AUTORE: Yurika
PARTE: 9/20 + ss varie ed eventuali
RAITING: R
PAIRINGS: MitSen e accenno di TazKaneda

DICLAIMERS: Akira Sendo e Hisashi Mitsui appartengono a T.Inoue, gli altri malati mentali invece sono miei.

NOTE: siamo quasi a metà *___* in questo capitolo ho amato particolarmente Taz che, anche se compare in pochissime righe, ha fatto una cosa, secondo me, bellissima. Ma visto che non sarò riuscita a descriverla abbastanza bene, a voi parrà sicuramente insignificante^^;;;

 

 

 

 

 

IL CAMPUS

 

CAPITOLO IX

 

di Yurika

 

Kaneda uscì dalla porta principale del silenzioso edificio e si stiracchiò.

Era davvero una gran bella giornata! Il timido sole di marzo non era ancora sorto del tutto. Il cielo limpido e pulito non era turbato nemmeno dal ricordo di nubi di passaggio. Tutto sembrava immobile e irreale come solo nelle prime ore dell’alba può apparire.

Il ragazzo sorrise e fece qualche breve esercizio di riscaldamento sui gradini dell’ingresso. Gli piaceva fare un po’ di moto la mattina appena alzato e, visto che Taz soffriva di metabolismo lento e per questo ci metteva sempre un’eternità a svegliarsi, invece di dedicarsi alla sua attività di coppia preferita aveva optato per una sana corsetta nel parco del Campus.

Si aggiustò la giacca della sua tuta a colori fosforescenti che l’avrebbe fatto risaltare anche in un campo di mais in piena notte e si apprestò a prendere la direzione prescelta, quando si accorse che c’era qualcuno accasciato all’angolo della casa.

Subito si precipitò da quel poveretto e sussultò stupito quando riconobbe Sasa. Si accucciò davanti a lui cercando di capire se era cosciente. Il moretto era appoggiato con la testa e il lato sinistro del corpo al muro. Le sue mani erano abbandonate in grembo e nascoste fino alle nocche dalle lunghe maniche del cappotto. All’improvviso aprì gli occhi e focalizzò lo sguardo sul suo compagno preoccupato.

Yu... Sasa stai bene?” chiese Kaneda titubante.

Un lato dell’elegante bocca del moro si piegò all’insù in un abbozzo di sorriso sarcastico.

Era evidente che non poteva stare bene. Era molto pallido, le labbra erano esangui e gli occhi cerchiati di nero. Il corpo ogni tanto si scuoteva in violenti brividi di freddo. Satori si domandò per quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, esposto al gelo notturno. Ma non era la sua temperatura corporea quello che lo preoccupava di più. La sua attenzione fu attratta dallo spiraglio che i lembi del cappotto male abbottonato lasciavano scoperto. Sotto s’intravedevano una camicia mezza strappata e un profondo graffio mal ripulito, a decorargli la pelle.

“Senti, ora ti aiuto ad entrare in casa e ti preparo qualcosa di caldo così ti togli il freddo di dosso”.

Dicendo questo Kaneda si alzò afferrando una mano di Yukito, ma si bloccò di nuovo sgranando gli occhi non appena la manica si spostò per via del movimento improvviso. Solchi violacei circondavano quel niveo polso, eccentrico ornamento dal gusto crudele.

Il ragazzo riconobbe subito quei segni perché per un certo periodo avevano contraddistinto anche la sua pelle.

“Chi ti ha fatto questo?” domandò con voce che faticava ad uscire dalla gola.

Con un gesto brusco Yukito riuscì a liberarsi dalla sua stretta.

“Non sono cose che ti riguardano!” mormorò tra i denti facendo uno sforzo per tirarsi in piedi.

Si capiva che non aveva più forze in corpo e che soffriva. Il fiato gli si spezzava di sovente, ogni respiro rincorreva l’altro alla ricerca disperata d’aria. Qualcosa nel ragazzo si contrasse e lui si morse il labbro inferiore mentre le gambe gli cedevano e lo facevano ricadere. Per fortuna Kaneda era pronto ad una tale eventualità e scattò a sorreggerlo evitandogli di crollare. Yukito si aggrappò alle sue spalle affondando il viso nel suo petto, ma ben presto lo spinse via da sé andando a sbattere contro il muro per il contraccolpo e rimanendo in piedi a fatica appoggiandosi alla parete.

