NOTE: siamo quasi a metà *___* in questo capitolo ho amato particolarmente Taz che, anche se compare in pochissime righe, ha fatto una cosa, secondo me, bellissima. Ma visto che non sarò riuscita a descriverla abbastanza bene, a voi parrà sicuramente insignificante^^;;;
CAPITOLO IX
di Yurika
Kaneda uscì dalla porta principale del silenzioso
edificio e si stiracchiò.
Era davvero una
gran bella giornata! Il timido sole di marzo non era ancora sorto del tutto. Il
cielo limpido e pulito non era turbato nemmeno dal ricordo di nubi di
passaggio. Tutto sembrava immobile e irreale come solo nelle prime ore
dell’alba può apparire.
Il ragazzo sorrise
e fece qualche breve esercizio di riscaldamento sui gradini dell’ingresso. Gli
piaceva fare un po’ di moto la mattina appena alzato e, visto che Taz soffriva di metabolismo lento e per questo ci metteva
sempre un’eternità a svegliarsi, invece di dedicarsi alla sua attività di
coppia preferita aveva optato per una sana corsetta
nel parco del Campus.
Si aggiustò la
giacca della sua tuta a colori fosforescenti che l’avrebbe
fatto risaltare anche in un campo di mais in piena notte e si apprestò a
prendere la direzione prescelta, quando si accorse che c’era qualcuno
accasciato all’angolo della casa.
Subito si
precipitò da quel poveretto e sussultò stupito quando riconobbe Sasa. Si accucciò davanti a lui cercando di capire se era
cosciente. Il moretto era appoggiato con la testa e il lato sinistro del corpo
al muro. Le sue mani erano abbandonate in grembo e nascoste fino alle nocche
dalle lunghe maniche del cappotto. All’improvviso aprì gli occhi e focalizzò lo
sguardo sul suo compagno preoccupato.
“Yu... Sasa
stai bene?” chiese Kaneda titubante.
Un lato
dell’elegante bocca del moro si piegò all’insù in un abbozzo di sorriso
sarcastico.
Era evidente che
non poteva stare bene. Era molto
pallido, le labbra erano esangui e gli occhi cerchiati di nero. Il corpo
ogni tanto si scuoteva in violenti brividi di freddo. Satori
si domandò per quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, esposto al gelo
notturno. Ma non era la sua temperatura corporea
quello che lo preoccupava di più. La sua attenzione fu attratta dallo spiraglio
che i lembi del cappotto male abbottonato lasciavano scoperto. Sotto
s’intravedevano una camicia mezza strappata e un profondo graffio mal ripulito,
a decorargli la pelle.
“Senti, ora ti
aiuto ad entrare in casa e ti preparo qualcosa di caldo così ti togli il freddo
di dosso”.
Dicendo questo Kaneda si alzò afferrando una mano di Yukito,
ma si bloccò di nuovo sgranando gli occhi non appena la manica si spostò per
via del movimento improvviso. Solchi violacei circondavano quel niveo polso,
eccentrico ornamento dal gusto crudele.
Il ragazzo riconobbe
subito quei segni perché per un certo periodo avevano contraddistinto anche la
sua pelle.
“Chi ti ha fatto
questo?” domandò con voce che faticava ad uscire dalla gola.
Con un gesto
brusco Yukito riuscì a liberarsi dalla sua stretta.
“Non sono cose che
ti riguardano!” mormorò tra i denti facendo uno sforzo per tirarsi in piedi.
Si capiva che non
aveva più forze in corpo e che soffriva. Il fiato gli si spezzava
di sovente, ogni respiro rincorreva l’altro alla ricerca disperata
d’aria. Qualcosa nel ragazzo si contrasse e lui si morse il labbro inferiore
mentre le gambe gli cedevano e lo facevano ricadere. Per fortuna Kaneda era pronto ad una tale
eventualità e scattò a sorreggerlo evitandogli di crollare. Yukito
si aggrappò alle sue spalle affondando il viso nel suo petto, ma ben presto lo
spinse via da sé andando a sbattere contro il muro per il contraccolpo e
rimanendo in piedi a fatica appoggiandosi alla parete.
Una risata amara e
gutturale terminò in piccoli colpi di tosse che misero in pericolo il suo
fragile equilibrio.
Ormai il cappotto
gli si era aperto del tutto e Kaneda poté vedere in pieno le condizioni del compagno di squadra.
