Disclaimers: Sendoh e Mitsui proprio non vogliono sapere di appartenermi, peccato, sono gli unici personaggi un po' normali in questo marasma ç__ç
Dedica: a tutta la mia famiglia virtuale che è grande ed estesa, ma cui voglio un bene dell'anima. Grazie di esistere family!
Buona lettura!


Il Campus

parte IV

di Yurika


"Ti dico che il suo comportamento non era per niente normale!"
Hisashi era rosso in volto per la concitazione con cui cercava di esprimere le sue idee. Muoveva freneticamente le braccia gesticolando nervosamente e aveva inconsciamente alzato la voce.
Akira lo guardò con aria di riprovazione.
"Guarda che ti sento benissimo, non c'è bisogno di urlare. Per fortuna, nonostante gli strepiti tuoi e di Taz, non sono ancora diventato sordo".
Era mattina e i due giovani innamorati stavano finendo di vestirsi prima di cominciare la loro giornata.
Il ragazzo più grande si imbronciò incrociando le braccia sul petto.
"Scusa..." mormorò a bassa voce.
Akira sospirò e si sedette su uno dei due letti facendo cenno a Hisashi di mettersi al suo fianco. Quando l'ebbe vicino gli accarezzò una guancia sorridendo.
"Allora, sentiamo. Cos'ha fatto di tanto strano questa volta il nostro Nanase?"
Mitsui si accomodò meglio, pronto a dare il via al proprio resoconto.
"Tanto per cominciare è un ragazzo strano. Sembra sempre non accorgersi delle persone che ha intorno. Va in giro con l'aria vuota e imbambolata e l'unico cui dà retta è Nanny".
"Non per questo deve essere un potenziale assassino! Forse è solo molto timido e l'unico con cui è riuscito a legare finora è Nanny".
Hisashi scosse la testa deciso.
"No, ti dico che c'è di più! Ieri dopo pranzo, quando sono tornato in sala mensa per riprendermi il maglione che mi ero scordato, l'ho trovato in strani atteggiamenti".
Sendoh s'incuriosì alle parole del suo koibito e lo guardò con aria interrogativa.
"Cosa intendi per 'strani atteggiamenti'?"
"L'ho visto portarsi io tovagliolo di Nanny alla bocca e premerselo sulle labbra con espressione estasiata!"
"Chi? L'inespressivo Nanase-faccia-di-marmo?"
"Esatto! I suoi occhi erano accesi da una strane luce, non saprei definirla bene..."
Akira guardò il suo interlocutore con aria sospetta.
"Non è che stai facendo correre un po' troppo la fantasia? Come facevi a vedere questa 'luce' negli occhi di Nanase se stavi a spiarlo da dietro una porta socchiusa?"
Hisashi sembrò offendersi per questa affermazione.
"Cos'è, non mi credi?"
"Ma no, non è che non ti creda... solo che magari hai esagerato un pochino nella tua descrizione..."
"Mi stai dando del visionario?"
"Tesoro, non ho mai detto questo! Mi fido della tua capacità di giudizio, solo che mi sembra che tu stia prendendo questa storia un po' troppo sul serio".
"Ma perché è seria!"
Hisashi si rianimò nuovamente ricominciando a gesticolare.
"Tra l'altro, il mio racconto non finisce qui. Subito dopo aver rimesso il tovagliolo al suo posto, Nanase ha preso uno degli stecchi per gli spiedini dal piatto di Nanny e se lo è messo in tasca. Vedi anche tu che non è normale!!!!"
"In questo non ci vedo proprio niente di strano. Magari quello stecchino gli serviva per qualcosa, no?"
Mitsui scosse la testa.
"E a cosa poteva servirgli? Comunque, anche nel caso ne avesse avuto bisogno, perché non ha preso uno dei suoi? A chiunque schiferebbe l'idea di dover usare lo stecchino di un altro".
"Magari lui è molto meno schizzinoso di te. Probabilmente si era scordato di prenderlo dal suo piatto e, visto che si trovava vicino a quello di Nanny, ne ha preso uno dei suoi".
