Il Dio
delle Tempeste
di Naika
Uno squarcio viola nel
cielo nero.
Una pugnalata elettrica
tra le roboanti nubi oscure.
Enormi, incombenti.
Masse nere di rabbia
ruggente.
Il cielo esplose
facendo sussultare i sacerdoti che sollevarono le mani sottili, piccoli
spettri ossuti che si agitavano frenetici nell’aria cupa, mentre le loro
voci si innalzavano tremanti ad intessere gli antichi canti di lode.
Il vento sferzò furioso
le loro vesti bianche schiaffeggiandoli con derisione mentre il suo ululato
si levava possente a coprire quelle parole che avevano osato spingersi tra
le sue correnti fatte di tenebra vischiosa e luce elettrica.
Gli uomini
incappucciati deglutirono a vuoto, la voce resa stridula dalla paura,
imponendo comunque ai loro passi di non arrestarsi, continuando a condurre
la processione verso il grande tempio di marmo candido, una pallida luna
levigata sullo sfondo nero del cielo, sulla scogliera irta.
Come manti di seta
lacerata, le onde, si squarciavano contro le rocce acuminate, ai suoi piedi,
in miriadi di piccole stelle lucenti che incatenavano per un momento la
collera furente dei fulmini per poi precipitare nuovamente tra le tenebre
liquide.
I canti dei sacerdoti
si fecero più deboli sopraffatti dal lamento straziante dei grandi alberi,
secolari guardiani incatenati ai due lati del tempio bianco, che si
contorcevano in agonia sotto le frustate del vento, le fronde strappate
dagli artigli dell’aria gelida che le sferzava senza tregua, i rami tesi in
una muta supplica verso quel cielo impietoso che continuava a scaricare su
di loro ghiaccio e fuoco.
La processione si fermò
dinanzi alle porte d’oro massiccio del grande edificio cercando stoicamente
di ignorare quell’inferno d’aria, acqua, tenebra e luce che si abbatteva
intorno a loro.
“Onore! Onore al più
potente tra i potenti!” gridò il gran sacerdote sollevando entrambe le mani
con gesto solenne.
Il cielo ruggì
minaccioso mentre la notte veniva squartata dal disegno spezzato delle
saette.
La luce infranse le
tenebre mandandole in mille pezzi geometrici mentre il vento urlava la sua
cieca follia.
“Gloria! Gloria al più
grande tra gli dei!” gridò ancora il sacerdote sollevando una mano per
trattenere l’enorme copricapo d’oro e gemme che indicava la sua carica e
che, la furia degli elementi, stava seriamente rischiando di strappargli.
“Portate il
sacrificio!” urlò ad uno dei discepoli facendo un gesto impaziente della
mano.
Il loro dio sembrava
furioso e per placarlo conoscevano solo un modo.
Gli uomini vestiti di
bianco si spostarono per permettere ai portantini di avanzare.
Sulla piccola
piattaforma di legno dipinto sedeva un giovane dalla pelle dorata e dai
lucenti capelli rossi.
Una folgore cadde poco
lontano dal tempio facendo tremare l’intera radura con la sua detonazione
scagliando erba e terriccio lontano, incendiando gli alberi.
Il fuoco ruggì
spalancando le sue fauci per divorare quanto le lunghe fiamme riuscivano a
lambire, contorcendosi, gridando e schiumando fumo, nello scontrarsi con la
pioggia gelida, mentre le querce secolari si tramutavano in ondeggianti
fiaccole lucenti.
La luce rossa,
selvaggia e fluida, si mescolò a quella candida, elettrica, geometrica,
delle saette mentre il rombo dei tuoni cresceva, minaccioso come il pesante
passo di migliaia di cavalieri in marcia.
I sacerdoti tremarono
violentemente affrettandosi ad avvicinarsi al uscio per porre fine al rito e
potersene tornare in fretta nelle loro dimore, nella città poco lontana.
Solo gli occhi dorati
della giovane vittima rimasero immobili, vacui.
Gli assistenti si
affrettarono a farlo scendere dalla portantina e il ragazzo li seguì
docilmente, il passo pesante e lievemente instabile.
Il pesante portale
d’oro venne faticosamente spinto fino ad aprire un sottile, altissimo,
passaggio e il sommo sacerdote riprese a cantilenare la sua nenia mentre
cielo, mare e terra gridavano, scuotendosi con quanta forza avevano in
corpo.
“Sull’altare!” ordinò
il ministro e il giovane dalla capigliatura carminio salì i pochi gradini,
meccanicamente, adagiandosi sulla pietra liscia e candida.
L’anziano capo
dell’ordine fece quindi un cenno brusco con la testa, ai suoi discepoli, che
si affrettarono a bloccare mani e piedi del ragazzo alle possenti catene
d’oro che adornavano i quattro angoli della piattaforma di marmo pregiato.
“Oh nostro signore e
sovrano...” gridò l’uomo, tentando di dare una nota solenne e possente alla
voce appesantita dagli anni, “Oh nostro padrone e maestro..” cantilenò
prendendo dal cuscinetto di raso, che gli porgeva il suo servitore, un
affilato pugnale d’oro massiccio “...accetta il sacrificio del tuo popolo e
placa la tua furia!” gridò sollevando l’arma che regalò migliaia di riflessi
iridescenti alle pareti pallide del tempio.
Il vento ululò
impazzito, spalancando l’enorme porta dorata, entrando prepotentemente nella
grande stanza adorna, spegnendo con il suo soffio gelido tutte le candele
faticosamente accese dai discepoli, sprofondando il tempio, e i sacerdoti,
in una tenebra innaturale, tinta della luce elettrica delle saette e
dell’ansimo morente del fuoco che infine soccombeva alla pioggia.
I tuoni ripresero la
loro possente marcia spingendo le nuvole ad ingrossarsi, agglomerandosi
sopra il tempio candido, mentre le folgori saettavano veloci, tutt’attorno
all’antico luogo sacro, cercando la posizione migliore per vedere, aprendo
tra le coltri bramosi occhi gialli e seghettate fauci.
Il mare si avventò
sulla costa mandando gli spruzzi salati sempre più in alto quasi anch’egli
volesse salire la ripida scogliera per poter entrare nell’edificio e
presenziare al sacrificio mentre il cielo si apriva con un grido straziante,
riversando il suo carico di grandine sul suolo già martoriato.
“In tuo onore... Dio
delle Tempeste!” gridò l’anziano sacerdote abbassando la lama con decisione
sul petto del giovane, immobile, accanto a lui.
Con un suono secco la
leggera veste candida del ragazzo venne lacerata dal colletto fin sotto ai
fianchi aprendola in due pallide metà che si accasciarono ai lati del corpo
dorato del giovane, lasciandolo completamente nudo, esposto alla carezza del
vento e allo sguardo scintillante delle saette.
I sacerdoti ripresero
la loro litania uscendo con passo solenne dal tempio lasciando la vittima
sacrificale legata sull’altare.
Sarebbe stato il Dio a
decidere se prendere la sua vita oppure rifiutarla.
....
L’effetto della droga
cominciò a svanire un paio di ore più tardi.
Hanamichi emerse dallo
stato di appannata confusione muovendo piano il capo.
Uno sguardo al portone,
rimasto spalancato, gli confermò che era ancora notte fonda.
Faceva un freddo
terribile lì dentro ed essere sdraiato su una lastra di marmo gelido non lo
aiutava certo.
Provò a muovere braccia
e gambe con poco risultato, le catene erano troppo corte per permettergli di
sistemarsi meglio.
Sbuffò inferocito
mentre fuori il ruggito del mare e lo scrosciare potente delle pioggia, che
aveva sostituito la grandine, facevano da eco al suo umore tetro.
“E’ tutta colpa tua,
padre!” sbottò per la milionesima volta.
