Grazie
per tutto ciò che hai fatto per noi anche quest’anno…spero che questa
sciocchezzuola ti piaccia! AUTORE: Marty. DISCLAIMERS: i personaggi sono tutti di Takehiko Inoue, le
idee malsane sono le mie.
di
Marty - Prima Parte - Guarda a destra. Guarda a sinistra. Bene. Sembra che nessuno faccia caso a lui. Allunga una mano pallida, le lunghe dita tremano appena mentre fruga
nella montagna di pacchi di caramelle. Ne afferra uno e con un rapido
movimento lo ficca nella tasca del suo ampio giaccone. Poi spinge in tasca anche l’altra mano, e poi si avvia con aria
noncurante verso l’uscita. Insomma, ha tanti di quei soldi nel portamonete che potrebbe comprarsi
l’intero scaffale, ma così è più divertente, no? È a pochi passi dalla porta scorrevole, che già si apre con un
cigolio. Poi, una mano gli si poggia su una spalla. “Mi scusi. Dovrebbe gentilmente seguirmi un momento nel mio ufficio.” Merda. Il telefono non smetteva un momento di squillare. Macchie blu si muovevano con rapidità nell’ampio salone. Dita che pestavano sui tasti di decine di computers, voci concitate,
passi. E su tutto aleggiava QUELL’odore. La PAURA. Quante volte l’aveva respirato sui campi da basket, quando ancora
giocava. Quando si apprestava a eseguire un tiro libero. Quando marcava stretto un avversario. Quando si sistemava al centro, pronto per saltare e conquistare così
la palla. Il ragazzo scosse la testa, come ad allontanare quel pensiero
fastidioso. Senza molta gentilezza, il corpulento agente che l’aveva portato fin
lì dal supermercato lo spinse su una sedia di plastica. “Aspetta qui” gli intimò mentre bussava ad una porta di legno scuro e
vetro zigrinato. La porta si socchiuse, e il poliziotto disse un paio di frasi con fare
saccente. La persona all’interno rispose brevemente e richiuse la porta. L’uomo si avvicinò al ‘prigioniero’. “Devi aspettare” gli comunicò, lapidario. “Lo psicologo ora è impegnato.” “Non ho bisogno di uno psicologo” disse con tono arrogante e gelido il
moro, puntando sul poliziotto i suoi grandi occhi blu oltremare. “Bene” rispose ironicamente quello “allora chiamerò i tuoi genitori
per farti venire a prendere qui se preferisci.” Il ragazzo contrasse la mascella. Non aveva nessuna voglia di sorbirsi un’altra ramanzina di
quell’imbecille che si ritrovava in possesso della patria potestà. “Hn” si arrese quindi, accomodandosi il più possibile nello scomodo
sedile, sperando di riuscire almeno a farsi un pisolino. E come sempre il sonno lo rapì in pochi istanti. Pian piano intorno a lui i rumori della stazione di polizia si
affievolirono, fino a diventare un mormorio soffuso che lo cullava
dolcemente. Lo cullava… Lo cullava… No! Lo scuoteva! Qualcuno lo stava gentilmente scotendo! “Io non perdono chi disturba il mio sonno” bofonchiò ancora con gli
occhi chiusi facendo partire un pugno, ma l’altro evidentemente non era uno
sprovveduto e lo fermò senza problemi, scoppiando poi a ridere. La sua risata aveva un suono morbido e caldo e lo avvolse come un
abbraccio. Sollevò il capo e il suo sguardo annegò in due pozze di cioccolato
fuso. Di fronte a lui stava un ragazzo, che doveva avere pochi anni più di
lui. Era anche più alto, visto che stava chinato in avanti per guardarlo
negli occhi. Aveva dei folti capelli rossi, e indossava un completo a giacca color
marron bruciato sopra ad una camicia bianca col collo alla coreana. Gli sorrise. “Mi dispiace di averti fatto aspettare tanto” si scusò. “Sono Hanamichi Sakuragi, lo psicologo di questo distretto.” “Kaede Rukawa” rispose il moro, senza che sul suo bellissimo volto
alabastrino trasparisse nulla della tempesta che gli si stava agitando dentro
in quel momento. “Prego, vieni” lo invitò il rossino indicandogli il suo ufficio. Kaede lo seguì all’interno. La stanza era piuttosto spoglia, le pareti erano tinte con un color
crema piuttosto intenso, sulla destra si trovava una grossa scrivania di