Una risata amara e gutturale terminò in piccoli colpi di tosse che misero in pericolo il suo fragile equilibrio.

Ormai il cappotto gli si era aperto del tutto e Kaneda poté vedere in pieno le condizioni del compagno di squadra. La sua camicia era totalmente a brandelli e il suo petto era striato da segni rossi ancora sporchi di sangue.

Si portò una mano alla bocca e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Perché? A che cosa stava assistendo realmente? Una vendetta? Una punizione divina? Era stato lui a provocarla? Ma lui non la voleva!!!

“E’ stato lui, vero? Quell’orribile Ashton!”

Sentì il suo essere preso da una violenta rabbia che cresceva a dismisura. Quel lurido essere biondiccio non gli era mai piaciuto!!! Lui e i suoi sguardini violetti indirizzati a Sasa! Ogni volta che li notava rabbrividiva. Era più forte di lui! C’era qualcosa di assolutamente nauseante e perverso nell’atteggiamento di quel ragazzo!

Sasa alzò lo sguardo su di lui. I capelli neri scompigliati gli ombreggiavano il volto creando inquietanti disegni sulla sua pelle. Gli occhi blu si tinsero della tonalità più scura divenendo profondi e impenetrabili come una fossa oceanica. Le labbra si ridussero ad una linea tagliente.

“Tu... cosa ne sai? Come mai lo hai nominato?” chiese con voce bassa e roca.

“Io...”

La rabbia di Kaneda era improvvisamente sparita lasciando il posto ad una sorta di disagio che lo faceva sentire fuori luogo e inadatto. Sbattè le palpebre cercando di riordinare le idee e si sfregò i palmi delle mani sui pantaloni della tuta per asciugarne il sudore che aveva cominciato a infastidirlo.

“Tu...?” lo incoraggiò il moro con lo stesso tono usato prima.

“Io...” riprese Kaneda “e tutti gli altri... tutti sanno di come ti stia sempre addosso. Ti cerca ovunque, agli allenamenti, in aula, qualcuno vi ha visti anche in biblioteca! E poi abbiamo saputo che la sera della festa di Nanny tu sei sparito per raggiungere il suo alloggio”.

“Chi ve l’ha detto?” fece minaccioso Yukito.

“E’... ce l’ha detto il ragazzo che era venuto a portarti il suo messaggio. Dopo che te ne sei andato è tornato e si è unito, non invitato, ai festeggiamenti. Era ben disposto a parlare e così... ha raccontato tutto”.

“Capisco”.

Kaneda si mosse a disagio sotto lo sguardo dell’altro. Dannazione! Cosa gli stava succedendo? Perché si sentiva a quel modo? Lui era Kaneda Satori, non poteva di certo farsi intimidire da una conversazione! Quando aveva ragione non c’era niente che potesse trattenerlo dall’esprimere la sua opinione e, visto che SAPEVA di aver ragione, ora anche Sasa avrebbe dovuto ascoltarlo!

Si piantò bene in faccia a lui e incrociò le braccia al petto puntando gli occhi verdi in quelli ancora torbidi del ragazzo.

“Devi lasciarlo perdere quello! È malvagio, tutto in lui urla la sua malvagità e la sua perfidia! Vuole qualcosa da te e non si fermerà finché non l’avrà ottenuta! E quello non mi sembra il tipo da andare tanto per il sottile nella scelta dei mezzi per raggiungere i suoi scopi! Credimi Yukito, l’unica cosa giusta da fare per te è dimenticarti immediatamente di lui e dirgli chiaramente che non lo vuoi più né vedere né sentire!”

Sasa abbozzò nuovamente il suo sorriso sarcastico abbassando leggermente le palpebre, rendendosi ancora più simile ad un demone bellissimo nella sua pericolosità.

“Chi ti dice che ciò che lui voglia non sia qualcosa che io sia ben disposto a dargli?”

Satori si dimenticò di respirare e spalancò la bocca facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.

Yukito, tu non puoi...”

“Adesso basta, Kane-chan, mi stai davvero seccando!” lo interruppe Sasa con voce dura chiudendo gli occhi e appoggiando la testa all’indietro, sul muro che lo sosteneva. Evidentemente stava ancora soffrendo molto.