La sua camicia era totalmente a brandelli e il suo petto era striato da segni
rossi ancora sporchi di sangue.
Si portò una mano
alla bocca e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Perché?
A che cosa stava assistendo realmente? Una vendetta? Una punizione divina? Era
stato lui a provocarla? Ma lui non la voleva!!!
“E’ stato lui,
vero? Quell’orribile Ashton!”
Sentì il suo
essere preso da una violenta rabbia che cresceva a dismisura. Quel lurido
essere biondiccio non gli era mai piaciuto!!! Lui e i
suoi sguardini violetti indirizzati a Sasa! Ogni volta che li notava rabbrividiva. Era più forte
di lui! C’era qualcosa di assolutamente nauseante e perverso nell’atteggiamento
di quel ragazzo!
Sasa alzò lo sguardo su di lui. I capelli neri
scompigliati gli ombreggiavano il volto creando inquietanti disegni sulla sua
pelle. Gli occhi blu si tinsero della tonalità più scura divenendo profondi e
impenetrabili come una fossa oceanica. Le labbra si ridussero ad una linea
tagliente.
“Tu... cosa ne
sai? Come mai lo hai nominato?” chiese con voce bassa e roca.
“Io...”
La rabbia di Kaneda era improvvisamente sparita lasciando il posto ad
una sorta di disagio che lo faceva sentire fuori luogo e inadatto. Sbattè le palpebre cercando di riordinare le idee e si sfregò
i palmi delle mani sui pantaloni della tuta per asciugarne il sudore che aveva
cominciato a infastidirlo.
“Tu...?” lo
incoraggiò il moro con lo stesso tono usato prima.
“Io...” riprese Kaneda “e tutti gli
altri... tutti sanno di come ti stia sempre addosso. Ti cerca ovunque, agli
allenamenti, in aula, qualcuno vi ha visti anche in biblioteca! E poi abbiamo saputo che la sera della festa di Nanny tu sei sparito per raggiungere il suo alloggio”.
“Chi ve l’ha
detto?” fece minaccioso Yukito.
“E’... ce l’ha detto il ragazzo che era venuto a portarti il suo
messaggio. Dopo che te ne sei andato è tornato e si è unito, non invitato, ai
festeggiamenti. Era ben disposto a parlare e così... ha raccontato tutto”.
“Capisco”.
Kaneda si mosse a disagio sotto lo sguardo
dell’altro. Dannazione! Cosa gli stava succedendo? Perché si sentiva a quel modo? Lui era Kaneda Satori, non poteva
di certo farsi intimidire da una conversazione! Quando
aveva ragione non c’era niente che potesse trattenerlo dall’esprimere la sua
opinione e, visto che SAPEVA di aver ragione, ora anche Sasa
avrebbe dovuto ascoltarlo!
Si piantò bene in
faccia a lui e incrociò le braccia al petto puntando gli occhi verdi in quelli
ancora torbidi del ragazzo.
“Devi lasciarlo
perdere quello! È malvagio, tutto in lui urla la sua
malvagità e la sua perfidia! Vuole qualcosa da te e non si fermerà finché non
l’avrà ottenuta! E quello non
mi sembra il tipo da andare tanto per il sottile nella scelta dei mezzi per
raggiungere i suoi scopi! Credimi Yukito, l’unica cosa
giusta da fare per te è dimenticarti immediatamente di lui e dirgli chiaramente
che non lo vuoi più né vedere né sentire!”
Sasa abbozzò nuovamente il suo sorriso
sarcastico abbassando leggermente le palpebre, rendendosi ancora più simile ad
un demone bellissimo nella sua pericolosità.
“Chi ti dice che
ciò che lui voglia non sia qualcosa che io sia ben disposto a dargli?”
Satori si dimenticò di respirare e spalancò la
bocca facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.
“Yukito, tu non puoi...”
“Adesso basta, Kane-chan, mi stai davvero seccando!” lo interruppe Sasa con voce dura chiudendo gli occhi e appoggiando la
testa all’indietro, sul muro che lo sosteneva. Evidentemente stava ancora
soffrendo molto.
“Che cosa vuoi esattamente da me?” domandò stancamente.
“Io...”
“E’ la prima volta
che perdi la capacità di parola. Immagino di dover segnare
questa giornata sul calendario” ridacchiò il moro senza traccia
d’acredine, questa volta.