mogano ed una poltrona, mentre sulla sinistra faceva bella mostra di sé un
lungo divanetto di pelle nera. “Devo…sdraiarmi lì?” chiese guardingo il moro. Hanamichi rise di nuovo, e di nuovo a Kaede sembrò che un pezzo delle
sue mura difensive fosse crollato miseramente. “Ma no! Voglio dire, non siamo così formali! E poi…” arrossì “…io non
sono ancora un vero psicologo. Sto finendo di studiare, dovrei laurearmi
entro pochi mesi o almeno spero. E nel frattempo mi occupo di ‘ragazzi
difficili’ come te, per fare pratica.” “Sarei un esperimento, quindi.” Considerò il moro inarcando un
sopracciglio. “Come ti viene in mente, baka!” si inalberò l’altro. “Non volevo dire
questo! Voglio davvero aiutarti sai?” la sua voce così limpida, il suo
sguardo sincero, la sua risata calda. Tutto in quel ragazzo lo attraeva, irresistibilmente, e Kaede capì che
stava giocando col fuoco. Se non se ne fosse tenuto lontano, avrebbe finito
col bruciarsi. Persino i capelli dello psicologo sembravano volerlo mettere
in guardia. Sbuffò sedendosi nella sedia dall’altro lato della scrivania. “Che vorresti farmi dire? Che è colpa di mio padre se rubo nei
supermercati? Che sto cercando solo di attirare la sua attenzione? Che in
realtà sono solo e infelice, e cerco di riempire il vuoto che sento dentro
con cose futili? È questo che dovresti scoprire scavandomi dentro? Beh, lo so
già. Non ho bisogno di te.” Il suo tono era sprezzante e sarcastico, scelto volutamente per fare
male ed allontanare da sé quella provocante creatura. Hanamichi, che aveva sistemato davanti a sé un blocco per appunti e
preso in mano una penna, la appoggiò sul ripiano e sospirò. Rivolse a Kaede uno sguardo molto triste. Tanto da farlo sentire in
colpa per le sue parole. “Senti, Kaede, sono quasi le nove di sera e io sono molto stanco. Non ho
forza, tempo e voglia di discutere con te. Se non sei disposto a farti
aiutare, io certo non ti implorerò di lasciarmelo fare. Hai sbagliato, non lo
dovevi fare, bla bla bla e vedi di non farlo più. Così la discussione è più
di tuo gradimento?” Il moro gli rivolse un cenno col capo prima di alzarsi. “Posso andare?” chiese con voce incolore. Il rosso gli indicò la porta con la mano aperta. Certo non pensava affatto a trattenerlo. Kaede scrollò le spalle e fece per andarsene. “Aspetta!” lo richiamò la voce dello psicologo quando era gia a metà
del salone. Kaede si voltò verso di lui ed afferrò al volo un pacchetto che questo
gli aveva lanciato. Lo guardò. Erano le caramelle che aveva rubato. “Spero che almeno ne sia valsa la pena” gli disse Hanamichi con durezza. Il moro rimise il pacchetto in tasca e se ne andò, senza mai voltarsi
indietro. Non ne aveva bisogno. E non si mise neppure a correre, per allontanarsi più in fretta: ormai
era troppo tardi. “Sei di nuovo qui! Ma si può sapere perché diavolo continui a fare
cose tanto stupide?!” La voce esasperata del rossino risuonò per il corridoio, mentre Kaede
Rukawa si sedeva con sussiego accavallando le gambe e lo fissava con aria
indifferente. Dentro di sé, però, sorrideva. Erano circa due mesi che una volta a settimana si faceva arrestare. Bastava poco, prendere a calci un cane sotto gli occhi di una
vecchietta, buttare spazzatura per terra, insultare un pubblico ufficiale… Ormai il suo repertorio era vastissimo, anche perché cercava di non
ripetere mai lo stesso crimine per evitare che si accorgessero che c’era
qualcosa di sospetto. Ad esempio, il fatto che si facesse arrestare sempre quando Hanamichi
era di servizio a tarda sera, e mai quando c’era un altro psicologo in
servizio. L’aveva fatto una sola volta questo errore e gli era bastato. Quell’Akira Sendoh, che sorrideva tanto da sembrare paralizzato,
con quel suo fare saccente e tronfio
era davvero insopportabile! E poi quelle sue avances neanche troppo velate nei suoi confronti…no,
no, non c’era confronto. Quindi aveva preso nota degli spostamenti del suo rossino, i suoi