Era tutta colpa di quel
bastardo che aveva messo incinta sua madre e poi era scomparso nel nulla,
abbandonandoli al loro destino, se lui si ritrovava in quella ‘simpatica’
situazione.
Se lui fosse rimasto,
se avesse sposato sua madre... un rumore sordo, diverso dal frastuono
prodotto dalla tempesta, lo distrasse dai suoi borbottii.
“Chi è là?” chiese
sollevando un poco il capo per fissare l’abisso nero che si apriva oltre la
soglia.
Non gli giunse nessuna
risposta ma un ombra più scura delle altre scivolò in avanti,
silenziosamente.
“Chi sei?” gridò
Hanamichi scuotendo le catene.
Non gli piaceva quella
situazione.
Era incatenato, nudo e
intontito dalla droga.
Completamente inerme.
E si sentiva
stranamente intimorito da quella presenza muta e scura che aveva cominciato
ad avanzare sinuosamente verso l’altare a cui lui era legato.
Sperava vivacemente che
si trattasse di qualche stupido novizio venuto a ridicolarizzarlo ma la
grazia mortale che permeava quella creatura sfuggente e la silenziosa
eleganza con cui egli si spostava tra le ombre, sue sorelle, lo spingevano a
propendere per un’altra, spiacevole, soluzione.
Un ladro.
Un profanatore di
templi.
“Non ti avvicinare! Non
sfidare l’ira del Dio!” lo minacciò Hanamichi “Io sono un dono per lui!”
tentò di intimorirlo, sperando che l’altro fuggisse.
“Oh davvero?” fu
la placida, divertita, risposta.
Appena un sussurro
serpentino.
Malizioso.
Hanamichi rabbrividì
agitandosi.
Quella voce era così
bassa, profonda.
Sembrava il sibilo
stesso del vento.
Di nuovo un piccolo
rumore e con un altro passo lo sconosciuto emerse dalle tenebre, spostandosi
in una zona illuminata dall’aritmica furia delle saette, consentendogli di
vederlo.
Liquide ciocche di
oscurità profonda.
Nere.
Come lo sguardo cieco e
maestoso di quel cielo che li osserva con superiore altezzosità, dall’alto
del suo scranno tra i venti.
Iridi di cobalto
screziato.
Blu.
Come l’oceano che
ruggiva, tendendosi, arcuandosi, infrangendosi in mille scintille di
affilata luce, irrequieta e furente, contro gli scogli acuminati.
Liscia, perfetta,
lunare.
Candida.
Come seta, trasparente
e pregiata, la sua pelle, rivaleggiava con l’immacolata purezza del marmo,
parimenti gelida, altera e pura.
Era... bello.
Bello da togliere il
fiato.
Bello al di là del
significato del termine stesso.
Bello oltre ogni...
umana... concezione.
Il cielo si scosse con
un tremito convulso spezzandosi in due, un’unica fiammeggiante folgore
candida, straziò il manto della notte illuminando per un momento, il tempio,
l’altare e... lui.
Quel demone maestoso da
cui Hanamichi non riusciva a staccare gli occhi, incredulo.
Con eleganza felina il
giovane gli si avvicinò facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo nudo,
allungando, con indolente lentezza, una mano pallida, per far scivolare i
polpastrelli gelidi sulla cute dorata, calda, mentre in quei suoi occhi
scuri luci viola intessevano contorte danze, screziando le iridi blu di
desiderio.
“Non toccarm...”
l’esclamazione di Hanamichi si spezzò in un lamento incredulo quando quelle
dita pallide affondarono tra le sue gambe.
S’inarcò spalancando
gli occhi, senza fiato, mentre quella mano fredda si richiudeva sul suo
membro in una stretta intima e possessiva.
“Che... che vuoi...
fare...?” boccheggiò spaventato ma al contempo affascinato da quella
creatura che sembrava partorita dalla tempesta stessa.
“Sono venuto a
prenderti...” fu la laconica risposta del moro mentre il suo volto
calava inesorabile su quello incredulo del ragazzo legato.
Hanamichi avrebbe
voluto lottare.
Gridare.
Avrebbe dovuto
opporglisi.
Come poteva pretende
quell’emerito sconosciuto di entrare nel tempio e prendere ciò che era stato
destinato al Dio?
Ma la sua volontà
s’infranse nelle iridi scure dello straniero.
Affondò in quelle
tenebre screziate dalla luce elettrica delle saette.
Smarrì il respiro al
tocco di quelle dita pallide, leggere e gelide, come il vento che innalzava
il suo canto attorno a loro.
Assordato dal rullo
inconsulto del suo cuore che faceva da timido eco al battito possente del
tuono.
Ipnotizzato.
Completamente irretito
da lui.
In silenzio Hanamichi
reclinò il capo, offrendogli le labbra.
...
“Hana...”
“Hanamichi apri gli
occhi...”
Il rossino socchiuse a
fatica le palpebre richiudendole con un gemito di fastidio quando il sole
caldo del mattino gli ferì le iridi dorate.
“Yohei...” sussurrò con
voce roca e stanca, fissando stranito l’amico d’infanzia.
Il ragazzo gli sorrise
dolcemente ma non riuscì a nascondere una profonda tristezza.
Il rossino lo fissò
senza capire.
“Mi dispiace...”
mormorò il moretto abbassando lo sguardo.
Sakuragi si mise
faticosamente a sedere rendendosi conto solo in quel momento che non si
trovava più sull’altare. Le catene erano state slacciate ed era stato
adagiato tra le sete colorate, uno dei tanti doni preziosi custoditi in un
angolo del tempio.
Qualcuno si era
premurato di mettergli un morbido cuscino sotto il capo e di coprirlo con
uno grosso mantello di velluto rosso foderato di pelliccia.
Sentiva il corpo
indolenzito e pesante, le tempie gli pulsavano lievemente diffondendo un
basso fastidio nel cervello che gli impediva di concentrarsi come avrebbe
voluto.
Scosse il capo cercando
di snebbiare la vista ma ottenne solo un moto di vertigine.
Devo avere la febbre,
pensò, passandosi una mano tra i capelli spettinati mentre l’altra scivolava
a massaggiare il ventre.
Gli faceva male.
“Cos’è successo?”
sussurrò cercando di ricordare.
Il moretto l’aiutò ad
avvolgersi nel mantello “Non lo so...” mormorò porgendogli una coppa piena
di un forte vino speziato perchè l’aiutasse a recuperare un po’ d’energia.
Mito l’osservò bere la
bevanda a piccoli sorsi prima di continuare.
“Sono corso qui
stamattina per liberarti ma quando sono arrivato...” scosse il capo
arrossendo “Ti ho trovato addormentato qui, tra i cuscini...” mormorò
“L’abito da cerimonia è ancora sull’altare...” sussurrò con voce via via più
flebile.
“Hana.... è sporco di
sangue e di...” s’interruppe senza il coraggio di fissare negli occhi il
rossino.
Il bicchiere oscillò
pericolosamente tra le mani di Hanamichi mentre frammenti d’immagini
attraversavano la sua mente annebbiata come fulmini che squarciavano le nubi
scure.
Yohei si affrettò a
prendere dolcemente le mani del ragazzo tra le sue, trattenendo la coppa per
evitare che l’amico la facesse cadere.
“Ricordi qualcosa?”
chiese a bassa voce, timoroso di riportare a galla cose che il compagno
probabilmente preferiva dimenticare.
“Io...” il rossino
scosse il capo confuso “... mi sono svegliato... era ancora buio ma aveva
smesso di grandinare e... è entrato... lui...” sussurrò.
“Lui?” cercò
d’incitarlo Yohei.
