NOTE: non credo di averne. A parte che sta fic non finisce più!!! Probabilmente la sto scrivendo per quei 4 gatti che mi fanno ancora il piacere di leggerla. Dedico il capitolo alla mia dolce cognatina-kohai Pam-chan a causa della quale mi sono gettata in questa titanica impresa. Se mi abbandoni anche tu mi butto a mare ç___ç
CAPITOLO VIII
di Yurika
Quel giorno l’aula
del corso di pittura risuonava delle voci entusiaste
degli studenti.
Uno per volta i
ragazzi dovevano mostrare davanti agli altri i propri lavori. Per la gioia
generale, Chigusa, evitando di fare favoritismi,
aveva prorogato a tutti il termine di consegna dei
ritratti, cosa che aveva fatto guadagnare a Iida i
ringraziamenti dei suoi compagni.
Già molte tele
erano state apprezzate, altre ignorate, ma
l’entusiasmo che aveva suscitato il dipinto di Kaneda
era stato davvero considerevole. Codino lo aveva lodato con ammirazione e poi
aveva aggiunto, strizzandogli l’occhio, che del resto da lui non si era
aspettato niente di meno.
Subito dopo fu il
turno di Shiro. Il ragazzo si alzò titubante, sempre
vergognoso di mostrare in pubblico i suoi lavori.
Del resto, in quel
momento gli altri studenti erano ancora troppo presi dal commentare e lodare
l’opera del suo compagno dai capelli viola per spostare la propria attenzione
sul timido Iida.
Arrivato alla
cattedra Shiro posò la tela ancora fasciata dalla
carta di protezione sul pianale. Chigusa era in piedi
di fianco a lui e gli rivolse un sorriso
d’incoraggiamento che fece andare ancora di più nel pallone il giovane che
prese a strappare la carta marroncina con mani
tremanti.
Dopo aver
rischiato di far cadere il quadro almeno un paio di volte, ottenendo ben scarsi
risultati, il professore andò in suo aiuto prendendogli la tela dalle mani e
liberandola lui stesso dalla sua protezione. Shiro
balbettò qualche scusa maledicendo tra sè e sè la sua stupida e oltremodo inopportuna goffaggine.
Infine il dipinto venne alla luce. Chigusa lo
stringeva in mano guardandolo. Dopo pochi secondi i suoi occhi si spalancarono
facendo stringere le pupille in uno sguardo quasi allibito. Si voltò verso Shiro squadrandolo con attenzione.
“Iida...” mormorò.
Al ragazzo sembrò
che quello sguardo gli stesse rovistando dentro ricercando
qualcosa che non si faceva trovare per timore di essere lacerato in mille
brandelli. Non poté fare a meno di assumere un colorito malsanamente
paonazzo e di essere sconvolto da violenti brividi.
Anche gli altri studenti a quel punto notarono
la strana atmosfera che era venuta a crearsi tra quei due e rimanevano
perplessi di fronte alla scena.
Codino si riprese
improvvisamente e dopo aver sorriso al piccolo Iida
rivolse la sua attenzione all’intera classe con aria molto compiaciuta.
“Sembra che oggi
assisteremo alla nascita di un nuovo artista in quest’aula!”
Così dicendo voltò
la tela verso i suoi alunni in un gesto un po’ plateale.
Una serie di esclamazioni tra lo stupore e l’incredulità si profuse
per la stanza.
“Aaahh!! Lo sapevo! Lo sapevo che sarebbe uscito un
capolavoro!” cinguettava Kaneda saltellando sulla
sedia e battendo le mani in contemporanea.
Dal quadro un
ragazzo dall’aria seria (chi lo conosceva poteva riconoscere i lineamenti del
vice-capitano della squadra di basket, Tsukuku Noda) preso a ¾ li
osservava frontalmente. Indossava un completo gessato, i rasta
fermati da un’alta coda e sulla testa spiccava un paio d’occhiali da sole con
le lenti ovali e una spessa montatura anni sessanta. La figura era
verticalmente tagliata a metà formando due parti simmetriche: la parte sinistra
aveva lo sfondo bianco e i contorni neri mentre quella destra aveva lo sfondo
nero con i contorni bianchi. Il volto di sinistra aveva un occhio particolarmente
brillante e la bocca tirata all’insù in un mezzo sorriso accattivante e
simpatico. Il volto di destra aveva un occhio profondo e remoto, intensissimo,
e la bocca era una linea sottile e tesa, come se fosse stata sul punto di
svelare chissà quali arcane profezie.