Anche Kaneda si mise a
ridacchiare giocando nervosamente con una ciocca di capelli che gli ricadeva
sul viso.
“Yukito... ti prego, lascialo perdere... non voglio più
vederti così...” aggiunse poi
tristemente, con ancora l’eco della loro risata che si sperdeva nella luce del
mattino.
Sasa sospirò e si nascose gli occhi con una
mano.
“Perché no? Dovresti gioirne. Non era quello che tu e i tuoi
amici vi auguravate? Non era questo che avete atteso? Ora che è arrivato qualcuno che possa mettermi a posto. Tu
mi odi Kane-chan, non fare l’errore di dimenticarlo”.
“Questo non è vero!!!” urlò il giovane dai capelli viola ancora prima di
realizzare cosa stesse dicendo.
Yukito fece scivolare lentamente la mano dal viso
abbandonandola sul corpo e lo guardò con gli occhi blu improvvisamente
schiariti, proprio come quelli del cielo che si andava sempre di più riempiendo
di luce.
“Perché no?” domandò nuovamente.
Kaneda esitò. Perché non
lo odiava? L’aveva mai odiato? Sì, una volta sì. Quando era
andato a raccontare le sue porcherie a Tadashi.
Quando Tadashi soffriva così tanto
da dover vomitare addosso a lui tutta la sua rabbia e la sua impotenza.
Allora lo aveva odiato davvero.
Ma poi le cose erano cambiate. Tadashi lo aveva raccolto e tenuto stretto tra le braccia.
Lo aveva accolto sul suo petto e lui si era sentito così felice che per un
attimo aveva creduto di morirne. E così tutto quello
che era successo, tutto quello che Yukito gli aveva
fatto, non aveva più importanza. Perché, ora, capiva
quanto fosse infelice la situazione di un ragazzo che non avrebbe mai potuto
provare quel tipo di felicità così completa e assoluta.
“Non ti odio, non
potrei neanche se lo volessi e comunque non voglio.
Potrei dire che mi hai rovinato la vita, ma sarebbe solo un’enorme sciocchezza.
Grazie a te ho capito la differenza tra l’essere innamorato di un ideale
inesistente e l’essere innamorato di una persona reale che ti ricambia con la
stessa intensità. In un certo senso ti sono anche grato”.
“Stai solo dicendo
un mare di idiozie, come al solito” esclamò Sasa girandosi su un fianco appoggiandosi meglio al muro e
cercando di muovere qualche passo.
“Ti assicuro che è
così! Io... Yukito io ti voglio bene...” mormorò Kaneda
indeciso se aiutarlo o meno.
“Tu mi odi!!!” urlò Sasa voltandosi di
scatto verso di lui e guardandolo come un animale ferito sul punto di aggredire
i suoi assalitori prima che questi possano dargli il colpo di grazia.
“No, no!” esclamò Satori scuotendo violentemente la testa “So
che nascondi molto di più di quello che mostri, l'ho sentito. Lo sentivo a
volte quando stavamo insieme. Sentivo che mi chiedevi aiuto per aiutarti a far
venire fuori ciò che provavi davvero, ma io non ero in grado di aiutarti, non
ero io la persona adatta, avevo anch’io troppo bisogno di qualcuno che mi sorreggesse. Non ti odio, io riesco a capirti meglio di
qualsiasi altro e...”
“Tu mi DEVI odiare!!! Devi lasciarmi in pace!!!” gridò forte Sasa rimanendo boccheggiante, senza fiato e con un
rivoletto di malsano sudore freddo che gli scendeva dalla fronte.
Con fatica si
trascinò su per le scalette sorreggendosi alla parete intonacata. Quando raggiunse la porta si appoggiò pesantemente alla
maniglia e prese un profondo respiro.
“Se tu non fossi come sei... e io non fossi come sono...
allora forse... Ma tu sei come sei... per fortuna” aggiunse a bassa voce “ ed
io sono io. Hai trovato la felicità ora, conservala, difendila con tutto te
stesso, con la tenacia che solo tu puoi avere. Io posso solo restare in quell’oscuro abbraccio che mi ha avvinto, che è bruciante e
accogliente, che mi stringe tanto da farmi male e da spezzarmi, ma che mi ricorda
costantemente che sono ancora vivo, che lo sono
davvero. Non lo lascerò perdere, lo seguirò ovunque mi vorrà
trascinare, paradiso o inferno che sia”.