Sakuragi annuì “Era
giovane... credo avesse la mia età.... ed era... era bellissimo Yohei..”
mormorò arrossendo e abbassando il capo.
Mito lo fissò sorpreso
da quel suo gesto imbarazzato.
“Pensavo che fosse un
ladro ma... non ha toccato niente....” sussurrò stringendo con forza la
coppa.
“Niente... a parte...
me.” terminò con un brivido a cui non avrebbe saputo dare un significato.
Paura?
Disgusto?
O piuttosto...
“Ti ha... ti ha...” le
parole di Yohei gli permisero di riportare l’attenzione al presente evitando
di cercare risposte a domande che ancora non voleva porsi.
Il moretto si morse le
labbra prendendo un profondo respiro, incapace di continuare ma Hanamichi
sollevò il capo guardandolo negli occhi.
“No...” disse soltanto
arrossendo di nuovo.
“Cioè io... io non
volevo farlo però... non volevo nemmeno fermarlo...” sussurrò incerto
cercando di definire la malia che l’aveva irretito in quel momento “... non
riuscivo a sentire niente... niente se non... lui....” mormorò piano,
stringendo inconsciamente il mantello contro il proprio corpo.
Yohei lo aiutò a
scendere dal grande nido fatto di stoffe pregiate e cuscini di seta, facendo
attenzione che non cadesse, Hanamichi sembrava completamente privo di
energie e a giudicare dalla sua temperatura corporea doveva avere la febbre
alta.
“Vieni ti accompagno
all’abbazia...” disse “...quando avrai riposato un po’ dovremo andare
dall’alto sacerdote. Se un ladro ha profanato il tempio troveremo quell’uomo
e lo uccideremo per ciò che ha osato fare!!” sentenziò duro, poco convinto
dalle parole dell’amico.
Forse era vero che lo
sconosciuto non l’aveva violentato ma aveva comunque approfittato di
Sakuragi, probabilmente facendogli respirare qualche strana droga senza che
l’altro se ne accorgesse, per domare la sua volontà.
Hanamichi si stese sul
carro lasciando che l’amico prendesse posto sulla cassetta mentre il suo
sguardo spaziava nel cielo limpido e azzurro, sopra di lui.
Un ladro... era davvero
un ladro?
Non aveva rubato nulla.
Nulla... a parte....
Fece scivolar e le mani
attorno ai fianchi ricordando quel momento.
Quel attimo di unione
profonda in cui il suo corpo si era spezzato sotto quello dello sconosciuto,
nell’accoglierlo dentro di se.
Hanamichi chiuse gli
occhi lasciando che il sole gli accarezzasse dolcemente il viso, scivolando
nuovamente in un sonno stanco e privo di sogni.
....
Hanamichi ansimò
violentemente, mordendosi le labbra per non urlare.
Strinse con forza le
palpebre intrappolando le lacrime di vergogna e dolore per poi accasciarsi,
con il fiato corto, contro l’ampio materasso bianco mentre il medico si
allontanava dal letto, tranquillamente.
Un giovane paggio dagli
occhi sgranati e dalle guance arrossate si affrettò a porgergli un piccolo
catino colmo d’acqua chiara nel quale l’uomo di ripulì con cura le lunghe
mani sottili.
“Allora...?” chiese
l’alto sacerdote con voce gelida mentre Yohei copriva il corpo tremante del
rossino, passandogli dolcemente una mano tra i capelli rossi.
“E’ tutto finito Hana,
sta tranquillo...” gli sussurrò dolcemente avvolgendolo con attenzione nelle
coperte mentre il rossino affondava il volto nel cuscino cercando di
nascondere le lacrime e di soffocare i singhiozzi.
Perchè dovevano
umiliarlo in quella maniera?
Perchè convocare tutto
il consiglio nella sua stanza?
Non bastava che il
medico accertasse ciò che Yohei aveva già detto loro senza per forza che
quei vecchi bastardi assistessero a tutta l’operazione?
Strinse le mani intorno
al ventre rannicchiandosi su se stesso, maledendo con tutta la forza di cui
era capace quella creatura magnifica che aveva preso ciò che desiderava per
poi lasciarlo in quella situazione tremenda.
La sorte delle vittime
del Dio delle Tempeste era una sola.
Se restavano in vita
significava che il Sovrano dei Cieli aveva voluto concedere loro la grazia
ed essi divenivano per tanto suoi adoratori.
La loro vita, la loro
anima e il loro corpo veniva consacrata al dio.
Pertanto i Figli del
Vento dovevano essere rigorosamente vergini.
Il Signore delle
Tempeste non avrebbe mai accettato che uno dei suoi adepti fosse impuro.
“Il nobile Yohei dice
la verità...” mormorò il medico con voce professionale riportando
l’attenzione dei presenti su di se “...il ragazzo non è più vergine.”
sentenziò asciugandosi le mani su un piccolo telo di spugna chiara.
“Inconcepibile...”
ansimò indignato il Secondo sacerdote.
“Non era mai avvenuta
una cosa simile..” mormorò il Terzo, incredulo, stropicciandosi la veste
nervosamente.
“E’ inaudito!! Il Sommo
Sovrano dei Cieli si infurierà!” gemette un altro lanciando sguardi nervosi
fuori dalla piccola finestra.
“Dobbiamo trovare il
dissacratore e offrire il suo cuore al dio!!” ululò il Quarto, fervente
“Solo così la sua ira non si abbatterà su di noi!!” sentenziò.
Hanamichi avvertiva le
loro voci discutere concitatamente attraverso il velo pesante della febbre.
A nessuno di loro
importava minimamente come si sentisse lui.
Infondo chi era lui?
Nessuno, solo il
Sacrificio.
Uno dei tanti che ogni
cinque anni venivano incatenati all’altare del tempio.
Eppure non era mai
successo, mai, che qualcuno avesse il coraggio di entrare tra le bianche
mura senza essere accompagnato da un Ministro.
Che poi egli avesse
anche osato profanare il ‘dono’ per il Sovrano delle Tempeste era
assolutamente inconcepibile.
I membri del consiglio
lasciarono finalmente la sua camera decidendo di riunirsi per deliberare e
Hanamichi trasse un lungo sospiro quando la porta si chiuse alle loro
spalle.
“Vuoi che ti porti
qualcosa da mangiare?” gli chiese piano Yohei.
Il rossino scosse il
capo piano “No, grazie... ho solo bisogno di dormire un po’...” sussurrò con
gli occhi chiusi.
“Allora ti lascio
riposare...” disse il moro dirigendosi a sua volta verso l’unica porta della
stanza.
“Se ti serve qualcosa
suona la campanella...” disse e il rossino annuì meccanicamente
accoccolandosi sotto le coperte lasciando che il sonno l’avvolgesse nel suo
caldo abbraccio.
Non seppe per quanto
riuscì a dormire, fu il rumore della pioggia che tamburellava dolcemente
contro il vetro della finestra a farlo emergere dal sonno per cullarlo in un
leggero dormiveglia nel quale percepiva le cose attorno a se senza tuttavia
essere ancora del tutto cosciente.
Si mosse a disagio tra
le coperte, aveva caldo e sentiva le lenzuola, pesanti, soffocanti.
Fece per allungare una
mano oltre il bordo del letto per suonare il campanello e chiedere a Yohei
che gli portasse da bere quando avvertì qualcosa di fresco e bagnato che gli
veniva delicatamente posato sulla fronte.
Dita leggere scostarono
le ciocche rosse dal suo viso per impedire che si bagnassero a contatto con
il fazzoletto mentre il rossino tirava un lieve sospiro di sollievo
sentendosi immediatamente meglio.
Yohei doveva essere
tornato indietro per vegliare il suo sonno, ipotizzò, lasciandosi
accarezzare dal tocco lieve di quelle dita gentili e fresche.