Che cosa vuoi esattamente da me?” domandò stancamente.

“Io...”

“E’ la prima volta che perdi la capacità di parola. Immagino di dover segnare questa giornata sul calendario” ridacchiò il moro senza traccia d’acredine, questa volta.

Anche Kaneda si mise a ridacchiare giocando nervosamente con una ciocca di capelli che gli ricadeva sul viso.

Yukito... ti prego, lascialo perdere... non voglio più vederti così... aggiunse poi tristemente, con ancora l’eco della loro risata che si sperdeva nella luce del mattino.

Sasa sospirò e si nascose gli occhi con una mano.

Perché no? Dovresti gioirne. Non era quello che tu e i tuoi amici vi auguravate? Non era questo che avete atteso? Ora che è arrivato qualcuno che possa mettermi a posto. Tu mi odi Kane-chan, non fare l’errore di dimenticarlo”.

“Questo non è vero!!!” urlò il giovane dai capelli viola ancora prima di realizzare cosa stesse dicendo.

Yukito fece scivolare lentamente la mano dal viso abbandonandola sul corpo e lo guardò con gli occhi blu improvvisamente schiariti, proprio come quelli del cielo che si andava sempre di più riempiendo di luce.

Perché no?” domandò nuovamente.

Kaneda esitò. Perché non lo odiava? L’aveva mai odiato? Sì, una volta sì. Quando era andato a raccontare le sue porcherie a Tadashi. Quando Tadashi soffriva così tanto da dover vomitare addosso a lui tutta la sua rabbia e la sua impotenza. Allora lo aveva odiato davvero.

Ma poi le cose erano cambiate. Tadashi lo aveva raccolto e tenuto stretto tra le braccia. Lo aveva accolto sul suo petto e lui si era sentito così felice che per un attimo aveva creduto di morirne. E così tutto quello che era successo, tutto quello che Yukito gli aveva fatto, non aveva più importanza. Perché, ora, capiva quanto fosse infelice la situazione di un ragazzo che non avrebbe mai potuto provare quel tipo di felicità così completa e assoluta.

“Non ti odio, non potrei neanche se lo volessi e comunque non voglio. Potrei dire che mi hai rovinato la vita, ma sarebbe solo un’enorme sciocchezza. Grazie a te ho capito la differenza tra l’essere innamorato di un ideale inesistente e l’essere innamorato di una persona reale che ti ricambia con la stessa intensità. In un certo senso ti sono anche grato”.

“Stai solo dicendo un mare di idiozie, come al solito” esclamò Sasa girandosi su un fianco appoggiandosi meglio al muro e cercando di muovere qualche passo.

“Ti assicuro che è così! Io... Yukito io ti voglio bene... mormorò Kaneda indeciso se aiutarlo o meno.

“Tu mi odi!!!” urlò Sasa voltandosi di scatto verso di lui e guardandolo come un animale ferito sul punto di aggredire i suoi assalitori prima che questi possano dargli il colpo di grazia.

“No, no!” esclamò Satori scuotendo violentemente la testa “So che nascondi molto di più di quello che mostri, l'ho sentito. Lo sentivo a volte quando stavamo insieme. Sentivo che mi chiedevi aiuto per aiutarti a far venire fuori ciò che provavi davvero, ma io non ero in grado di aiutarti, non ero io la persona adatta, avevo anch’io troppo bisogno di qualcuno che mi sorreggesse. Non ti odio, io riesco a capirti meglio di qualsiasi altro e...

“Tu mi DEVI odiare!!! Devi lasciarmi in pace!!!” gridò forte Sasa rimanendo boccheggiante, senza fiato e con un rivoletto di malsano sudore freddo che gli scendeva dalla fronte.

Con fatica si trascinò su per le scalette sorreggendosi alla parete intonacata. Quando raggiunse la porta si appoggiò pesantemente alla maniglia e prese un profondo respiro.