Sasa aprì la porta ed entrò, ma prima di
richiudersela alle spalle si fermò un istante.
“Odiami Kane-chan, per favore” supplicò e sparì dietro il legno
scuro.
Kaneda rimase a fissare il punto in cui era
sparito per parecchi minuti. Gli faceva male qualcosa in un punto non precisato
del torace. Lenta, una lacrima d’argento scivolò sulla sua pelle di velluto.
‘Voglio andare a casa’ pensò e in quel momento qualcosa gli si spezzò dentro
e cominciò a correre a per di fiato, ma non verso il
parco. Entrò nell’edificio e si precipitò su per le scale, fino alla porta
della sua camera che spalancò con violenza gettandosi sul letto e abbracciando
la figura addormentata che faceva capolino da sotto il piumone.
“WAAAAAAHHHHH!!!!
Ma che caz... Kaneda!!! Ma ti pare ilo modo??? Stavo dormendo, un giorno o
l’altro mi farai venire un infarto!!!”
Satori rimase immobile e non rispose, solo
stringeva forte Tadashi con il volto nascosto nella
piega del suo collo.
Taz fissava il soffitto che andava via via facendosi più chiaro a mano a mano che
il sole diventava più forte. L’alloggio si stava lentamente risvegliando
e già si potevano udire i rumori familiari dei ragazzi che si stavano
preparando per una nuova giornata. Dalla stanza affianco
proveniva una tenue musica, un assolo di pianoforte dolce e rilassante. Il battito forte del cuore di Kaneda, il
suo respiro pesante e irregolare. Il profumo fresco dei suoi capelli, la
delicatezza della sua pelle.
Tadashi sospirò e sollevò le braccia con lentezza
cerimoniale per circondare le fragili spalle del suo amore.
“Va tutto bene, non morirò per così poco. Resterò
con te” sussurrò piano accarezzandogli i capelli.
‘Ecco, sono a casa’ fu l’unico pensiero
di Kaneda.
Gli spogliatoi
erano quasi vuoti. L’allenamento mattutino era finito da più di mezz’ora e gli
ultimi ritardatari si stavano affrettando per dirigersi alle rispettive
lezioni.
Naturalmente,
l’ultimo ad essere pronto era, come il solito, Akira Sendo. Come tutti i giorni, la sua particolare pettinatura
gli faceva perdere un sacco di tempo.
Ormai era rimasto
l’unico e un silenzio irreale era sceso sul quel luogo solitamente tanto animato.
D’improvviso un rumore da dietro una fila di armadietti
lo fece sussultare per la sorpresa. Un leggero brivido gli
percorse la schiena e decise di andare a vedere cosa fosse stato a provocare
quel suono sconosciuto.
Si avvicinò con
circospezione alla fila di armadietti in questione e
rimase qualche istante in ascolto. Sembrava tutto tranquillo. Voltò di scatto
l’angolo dell’ultimo armadietto della serie e... niente! Era tutto
assolutamente normale e non c’era alcun segno che attirasse
la sua attenzione.
“Ah Akira, sei proprio uno scemo!” si disse ridacchiando
appoggiando la schiena ad una delle ante di metallo.
Tutta colpa di Hisashi e di quegli stupidissimi thriller che lo costringeva a guardare non appena ne aveva l’occasione!
Ormai lo stavano influenzando più del dovuto facendogli immaginare cose che non
esistevano.
Si sollevò
dall’armadietto, ma, prima ancora che se ne accorgesse,
una figura gli fu addosso respingendolo violentemente contro il freddo acciaio.
Due mani possessive toccarono e violarono la sua pelle percorsa dai brividi,
una bocca avida e vorace gli toglieva il respiro costringendolo ad un bacio
profondo e combattuto, un corpo solido lo tratteneva impedendogli di muoversi e
facendogli sentire pienamente la sua eccitazione.
“Cavolo Hisashi, non so neanch’io se sono
più eccitato o spaventato! Ti sembrano scherzi da fare?” riuscì
a dire non appena l’altro gliene diede l’occasione.
Mitsui si mise a ridere senza lasciare andare il
compagno.
“Io questa la
definirei come un’evidente erezione” disse poi accarezzando lascivamente il
sesso teso del compagno.