Le sentì scivolare
sulla pelle accaldata portandole refrigerio mentre il sonno rischiava
nuovamente di catturarlo ora che si sentiva nuovamente così bene.
Il materasso emise un
mugolio di protesta quando Yohei si sedette alla sua destra, rimboccandogli
le coperte prima di togliere il fazzoletto e alzarsi per bagnarlo
nuovamente.
Il rumore dell’acqua
che veniva rovesciata sul fazzoletto gli rammentò che aveva la gola secca e
automaticamente la sua lingua scivolò a bagnare le labbra.
Pochi minuti dopo
avvertì nuovamente il materasso piegarsi leggermente e quelle dita delicate
deporre il fazzoletto sulla sua fronte.
Stava per aprire gli
occhi e rivelare all’amico che era sveglio quando un paio di labbra
vellutate accarezzarono le sue lasciando che un filo di acqua fredda
scivolasse nella sua gola, refrigerandola.
Quelle labbra...
Quel tocco sensuale
eppure quasi riverente...
Quella sensazione
incandescente, elettrica che era scivolata giù per la sua schiena
infrangendosi in mille brividi...
Hanamichi sbatté le
palpebre stupito, spalancando gli occhi solo per specchiarsi in due laghi
azzurro cupo.
“T..tu?” ansimò
cercando di mettersi a sedere ma lo sconosciuto lo fece adagiare nuovamente
tra le coltri senza una parola.
“Che cosa ci fai qui?”
chiese “E come hai fatto ad arrivare fino alla mia camera?” domando
incredulo.
“Non puoi stare qui!!
Se ti trovano ti uccideranno, devi andartene!” aggiunse subito dopo
ricordando dove si trovavano.
Nonostante solo pochi
istanti prima l’avesse maledetto, nonostante per colpa sua il suo futuro
fosse incerto e il suo presente sgradevole.. non riusciva a desiderare che
gli fosse fatto del male.
Quel ragazzo aveva
smosso qualcosa dentro di lui.. qualcosa di doloroso e al contempo piacevole
a cui non sapeva dare un nome ma che si rifiutava di lasciarlo andare.
Il moretto gli pose
l’indice sulle labbra, zittendolo.
“Shh...” sussurrò piano
“...dormi...” mormorò con quella voce bassa e ipnotica che il rossino
ricordava ancora fin troppo bene.
“Ma...” cominciò a
protestare il ragazzo, cercando nuovamente di rialzarsi nonostante il
vorticare confuso della stanza tutt’intorno a lui.
Il moretto sollevò gli
occhi al cielo, con uno sbuffo tra l’esasperato e il divertito, prima di
chinarsi a sfiorargli le labbra con le sue, in un lungo, caldo, bacio.
Quando lo lasciò andare
il rossino lo fissava con gli occhi sgranati, le guance arrossate, incapace
di proferire parola.
“Ora..” sussurrò il
moro “...dormi” ripetè con una lieve nota di comando nella bella voce
profonda e un momento più tardi il rossino era nuovamente scivolato nel
sonno.
....
“Era qui...” mormorò
Hanamichi piano, all’amico che lo fissava incredulo.
“Qui?” chiese Yohei
perplesso “Ma Hana non è possibile!” sbottò “Siamo al quinto piano e le
pareti dell’abbazia non offrono certo appigli!” gli ricordò “E non può
essere passato dal corridoio senza farsi vedere da qualcuno!!” ragionò
“Forse l’hai sognato...” cercò di dire senza offenderlo.
“Non l’ho sognato!”
sbottò vivacemente il ragazzo agitando le braccia.
La febbre era
scomparsa.
Non sapeva quanto tempo
fosse passato dopo che si era addormentato per la seconda volta ma quando
Yohei lo aveva svegliato per la cena la febbre era completamente sparita e
lui si sentiva nuovamente bene.
Seduto sul letto, la
schiena appoggiata ai cuscini, il rossino sospirò esasperato.
Non se l’era sognato!
Ne era sicuro!
Eppure quello che
diceva Yohei era vero, era quasi impossibile che fosse giunto alla sua
camera senza che nessuno lo vedesse.
E poi... per cosa...
solo per... lui?
Era folle!
Forse aveva ragione
Mito... forse...
Scosse il capo
allontanando quei pensieri e il ricordo della dolcezza che il moretto gli
aveva riservato “Che ha deciso il consiglio?” chiese invece, tornando a
fissare l’amico.
Yohei gli sorrise “Ti
concederanno di restare...” mormorò “..anche se non potrai fregiarti del
titolo di Figlio del Vento e non ti sarà consentito di fare carriera
all’interno dell’ordine..” spiegò.
Hanamichi emise un
flebile sospiro.
Temeva che lo avrebbero
cacciato.
Per quanto non fosse
particolarmente devoto o religioso quella era l’unica casa che aveva, al di
fuori delle mura dell’abbazia per lui non c’era niente, non c’era mai stato
da quando sua madre era morta, pochi anni dopo averlo dato alla luce.
Mei Sakuragi, da cui
lui aveva preso il cognome, era una donna bellissima, dal carattere forte e
dal sorriso solare.
Tutti l’amavano.
Aveva l’innocenza pura
e splendente di una bambina e sapeva sempre come strappare un sorriso o una
risata.
Aveva molti
corteggiatori in città ma lei... lei era una sognatrice.
Amava fantasticare,
raccogliendo fiori attorno al tempio, fuori dalle mura della città, laddove
le altre, per timore, non si spingevano.
Poteva passare ore
intere a sognare ad occhi aperti magnifiche avventure, principi stranieri,
luoghi misteriosi.
E quando, in quel
giorno in cui il sole splendeva in tutta la sua focosa, dorata,
luminescenza, aveva incontrato quell’affascinante sconosciuto dalla bellezza
sconvolgente aveva creduto che i suoi sogni fossero divenuti, infine,
realtà.
Lui così splendido,
tanto da offuscare il sole, sedeva sui gradini del tempio, lo sguardo
puntato nel vuoto.
“Sembrava così..
triste..” era solita ricordare lei quando parlava al piccolo Hanamichi i
quel giorno lontano.
Lei gli aveva porto un
fiore, appena colto, e lui le aveva regalato un lieve sorriso.
Non avevano parlato,
erano rimasti in silenzio a guardare la brezza accarezzare le corolle dei
fiori, trasformando il prato in un’ondeggiante mare arcobaleno mentre
l’oceano sotto la scogliera sussurrava per loro, finchè lui si era alzato,
per andarsene.
E allora Mei lo aveva
afferrato per un lembo della veste e gli aveva scoccato un bacio, a
tradimento, sulle labbra.
Quante volte sua madre
gli aveva ripetuto, sin dalla tenera età, che non doveva biasimare suo
padre.
Che era rimasta così,
indissolubilmente affascinata da lui, che non aveva potuto lasciarlo andare
così.
Che aveva sentito il
bisogno di lasciargli qualcosa, di farsi lasciare qualcosa da lui.
La loro passione era
durata solo quella notte, poi lo sconosciuto, così com’era arrivato era
scomparso, lasciandola però in attesa di un figlio.
Quando gli raccontava
di aver scoperto la gravidanza sua madre sorrideva sempre, raggiante,
felice, passandogli con dolcezza una mano tra le ciocche ribelli.
“E così sei nato tu...”
mormorava con voce sognante “...con i capelli rossi come il sacro fuoco del
giorno e la pelle dorata come se il dio del sole stesso avesse posto il suo
bacio su di te..” sussurrava incantata e poco importava che lei avesse la
carnagione chiara e i capelli castani e che avere un figlio al di fuori del
matrimonio fosse considerato un atto molto grave dal clero.
L’aspetto del piccolo,
inoltre, toglieva ogni possibile dubbio sulla sua natura.