"Questa ipotesi non regge e comunque si torna sempre al punto di partenza: che ci faceva Makoto Nanase nel posto di Notoori sempai con il suo tovagliolo premuto sulle labbra?"
Sendoh sollevò gli occhi al cielo, ormai completamente esasperato.
"E cosa vuoi che ne sappia io? Forse si stava pulendo la bocca" avanti Hisashi, lascia perdere! Non c'è proprio nessun mistero da scoprire in questa faccenda!"
"Ma tu non stai considerando tutte le prove!"
"Adesso di quali diavolo di prove stai parlando? Hisa-chan a volte sai essere davvero esasperante. Mi sai dire perché ce l'hai tanto con il povero Nanase?"
Mitsui lanciò un'occhiata assassina al suo ragazzo.
"Non ce l'ho affatto con lui è solo che sono certo che stia tramando qualcosa. Non hai mai notato che ogni volta che Notoori dice qualcosa del tipo: 'avrei proprio voglia di un bel bicchiere di tea' spunta fuori Nanase che, inspiegabilmente, aveva appena avuto l'idea di portare del tea al suo sempai!"
Sendoh guardò il suo compagno con commiserazione.
"Ok, mi hai appena dimostrato che Nanase è un ragazzo gentile. E allora?"
"Ma no, dannazione! Non è solo questione di gentilezza" cominciò a sbraitare Mitsui "altrimenti come spiegheresti ciò che ha fatto una settimana fa?"
Akira si massaggiò il collo con aria decisamente spazientita. Adesso si era veramente stufato di quel giochetto! L'ossessione del suo fidanzato per i complotti stava sfociando addirittura nel maniacale!
"Ti riferisci alla storia del libro che serviva a Nanny per il suo esame?"
"Esattamente!" esclamò Hisashi con aria trionfante. Akira sospirò rassegnato.
"Continuo a non capire dove stia il problema".
"Il problema, mio caro, è che a Notoori serviva il libro di uno studioso americano praticamente introvabile e invece Nanase nel giro di una settimana è riuscito a procurarglielo facendolo venire direttamente dagli Stati Uniti!"
"Considerando il fatto che lo zio di Nanase vive a Washington non mi sembra che abbia poi fatto questo granché!"
"Ma perché avrebbe dovuto scomodarsi tanto per lui senza ottenere nulla in cambio?"
Akira si premette il pollice e l'indice sugli occhi imponendosi di calmarsi prima di scoppiare del tutto.
"Magari si sentiva in debito verso il sempai perché è l'unico che abbia fatto amicizia con lui o magari l'ha fatto semplicemente perché è una persona altruista che non necessariamente agisce in base ad un proprio tornaconto. Hisashi i motivi possono essere molteplici, ma nessuno di quelli che mi vengono in mente hanno a che fare con un attentato all'incolumità di Nanny!"
Mitsui si sentiva in difficoltà. Era evidente che Akira non sarebbe riuscito a capirlo. Incrociò nuovamente le braccia al petto e guardò il pavimento con aria corrucciata.
"Questo perché non hai una mente ricettiva al pericolo".
"Ah! Questa poi è bella! Adesso finiamola con certi discorsi, è tardi e dobbiamo ancora fare colazione. Forza, datti una mossa!"
In men che non si dica i due terminarono di prepararsi e uscirono dalla stanza. Hisashi non aveva smesso un solo attimo di brontolare sul suo 'genio investigativo incompreso' e Akira si domandava, dentro di sé, se per caso non avessero sostituito il suo Mitsui con quel megalomane di Sakuragi senza che se ne accorgesse.
In corridoio trovarono Notoori gattoni sul pavimento intento a guardare in ogni angolo nascosto.
I due ragazzi si avvicinarono guardandolo perplessi.
"Hai bisogno d'aiuto sempai?"
Il compagno più grande sembrò riscuotersi improvvisamente. Si voltò verso di loro e si tirò in piedi arrossendo e togliendosi con le mani la polvere dai pantaloni.
"Uh, ragazzi! Scusate, non vi avevo sentito arrivare. Stavo cercando un braccialetto che ho perso, ma evidentemente non si trova qui".