turni, il suo cibo preferito, l’indirizzo, insomma tutto quello che era
riuscito a scoprire. Ma nessuno lo avrebbe mai sospettato. Men che meno un certo psicologo che stava passando un periodo davvero
orribile. Il suo atteggiamento freddo e distaccato non dava adito a dubbi: era
un ragazzo viziato ed egocentrico, che cercava disperatamente di attirare
l’attenzione di qualcuno che lo amasse. Ed era anche terribilmente solo. Detto questo il suo lavoro era concluso. Tutto chiaro e lampante. Eppure… Qualcosa gli diceva che quel ragazzo nascondeva molto più di quello
che si vedeva. Ogni tanto, mentre parlavano (oddio, lui parlava e il moro grugniva
per la verità) nei suoi occhi blu passava un lampo, come un pensiero che però
lui non confidava. E sì che ormai tra loro non c’era più un rapporto professionale e
basta…il rosso pensava a quel ragazzo così bello sempre più spesso, si
trovava a gioire segretamente quando lo vedeva seduto nel salottino in attesa
che lui si liberasse, lo sognava la notte… Hanamichi arrossì furiosamente. Era tutto sbagliato! Non era così che
doveva andare! E il transfert medico-paziente? Come avrebbe potuto essergli
di una qualche utilità se non era più obiettivo e oggettivo? Non aveva altra
scelta che buttarsi a capofitto nello studio, per laurearsi il prima
possibile ed allontanarsi così da lui. Già, perché intanto continuava a vederlo. Non aveva la forza di
allontanarlo. “Insomma, che hai combinato stavolta?” sbottò il rosso, accantonando
le preoccupazioni per un momento e concentrandosi sul paziente. Quest’ultimo però, invece di rispondere, prese fra le mani un tomo
rilegato che si trovava sulla scrivania dello psicologo e ne lesse il
frontespizio. “La piromania. Meccanismi, procedure, percorsi terapeutici e
fondamenti di questa singolare infermità.” Kaede fissò lo psicologo con sguardo interrogativo. “La piromania è un’ossessione per il fuoco” spiegò il rosso “e porta
chi ne è affetto a considerare il fuoco una cura, un mezzo, un fine per
essere felice. Una deviazione mentale. Un fenomeno ancora oscuro alla scienza
e alla psicologia.” Mentre parlava, gli occhi nocciola dello psicologo si
accesero di mille pagliuzze d’oro. “Il mio sogno è approfondire le mie conoscenze e riuscire a capire e
spiegare la mente di un piromane. Su questo verterà la mia tesi di laurea e
sarà la base dei miei studi futuri…Ma torniamo a noi....” Il moro non lo ascoltava più. Il suo sguardo acceso dalla passione e
dai sogni era qualcosa di indescrivibilmente bello. E lui lo voleva per sé. Non poteva più aspettare. Glielo avrebbe detto. “Dottor Sendoh…” “Akira, ti prego.” “…Akira, ti ho già detto che voglio parlare col Dottor Sakuragi! È lui
il mio terapista, non ho intenzione di sostituirlo!” “Ma lo dovrai fare, Kaede.” Lo psicologo si passò le dita tra i capelli tenuti ritti da un assurdo
quantitativo di gel e poi, appoggiando i piedi sulla scrivania di Hanamichi
lo informò della novità. Ora probabilmente Akira glielo sta dicendo. Ti immagini i suoi occhi spalancarsi, increduli. Ti immagini che si lasci cadere su una sedia perché non sopporta
l’idea che tu sarai così lontano per così tanto tempo, che correrai dei
rischi e che forse non tornerai. Ti immagini di sentire la sua voce che ti chiama, mentre corre accanto
alla carrozza del treno per fermarti e impedirti di partire, perché ti vuole
con sé. Sorridi amaramente, mentre una lacrima ti solca la guancia abbronzata. Te lo immagini. Perché sai perfettamente che non avverrà nulla di tutto questo. Kaede si limiterà a scuotere le spalle, a emettere uno dei suoi “Hn” e
poi ti dimenticherà. Sei stato una parentesi nella sua vita grigia e monotona di ricco
figlio di papà. Che altro ti aspettavi? Fiumi di lacrime ed abbracci da film? Suvvia, Hanamichi, cresci. Andare in Romania a studiare da vicino i piromani e la loro malattia
presso l’unico centro psichiatrico del mondo che se ne occupa ti servirà a