“Un lavoro davvero
ben svolto Iida! La tecnica è
impeccabile, il tratto è vigoroso e pieno di sentimento. Forse siamo
riusciti a tirare fuori almeno un po’ dell’artista che si cela dentro di te. Tu cosa ne pensi Satori?”
Chigusa si rivolse al suo migliore studente con
aria complice.
“Io dico che era
anche l’ora prof! Se lo lasciate alle
mie cure per un mesetto ve lo trasformerò in un genio
assoluto!” esclamò Kaneda con entusiasmo.
Chigusa si mise a ridere mettendo il quadro di Shiro assieme agli altri lavori che si sarebbe portato poi
via per un giudizio più approfondito.
“Non credo sia una
buona idea Satori! Avere due
studenti del tuo calibro sarebbe decisamente troppo
anche per me!”
“Cosa intendi prof?” fece Kaneda
incrociando le braccia sul petto e squadrando Codino con aria mortalmente
offesa.
“Niente di offensivo Satori! Solo che tu sei meraviglioso e perfetto nella tua unicità.
Credo sia meglio lasciare che Iida prenda
la sua strada”.
“Mmhh... sì, credo anch’io di essere
unico e perfetto” rispose Kaneda annuendo
soddisfatto.
In tutto quel
tempo Shiro era rimasto in piedi sbattendo i grandi
occhi nocciola confuso, non capendo bene cosa stesse
succedendo.
Chigusa si mise nuovamente a ridere e si sedette
sulla scrivania appoggiando una mano sulla spalla dello studente.
“Ben fatto Iida, davvero un ottimo lavoro! Sono fiero che tu sia mio
alunno. Puoi tornare al tuo posto ora”.
Shiro riuscì a malapena ad annuire e si diresse
alla sua sedia con il fiato corto e una strana sensazione di calore che si irradiava proprio dal punto in cui lo aveva toccato il
professore. Rimase in stato catatonico per il resto della lezione non riuscendo
bene a distinguere i ritratti che i suoi compagni continuavano a mostrare,
sovrapponendoli l’uno all’altro creando macchie di colori informe e insensate finchè non giunse la pausa pranzo.
Il ragazzo si
accorse a malapena dell’uscita dall’aula del professore e cominciò a
raccogliere le sue cose con gesti meccanici.
“Il mio artista
preferito!!!!”
Shiro fu travolto da una valanga viola che gli
si appiccicò alla schiena rischiando di soffocarlo stringendogli le braccia
attorno al collo.
“Ora che hai
trovato il tuo stile e diventerai famoso prometti di
non dimenticarti del tuo fan più accanito! Anzi, per non rischiare fammi subito
un autografo! Però lo voglio tatuato sull’interno
coscia....” terminò di dire soffiando nell’orecchio
del povero Iida che rispecchiò all’istante tutte le
tonalità esistenti del rosso.
“S-satori... ma che dici? Io... io non...
fare autografi... e poi... ho solo... dipinto un quadro carino... niente di
più...”
Kaneda si staccò da lui e gli diede un’enorme
scoppola sulla nuca.
“La pianti di
sottovalutarti in questo modo? Non hai visto l’impressione che hai suscitato
nell’intera classe? Il tuo quadro è meraviglioso! Così intrigante e vigoroso!
Lo adoreranno tutti!”
Si avvicinò
maggiormente al suo compagno e sussurrò con un sorrisino malizioso: “Persino
Codino n’è rimasto molto colpito....”
Shiro si mordicchiò il labbro inferiore e si
massaggiò il collo.
“Davvero?”
“Ah ah!” disse il suo amico annuendo con decisione.
“Colpito e
affondato!”
“Beh... s-sono
contento che gli sia piaciuto...”
“Sì sì sì... del tuo idillio con
Codino ne parliamo dopo. Ora siediti qui e raccontami com’è andata col nostro
serafico vice-capitano”.
Il giovane dalla
violacea capigliatura spinse l’altro facendolo sedere sopra la cattedra per poi
accomodarsi sulla sedia del professore.
“Ma... ma... Satori...”
“Su avanti!
Racconta tutto allo zio Kaneda! Noda
si è comportato bene o, approfittando della vostra solitudine, ha provato a
saltarti addosso?” domandò con aria cospiratoria.