"Se magari ce lo descrivi potremmo anche aiutarti a cercarlo" si fece avanti Hisashi.
"Grazie mille Mitsui, magari voi lo avete visto da qualche parte. È una catenina d'oro a maglia semplice con una piccola targhetta con un'iscrizione sopra".
"Mi dispiace sempai, non mi sembra proprio di aver visto nulla di simile in giro" disse la seconda guardia scuotendo la testa. Anche Akira non poté essere di alcun aiuto.
"Mi spiace molto, Nanny. Spero solo che non fosse un oggetto troppo prezioso".
"Ti ringrazio lo stesso Sendoh. Non è un gioiello di gran valore in sé, ma è un regalo che mi ha fatto mia madre per il diploma delle superiori. Più che altro era prezioso per il suo valore affettivo".
"Sei sicuro di non averlo lasciato negli spogliatoi? Magari te lo sei tolto per fare la doccia..."
Hideki scosse risoluto la testa.
"No, non me ne separavo mai proprio per evitare di scordarmelo da qualche parte. Comunque più tardi ci darò un'occhiata. Grazie per il vostro aiuto ragazzi".
Hisashi diede un'energica pacca sulla spalla del suo compagno più grande e gli sorrise.
"Non preoccuparti, lo ritroverai! Intanto noi teniamo gli occhi aperti, caso mai lo vedessimo in giro".
Nanny rispose al sorriso annuendo.
"Siete davvero molto gentili. È inutile continuare a stare qui, il mio braccialetto non salterà fuori da solo di certo. Si è anche fatto tardi, che ne dite di andare a fare colazione?".
I due ragazzi annuirono e seguirono Hideki giù per le scale. Hisashi fece in modo di distanziarlo di alcuni passi e afferrò Akira per un braccio in modo da potergli parlare senza essere sentiti.
"E ora? Cosa mi dici di questo?" gli chiese con occhi febbricitanti, illuminati da una luce di trionfo.
"Di cosa parli?"
Sendoh era sinceramente allibito. Cosa stava per inventarsi quel pazzoide che si era scelto come compagno di vita?
"E' ovvio che c'entra Nanase nella sparizione del braccialetto di Nanny!"
Akira rimase per alcuni istante immobile fissando Hisashi senza dire una parola.
"Ovvio per chi, scusa?" chiese alla fine.
"Ma per chiunque!" rispose Mitsui contrariato. Perché la bella ala piccola dai capelli a punta proprio non si rendeva conto delle cose più immediate?
"Tu sei malato!" disse quello per tutta risposta mentre sorrideva e scuoteva la testa divertito. In fondo non gli dispiaceva poi tanto vedere il suo ex-teppista tanto calato nel nuovo ruolo di investigatore privato. Anzi, poteva essere molto eccitante. Il suo sorriso si allargò al pensiero di come avrebbe potuto usare la nuova passione del suo focoso amante anche sotto le lenzuola. Avrebbe cominciato quella notte stessa.
"Cosa sarebbe quella faccia da maniaco?"
Hisashi lo guardava con espressione dubbiosa.
"Oh no, niente... non preoccuparti" rispose lui evasivo.
Nel frattempo erano giunti nella sala da pranzo dove si erano già riuniti i loro compagni di squadra (ora non ditemi che questi stanno sempre a mangiare... è solo che i momenti dei pasti sono quelli in cui è più facile trovarli tutti assieme -___- NDYu).
Makoto, come al solito, aveva già occupato il posto accanto a quello in cui si sedeva di solito Nanny. Hisashi lanciò un'occhiata eloquente ad Akira che gli rispose con il suo solito sorriso disarmante.
Appena tutti si furono seduti, il capitano Asada si rivolse a Nanny.
"Hideki, fra pochi giorni è il tuo compleanno, se non sbaglio".
"Hai ragione Toshio".
Nanny sorrise e Makoto si voltò a guardarlo con gli occhi grigi, freddi come l'acciaio.
"Visto che questo è il tuo ultimo anno di permanenza qui all'Università S e che sei sempre così gentile con tutti noi, i ragazzi ed io stavamo pensando di farti un regalo. Cos'è che ti farebbe più piacere ricevere?"