Se tu non fossi come sei... e io non fossi come sono... allora forse... Ma tu sei come sei... per fortuna” aggiunse a bassa voce “ ed io sono io. Hai trovato la felicità ora, conservala, difendila con tutto te stesso, con la tenacia che solo tu puoi avere. Io posso solo restare in quell’oscuro abbraccio che mi ha avvinto, che è bruciante e accogliente, che mi stringe tanto da farmi male e da spezzarmi, ma che mi ricorda costantemente che sono ancora vivo, che lo sono davvero. Non lo lascerò perdere, lo seguirò ovunque mi vorrà trascinare, paradiso o inferno che sia”.

Sasa aprì la porta ed entrò, ma prima di richiudersela alle spalle si fermò un istante.

“Odiami Kane-chan, per favore” supplicò e sparì dietro il legno scuro.

Kaneda rimase a fissare il punto in cui era sparito per parecchi minuti. Gli faceva male qualcosa in un punto non precisato del torace. Lenta, una lacrima d’argento scivolò sulla sua pelle di velluto.

‘Voglio andare a casa’ pensò e in quel momento qualcosa gli si spezzò dentro e cominciò a correre a per di fiato, ma non verso il parco. Entrò nell’edificio e si precipitò su per le scale, fino alla porta della sua camera che spalancò con violenza gettandosi sul letto e abbracciando la figura addormentata che faceva capolino da sotto il piumone.

“WAAAAAAHHHHH!!!! Ma che caz... Kaneda!!! Ma ti pare ilo modo??? Stavo dormendo, un giorno o l’altro mi farai venire un infarto!!!”

Satori rimase immobile e non rispose, solo stringeva forte Tadashi con il volto nascosto nella piega del suo collo.

Taz fissava il soffitto che andava via via facendosi più chiaro a mano a mano che il sole diventava più forte. L’alloggio si stava lentamente risvegliando e già si potevano udire i rumori familiari dei ragazzi che si stavano preparando per una nuova giornata. Dalla stanza affianco proveniva una tenue musica, un assolo di pianoforte dolce e rilassante. Il battito forte del cuore di Kaneda, il suo respiro pesante e irregolare. Il profumo fresco dei suoi capelli, la delicatezza della sua pelle.

Tadashi sospirò e sollevò le braccia con lentezza cerimoniale per circondare le fragili spalle del suo amore.

Va tutto bene, non morirò per così poco. Resterò con te” sussurrò piano accarezzandogli i capelli.

‘Ecco, sono a casa’ fu l’unico pensiero di Kaneda.

 

Gli spogliatoi erano quasi vuoti. L’allenamento mattutino era finito da più di mezz’ora e gli ultimi ritardatari si stavano affrettando per dirigersi alle rispettive lezioni.

Naturalmente, l’ultimo ad essere pronto era, come il solito, Akira Sendo. Come tutti i giorni, la sua particolare pettinatura gli faceva perdere un sacco di tempo.

Ormai era rimasto l’unico e un silenzio irreale era sceso sul quel luogo solitamente tanto animato. D’improvviso un rumore da dietro una fila di armadietti lo fece sussultare per la sorpresa. Un leggero brivido gli percorse la schiena e decise di andare a vedere cosa fosse stato a provocare quel suono sconosciuto.

Si avvicinò con circospezione alla fila di armadietti in questione e rimase qualche istante in ascolto. Sembrava tutto tranquillo. Voltò di scatto l’angolo dell’ultimo armadietto della serie e... niente! Era tutto assolutamente normale e non c’era alcun segno che attirasse la sua attenzione.

“Ah Akira, sei proprio uno scemo!” si disse ridacchiando appoggiando la schiena ad una delle ante di metallo.

Tutta colpa di Hisashi e di quegli stupidissimi thriller che lo costringeva a guardare non appena ne aveva l’occasione! Ormai lo stavano influenzando più del dovuto facendogli immaginare cose che non esistevano.

Si sollevò dall’armadietto, ma, prima ancora che se ne accorgesse, una figura gli fu addosso respingendolo violentemente contro il freddo acciaio. Due mani possessive toccarono e violarono la sua pelle percorsa dai brividi, una bocca avida e vorace gli toglieva il respiro costringendolo ad un bacio profondo e combattuto, un corpo solido lo tratteneva impedendogli di muoversi e facendogli sentire pienamente la sua eccitazione.

“Cavolo Hisashi, non so neanch’io se sono più eccitato o spaventato! Ti sembrano scherzi da fare?” riuscì a dire non appena l’altro gliene diede l’occasione.