Un mezzosangue.
Il figlio di uno
straniero.
Nato da un rapporto
segreto, vietato.
La madre di Hanamichi
era stata completamente emarginata dal resto del popolo, costretta ad
allevare il bambino e a coltivare il suo piccolo campo, da sola.
Nessun uomo andava a
caccia per lei, nella foresta poco lontana.
Nessun marito riparava
le crepe del loro tetto, ai margini della città.
D’inverno solo poca
paglia e qualche straccio li proteggeva dal freddo.
Mei tuttavia non si era
mai arresa, mai una volta, nemmeno nei momenti più difficili aveva maledetto
quell’uomo che le aveva fatto il più bel dono che avesse mai ricevuto.
Gli stenti tuttavia
finirono per indebolire la giovane donna e con il passare degli anni lei
divenne sempre più stanca finchè, il giorno del sesto compleanno del suo
bambino, ella si recò all’abbazia chiedendo ai sacerdoti di accogliervi suo
figlio.
I ministri rifletterono
a lungo se accettare o meno tra le loro mura il figlio del peccato ma, alla
fine, decisero che fare di lui un buon sacerdote avrebbe reso a tutti palese
la loro santità e così aprirono le porte al giovane Hanamichi.
Mei morì pochi mesi più
tardi lasciandolo solo al mondo in un luogo dove, tutti coloro che lo
guardavano, vedevano chiaro in lui il segno della sua nascita.
Tutti, tranne Yohei.
Secondo genito di una
delle nobili famiglie della città, per non essere d’intralcio al fratello,
che doveva succedere al padre, il ragazzo era stato destinato alla carriera
religiosa.
Tuttavia il moretto non
aveva nessuna vocazione e tanto meno interesse, se non quello di divertirsi,
e così, ben presto, lui e Hanamichi si ritrovarono frequentemente a
colloquio dal Gran Sacerdote o a spazzare il cortile interno dell’abbazia,
dalla neve, per fare penitenza per la loro ennesima marachella.
Quando, quell’anno,
Hanamichi aveva compiuto i suoi sedici anni, pochi mesi prima dello scadere
dei cinque anni di rito per il Sacrificio, al rossino era stato fin troppo
chiaro a chi sarebbe toccata la sorte dell’altare.
“Vedila dal lato
positivo...” mormorò Yohei quando il ragazzo gli comunicò che il ‘destino’
aveva scelto proprio lui, tra tutti i sedicenni del monastero, per la
cerimonia. “..diventerai un Figlio del Vento” aveva cercato di tirarlo su.
“Mi metteranno su un
altare... nudo..” aveva protestato il rossino arroventandosi in volto “..e
mi lasceranno lì a morire di freddo. Se tutto va bene mi prenderò una
polmonite e solo per cosa...?” aveva chiesto gesticolando “Per onorare un
Dio, che sono convinto non esista, e per essere costretto alla castità per
il resto della mia vita! Almeno ai sacerdoti normali è concesso sposarsi!!”
Ma c’era stato poco da
fare.
Il sorteggio aveva
fatto uscire proprio il suo nome.
D’altronde era ormai
risaputo che quel compito spiacevole toccava ‘casualmente’ sempre ai ragazzi
alle cui spalle non c’era una famiglia in grado di offrire un cospicuo dono
al dio, o meglio ai sacerdoti, per evitare al proprio figlio quel destino.
“E di lui che ne
sarà..” chiese Hanamichi allontanando i ricordi del passato.
Yohei scosse il capo
“Hanno messo una condanna a morte sulla sua testa, aspettano solo che tu dia
loro la sua descrizione per cominciare a cercarlo..” mormorò.
“Non mi ha
violentato..” sussurrò Hanamichi piano, stringendo le lenzuola tra le dita.
Mito scosse il capo
“Questo lo dobbiamo sapere solo tu ed io, Hana..” mormorò “..se il Consiglio
sapesse che è stato un atto consensuale... lo sai quale sarebbe al tua
pena..” gli ricordò cupo.
“Cento frustate e
l’esilio oltre le mura della città..” annuì il rossino, piano.
“Già..” sussurrò il
moretto “..e lui sarebbe comunque condannato a morte..” aggiunse.
Sakuragi sospirò piano,
chiudendo gli occhi.
“Perchè è capitato a
me..?” domandò stancamente ma Yohei non aveva una risposta da dargli.
...
Hanamichi dovette
fornire la descrizione che il consiglio voleva e dovette farlo sotto
l’effetto del Siero dell’Obbedienza.
Aveva sperato di dare
delle informazioni imprecise ma il Gran Sacerdote pareva aver intuito più di
quello che aveva lasciato capire e aveva insistito per far bere ad
Hanamichi, prima della confessione, quella droga che già una volta aveva
annientato ogni sua volontà.
Tuttavia,
fortunatamente, nessuno aveva chiesto al rossino se il loro atto fosse
consensuale, intenti solo a tracciare un identikit del profanatore e
Sakuragi fu, infine, lasciato libero di tornare ai suoi compiti.
La paura che gli
comunicassero la cattura del suo amante si affievolì con il passare dei
giorni.
Il ritratto che avevano
fatto del suo ‘aggressore’ e che ora spiccava, probabilmente, un po’ per
tutta la città, era soltanto vagamente somigliante e non poteva minimamente
sperare di riprodurre la bellezza irreale del volpino.
Hanamichi aveva
cominciato a tranquillizzarsi, dunque, cercando di ignorare i nuovi commenti
che giravano su di lui, o nel peggior dei casi, di metterli a tacere a suon
di testate, ricominciando a vivere la sua solita vita, divisa tra i lavori
per l’abbazia e le convocazioni del Gran Sacerdote per i suoi ‘atti
sconsiderati’.
Quel giorno stava
giusto uscendo dallo studio dell’uomo, borbottando tra se che una testata
non aveva mai ucciso nessuno, quando lo scroscio della pioggia attirò la sua
attenzione sul cortile interno.
Rimase senza fiato, gli
occhi sbarrati, nel notare il suo amante pigramente seduto sotto l’ampio
portico, fortunatamente deserto, lo sguardo blu, puntato su di lui.
“Che diavolo ci fai
qui!” ansimò, correndo giù per la piccola rampa di scale, afferrandolo per
un braccio e affrettandosi a tirarlo in un corridoio laterale.
Si guardò
forsennatamente attorno, tirando un sospiro di sollievo quando notò che
nessuno sembrava averli visti.
“Sei impazzito!”
esplose, cercando tuttavia ti tenere un tono di voce bassa “Ti sta cercando
mezza città per farti la pelle e tu vieni QUI!” sbottò gesticolando.
Il moro sollevò un
sopracciglio sorpreso prima che le sue labbra si piegassero in un morbido
sorriso “Ti preoccupi per me?” chiese facendo scivolare delicatamente un
braccio intorno alla sua vita.
Il rossino sussultò
facendo un passo indietro ma l’altro fu veloce a spingerlo contro la parete
premendosi contro di lui.
“Allora do’aho..?” gli
sussurrò sulle labbra “Ti preoccupi per la mia incolumità..?” domandò
sinuoso.
Il ragazzo arrossì
cercando di sfuggire al dominio di quegli occhi blu.
“Figurati se mi
preoccupo per qualcuno di cui non so nemmeno il nome!” sbottò cercando di
mantenere un’aria dura ed indifferente nonostante il calore del corpo
dell’altro, premuto contro il suo.
“Kaede Rukawa..”
mormorò il moro allungando il viso per deporgli una bacio alla base del
collo.
Il viso di Sakuragi si
arroventò violentemente “Che..che stai facendo!?” ansimò.
Rukawa sollevò il viso
e Hanamichi si sentì nuovamente annegare in quelle iridi screziate di luce.