“Satori, ma che dici?” urlò Iida
indignato con le gote velate di porpora per via della concitazione con cui si
mise a difendere il suo modello.
“Noda si è comportato da perfetto gentiluomo e poi... perché
mai avrebbe dovuto saltarmi addosso?”
“Già... chissà
perché, vero? Proprio non ti viene in mente nessun motivo?” chiese Kaneda un po’ deluso dalle notizie del compagno. Sperava di
poter ottenere qualche informazione piccante per poter ricattare il suo sempai e invece... niente!
“Non capisco a
cosa vuoi riferirti” esclamò il moretto con grandi occhioni
interrogativi.
“Niente, lascia
perdere”.
Satori appoggiò la testa alla mano per sostenerla
e guardò Iida con aria annoiata. Cavoli, quel ragazzo
era di una purezza e un’ingenuità disarmanti persino per lui!
“Quindi Noda si è dimostrato un
modello ideale!” disse cercando di celare uno sbadiglio.
“Beh... non
proprio. In effetti il sempai
è molto lontano dalle caratteristiche di un modello comune. Intendo per quanto
riguarda il comportamento, sai. Perché come fattezze e lineamenti... ecco,
forse è stato il mio modello migliore" concluse
mentre le mani cincischiavano con il bordo del pullover nero.
Un barlume
d’interesse passò negli occhi di giada di Kaneda.
“In definitiva...
è stata un’esperienza positiva?”
Shiro sbatté le palpebre guardando l’amico come
se si fosse appena svegliato da uno strano sogno ed assunse un’espressione
meditabonda.
“Sì.... direi proprio di sì” disse lentamente.
FLASHBACK
La luce
artificiale illuminava una stanza alquanto spoglia, con scaffali pieni di vernici, colori e vari utensili per la
pittura. Nella parte centrale stavano una serie di cavalletti con degli
sgabelli davanti, posizionati in modo sfasato affinché
da tutte le posizioni si potesse avere la migliore visione di un piccolo
piedistallo di legno che rialzava un divanetto sgangherato.
Solo due figure
testimoniavano la presenza umana in quell’ambiente.
Una era piccola e minuta e sedeva su uno degli alti sgabelli che lo facevano
sembrare un bimbo che vuole sedersi alla tavola assieme ai grandi. Non aveva
alcuna tela davanti a sé, ma era tutto intento a tracciare dei segni a matita
su un blocco di fogli che teneva appoggiato alle ginocchia.
L’altra stava
seduta sul divanetto guardandosi intorno nervosamente. Ogni tanto si dimenava
in cerca di una sistemazione più comoda, cosa non facile a causa di tutte le
molle che continuavano a spuntare da quel reperto da discarica e che gli si
conficcavano nella schiena.
“Mi spiace poter
venire alle sedute solo a quest’ora tarda. Dev’essere difficile per te disegnare bene senza la luce
del giorno” disse la figura sul divano tirandosi bene all’indietro e poggiando
le braccia sulla spalliera.
“Non preoccuparti,
per me va bene anche così. Solo... potresti rimetterti com’eri
prima? Non riesco a ritrarti se continui a spostarti” rispose
l’altra figura senza sollevare la matita dal foglio.
“Oh sì, scusa! Me
lo ripeti tutte le volte e io continuo a dimenticarmene”.
Il ragazzo che era
stato appena ripreso abbassò una mano e si portò l’altra alla testa dove
scomparve in una foresta di rasta nerissimi.
Il ritrattista si
limitò a fare un debole sorrisino timido aspettando che l’altro tornasse alla
posizione originaria per poter riprendere il suo lavoro.
Di nuovo il
silenzio cadde nella sala. Si sentiva solo il rumore della matita che
percorreva con rapidi tratti la carta ruvida.
“Tu non lavori mai
con la musica in sottofondo? So che alcuni lo fanno” tornò
a parlare il ragazzo del divano sentendosi imbarazzato da quella quasi totale
assenza di suoni.
“No, non lo faccio
mai. Ho paura che la musica mi distrarrebbe”.
“Ah, capisco...”
Altri minuti di
silenzio, stridio della matita.
“Perché sai, quando Satori ha fatto
il ritratto di Sendoh metteva sempre della musica
metal” esclamò ad un tratto l’impaziente modello come a voler continuare il
discorso precedente e, senza accorgersene, mise una gamba sotto il sedere
sporgendosi in avanti verso il suo interlocutore.