Mitsui si mise a ridere senza lasciare andare il compagno.

“Io questa la definirei come un’evidente erezione” disse poi accarezzando lascivamente il sesso teso del compagno.

“Sì, e questo è un morso!” rise Akira azzannando il collo del suo ragazzo per poi passare la lingua in un gioco ipnotico sopra il segno dei denti.

Mmhh... hai voglia di qualcosa di forte, eh?” domandò Mitsui facendo perdere l’equilibrio a Sendo e stendendolo per terra salendogli subito sopra.

“Ogni tuo desiderio è un ordine!”

Si baciarono a lungo rotolandosi in un groviglio di gambe e braccia che si strusciavano, strofinavano, frizionavano senza tregua.

Mitsui riuscì nuovamente a conquistare la posizione superiore e attaccò un capezzolo di Sendo titillandolo con la punta della lingua mentre la mano era partita per un’esplorazione molto approfondita nei meandri dei boxer del compagno.

Lo faceva impazzire vedere il suo Akira così arrendevole e in sua completa balia. Gli teneva i polsi stretti in una sola mano sopra la testa e si fermò pochi secondi per ammirare la sua opera. Akira aveva la testa leggermente reclinata verso sinistra, gli occhi erano liquidi e appannati, la bocca, gonfia e rossa, appena socchiusa, lasciava sfuggire ansimi inarticolati. Il suo bacino ondeggiava seguendo il ritmo che Hisashi aveva imposto al suo desiderio.

Semplicemente splendido! E incredibile. E irresistibile.

Ed era suo.

Non resistette ulteriormente e si chinò sul suo collo lasciandogli lievi morsetti e dolci leccatine. Ad un tratto si rese conto che il suo ragazzo si era stranamente immobilizzato e irrigidito. Si sollevò per vedere cosa gli fosse successo e notò che Akira era come pietrificato, con gli occhi spalancati e fissi su un punto ben preciso.

Si voltò lentamente anche lui verso quel punto e una strana sensazione gli attanagliò la bocca dello stomaco.

Seduto sulla panca a meno di un metro da loro c’era qualcuno!

Ne vide chiaramente le scarpe da ginnastica bianche e rosse della Puma, poi i jeans scuri a vita bassa, la maglietta attillata nera sotto il giubbetto corto di pelle rossa e infine il viso: capelli castani striati da ciocche bionde che accarezzavano le guance leggermente incavate e uno sguardo grigio e curioso puntato su di loro.

Hisashi pensò che se non moriva d’infarto in quel momento sarebbe riuscito a sopravvivere fino ai cent’anni!

Hisa-chan... forse è meglio se ti sposti... suggerì Akira in un bisbiglio.

Mitsui riuscì a riacquistare un minimo di lucidità e si accorse di stringere ancora in mano il sesso ormai alquanto afflosciato del compagno.

Con un balzo si scostò da lui andando a sbattere la schiena contro gli armadietti.

“Ah... eh... ecco... noi...” balbettò Hisashi mentre Akira si rialzava per sistemarsi con aria scocciata.

Nanase! Tu cosa diavolo ci fai lì? E si può sapere da quanto ci stavi spiando?”

Mitsui preferì, come al solito, passare dalla difesa all’attacco.

“Mi sono dimenticato di prendere una cosa dall’armadietto e sono tornato indietro, ma il mio sportellino rimane proprio dietro la tua schiena e non volevo disturbarvi, mi sembravate molto presi... rispose Makoto indicando qualcosa dietro Mitsui. Il ragazzo con la cicatrice si voltò alzando la testa e vide che, sull’anta di metallo alla quale si appoggiava, spiccava il nome di Nanase.

“Ah!” riuscì a dire a malapena Mitsui.

“Potevi lo stesso avvertirci invece di rimanere fermo a spiarci...” disse Sendo passandogli davanti senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.

Akira ha ragione! Sei solo un piccolo guardone pervertito!” disse Hisashi ritrovando la sua solita grinta.

“Non credo che voi siate nella posizione di poter dare del pervertito a me. Non ero io quello che faceva sesso in uno spogliatoio pubblico. Poteva entrare chiunque, compreso l’allenatore Kanaya”.

Makoto si appoggio con le mani al bordo della panca guardandosi in giro con aria annoiata.