dimenticare. Passeranno gli anni. Kaede tirò su il bavero della giacca. Si era alzato il vento. Ormai l’autunno era alle porte. Una foglia rossa si staccò dall’albero che si trovava accanto alla
stazione di polizia, e gli veleggiò davanti prima di atterrare elegantemente
in una pozzanghera. Il moro la fissò per qualche istante con lo sguardo perso nel vuoto. Stava giocando col fuoco. Alzò la testa: negli occhi si era accesa una fiamma nuova. Si incamminò a passo spedito verso casa. Se non se ne fosse tenuto lontano, avrebbe finito col bruciarsi. Entrò e sbattè la porta alle sue spalle, facendo sobbalzare i suoi
genitori. “Ho una richiesta da farvi” disse poi, senza por tempo in mezzo. “Voglio iscrivermi all’università.” La piromania è un’ossessione per il fuoco. “Ma è magnifico, Kaede! Finalmente! E quale facoltà hai scelto?” Porta chi ne è affetto a considerare il fuoco una cura, un mezzo, un
fine per essere felice. “Psicologia.” - Seconda Parte - Cinque anni dopo “Dottor Sakuragi!” Il giovane assistente dell’eminente psicologo entrò correndo nel suo
studio. “Cosa c’è, Hikoichi? Avevo detto che non volevo essere disturbato!” “Oh, ma questo lo deve vedere, dottore!” insistette il moretto
tendendogli un giornale vergato in giapponese. Il rossino sospirò, sapendo che l’unica maniera di calmare il suo
assistente era accontentarlo, e diede una rapida scorsa alla prima pagina. Hikoichi lo vide impallidire vistosamente. “Ma…come…quando…” “Il giornale è di circa un mese fa, ma lei era fuori e non sono stato
in grado di rintracciarla…le è stato inviato per posta da ignoti…” “Annulla tutti i miei impegni, Hikoichi. Parto per il Giappone oggi
stesso.” “Ma dottore…i suoi pazienti…gli appuntamenti che…” “Cancella tutto. Vado a fare la valigia.” E senza dire altro uscì con passo affrettato dal suo studio, diretto
al suo appartamento che si trovava nelle vicinanze. Stringeva ancora la pagina del giornale tra le mani. Mentre l’aereo si allontanava da quella Romania che l’aveva visto
crescere, maturare, farsi un nome ed una clientela, Hanamichi lesse
l’articolo ancora una volta, anche se ormai l’aveva praticamente imparato a
memoria. Kanagawa, 15 Luglio Il misterioso Piromane senza volto ha colpito ancora. Questa volta a farne le spese è stata l’ala voli internazionali
dell’aeroporto di Kanagawa. Prima, nell’ordine, era stata la volta di un grande centro
commerciale, di una stazione di polizia e di una casa editrice specializzata
in saggi di psicologia. A prima vista sembrano obiettivi del tutto scollegati tra loro, ma
qualcosa spinge gli investigatori a credere che il colpevole stia cercando di
inviare un messaggio a qualcuno. Chiunque esso sia, noi tutti speriamo che
risponda presto all’appello di questo criminale, in modo da porre fine a questa follia prima che
qualche innocente debba pagare con la vita. L’aereo atterrò all’aeroporto di Kanagawa mentre il sole tramontava.
Lo psicologo prese la sua valigia dallo scomparto in alto sopra di lui e, non
appena uscito dall’edificio, salì sul primo taxi e si diresse alla sua
vecchia stazione di polizia. Quanti ricordi! Lo stabile era però tutto annerito dal fuoco, e all’interno non c’era
più l’allegra e vivace confusione a cui era abituato, ma un caos sbandato e
pervaso dal panico. Solo un uomo seduto ad una scrivania intento a digitare
qualcosa sulla tastiera del suo computer sembrava come lo ricordava. I suoi
capelli dritti e gli occhi azzurri erano inconfondibili, ed Hanamichi si
diresse spedito verso di lui. “Akira!” il moro alzò il capo e spalancò gli occhi sorpreso. “Hanamichi! Sei tornato! Ma che ci fai qui?” esclamò alzandosi ed
andando ad abbracciarlo. “Stai lavorando al caso del Piromane?” gli domandò il rosso senza
tanti preamboli. “Ah-ah” annuì Akira. “Ti avrei chiamato in settimana, comunque, perché
brancoliamo nel buio.” “Cosa sappiamo di lui?” “Molto poco. Dovrebbe essere piuttosto giovane, e molto agile.