Notoori si mise a ridere per nascondere l'imbarazzo e il piacere che gli aveva dato venire a conoscenza dell'intenzione dei suoi amici.
"Detto così sembra quasi che possa chiederti qualunque cosa e mi verrebbe voglia di risponderti una moto".
I ragazzi riuniti attorno al tavolo smisero immediatamente di mangiare e si girarono verso il loro responsabile alloggio guardandolo con occhi sgranati. Com'era possibile che il dolce e tranquillo Nanny potesse desiderare qualcosa di poco consono al suo carattere come una moto?
Notoori si mise di nuovo a ridere per via delle espressioni allibite che lo attorniavano.
"In effetti, questo era il mio più grande desiderio quando andavo al liceo, ma i miei genitori non mi hanno mai permesso di prenderne una. In effetti, anche se la ricevessi adesso non saprei neppure da che parte cominciare per imparare ad usarla, quindi credo che anche stavolta mi dovrò accontentare di qualcos'altro. Ora che ci penso, le mie scarpe da basket sono praticamente da buttare via. Mi fareste un regalo molto gradito se me ne faceste avere un altro paio".
Asada sorrise condiscendente.
"Vada per le scarpe da basket! Mi occuperò personalmente della scelta in modo da trovarne un paio degno di te e della nostra gloriosa squadra, naturalmente".
I giovani cestisti finsero di ignorare le pretese campanilistiche del loro capitano e tornarono a concentrarsi sul loro pasto.
Mitsui era rimasto per tutto il tempo della conversazione con gli occhi puntati su Nanase per osservarne ogni minima reazione. La matricola non aveva mai distolto lo sguardo dal profilo delicato del suo sempai. Il suo volto, all'apparenza privo di ogni espressione, tradiva, se lo si osservava attentamente, una certa tensione che poteva spiegarsi solo con un profondo interesse verso l'argomento trattato.
Hisashi ancora non aveva stabilito quale potesse essere la natura dell'attaccamento di Makoto verso Nanny, ma era certo che ci fosse qualcosa di sospetto sotto. Glielo diceva l'istinto e il suo istinto difficilmente si sbagliava. Più di una volta lo aveva salvato durante il suo periodo burrascoso vissuto attraverso risse e scontri con le bande di strada. Ormai per lui era diventato un fedele amico su cui poteva sempre contare. Per questo si risolse a dargli retta anche questa volta. Nanase non gliela contava giusta e, per quanto gli riguardava, lui avrebbe fatto qualunque cosa per scoprire cosa celava il misterioso ragazzo.
Mentre Mitsui era completamente assorto nei suoi pensieri, Sasa si era alzato dal tavolo e, senza salutare nessuno, era uscito dalla loro abitazione dirigendosi con passo frettoloso verso l'edificio che ospitava l'aula in cui avrebbe dovuto fare lezione.
Il volto dai lineamenti fini era oscurato da un velo di nervosismo che gli conferivano un'espressione di malcelata ferocia. Gli occhi, nonostante il cielo limpido di quella fredda giornata di tardo autunno, erano pozzi blu scuro che riportavano alla mente immagini di perigliosi gorghi marini.
La sua mente era occupata da foschi pensieri, tutti incentrati su uno sguardo ametista, screziato da un barlume di lucida follia.
Koji Ashton era diventato il suo incubo peggiore e, allo stesso tempo, il suo sogno ricorrente. Aveva passato l'intera notte sveglio a pensare agli avvenimenti capitati il giorno prima in biblioteca. Più volte si era domandato come avesse potuto cedere alle carezze e ai baci di quel ragazzo così irritante, ma non riusciva o, forse, non voleva darsi una spiegazione. Alla fine, comunque, aveva dovuto ammetterlo: lui era attratto da quel maledetto gaijin. Forse era per quei suoi lunghi e morbidi capelli color del miele, per il suo corpo sodo e asciutto o per le sue dita lunghe e sottili, ma allo stesso tempo forti e calde. Bè, non conosceva il vero motivo, ma una cosa era sicura, gli bastava percepire il suo odore dolciastro e penetrante per eccitarsi come un pivellino.