“Sì, e questo è un
morso!” rise Akira azzannando il collo del suo
ragazzo per poi passare la lingua in un gioco ipnotico sopra il segno dei
denti.
“Mmhh... hai voglia di qualcosa di forte, eh?” domandò Mitsui facendo perdere l’equilibrio a Sendo
e stendendolo per terra salendogli subito sopra.
“Ogni tuo
desiderio è un ordine!”
Si baciarono a
lungo rotolandosi in un groviglio di gambe e braccia che si strusciavano,
strofinavano, frizionavano senza tregua.
Mitsui riuscì nuovamente a conquistare la
posizione superiore e attaccò un capezzolo di Sendo
titillandolo con la punta della lingua mentre la mano era partita per
un’esplorazione molto approfondita nei meandri dei boxer del compagno.
Lo faceva
impazzire vedere il suo Akira così arrendevole e in
sua completa balia. Gli teneva i polsi stretti in una sola mano sopra la testa
e si fermò pochi secondi per ammirare la sua opera. Akira
aveva la testa leggermente reclinata verso sinistra, gli occhi erano liquidi e
appannati, la bocca, gonfia e rossa, appena socchiusa, lasciava sfuggire ansimi
inarticolati. Il suo bacino ondeggiava seguendo il ritmo che Hisashi aveva imposto al suo desiderio.
Semplicemente
splendido! E incredibile. E
irresistibile.
Ed era suo.
Non resistette
ulteriormente e si chinò sul suo collo lasciandogli lievi morsetti e dolci
leccatine. Ad un tratto si rese conto che il suo ragazzo si era stranamente
immobilizzato e irrigidito. Si sollevò per vedere cosa gli fosse
successo e notò che Akira era come
pietrificato, con gli occhi spalancati e fissi su un punto ben preciso.
Si voltò
lentamente anche lui verso quel punto e una strana sensazione gli attanagliò la
bocca dello stomaco.
Seduto sulla panca
a meno di un metro da loro c’era qualcuno!
Ne vide
chiaramente le scarpe da ginnastica bianche e rosse della
Puma, poi i jeans scuri a vita bassa, la maglietta attillata nera sotto
il giubbetto corto di pelle rossa e infine il viso: capelli castani striati da
ciocche bionde che accarezzavano le guance leggermente incavate e uno sguardo
grigio e curioso puntato su di loro.
Hisashi pensò che se non moriva
d’infarto in quel momento sarebbe riuscito a sopravvivere fino ai cent’anni!
“Hisa-chan... forse è meglio se ti sposti...” suggerì Akira
in un bisbiglio.
Mitsui riuscì a riacquistare un minimo di
lucidità e si accorse di stringere ancora in mano il sesso ormai alquanto
afflosciato del compagno.
Con un balzo si
scostò da lui andando a sbattere la schiena contro gli armadietti.
“Ah... eh...
ecco... noi...” balbettò Hisashi
mentre Akira si rialzava per sistemarsi con aria
scocciata.
“Nanase! Tu cosa diavolo ci fai lì? E
si può sapere da quanto ci stavi spiando?”
Mitsui preferì, come al
solito, passare dalla difesa all’attacco.
“Mi sono
dimenticato di prendere una cosa dall’armadietto e sono tornato indietro, ma il
mio sportellino rimane proprio dietro la tua schiena e non volevo disturbarvi,
mi sembravate molto presi...” rispose
Makoto indicando qualcosa dietro Mitsui.
Il ragazzo con la cicatrice si voltò alzando la testa e vide che, sull’anta di
metallo alla quale si appoggiava, spiccava il nome di Nanase.
“Ah!” riuscì a
dire a malapena Mitsui.
“Potevi lo stesso
avvertirci invece di rimanere fermo a spiarci...” disse Sendo passandogli davanti
senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
“Akira ha ragione! Sei solo un piccolo guardone pervertito!”
disse Hisashi ritrovando la sua solita grinta.
“Non credo che voi
siate nella posizione di poter dare del pervertito a me. Non ero
io quello che faceva sesso in uno spogliatoio pubblico. Poteva entrare
chiunque, compreso l’allenatore Kanaya”.
Makoto si appoggio con le mani al bordo della
panca guardandosi in giro con aria annoiata.