Sicuramente facoltoso, visti i materiali di cui si serve. Probabilmente
competente, forse ha anche studiato al riguardo. E poi c’è un’altra cosa…” Sendoh trasse dal cassetto della sua scrivania un libro,
porgendoglielo. “Forse si tratta di coincidenze, ma sembra che segua alla lettera
quanto spiegato in questo saggio. Che strano, è un testo per addetti ai
lavori. Come pensi che abbia fatto a venirne a conoscenza?” *Gliel’ho mostrato io* pensò Hanamichi mettendosi a sedere. Improvvisamente le gambe non lo reggevano più. “La piromania. Meccanismi, procedure, percorsi terapeutici e
fondamenti di questa singolare infermità.” Cazzo. Il Piromane senza volto era Kaede. Il rossino camminava rapidamente per le strade buie. Doveva fare presto. Se quello che gli aveva detto Akira era vero, Kaede colpiva una volta
al mese, preciso come un orologio svizzero, e sempre subito dopo le due di
notte. Sorrise tristemente: staccava alle due quando faceva il turno di
notte. Forse il colpevole sta cercando di inviare un messaggio a qualcuno… Il moro aveva attaccato tutti luoghi in qualche modo collegati a loro. Il centro commerciale, che aveva sancito il loro primo incontro. La centrale di polizia, dove tante volte avevano parlato per ore. La casa editrice che aveva pubblicato il suo primo libro, scritto poco
più di un anno prima. L’aeroporto, da cui era partito l’aereo colpevole di averlo portato
lontano da lui. Finalmente dava corpo a tutti quei mille dubbi insinuatisi nella sua
testa in quegli anni ogni volta che aveva ripensato a Kaede. Non l’aveva sognata, quella luce nei suoi occhi. Lo ricambiava
davvero. Beh, Hanamichi si era reso conto da un pezzo di amarlo, ma voleva
aspettare di sentirsi uomo prima di dichiararsi a lui. Voleva avere qualcosa
da offrirgli. Ora l’aveva. Ed aveva solo una possibilità per trovarlo, un’unica, vitale
possibilità. Dove poteva essere? Cosa avrebbe scelto di incendiare sperando che il
rosso di quelle fiamme potesse raggiungerlo? C’erano vari posti che credeva avrebbero potuto essere presi di mira
dal moro. Ad esempio, l’ambasciata della Romania. Ma c’era un pensiero che gli si era annidato nel petto, e per quanti
sforzi facesse non riusciva ad estirparlo. E se Kaede, in realtà, stesse tentando di distruggerlo? Cancellare
tutto quello che per loro significava qualcosa, per bandirlo dalla sua
esistenza. Se solo avesse saputo quanto lui lo amasse… Prese a correre. Ora sapeva dove trovarlo. Sperava solo di fare in tempo. Il lampione gettava un alone giallastro su uno spicchio di
marciapiede. Una figura si mosse furtivamente passando al di fuori della luce. Si arrampicò come un gatto su per il cornicione, entrando poi dalla
finestra aperta. Guardò il desolato aspetto della stanza. Mobili coperti da rivestimenti di plastica impolverati, silenzio
tombale dovunque. Una morsa gli strinse il cuore: non era un gran posto, per morire. Ma lui ormai aveva deciso: dovevano essere quelle mura, tra cui non
era mai stato prima, a salutarlo. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo depose a terra, inginocchiandosi
poi sul parquet per tirarne fuori il necessario: d’altronde, tra i mobili ed
il pavimento di legno non ci sarebbe voluto poi molto. Iniziò con il versare la benzina dappertutto, compreso sulle pareti,
poi sparse il giornale, pagina per pagina, in punti strategici dove c’era
meno combustibile. Infine andò all’ingresso dell’appartamento e fece scivolare sotto la
porta una busta bianca. Erano i suoi saluti per Hanamichi. Avrebbe tanto voluto parlargli
ancora una volta, ma il rossino non aveva risposto ai suoi disperati
richiami. Tornò in salotto e si sedette sul divano con le gambe raccolte,