“Tu mi appartieni..”
mormorò serio, la bella voce profonda, fredda e imperturbabile come la
pioggia che continuava a cadere, costante, infinita.
Incatenato a quelle
iridi scure in cui lampeggiavano scariche d’ira elettrica Hanamichi fu
incapace di negare, o anche soltanto di rispondere.
Un tuono rumoreggiò in
lontananza riempiendo con il suo minaccioso ringhio il silenzio che si era
interposto tra loro mentre il vento si sollevava lieve, scivolando sornione
ad attorcigliarsi alla sua veste, infilando le sue dita trasparenti tra i
suoi lembi, in impudenti, gelide carezze.
Hanamichi rabbrividì,
piano, spingendosi contro il corpo del compagno, inconsciamente alla
ricerca del suo calore, mentre un ansito leggero gli schiudeva le labbra.
Il moro sorrise,
soddisfatto, chinandosi a chiudere con la bocca del compagno con la propria,
in un lungo bacio, mentre il vento, assolto il suo compito, si ritirò,
silenzioso com’era venuto.
Hanamichi si lasciò
violare, ipnotizzare, ancora una volta dal suo tocco, lottando contro di lui
solo per qualche momento prima che la carezza sapiente delle sue labbra
soggiogasse completamente la sua volontà facendogli piegare le ginocchia.
Rukawa lo lasciò andare
delicatamente, sorreggendolo con un braccio, sorridendo dolcemente quando
incontrò lo sguardo appannato del compagno.
Sollevò una mano, per
passandogliela tra le ciocche rosse e Hanamichi chiuse gli occhi lasciandosi
accarezzare, vinto dalla tenerezza di quel gesto rassicurante.
“Perchè io..?” sussurrò
senza aprire gli occhi.
Il moro si aspettava
una domanda simile ma non aveva una risposta da dargli.
Perchè lui?
Rukawa se lo chiese a
sua volta.
Perchè lui?
Perchè rischiare per
quel rossino?
Non lo sapeva.
Ma dalla prima volta
che l’aveva visto, lì, sulla portantina diretta al tempio, in mezzo a quella
massa di stupidi sacerdoti, una fiamma viva nella notte, una luce calda
sotto la gelida pioggia, non era riuscito a toglierselo dalla mente.
Aveva varcato la soglia
del tempo trovandolo caldo e inerte, sull’altare, per lui.
Lo aveva preso senza
pensare.
Aveva annebbiato la sua
mente, posseduto il suo corpo, sfiorato la sua anima.
E poi, quando tutto era
finito, lo aveva guardato giacere lì, svenuto, su quel marmo nato candido al
solo scopo di accentuare il colore dorato della sua pelle.
Avrebbe potuto
benissimo lasciarlo incatenato al suo destino ed andarsene ma qualcosa
dentro di lui era scattato alla vista di quel corpo esausto.
Lo aveva liberato,
deposto tra i cuscini, coperto perchè non si ammalasse.
Era rimasto a vegliare
il suo sonno in un turbato, perplesso, silenzio finchè Akira non era giunto
a richiamarlo, portando con se l’alba di un nuovo giorno.
A lungo, nella comodità
del suo grande letto, nella ricchezza della sua dimora aveva pensato a quel
ragazzo dai capelli rossi.
Il divertimento
proibito di una notte.
Nient’altro.
Quante volte se l’era
ripetuto?
Quante volte l’aveva
detto al fratello che, curioso, gli aveva chiesto cos’era accaduto?
Eppure... nessuna di
quelle volte la sua voce era risultata convincente.
C’era sempre quella
nota perplessa.
Quella domanda non
posta.
Qualcosa non detto.
E più il tempo passava
più la voglia di andare a vedere come stava, cosa faceva, come viveva,
tornava a tormentarlo.
Lui, che non si era mai
curato di niente e di nessuno.
Si era intrufolato nel
monastero per mettere la parola fine a quella follia.
Vederlo nel suo
ambiente, sotto la piena luce del giorno, gli avrebbe mostrato la vera
natura del suo sogno notturno.
Nient’altro che un
comunissimo ragazzino coi capelli rossi.
Ecco che cos’era.
Ecco che cosa doveva
essere.
L’aveva trovato nella
sua stanza, all’abbazia, come si era aspettato.
L’aveva trovato tra le
lenzuola arruffate, con la febbre alta.
Le guance umide di
pianto e il volto arrossato.
I capelli scarlatti
sparsi sui guanciali candidi.
Le labbra socchiuse, il
sonno inframmezzato da qualche debole ansito.
Indebolito.
Indifeso.
Ferito.
E qualcosa gli si era
rovesciato nello stomaco.
Come una colata
incandescente un moto di tenerezza lo aveva avvolto spingendolo ad
avvicinarsi al suo giaciglio, a placare la sua arsura con un po’ di
refrigerio.
Ma, se la febbre del
rossino era calata pian piano, svanendo, la febbre che si era impossessata
di lui... quella sembrava non trovare sfogo.
Continuava a
tormentarlo, a corroderlo, placandosi solo quando il suo sguardo si posava
su quelle chiome rosse e le sue mani sfioravano quella pelle dorata.
Perchè lui?
Non lo sapeva.
Poteva essere affetto
il sentimento che provava?
O peggio.. amore?
Il rumore di alcuni
novizi che si avvicinavano fece sussultare il rossino.
“Devi andartene!”
mormorò liberandosi dal suo abbraccio “Scappa di là!!” mormorò indicandogli
una svolta del corridoio.
Rukawa lo fissò per un
istante, in silenzio, mentre i passi si facevano più vicini.
Socchiuse le labbra per
parlare ma poi scosse il capo e si avviò nella direzione indicatagli, fatti
pochi passi tuttavia si fermò, afferrandolo per la veste, attirandolo a se.
“Me ne vado...” mormorò
posandogli un bacio sulle labbra “...ma tornerò” promise.
“Perchè!?” esclamò il
rossino esasperato.
Possibile che quel
pazzo non si rendesse conto che rischiava la vita ad intrufolarsi
nell’abbazia?
Era una follia!
Un’assurda follia!
Ma il moro gli sorrise.
Un lieve, leggero,
sorriso, carico di qualcosa che Hanamichi non aveva mai visto ma che il suo
cuore riconobbe, sussultando.
“Per te..”
E Hanamichi rimase
immobile a fissare le ombre che avevano inghiottito la sua figura elegante
mentre quel sussurro gli accarezzava l’udito e la sua mano destra saliva a
sfiorare le labbra.
Erano calde, umide.
Sarebbe tornato.
Quel pazzo sarebbe
tornato anche se rischiava la vita.
“Perchè!?”
“Per te...”
....
“Accidenti!!” mormorò
Yohei quella sera quando si ritrovarono nella stanza del rossino “Dev’essere
davvero abile per essere riuscito ad infilarsi qui dentro senza farsi
beccare!” esclamò.
“Non lodarlo!” sbottò
il rossino cupo “E’ stato fortunato ma la prossima volta potrebbe non
esserlo altrettanto!” esclamò “E se lo catturano lo sgozzeranno!” disse
nervosamente, passandosi una mano tra i capelli rossi, con rabbia.
“Ti stai preoccupando
per lui?” gli chiese dolcemente Yohei, ponendo inconsapevolmente la stessa
domanda che gli aveva già fatto il moro.
Hanamichi arrossì
abbassando il capo “Io.. io..” mormorò “Yo.. secondo te... esiste il
colpo di fulmine..?” domandò piano.
“Hana!” mormorò
preoccupato Mito “Vuoi dirmi che ti sei innamorato di lui!?” chiese
incredulo.
“Non lo so!” sbottò il
rossino adirato “Non lo so..” ripetè con un filo di voce “Ma quando lui mi
guarda, quando mi tocca... io...” arrossì, sentendosi stupido.