“Me l’ha raccontato
Sendoh dicendo che non capiva come quella testa matta
riuscisse a concentrarsi con tutto quel fracasso, ma, a
quanto pare, rimaneva intento a ciò che stava facendo senza dar segni di
distrazione. È proprio uno strano tipo quello!” finì
scoppiando in una forte risata.
‘La sua risata... rispecchia la sua essenza’ si sorprese a pensare il giovane artista. Si
soffermò su quel pensiero mentre l’altro continuava a parlare a ruota libera
gesticolando forsennatamente su come, per quanto folle,
Satori fosse assolutamente indispensabile alla
squadra di basket. Continuò a pensarci mentre osservava i lineamenti forti, già
da uomo, di quel volto, ingentilito dall’espressione dolce degli
occhi castano chiari. Ci pensò anche seguendo il gonfiarsi dei muscoli
sotto la morbida camicia di flanella color panna. Il suo corpo era muscoloso e
ben modellato, solido senza essere pesante, ma flessuoso e scattante come si
addiceva ad un buon giocatore di pallacanestro.
“Tutto sommato è un buon diavolo. E
poi, sai che noia sarebbe la squadra senza Crazy Satori in campo?” proseguì l’oggetto di tanta attenzione
scoppiando a ridere.
Questo fece
riprendere il disegnatore che abbozzò una risatina più imbarazzata che
divertita, anche se nemmeno lui avrebbe potuto spiegarne il perché.
“Forse è meglio fare qualche minuto di pausa, va bene?”
“Come?” domandò il
ragazzo con i rasta stupito,
accorgendosi solo in quel momento di aver disturbato per l’ennesima volta la
seduta di pittura del compagno.
“Oh Iida... mi dispiace da morire! Ti prego, continua. Ti
prometto che adesso farò il bravo e non mi muoverò più!”
Il
giovane sorrise
sinceramente.
“No, va bene così.
Farà bene anche a me riposare un pochino”.
“Cavoli, sono una
vera bestia! Non riesco nemmeno ad aiutarti decentemente quando sono stato
proprio io ad offrirmi come modello! Se non ti avessi
rovinato l’altro dipinto...”
“Per favore Noda sempai, non ti rammaricare
così! Tu mi stai aiutando moltissimo, davvero! E poi
quello è stato un incidente e anch’io avrei dovuto fare più attenzione e
guardare dove stavo andando. Ti prego, non fartene una colpa!”
Iida aveva parlato senza riflettere, ma appena
aveva notato quell’espressione così afflitta sul viso
di Noda la voce gli era uscita da sola dalla gola ed
era saltato in piedi stringendosi il blocco di fogli al petto, come se quello
fosse il suo ultimo appiglio prima di cadere in un
baratro.
Il ragazzo più
grande lo osservò un attimo stupito per l’intensità con cui il suo kohai lo stava difendendo. A quanto pareva, quel ragazzino
teneva celata dentro di sé una forza di cui non avrebbe mai sospettato.
Alla fine gli sorrise di cuore.
“Perché non vieni a sederti qui vicino? Mi sento strano a
parlarti se rimani laggiù”.
Iida sussultò involontariamente ed annuì
mordendosi un labbro. Si avvicinò lentamente al palchetto e, dopo aver esitato
appena un momento guardando il posto vuoto che Noda
gli stava indicando accanto a lui, si sedette sul gradino ai piedi del
divanetto tenendo il blocco sulle ginocchia.
Per un attimo Noda mostrò un’espressione delusa, ma sorrise di nuovo.
“Mi spiace davvero
di rallentare così tanto il tuo lavoro. Il fatto è... che non sono abituato ad
essere osservato tanto a lungo...” ridacchiò
nervosamente massaggiandosi la nuca con la mano.
“In effetti... per uno che non ci è abituato dev’essere terribilmente imbarazzante” disse Iida arrossendo e abbassando gli occhi nocciola.
“Ma non è per te, davvero!” si affrettò ad aggiungere Noda “Mi succederebbe con chiunque! Non è che io sia tutto
questo gran che, per cui non mi aspettavo di sicuro
che un giorno avrei fatto da modello a qualcuno”.
“No, ma che dici?”
eclamò stupito Iida.
“Io credo che tu
sia davvero bello!” aggiunse concitato.