facendo sfrigolare un fiammifero sulla scatola prima di lasciarlo cadere in
una pozza di benzina poco distante da lui. Un istante prima che questa si incendiasse, gli cadde lo sguardo sulla
pagina della cronaca. Non era possibile. Già da dietro l’angolo Hanamichi vide il fumo nero che saliva tra le
case. Cazzo, cazzo, cazzo…. Non poteva essere! Non poteva essere già tardi! Non ora che poteva dirgli che lo amava! Rovesciò la sua sacca a terra senza tanti complimenti in cerca delle
chiavi. Con mani tremanti aprì il portone, venendo investito dall’aria torrida
e secca. Tossì, si sentiva i polmoni bruciare. Iniziò a salire le scale il più velocemente possibile, cercando di
respirare nella pezza umida che si era messo sul viso. Per fortuna abitava al secondo piano… Davanti alla porta c’era una busta bianca. La raccolse e se la rigirò tra le mani. Non c’era mittente. L’aprì e scorse il semplice foglio vergato con una grafia leggera. Caro Hanamichi, volevo solo salutarti. In questi ultimi cinque anni mi sono impegnato molto, sai? Ho seguito psicologia all’università. Volevo capire quel mondo che ti aveva allontanato da me, volevo
cercare di raggiungerti. Ma più studiavo più mi rendevo conto che quello che volevo realmente
era essere come te. Con la tua voglia di fare, la tua sincerità, la tua allegria, la tua
voglia di aiutare gli altri. Più studiavo più capivo che non ce l’avrei mai fatta. Mi mancava quello che invece tu hai sempre avuto: il coraggio di
voltare le spalle al passato e ricominciare daccapo. Così ho pensato che magari se fossi riuscito a dirti cosa sentivo per
te avrei potuto dare nuovo impulso alla mia vita, ma non sapevo come fare a
portare il tuo sguardo su di me. Cos’avevo da offrirti, eh? Non ero nessuno. Non sono nessuno. E sono diventato il tuo nemico, sperando di attirare la tua attenzione
di cui avevo tanto disperatamente bisogno. Ma non sei venuto. Per mesi ti ho aspettato, e tu non sei venuto. Perciò, ora basta. Ti lascio in pace. Mi sento un fallito, e un vigliacco. Proprio per non esserlo fino in fondo ho voluto lasciarti due righe
che ti dicessero quanto ti amo… Qui la scrittura divenne confusa, visto che le lacrime iniziarono a
scorrere sulle guance dello psicologo. Ebbe un istante di smarrimento prima di capire cosa davvero
significassero quelle parole. Con un paio di calci ben assestati sfondò la porta: non che fosse di
gran qualità e resistenza, in effetti. “Kaede!” chiamò “Kaede, mi senti? Rispondimi!” Dall’interno non ci fu risposta. Le fiamme avevano già invaso il corridoio e parte del salotto. Socchiudendo gli occhi per evitare il riverbero, il suo sguardo vagò
per la stanza, cercando di scorgere un movimento, un segno di vita, ma
niente. Uscì dal salotto dopo aver aperto tutte le finestre, correndo come un
pazzo da una stanza all’altra, spegnendo le fiamme dove ci riusciva e continuando
a chiamare Kaede. Purtroppo, nonostante i suoi sforzi, il fuoco avanzava. Il moro sapeva bene quello che faceva. Il rossino cadde sulle ginocchia. Non aveva più forze. Colpì il parquet imbarcato con un pugno. *Maledizione!* Pensò prima di scivolare a terra. Con un piccolo salto, Kaede atterrò sull’erba del cortile. Si scosse la polvere dalle ginocchia, mentre i suoi occhi brillavano
di nuova luce. Sul giornale c’era scritto che l’eminente psicologo Hanamichi Sakuragi
era partito quella mattina in tutta fretta per Kanagawa. Il suo richiamo l’aveva raggiunto. Era così felice che avrebbe voluto mettersi a ballare. Ma non c’era tempo: doveva correre alla centrale di polizia, dove
sicuramente l’avrebbe trovato, e poi dai pompieri perché spegnessero l’incendio.