Lo odiava, lo odiava tantissimo per questo! Non poteva lasciarsi trasportare così dai suoi sensi senza mantenere il controllo della situazione!
Quello era un tipo pericoloso, era evidente. Cercava in tutti i modi la possibilità di dominarlo. Ma lui non glielo avrebbe permesso, non gli avrebbe dato questa soddisfazione!
La sua decisione era presa. Non avrebbe ceduto, per alcuna ragione al mondo. Non importava quanto avrebbe sofferto senza poter assaggiare nuovamente quelle labbra rosate e morbide, ma che sapevano donare l'estasi ad un uomo con solo una loro lieve carezza. Ashton avrebbe potuto fare tutto ciò che voleva, piangere e supplicare o minacciare e pretendere, ma lui non si sarebbe mai concesso.
Si mise a sogghignare al pensiero perverso di vedere l'orgoglioso e altero inglese strisciare ai suoi piedi affinché gli permettesse di poterlo toccare. Oh sì, l'avrebbe umiliato ripagandolo con la sua stessa moneta! Credeva per caso di essere l'unico a saper condurre quel tipo di gioco? Lui era un maestro in quel campo, nessuno avrebbe potuto superarlo! Tantomeno quel presuntuoso ultimo arrivato.
Yukito si accomodò nella fila centrale di dei banchi 'a gradinata' dell'aula di Pedagogia. Quello era il suo posto preferito, non troppo vicino all'insegnante per essere notato, ma neppure troppo distante per non perdersi nulla della lezione. Aveva già tirato fuori il blocco per gli appunti e la penna stilografica d'argento che gli avevano regalato i suoi nonni quando era stato ammesso alla prestigiosa Università S. Ora non doveva far altro che aspettare l'arrivo del professore.
Oziava con lo sguardo in giro per la stanza, posando pigramente gli occhi sulle insulse facce dei suoi compagni di corso. Ad un tratto sentì una mano che da dietro si intrufolava nei suoi capelli massaggiandogli la nuca con gesti lenti e ipnotici.
Yuki si abbandonò alle scariche elettriche che gli partivano dalla base del collo e gli scorrevano lungo tutta la spina dorsale. Chiuse gli occhi e respirò a fondo. Odore di viola selvatica. Riaprì gli occhi di scatto e si voltò indietro incontrando due iridi lilla brillanti di malizia.
"Che diavolo ci fai qui?" gli chiese più stupito che arrabbiato.
"Ma come che ci faccio qui? Non è evidente? Volevo stare un po' con te!"
Sasa fece una smorfia e tornò a guardare davanti a sé.
"Tu sei malato!"
Koji si sporse in avanti accostando la bocca al suo orecchio.
"Questo me l'hai già detto e devo ammettere che hai ragione, sono malato e la mia malattia ha morbidi capelli neri e profondi occhi blu".
Yukito sentiva il fiato del ragazzo soffiargli nei capelli andandogli a sfiorare la pelle sensibile del collo. Rabbrividì a quel contatto e, inconsciamente, si avvicinò a quelle labbra maliziose che gli procuravano tutte quelle non volute, ma piacevoli sensazioni.
Il mezzosangue ridacchiò scostandosi da lui e si mise a guardarlo sostenendo la testa con il braccio appoggiato sopra il banco.
"Non sembra che la mia presenza ti dispiaccia, vero Yuki?"
"Mi pareva di averti già detto di non chiamarmi in quel modo".
Finalmente Sasa aveva riacquistato la calma e poteva di nuovo usare il suo tono freddo e indifferente che lo aiutava a mantenere le distanze dal pericolo Ashton.
"Oh, scusa! Dimenticavo. Per caso preferisci che ti chiami in un altro modo?"
"Chiamami col mio cognome come fanno tutti, anzi sarebbe meglio che non mi chiamassi per niente".
Koji tirò una ciocca di capelli di Yukito facendo in modo che si voltasse a guardarlo.