“Avrai anche
ragione, ma questo non ti dà il diritto di rimanere a spiarci senza palesare la
tua presenza!” saltò su Hisashi urlando, rosso come
un granchio lessato.
“Basta Hisa-chan, ormai ci ha interrotto. Lasciamolo al suo
armadietto e andiamocene” lo fermò Akira
posandogli una mano sul braccio.
“Hai ragione, è
inutile stare a ragionare con certa gente!” annuì l’altro in
risposta, ancora evidentemente molto alterato.
I due si voltarono
per uscire dallo spogliatoio.
“Ehi, aspettate
solo un momento!” li richiamò Nanase balzando in
piedi.
“Cosa vuoi ancora?” chiese Sendo
voltandosi solo a metà verso di lui e non accennando nemmeno l’ombra di uno dei
suoi soliti sorrisi.
“Sempai... avrei bisogno di chiederti un favore” disse il biondino rivolto al giovane dai capelli a punta.
Sendo si girò del tutto e appoggiò una spalla al
muro affondando le mani nelle tasche.
“Sentiamo”.
Makoto guardò in direzione di Hisashi
e, vedendo che il ragazzo si era messo dietro ad Akira
a braccia conserte non avendo la minima intenzione di lasciarli soli, si decise
a proseguire.
“Vorrei chiederti
di darmi alcune lezioni...”
Mitsui scoppiò a ridere.
“Andiamo Nanase! D’accordo che Akira è più
bravo di te come ala piccola, ma non credo tu necessiti
addirittura di lezioni!”
Makoto scosse la testa e si mise una mano fra i
capelli scostandoseli all’indietro mentre fissava lo sguardo in quello di Akira.
“Ma io non stavo parlando di lezioni di basket. Io mi
riferivo a lezioni di... sesso!”
“Cosa?” sibilò Sendo.
“Cosa???” esclamò Mitsui.
(“COSA????” urlò l’autrice davanti al pc,
incredula di ciò che aveva appena scritto).
“Ma tu sei sciroccato in testa!!! Da bambino
ti han fatto cadere dal seggiolone e sei rimasto
menomato a vita!!! Ti hanno rapito gli alieni e ti hanno impiantato strani cip
nel cervello che ora ti costringono a dire scemenze!!! Sei rimasto coinvolto in
una missione di spionaggio politico e il KGB ti ha fatto il lavaggio del
cervello!!! I nazisti...”
“Hisashi... smettila di dire stronzate”.
Sendo si raddrizzò e si sgranchì il collo mentre
Mitsui borbottava qualcosa contro la sua poca
sensibilità. Dopo parecchi secondi tornò a fissare Nanase negli occhi.
“La mia risposta è
no”.
“Non ci hai
nemmeno pensato” protestò il ragazzo più giovane.
“Non ne avevo bisogno”.
“Ma nel club sanno tutti che sei stato tu a fare da mentore a
Wakashimaru quando si è messo con Satori!”
‘Maledetti pettegoli!’ pensarono all’unisono Akira e Hisashi.
“Quella è una cosa
diversa, Taz è mio amico, gli ho solo fatto un
favore”.
“Sono disposto
anche a pagarti!” esclamò Makoto con concitazione.
“Chi diavolo ti
credi di essere?” domandò Hisashi
pronto a scagliarsi contro il kohai.
Nuovamente Akira lo bloccò tenendolo fermo per una spalla.
“La mia risposta è sempre no. Cercati qualcun
altro”.
Così dicendo, Sendo uscì dallo spogliatoio trascinandosi dietro il
fidanzato che lanciava improperi vari in direzione di Nanase.
Il giovane,
rimasto solo, sbuffò scocciato.
Aveva perso
un’ottima occasione! Ora doveva trovare il sistema per ottenerne una nuova.
Uscì anche lui con
aria piuttosto corrucciata. Appena si trovò all’esterno dell’edificio
vide passare un ragazzo dalla lunga falcata elegante, dai capelli biondissimi
svolazzanti sulle spalle e dal sorriso malizioso che gli illuminava il volto
mentre procedeva a passo spedito verso gli alloggi dei membri del team di
basket.
Makoto si domandò dove avesse già visto quella
persona. Un lampo di comprensione passò attraverso gli occhi di nebbia e una
leggera incurvatura si disegnò sulle sue labbra.
Ecco un’altra buona occasione!
FINE CAPITOLO IX