“Avrai anche ragione, ma questo non ti dà il diritto di rimanere a spiarci senza palesare la tua presenza!” saltò su Hisashi urlando, rosso come un granchio lessato.

“Basta Hisa-chan, ormai ci ha interrotto. Lasciamolo al suo armadietto e andiamocene” lo fermò Akira posandogli una mano sul braccio.

“Hai ragione, è inutile stare a ragionare con certa gente!” annuì l’altro in risposta, ancora evidentemente molto alterato.

I due si voltarono per uscire dallo spogliatoio.

“Ehi, aspettate solo un momento!” li richiamò Nanase balzando in piedi.

Cosa vuoi ancora?” chiese Sendo voltandosi solo a metà verso di lui e non accennando nemmeno l’ombra di uno dei suoi soliti sorrisi.

Sempai... avrei bisogno di chiederti un favore” disse il biondino rivolto al giovane dai capelli a punta.

Sendo si girò del tutto e appoggiò una spalla al muro affondando le mani nelle tasche.

“Sentiamo”.

Makoto guardò in direzione di Hisashi e, vedendo che il ragazzo si era messo dietro ad Akira a braccia conserte non avendo la minima intenzione di lasciarli soli, si decise a proseguire.

“Vorrei chiederti di darmi alcune lezioni...

Mitsui scoppiò a ridere.

“Andiamo Nanase! D’accordo che Akira è più bravo di te come ala piccola, ma non credo tu necessiti addirittura di lezioni!”

Makoto scosse la testa e si mise una mano fra i capelli scostandoseli all’indietro mentre fissava lo sguardo in quello di Akira.

Ma io non stavo parlando di lezioni di basket. Io mi riferivo a lezioni di... sesso!”

Cosa?” sibilò Sendo.

“Cosa???” esclamò Mitsui.

(“COSA????” urlò l’autrice davanti al pc, incredula di ciò che aveva appena scritto).

“Ma tu sei sciroccato in testa!!! Da bambino ti han fatto cadere dal seggiolone e sei rimasto menomato a vita!!! Ti hanno rapito gli alieni e ti hanno impiantato strani cip nel cervello che ora ti costringono a dire scemenze!!! Sei rimasto coinvolto in una missione di spionaggio politico e il KGB ti ha fatto il lavaggio del cervello!!! I nazisti...”

Hisashi... smettila di dire stronzate”.

Sendo si raddrizzò e si sgranchì il collo mentre Mitsui borbottava qualcosa contro la sua poca sensibilità. Dopo parecchi secondi tornò a fissare Nanase negli occhi.

“La mia risposta è no”.

“Non ci hai nemmeno pensato” protestò il ragazzo più giovane.

“Non ne avevo bisogno”.

Ma nel club sanno tutti che sei stato tu a fare da mentore a Wakashimaru quando si è messo con Satori!”

‘Maledetti pettegoli!’ pensarono all’unisono Akira e Hisashi.

“Quella è una cosa diversa, Taz è mio amico, gli ho solo fatto un favore”.

“Sono disposto anche a pagarti!” esclamò Makoto con concitazione.

“Chi diavolo ti credi di essere?” domandò Hisashi pronto a scagliarsi contro il kohai.

Nuovamente Akira lo bloccò tenendolo fermo per una spalla.

“La mia risposta è sempre no. Cercati qualcun altro”.

Così dicendo, Sendo uscì dallo spogliatoio trascinandosi dietro il fidanzato che lanciava improperi vari in direzione di Nanase.

Il giovane, rimasto solo, sbuffò scocciato.

Aveva perso un’ottima occasione! Ora doveva trovare il sistema per ottenerne una nuova.

Uscì anche lui con aria piuttosto corrucciata. Appena si trovò all’esterno dell’edificio vide passare un ragazzo dalla lunga falcata elegante, dai capelli biondissimi svolazzanti sulle spalle e dal sorriso malizioso che gli illuminava il volto mentre procedeva a passo spedito verso gli alloggi dei membri del team di basket.

Makoto si domandò dove avesse già visto quella persona. Un lampo di comprensione passò attraverso gli occhi di nebbia e una leggera incurvatura si disegnò sulle sue labbra.

Ecco un’altra buona occasione!

 

FINE CAPITOLO IX