“Non puoi innamorarti
di lui..” mormorò Mito preoccupato
“Lo so!” sbottò il
rossino “Ma non è una cosa che posso controllare... mia madre mi deve aver
lasciato in eredità il brutto vizio di scegliere la persona sbagliata..”
sussurrò cercando di scherzare e Yohei non seppe che dire, allungandosi con
un sospiro per abbracciarlo.
Era un guaio.
Un grosso guaio.
...
I giorni successivi
passarono in una continua tensione per il rossino.
Rukawa spuntava di
tanto in tanto, nei momenti più impensati, nei luoghi che tutti
frequentavano abitualmente.
Il rossino continuava a
temere che lo catturassero ma l’altro sembrava avere un’incredibile abilità
nel defilarsi senza farsi vedere e tutte le volte il tempo che passavano
insieme si allungava.
Sempre di più.
Ai baci erano seguite
le carezze.
E poi i vestiti avevano
cominciato a cadere.
Sempre un po’ di più,
sempre un po’ più avanti verso quel confine che non andava raggiunto.
Fino al limite laddove
la loro felicità si sarebbe spezzata...
Hanamichi mugolò piano,
emergendo dalle maglie del sonno.
Si sentiva strano...
accaldato.
Qualcosa gli sfiorò la
guancia, un gesto leggero e riverente seguito dal fruscio delle lenzuola.
Emise un flebile ansimo
nell’avvertire il corpo nudo dell’altro avvicinarsi al suo, gemette piano
quando una gamba scivolò tra le sue obbligandole obbedientemente a
schiudersi per lui.
Socchiuse gli occhi
incontrando lo sguardo blu del moretto. Appoggiato ad un gomito, l’altro lo
guardava, la mano libera che scendeva ad accarezzargli il ventre in una
lenta carezza circolare.
Erano ormai diverse le
notti che Kaede passava con lui.
Si baciavano.
Si accarezzavano.
Si erano spinti
reciprocamente al piacere ma non erano mai andati fino in fondo.
Come se, questa volta,
il volpino volesse rispettare tutte le tappe.
Almeno... fino a quel
momento.
Hanamichi lo fissò
senza sapere che dire e il moro si chinò su di lui sfiorandogli
delicatamente le labbra con le proprie, accarezzandogliele prima di
obbligarlo a socchiuderle per lui, facendo scivolare la lingua tra esse.
Le forzò dolcemente,
allargandole mentre spingeva un po’ di più il viso contro il suo, lasciando
che i loro menti si sfiorassero piano, che le ciocche nere gli cadessero
sulla fronte a mescolarsi con quelle rosse, arruffate.
Lo baciò lentamente
lasciando all’altro il tempo di accettare la sua intrusione e di
arrendervisi.
Il rossino sollevò le
braccia mentre un sospiro leggero s’infrangeva contro la bocca del moro,
cingendogli le spalle, e Rukawa si spostò con attenzione sopra il suo corpo
nudo, facendo combaciare i loro bacini, staccando le labbra dalle sue quando
lo sentì sussultare.
“Va tutto bene..” gli
mormorò piano, chinandosi a sussurrare quelle parole nel suo orecchio, prima
di posare un bacio sulla pelle delicata del collo, strofinando delicatamente
la punta del naso tra le ciocche carminio, inspirandone il profumo
selvaggio, facendolo ansimare.
Hanamichi si tese
contro di lui e Rukawa non riuscì a trattenere un gemito quando quel
movimento portò le loro virilità a sfiorarsi.
Sollevò il viso
fissandolo con passione, intenerendosi nel notare lo sguardo confuso,
liquido, del suo prigioniero e le sue labbra socchiuse, ancora umide dal
loro ultimo bacio.
Gli porse un lieve
sorriso passandogli una mano tra i capelli, dolcemente, osservandolo
sospirare e chiudere gli occhi.
Tremava tra le sue
braccia.
Lo baciò di nuovo,
dolcemente, mentre cominciava a muovere il bacino contro il suo.
Hanamichi sussultò,
stringendogli con forza le mani sulle spalle, e Rukawa lasciò che una mano
scivolasse in basso ad accarezzargli un fianco.
Sfiorò quella pelle
dorata con lenta, ipnotica, riverenza, la passione addolcita dalla
confusione che leggeva nel tremore del corpo sotto il suo.
La prima volta che
l’aveva avuto l’aveva irretito.
Non voleva fargli male
ma sapeva che il ragazzo non gli si sarebbe concesso spontaneamente e così
aveva imbrogliato.
Ma ora.. ora il rossino
era libero.
Completamente libero di
accettarlo o di rifiutarlo.
S’impose di muoversi
piano contro il suo bacino facendo strofinare i loro sessi, lasciandogli il
tempo di assorbire quelle sensazioni nuove, quel piacere che sembrava
sconvolgerlo.
Gli liberò le labbra
per lasciarlo respirare continuando ad accarezzargli i capelli spettinati e
il rossino affondò il capo nella sua spalla, nascondendo il volto rosso
d’imbarazzo contro il suo collo candido.
Rukawa lo strinse
dolcemente a se cominciando a muoversi, trattenendolo contro di se quando lo
sentì sussultare forte e ritrarsi un poco nel suo abbraccio.
“Lasciati andare..”
mormorò piano sollevando un po’ il bacino per permettere al proprio sesso
teso di stimolare meglio quello del compagno.
Hanamichi ansimò contro
il suo collo stringendo inconsciamente le gambe.
“Così..” lo istruì
Rukawa accarezzandogli una coscia, facendogliele aprire nuovamente.
Il ragazzo gemette
piano ma lentamente assecondò il suo movimento lasciando che l’altro gli
divaricasse le gambe per posarsi meglio contro di lui.
Il volpino lo obbligò a
sollevare il viso soffiandogli un “Bravo piccolo...” contro le guance
arrossate prima di spingere delicatamente il proprio corpo contro quello del
compagno facendogli sbarrare gli occhi a quel contatto così intimo, così
caldo, spingendolo ad inarcare la schiena, per gemere forte.
Rukawa gli baciò la
gola, lasciata scoperta da quel movimento sensuale, scendendo poi a deporgli
una lunga scia di baci e lievi morsi sulla pelle dorata, spingendo il
ragazzo a gemere ancora, il capo che si agitava sconnessamente sul cuscino
mentre il volpino scendeva sotto le lenzuola.
Il rossino ansimò,
contorcendosi, ignorando le coltri che scivolavano, dimenticate, a terra,
mentre dietro le palpebre socchiuse osservava il moro ridisegnare i muscoli
del suo corpo, con la lenta, meticolosa, attenzione di un pittore.
“No!” gridò quando il
volpino, ormai giunto al suo ventre, gli posò entrambe le mani contro le
cosce, abbassando il viso verso il suo sesso.
“Rilassati... non ti
farò male..” gli sussurrò il moro prima di chinarsi a baciargli la punta del
membro.
Hanamichi ansimò
pesantemente, incapace di distogliere lo sguardo dalle iridi blu del
compagno che si chinava, nuovamente, sul suo sesso.
Morse un gemito,
trattenendolo tra le labbra gonfie, quando l’altro appoggiò di nuovo la sua
bocca contro il suo membro.
Questa volta però il
volpino non si allontanò ma premette il viso, piano, verso il basso,
lasciando che il sesso turgido del compagno si aprisse delicatamente un
varco tra le sue labbra chiuse, strofinando delicatamente contro la sua
pelle sensibile, lasciandolo appoggiare contro la superficie dura dei denti
prima di permettergli di proseguire nella sua bocca, fino in fondo, alla
gola.
