamente”.

“Come... no, non credo sia per questo. È tutto come al solito, a parte che sembrava più stanco” mormorò Nanny confuso.

In effetti ho riscontrato un po’ di anemia, niente che una buona mangiata di carne rossa e spinaci non possa guarire, comunque. Decisamente sono dell’idea di imputare la causa ad un sovra sforzo fisico”.

“Gli allenamenti sono duri, ma non più del solito, e poi stava benissimo fino ad una decina di giorni fa!” persistette cocciutamente il giocatore.

Il dottore si strinse nelle spalle.

“Probabilmente avrà iniziato a fare un allenamento in più per conto suo. Succede sai? Specialmente alle matricole che sperano di poter entrare in squadra il più in fretta possibile. Oppure sarà colpa di qualche bella fanciulla che gli costa un supplemento notturno!” ridacchiò con aria complice “Il mio consiglio è: mangiare bene e un po’ di riposo. Vedrai che presto tornerà come nuovo” concluse sorridendo.

“Posso entrare a vederlo?”

Ma certo! Io devo occuparmi di un altro paziente, intanto. Entra pure, ma non stancarlo troppo. Appena avrà finito la flebo di sali minerali potrà tornare al suo alloggio”.

“La ringrazio infinitamente, dottore” disse Nanny inchinandosi prima di entrare nella stanza riservata a Nanase.

Si avvicinò al letto su cui giaceva il paziente e gli si sedette di fianco. Immediatamente Makoto riaprì gli occhi che aveva mantenuto chiusi fino a quel momento e li posò sul suo sempai che lo guardava sorridente.

“Come ti senti adesso?” gli domandò scostandogli una ciocca più chiara di capelli dal viso.

“Meglio. Mi dispiace avervi fatto preoccupare” rispose il ragazzo in evidente imbarazzo.

“Non importa, la cosa che conta è che tu non abbia nulla di grave”.

Makoto annuì distogliendo lo sguardo.

Hideki prese un gran respiro prima di ricominciare a parlare.

“Il dottore dice che ti ha trovato un po’ debilitato a causa delle dure sessioni d’allenamento”.

Si voltò a guardarlo titubante qualche istante, dopodiché riprese il discorso.

“Avresti dovuto avvertirci che per te era troppo faticoso stare al nostro passo. Forse è meglio se per un po’ lasci la squadra”.

Makoto si aggrappò al suo braccio rivolgendogli un’espressione inorridita.

“Oh no, ti prego sempai! Non farmi lasciare la squadra! Se mollassi proprio ora rimarrei troppo indietro e non riuscirei a recuperare! Posso frequentare quest’università solo grazie al sostegno del team di basket, se non avessi più quello i miei voti non sarebbero sufficienti per farmi rimanere qui!”

“Calmati Nanase! Non mi riferivo a qualcosa di permanente, parlavo solo di un breve periodo di tempo. Se è vero che sono stati gli allenamenti a portarti a questo...

“No, no! Gli allenamenti non c’entrano, te lo assicuro! Li ho sempre sopportati bene e ho sempre dato del mio meglio”.

“Lo so, ma non agitarti in questo modo. Se non vuoi lasciare la squadra, nessuno ti obbligherà di certo, lo dicevo solo per il tuo bene”.

A quelle parole Makoto sembrò rilassarsi lasciando andare il braccio di Hideki.

“Non preoccuparti. Sei un bravo ragazzo e un giorno sarai un ottimo elemento tra i titolari” proseguì il ragazzo più grande per rassicurarlo.

“Lo spero davvero” sorrise Makoto di rimando, anche se a Nanny quello parve un sorriso un po’ malinconico.

“Senti Makoto... se non sono stati gli allenamenti la causa del tuo collasso di prima... allora, da cosa è stato provocato?” domandò Notoori all’improvviso, rompendo il silenzio che era calato tra i due.

“Ah... non so... è che non ho mangiato molto ultimamente, ho avuto un po’ di problemi di stomaco... e poi andavo spesso a correre... forse ho preteso troppo dal mio fisico...

Nanny lo fissò attentamente.

“Sei sicuro che non ci sia altro?”

Makoto alzò lo sguardo sui bruni occhi gentili del suo compagno più grande e vi lesse un vivo interesse per lui. Una piccola fitta lo colpì al centro del petto non facendogli più sopportare quella vista, così voltò il capo dall’altra parte fissando il muro bianco al suo lato.

“Sì certo. Ti prometto di non strapazzarmi più e che non capiteranno più scene come quella di oggi. Ora, se non ti dispiace, vorrei riposarmi un po’...

Ma certo, me ne vado subito. Devo ancora avvertire gli altri delle tue condizioni. Ricordati della promessa, mi raccomando”.

Hideki si alzò dal letto lasciandovi, in ricordo, il suo calore.

“Aspetta sempai!” gli urlò dietro Makoto afferrandolo con il braccio libero dalla flebo.

Nanny si voltò verso il suo kohai sorpreso e lo guardò interrogativo.

Il ragazzo fece scivolare le dita in una lieve carezza fino alla sua mano che prese delicatamente portandosela alle labbra per premervela sopra con leggerezza, ad occhi chiusi.

“Grazie per avere sempre tanta premura per me” sussurrò con la bocca che ancora sfiorava il suo palmo.

Non... lo faccio volentieri...” rispose Hideki, arrossendo per l’imbarazzo dovuto a quella strana situazione.

Attese finché Makoto non lo lasciò andare, poi sgusciò via dalla stanza il più silenziosamente possibile.

 

FINE CAPITOLO X