Per un attimo, quando i loro sguardi si incontrarono, a entrambi i ragazzi sembrò che il tempo si fermasse. Il limpido lapislazzuli che si confondeva con il torbido pervinca. L'oro del grano maturo ombreggiava l'avorio perfetto della pelle di uno, mentre il nero dell'opale risaltava sulla pelle leggermente ambrata dell'altro. Due perfezioni, nella loro diversità, che si venivano a scontrare e a fondersi inconsapevolmente.
Il primo a riprendersi fu Sasa che riuscì a interrompere il legame che si era creato tra i loro occhi e si voltò a guardare davanti a sé con il respiro leggermente accelerato.
"Se hai finito di annoiarmi con le tue sciocchezze puoi anche andartene, tra poco il professore sarà qui e non mi sembra proprio che questa sia la tua aula!"
Ashton sorrise scostandosi i capelli che gli erano scivolati sul viso.
"Non ti preoccupare, me ne vado subito. Ora che ti ho visto posso resistere per le prossime ore... ovviamente non troppe, quindi aspettati un'altra mia visita al più presto".
"Grazie per avermi avvertito Ashton, ora che lo so cercherò di non farmi trovare" ribatté Yukito con tono ironico e canzonatorio.
Koji ridacchiò dandogli un buffetto.
"Il mio micino ha messo ha affilato le unghie! Ma non credere che basti così poco per spaventarmi. Sono abituato ad ottenere ciò che voglio. A proposito di questo..."
L'inglese si sporse di nuovo verso il ragazzo seduto nella fila davanti alla sua e abbassò la voce.
"Sai, prima stavo ripensando alla nostra conversazione di ieri e mi è tornato in mente ciò che mi hai detto sul fatto che tu fossi una merce molto preziosa e che, quindi, vali molto. Mi domandavo quale fosse il tuo prezzo, mio bene. Non c'è cosa che non sarei disposto a dare per ottenerti".
Yukito rimase paralizzato, allibito dalle parole del compagno, il quale approfittò della sua confusione per alzarsi e depositargli un sonoro bacio sulla guancia.
La cosa attirò l'attenzione di tutti gli studenti presenti che si voltarono verso di loro, ma Koji sembrò non farci caso. Con mosse sinuose e agili si diresse verso la porta, non prima di aver salutato Yukito a voce più alta del necessario con un: "A dopo, tesoro".
Sasa stava ancora sbattendo gli occhi a bocca aperta quando il professore cominciò la sua lezione.
Più o meno nello stesso momento, un ragazzo dai grandi occhi nocciola correva per i corridoi dell'Accademia di Belle Arti. Era in ritardo alla lezione di Chimica del Restauro a causa della sua sveglia che quella mattina aveva deciso di fare i capricci e di smettere di funzionare dopo dieci anni di glorioso servizio. Purtroppo sul suo compagno di stanza non c'era da fare affidamento perché tendeva a vivere più durante le ore notturne e a dormire in quelle diurne. A volte si era domando se, in realtà, non fosse un vampiro!
Aveva quasi raggiunto la sua meta quando una voce profonda e rassicurante lo richiamò.
"Iida, quanta fretta! Va tutto bene?"
Shiro si bloccò sul posto cercando con lo sguardo il proprietario del tono suadente che lo aveva appena apostrofato.
"Professor Chigusa, è lei!"
Shiro fece un piccolo inchino in segno di rispetto verso l'uomo non troppo alto, dal fisico massiccio e prestante, fasciato dal maglione a dolce vita nero attillato che ne metteva in risalto i muscoli torniti, e dai capelli nerissimi che gli arrivavano fino alle spalle e che lui portava legati in un'immancabile coda.
"Oh non servono questi formalismi quando siamo fuori dall'aula. In questo momento non sei ad una mia lezione, quindi non c'è bisogno di essere così fiscali".
Lo studente arrossì e annuì imbarazzato.
"Ma prima tu stavi correndo, forse ti ho trattenuto anche troppo, sei forse in ritardo Iida?"
"No, no... non si preoccupi stavo... stavo solo affrettandomi perché volevo cercare un buon posto per la prossima lezione, ma non è nulla di urgente" mentì.
Se anche Chigusa se ne accorse non lo diede a vedere e gli sorrise condiscendente.
"Maglio così, allora. Volevo proprio scambiare due chiacchiere con te".