Noda spalancò gli occhi, si strofinò la punta
del naso, divenne di un color pomodoro maturo molto acceso e terminò
tormentandosi un rasta rigirandoselo tra le dita.
“G-grazie...” riuscì a sussurrare.
Iida nel frattempo si era completamente
irrigidito. I tratti del suo viso facevano invidia a quelli di una statua
marmorea e anche il colore era press’a poco lo
stesso. Dentro di sé sperava solo che si aprisse una voragine sotto i suoi
piedi che lo inghiottisse o che almeno potesse svenire
per togliersi da quella situazione.
Noda si accorse del pericoloso stato di
catatonia in cui era caduto l’amico e si affrettò a distrarlo per farlo tornare
normale.
“Ma sai... del resto se persino Wakashimaru
fa da modello per Satori, non è così strano che lo
possa fare anch’io, no? Certo che voi artisti avete
proprio dei gusti particolari AHAHAHAH!” terminò con la risata più falsa che
avesse mai utilizzato in vita sua.
Iida aveva gli occhi spenti che fissavano nel
vuoto. Ad un tratto, il labbro inferiore cominciò a vibrargli pericolosamente e
un piccolo singulto gli scosse le spalle.
Noda, completamente in preda al panico, si agitò
tantissimo e iniziò a parlare a macchinetta gesticolando come un pazzo.
“N-non sono una coppia assurda quei due? Ne combinano sempre
di tutti i colori! E pensare che all’inizio non
potevano stare nella stessa stanza per più di cinque minuti senza che il
palazzo non rischiasse di crollare, fondamenta comprese! Non
che anche adesso non colgano la minima occasione per battibeccare,
ma sospetto che lo facciano soprattutto per il gusto di far pace dopo. E
sai quante ne ha combinate Satori
al povero Taz? Pensa che una volta...”
E così Noda si
lanciò in un racconto dettagliato di tutte le cose strambe che la coppia più
discussa del Campus aveva fatto. All’inizio Iida non
reagì, ma quanto meno non si era messo a piangere. Con grande
soddisfazione del ragazzo più grande, l’aneddoto sull’affresco della Morte
Cicca sopra il letto di Taz strappò un sorriso al giovane. Quando poi si arrivò
all’episodio delle mutande colorate di rosa Iida e Noda stavano ridendo insieme della
grossa.
“Dovete divertirvi
molto tutti insieme voi del club di basket!” disse il
moretto cercando di regolarizzare il respiro.
“Oh sì, davvero
tanto! Ma non è sempre tutto rose e fiori. Lavoriamo
anche parecchio sodo! Gli allenamenti sono duri e il coach
Kanaya è parecchio esigente, specialmente con quelli
più promettenti”.
“Scommetto che tu
sei uno di quelli” esclamò Shiro entusiasta
sorridendo apertamente, gli occhi illuminati dal recente riso.
“Non proprio”
ammiccò Noda.
“Ad essere
sincero, come seconda guardia è meglio Mitsui, però
l’allenatore mi tiene in grande considerazione per
quanto riguarda i miei espedienti tecnici”.
“Es...pedienti tecnici?” domandò Iida sbattendo confuso gli occhioni.
“Sì. Devi sapere
che la maggior parte degli schemi che adottiamo in partita li creiamo il coach ed io”.
“Davvero? Ma è fantastico!”
Il moretto
sembrava davvero molto entusiasta per questa rivelazione.
“Ma, scusa... e il capitano?”
“Beh, sai...” disse Noda grattandosi la testa a
disagio “Asada è un buon capitano che sa mantenere le
redini della squadra in campo, ma come stratega fa abbastanza schifo” terminò
ridacchiando.
“Oh...” mormorò lo studente d’arte interdetto.
“Per fare una
buona strategia di gioco ci vuole...”
Noda cominciò a spiegare a
Iida tutte le regole e le tecniche del basket. Il
povero ragazzo, ovviamente, non ne capiva quasi niente, ma gli piaceva rimanere
a guardare la passione che traspariva da tutto l’essere del suo compagno. Era
qualcosa di... trascendentale!
Rimase per un po’
sorridente cercando di seguire il filo del discorso finché non si accorse di
qualcosa che lo fece trasalire.