Non serviva più. Con le ali ai piedi raggiunse in un batter d’occhio la centrale. “Kaede, che bella sorpresa! Già la seconda, oggi…” Il cuore del moro accelerò i battiti: era vero! Hanamichi era lì! “Hana…michi è tornato?” domandò col solito tono incolore. “Sì, era interessato dal caso del Piromane senza volto…però è scappato
via da un paio d’ore e non ho idea di dove sia andato…” Il sangue gli si gelò nelle vene. Oh Kami sama… “Chiama subito i pompieri, Akira. C’è un incendio al numero 347 di via dei Tigli.” E detto questo si precipitò di nuovo verso la casa. Non può essere successo davvero! È questo che stai pensando, vero, Kaede? Ti stai ripetendo che lui non può aver capito dov’eri, che lui non può
essere entrato in casa, che lui non può… Ma tutti i tuoi tentativi di scacciare quell’orribile presentimento
dalla tua testa crollano miseramente quando noti, davanti al portone del
palazzo, una sacca gettata a terra con tutto il suo contenuto sparso in giro. Non ci vuole una vista da lince per riconoscere Hanamichi su quel
tesserino di plastica che ne attesta il titolo. Ti guardi intorno, smarrito e terrorizzato, poi ti accorgi della
fontana che si trova al centro del cortile. Ci salti dentro, completamente
vestito, sperando che l’essere bagnato ti permetta di uscire vivo da
quest’avventura, e poi ti fiondi su per le scale. La porta dell’appartamento
è stata abbattuta, e a terra c’è la busta della tua lettera stracciata.
Prendi fra le dita il foglio che vi era contenuto, notando che le ultime
righe sono tutte sbavate. Il tuo amore ha pianto, mentre leggeva il tuo
addio. Entri chiamandolo, chiamandolo ancora e ancora, nel fumo acre che ha
invaso l’intera abitazione ti impedisce di vedere ciò che ti circonda. Evitando le scintille che si alzano dalle fiamme crepitanti intorno a
te, raggiungi il salotto. E lo vedi lì. È abbandonato in un angolo, ti sembra che non si muova. Ti inginocchi accanto a lui, scotendolo piano. “Hanamichi…Hanamichi sono io, Kaede…perdonami, è colpa mia…” Sembra non reagire, e tu ti senti morire lentamente, poi pian piano
solleva a fatica le palpebre. “Ka…Kaede…stai…bene…” mormora in un soffio. “Sì, amore mio, sto bene” gli rispondi stringendolo a te. Poi ti rendi conto che dovete andarvene e subito, prima che arrivi la
polizia con i pompieri. Dovreste spiegare troppe cose. “Ce la fai ad alzarti?” gli domandi. “Credo…di sì…” biascica lui, cercando di tirarsi a sedere. Lo aiuti e si mette in piedi. “Andiamo via di qui” gli dici con dolce fermezza, mentre ti appoggi un
suo braccio sulle spalle. Un passo alla volta, siete fuori. L’aria tersa della notte entra nei vostri polmoni che ne gioiscono. Guidi il tuo amore fino ad un piccolo parco che si trova nelle
vicinanze e lo fai sedere su una panchina, facendolo bere perché si riprenda. Dopo un po’, parli. “Grazie di essere venuto” dici. Lui fa una smorfia. “Scusa per il ritardo” risponde, con un sorriso. “Sono stato un idiota, eh?” “Beh, diciamo che ti ci sei messo d’impegno!” Ti siedi accanto a lui. “Che farai ora, Kaede?” ti chiede accarezzandoti la guancia. “Mi costituirò” rispondi. Al suo sguardo interrogativo ribatti donandogli un piccolo sorriso. “Voglio essere degno di te, e non potrei mai esserlo se mi tenessi un
peso simile sulla coscienza. Ho sbagliato e devo avere il coraggio di pagare
quello che è giusto. E quando avrò scontato la mia pena…” Ti guardi le scarpe, perché ti rendi conto che stai arrossendo “…mi
vorrai con te?” Hanamichi ti fissa con un tale calore che ti sembra di andare a fuoco
davvero. “Avrò BISOGNO di te” ti corregge. “E tu vorrai dividere la tua vita con me? Potremmo lavorare insieme.
Hai acquisito una competenza che potrebbe essermi davvero fondamentale. E io
sarei così felice se accettassi…” Sorridi ancora, in modo più sornione stavolta. “Insomma, sarò di nuovo un esperimento, per te…” lo provochi. E il tuo rossino, com’è adorabilmente prevedibile, si inalbera. “Baka kitsune insensibile! Ma non capisci mai niente! Io volevo d…” Non lo lasci finire. Sei convinto che le sue labbra potranno essere molto più utili per
altre attività. Non ti resta che dimostrarglielo. Fine |