"C-con me, signore?"
Shiro sgranò i grandi occhi da fanciullo e divenne più rosso di un pomodoro maturo.
"Non fare quella faccia, non voglio mica mangiarti, sai? Volevo solo chiederti come procede con il tuo lavoro".
L'insegnante sembrava sinceramente divertito dalla reazione di quel ragazzino timidissimo. Shiro si mise a giocare nervosamente con la cinghia della borsa nella quale aveva riposto i libri e non riusciva a mantenere lo sguardo fisso su nessun oggetto in particolare.
"Ah, sì... ecco... io credo... credo che proceda tutto bene... sì..."
Chigusa rise compiaciuto.
"Modesto come al solito, vero Iida? Dimmi, hai trovato il modello adatto per il tuo soggetto?"
Shiro sorrise felice che il suo professore preferito gli stesse dedicando tutta quell'attenzione.
"Sì, ho trovato un buon modello e per fortuna il ritratto sta procedendo abbastanza velocemente. Anzi, credo di poterlo finire in breve, forse già domani".
L'uomo fischiò in segno di ammirazione.
"Caspita! Hai già finito! Sei encomiabile Iida, in genere mi capita di avere allievi che mi chiedono di poter posticipare le date di consegna, ma è la prima volta che qualcuno mi dice di aver finito in anticipo. Sono davvero fortunato ad averti nella mia classe!"
Il giovane abbassò la testa fino a farsi coprire il viso con i capelli castani.
"M-ma no... io... non ho fatto proprio nulla di speciale... non deve dire così..."
Chigusa rise di nuovo e posò una mano sulla testa di Shiro arruffandogli i capelli.
"Ti sbagli Iida. Ti impegni sempre moltissimo e risultati si vedono, non devi schernirti in questo modo. Sei un ragazzo molto promettente e mi aspetto qualcosa di particolare sia da te che da Satori. Del resto, voi due siete i miei studenti migliori".
Il professore tolse la mano dalla testa di Shiro e questi lo guardò con occhi luccicanti senza sapere cosa ribattere.
"Ti lascio andare adesso, fra poco mi toccherà presenziare ad una delle noiosissime riunioni di facoltà indette dal nostro benamato preside. Ci vediamo alla lezione di mercoledì. A presto Iida".
Shiro riuscì a malapena a balbettare un 'a presto' mentre vedeva Chigusa sparire velocemente tra i ragazzi che si muovevano freneticamente alla ricerca della propria aula. Rimase a bocca semiaperta e con lo sguardo imbambolato per il resto della mattinata, continuando a ripensare a ciò che gli aveva detto il suo insegnante.
Lui uno dei suoi studenti migliori? No, doveva aver capito male! Non aveva proprio nulla di speciale, non l'aveva mai avuto, era sempre stato uno studente mediocre, dalle scarse capacità e con l'unico pregio di riuscire a risultare invisibile agli occhi degli altri... se poi di pregio si trattava! Sì, d'accordo, con la matita in mano se la cavava, ma niente di più. Nessuno gli aveva mai fatto dei veri complimenti per il suo stile e la sua tecnica. I suoi genitori gli volevano bene, certo, ma non lo avevano mai incoraggiato molto, sostenendo che fosse inutile farsi delle false speranze in un mondo in cui soltanto chi è davvero dotato riesce ad eccellere. Di amici veri in sostanza non ne aveva mai avuti, si poteva dire che il primo fosse proprio Satori. Ma certo, come poteva non averci pensato prima? Era evidente! Chigusa gli aveva parlato così solo perché sapeva che era amico di Kaneda! Siccome, come professore, rispettava le grandi doti del ragazzo dai capelli viola gli aveva fatto il favore di interessarsi anche del suo più scarso amico.
Stranamente quel pensiero non rattristò Shiro. La sensazione piacevole che gli avevano provocato le parole di Chigusa era molto più forte del disagio che provava al pensiero che quelli fossero complimenti dettati solo dalla gentilezza e non dalla convinzione delle sue reali capacità. Almeno, per pochi secondi nella sua vita, si era sentito una persona importante.

FINE CAPITOLO IV




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