L’espressione del
volto di Noda era totalmente trasformata! L’aria di
solito così serafica e bonacciona che rendeva quei tratti un pochino ordinari,
aveva lasciato il posto ad un cipiglio serio e concentrato che Iida non gli aveva mai visto. Gli occhi si erano fatti
profondi e intensi, penetravano nel profondo di una persona andando a toccare
le corde più profonde del suo animo. La morbida bocca, quasi
sempre ingentilita dalla curva di un sorriso, era stretta e tagliente e
in qualche modo incalamitava lo sguardo altrui per
via di una nota di leggera ironia che ogni tanto la increspava.
Le mani di Shiro cominciarono a tremare. Possibile che quello fosse lo
stesso ragazzo che fino a poco prima gli sorrideva gentile? Chi era quell’intrigante creatura ammantata di sicurezza e
decisione?
Con fatica
distolse gli occhi da lui e li portò sul suo blocco ancora aperto alla pagina
sulla quale stava lavorando. Un abbozzo del solito Noda
lo stava guardando gentilmente. Sollevò di nuovo lo sguardo. Il nuovo Noda puntò le pupille nere dritte nelle sue, facendogli
provare la sensazione di essere finito sott’acqua e di non poter più respirare.
‘Voglio disegnarlo.... devo disegnarlo!’
Per la prima volta
in vita sua Shiro sentì la necessità di dipingere.
Era come un bisogno fisico, come mangiare, come respirare, qualcosa di cui non
poter fare a meno a costo della vita stessa. Quel giorno segnò il vero inizio
della carriera artistica di Shiro Iida.
Come
se fosse spinto da una forza più potente di lui, riprese in mano la matita e
cominciò a tracciare nuovi tratti su un foglio bianco. Il suo lavoro era rapido, come se temesse
che da un momento all’altro l’ispirazione che lo aveva colmato potesse svanire
come una bolla di sapone, ed era preciso al dettaglio, come se quella fosse
l’unica occasione che gli era stata concessa per beneficiare di un qualcosa di
molto simile ad un miracolo.
Difatti,
dopo un periodo non quantificabile per l’umana concezione del tempo (pochi
secondi?o interminabili anni?), Noda si riscosse
rendendosi conto che da un po’ non sentiva più la voce del suo interlocutore. Si guardò un po’ intorno e vide Iida, seduto dov’era prima, tutto intento al suo lavoro.
“Iida, sono proprio un deficiente!!!
Tu devi lavorare e io non faccio che perdere tempo parlandoti di altre cose e
distraendoti! Mi puoi perdonare?”
Subito sembrò che Shiro non avesse neppure sentito ciò che il compagno gli
stava dicendo. Continuò a disegnare per alcuni secondi con Noda
che lo guardava con apprensione. All’improvviso tirò su la testa di scatto e
fissò il ragazzo negli occhi. Lo sguardo nocciola di Iida
era acceso da insoliti bagliori dorati che colpirono Tsukuku
in profondità.
“Assolutamente
no!” esclamò con decisione.
“C-come? Non mi perdoni?” domandò Noda confuso.
“No! Cioè, non intendevo dire questo! Io... volevo dire che...
non ti devi scusare e che non mi stai facendo perdere
tempo” balbettò il giovane arrossendo vistosamente.
“Ah, meno male!”
sospirò il ragazzo coi rasta,
decisamente sollevato.
“Anzi... ti devo
ringraziare” aggiunse Shiro con un filo di voce.
“Come... e per
cosa?” domandò Tsukuku sorpreso.
Il ragazzo abbassò
il capo e sorrise timidamente spostandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
“Per la prima
volta da quando sono entrato all’Accademia... sento di stare creando qualcosa
di... mio! Non so come spiegartelo meglio. È che le altre volte mi pareva solo
di imitare la brutta copia di un quadro che mi era stato imposto... mentre
ora... ora sto creando il MIO quadro! Oh, com’è difficile
spiegarsi!”
Shiro sembrava scoraggiato dalla sua mancanza di
comunicatività e si prese la testa fra le mani. Tsukuku
si precipitò liberandolo dalla sua stretta e lo guardò sorridendo.
“Ma no, ho capito! Sono felice di poterti essere in qualche
modo d’aiuto”.
Il pittore
sorrise, tingendosi delicatamente di rosso.
“Vuoi vedere gli
schizzi?” domandò esaltato.
“Ma certo che li voglio vedere!”
Così dicendo, Noda si sedette di fianco a lui sporgendosi sulla sua
spalla per vedere meglio.
“Ecco vedi? Questo
è quello che ho fatto prima... mentre questo è quello che stavo facendo ora.
Non è incredibile? Sembrano due persone completamente diverse, invece sei
sempre tu! Pensavo a qualche espediente per giocare su questa
idea del doppio. Non so, uno specchio o qualcosa che utilizzi una
simmetria... tu cosa ne pensi?”
Shiro si voltò verso Tsukuku
che si limitò a rivolgergli il più disarmante dei suoi sorrisi. La verità era
che non aveva visto proprio un bel niente! Si era incantato a fissare
l’entusiasmo che trasfigurava gli occhi solitamente pacifici del compagno,
accendendoli di passione liquida.
“Sei davvero molto
bravo Mitchel” gli disse poi notando che l’altro si
aspettava un qualche commento e così dicendo gli scompigliò i capelli con una
mano come si potrebbe fare con un cane.
“Che significa?”
Shiro lo stava di nuovo guardando con quella sua
espressione da cucciolo bisognoso di coccole.
“Cosa significa... cosa?”
“Quel... Mitchel. Non è la prima volta che
mi chiami così”.
“Ah, è vero... beh... Mitchel è...
era... il mio migliore amico” disse Noda con un
sorriso malinconico e lo sguardo distante.
”Era? Vuoi dire
che è...”
“Sì, purtroppo è
mancato molto tempo fa”.
“Oh! Mi dispiace,
mi dispiace davvero tantissimo!!!”
Gli occhi di Shiro si erano riempiti di lacrime e osservavano Tsukuku con grande compassione.
“Grazie Iida. So che la tua sensibilità ti detta queste parole, ma
non devi addolorarti così” disse il ragazzo più grande sfiorandogli una guancia
“ora Mitchel è in un posto migliore, circondato da
tanti amici. Un posto dove può correre felice in mezzo ai
prati, rubare i giornali senza che nessuno lo sgridi, mordicchiare gli angoli
dei tappeti e sventrare i cuscini”.
“S-sventrare i cuscini?” chiese Iida
sbattendo gli occhioni confusi.
“Già, era uno dei
suoi passatempi preferiti! Mi ricordo che mia madre diventava matta ogni volta
che lo faceva!!! E quanto era felice quando poteva
giocare con la vecchia ciabatta che gli abbiamo regalato quando era cucciolo!”
proseguì Noda con aria sognante.
“Cucciolo? Ma Noda... vuoi dire...”
“Sì, cucciolo!
Anche se, per un esemplare di collie qual’era,
questa definizione è alquanto riduttiva”.
“Collie? Ma... era un cane!”
“Sì certo!”
esclamò Noda come se fosse la cosa più ovvia del
mondo “Cosa credevi che fosse?”
“Mi stai chiamando
con il nome di un cane?”
“Ma non di un cane qualsiasi! Mitchel
era davvero il mio migliore amico, passavo con lui tutto il mio tempo e lo
adoravo quanto lui adorava me. E poi tu me lo ricordi
tantissimo con questi occhi dolci dolci”.
Il vice-capitano
prese tra le dita le guance del piccolo artista e si avvicinò a lui come a
volergli dare un bacino sulla punta del naso, ma quando era quasi giunto alla
sua meta si bloccò osservando le reazioni del suo compagno. Iida
non si muoveva e si limitava a guardarlo con aria interdetta come se stesse
cercando di capire se stesse o meno prendendolo in
giro.
Noda sorrise e lo lasciò andare.
“Era davvero molto
importante lui per me”.
Detto ciò, tornò
al suo posto sul divanetto.
FINE FLASHBACK
“Iiiiiiiidaaaaaaa... ti vuoi svegliare???”
Il ragazzo
interpellato sussultò e si girò verso la voce che lo stava apostrofando.
“Oh, scusami Satori. Stavo solo pensando ad una cosa”
disse sorridendo timidamente.
“Questo l’avevo capito. Comunque dobbiamo
uscire da qui, io sto morendo di fame e fra tre quarti d’ora inizia la prossima
lezione!”
“Sì, hai ragione,
scusa”.
I due presero le
loro cose ed uscirono dall’aula. Proprio mentre stavano imboccando il corridoio
vennero raggiunti da uno studente dell’ultimo anno.
“Ehi, voi due,
aspettate un attimo. Siete Satori e Iida, vero?”
I due amici
annuirono.
“Sì, siamo noi, ma
se hai bisogno di ripetizioni di buon gusto oggi non è giornata, sono
affamato!” esclamò Kaneda squadrando il suo sempai con ben poca condiscendenza.
“Buon gusto? Ma
come ti permetti, ti sembra che ne abbia bisogno?”
Era evidente che
il ragazzo si stesse scaldando e Shiro passava lo sguardo dall’uno all’altro dei contendenti con
apprensione.
“Direi proprio di
sì visto che abbini un cappello da cow-boy a scarpe di
Prada e ad una giacca alla coreana” sancì Kaneda con aria schifata.
“Ah! Ma cosa vuoi saperne tu! E comunque
devo solo riferirvi che il prof Chigusa vi vuole
subito nel suo studio, il resto sono cavoli vostri”.
Se ne andò borbottando improperi contro ‘presuntuosi dai
capelli viola che si credevano i Gianni Versace del futuro’.
Kaneda entrò come un tornado nell’ufficio del
professore.
“Ehi Codino, come
ti permetti di mandarci a chiamare da un cafone che
non sa nemmeno la differenza tra un capo firmato e un capo da bancarella del
mercato delle pulci???”
Dopo
di che si sedette sulla scrivania di Chigusa senza
badare ai libri e ai fogli che vi erano sparsi sopra. Shiro intanto
si affrettava a chiudere la porta prima che qualcuno potesse notare il suo
comportamento decisamente irriverente.
“Scusami Kaneda, la prossima volta sceglierò con più cura l’umile
mortale che avrà l’onore di rivolgerti la parola”.
“Sarà meglio per
te” mormorò il ragazzo la cui concentrazione era stata catturata da un
soprammobile che seguiva le regole del moto perpetuo.
“Comunque non potevo andare molto per il sottile, dovevo
farvi chiamare il più in fretta possibile. Vi comunico che ho preso una
decisione molto importante nei vostri riguardi”.
Chigusa si sistemò meglio sulla sua poltrona e
fissò con aria seria i due ragazzi. Shiro si era
timidamente avvicinato e stava in un angolo della stanza cercando di rendersi
più invisibile che poteva.
“Iida vieni più vicino. Questo discorso riguarda anche te”.
Shiro si guardò un po’ intorno, ma le uniche
sedie che vedeva erano completamente ricoperte da riviste,
quadri o libri.
“Rinunciaci Iida o non finiamo più e io ho fame! L’unico posto in cui
ti puoi sedere in questa stanza è la scrivania” disse Kaneda incrociando le gambe sotto di sé stropicciando
ulteriormente gli appunti sopra i quali si era seduto.
Chigusa fece un cenno incoraggiante al suo
studente che alla fine risolse di sedersi sull’unico angolino
libero di scrivania che aveva trovato.
“Dunque ragazzi...
sapete cos’è il P.N.A.E.?”
“Mmhh... quella cosa occidentale che si affetta e si
farcisce?”
“Quello è il PANE,
imbecille!” urlò Chigusa irritato colpendo Kaneda in testa.
“Ma prof... io ho
fame!!!” piagnucolò di rimando il ragazzo colpito.
“Se eviti i tuoi interventi cretini finiamo prima e potrai
andare a mangiare” disse Chigusa per nulla
impietosito.
“Dunque... stavamo dicendo?”
“Il P.N.A.E.... il
Premio Nazionale Artisti Emergenti...” mormorò Shiro.
“Molto bene Iida, almeno su di te posso fare affidamento”.
Chigusa gli rivolse un sorriso
riconoscente e Shiro si sentì andare a fuoco
per l’emozione.
“Cosa c’entriamo noi con questo concorso prof?”
“Molto semplice Kaneda. I vostri due ritratti parteciperanno nella sezione
‘Miglior pittore emergente’ del P.N.A.E.
di quest’anno”.
“LO
SAPEVOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO”.
Il ruggito investì
il Campus squassando le fronde spoglie degli alberi e mandando a gambe all’aria
i poveri malcapitati che si trovavano nei pressi dell’edificio dell’Accademia.
Satori era in piedi sulla scrivania che
saltellava e Chigusa cercava disperatamente di
salvare le sue cose dalla furia entusiastica del suo studente.
Iida rimase fermo immobile con lo sguardo perso
nel vuoto. Il suo unico pensiero era: ‘Questo è un
sogno!’
FINE CAPITOLO VIII