Hanamichi ansimava
pesantemente, gli occhi sbarrati fissi su un soffitto che non vedeva, il
ventre in fiamme, incapace di muoversi, trattenuto contro il materasso dalle
mani candide del suo carnefice.
“Ti prego..” supplicò
cercando di far forza sugli addominali per spingere il proprio membro dentro
quella bocca così calda e bagnata.
Il volpino acconsentì
alla sua preghiera, lasciandogli le cosce, facendo scivolare le mani più su,
sulle sue anche, e Hanamichi si mosse piano, irrigidendosi subito dopo,
quando la frizione della pelle contro le labbra morbide del moro gli scatenò
una violenta scarica elettrica nel ventre.
Rukawa allora sollevò
il viso obbligando il rossino a tendersi e a gemere, il ventre che si
sollevava inconsciamente ad inseguire quel calore che lo lasciava, l’aria
calda della stanza gli parve gelida contro quei pochi centimetri di pelle
umida che il moro andava liberando dalla prigionia della sua bocca.
Gemette allungando le
mani, che aveva serrato contro le lenzuola, per affondare le dita nei suoi
capelli scuri, quando l’amante lo liberò completamente per deporre un altro,
lieve, quasi tenero, bacio, sulla punta del suo sesso ormai teso allo
spasimo.
“Tutto bene
piccolo...?” gli domandò sulla pelle tesa, mandando una lunga scarica di
brividi lungo il corpo del ragazzo.
Rukawa sorrise nel
vedere la sua pelle incresparsi sotto il suo fiato e soffiò di nuovo,
delicatamente, proprio laddove piccole goccioline perlacee avevano
cominciato a rilucere.
Sakuragi ansimò
pesantemente stringendogli con forza le mani tra i capelli e Rukawa
l’accettò come una risposta positiva prima di chinarsi ad assaggiare il
sapore del compagno.
Il ragazzo gridò quando
quella lingua impertinente violò delicatamente la sua carne laddove era più
sensibile, premendo con decisione sulla sua punta per ottenerne altro
nettare.
Cominciò a tremare con
forza mentre il suo sesso si bagnava di più e il volpino decise che l’aveva
torturato abbastanza nel sentire il respiro del compagno spezzarsi in un
piccolo singhiozzo.
Lo prese nuovamente in
bocca facendolo affondare completamente dentro di se prima di ritrarsi,
stringendo le labbra sulla sua carne gonfia, lasciando che la lingua
stuzzicasse le vene tese, prima di farlo riaffondare ancora.
Hanamichi gridava.
Gridava, gemeva,
ansimava, incapace di dare una priorità al respirare o allo sfogare ad alta
voce il piacere che gli stava esplodendo nel ventre, serpeggiandogli in un
incendio incontrollato su per il petto per poi piantarsi nella sua mente,
proprio dietro gli occhi, in acuminati lampi di luce incandescente che gli
riempivano le iridi di lacrime.
Il volpino si abbassò
ancora spingendo la mano destra sulla schiena del compagno, approfittando
che questi, incapace ormai di controllarsi, aveva preso a sollevare il
bacino per inseguire le sue labbra.
Gli accarezzò i glutei
con riverenza e poi fece scivolare le dita tra le natiche trovando ciò che
cercava, affondandovi due dita con forza.
Hanamichi gridò
sbarrando gli occhi, venendo nella sua bocca con un fiotto violento e caldo.
Il volpino lo ripulì
con cura prima di liberarlo dalla sua bocca, lasciando però le dita
dov’erano, cominciando a muoverle piano mentre il ragazzo sotto di lui
ancora riprendeva fiato.
Il rossino ansimava
pesantemente stringendo gli occhi quando queste affondavano dentro di lui,
troppo debole tuttavia per ritrarsi, la mente ancora così ottenebrata dal
piacere che il dolore gli arrivava lentamente, confuso.
Rukawa si sollevò a
chiudergli le labbra martoriate con le proprie lasciando che i loro sapori
si mescolassero, mentre la sua mano lo allargava delicatamente, soffocando
le sue fievoli proteste nella propria bocca.
Quando lasciò le sue
labbra trovò il rossino che lo fissava con occhi liquidi, sulla guancia
destra la trasparente scia di una lacrima silenziosa. Gli sorrise dolcemente
chinandosi a raccogliere quella traccia salata mentre la sua mano gli
strappava un fievole ansimo che il rossino tentò di soffocare contro il suo
petto.
Il moretto stuzzicò
nuovamente quel punto sensibile, lasciando che le proprie dita affondassero
in quel calore così stretto e accogliente, e questa volta il rossino emise
un vero e proprio gemito, facendo sorridere l’amante nel vedere come si era
morso le labbra, troppo tardi, per soffocare quell’ansito di piacere.
Rukawa lo obbligò a
sollevare di più il viso per riappropriarsi della sua bocca e Hanamichi gli
strinse le braccia attorno al petto, cominciando incerto a saggiare con le
dita quella pelle serica, scintillante e umida.
Il moro gli soffiò un
gemito contro le labbra e Hanamichi si mosse piano, andandogli incontro,
sussultando quando avvertì un terzo dito farsi strada dentro di lui.
“Rilassati..” mormorò
il volpino contro la sua guancia deponendo una pioggia di baci sul suo volto
arrossato.
Hanamichi deglutì un
paio di volte prima di annuire con il capo, piano, ritrovandosi un attimo
più tardi a gettare indietro la testa, con un lungo lamento inarticolato,
quando il moro ricominciò a muovere la mano dentro di lui.
Rukawa fece scivolare
la mano libera tra le gambe divaricate dell’amante riprendendo ad
accarezzare il suo sesso teso finchè lo sentì nuovamente ansimare di
piacere, allora lo liberò delle dita, posizionandosi il proprio membro
contro di lui, ma il rossino lo bloccò, piantandogli entrambe le mani sul
petto, allontanandolo.
“Che cosa c’è?” gli
chiese perplesso, preoccupato di aver fatto qualcosa che aveva spaventato
l’altro.
Ma non c’era timore
negli occhi del rossino solo... imbarazzo.
Senza una parola
Hanamichi si scostò da lui, prima di voltarsi per mettersi supino.
“Perchè..?” gli chiese
il moro stendendosi sulla sua schiena, facendogli scorrere una mano sulle
natiche per poi sfiorare il contorno della sua apertura, arrossata e
allargata, per lui.
“Vuoi nasconderti..?”
gli soffiò nell’orecchio con voce maliziosa osservando il pudore con cui il
ragazzo nascondeva il volto nel cuscino.
Spinse delicatamente il
proprio membro contro il suo corpo, facendolo ansimare pesantemente,
spingendolo a sollevare la testa di scatto, dal suo nascondiglio, per
lanciare un lungo lamento.
Rukawa gli baciò il
collo teso allungando il viso per mordicchiargli il lobo sinistro “Mi..
senti..?” gli ansimò contro l’orecchio mentre il suo sesso scivolava qualche
centimetro ancora, dentro l’altro.
“Non c’è modo per te di
fuggire da me..” gemette con voce roca, contro il suo collo, sentendolo
tendersi sempre di più sotto di se, mentre, centimetro dopo centimetro,
affondava nel suo calore.
Rukawa appoggiò i
fianchi contro i glutei dell’amante, ormai completamente avvolto dalla sua
carne, tesa, stretta, incandescente e Hanamichi rimase immobile, il corpo
inarcato sotto il suo, il sesso dolorosamente premuto contro il materasso,
il peso del moretto che lo schiacciava contro le coltri, il suo membro, a
fondo, nel proprio corpo.
“Sei mio...” ansimò
Kaede e il rossino si rese pienamente conto, in quel momento, che aveva
ragione.
Non c’era modo di
sfuggire al sentimento che lo sconvolgeva ogni volta che l’altro lo toccava,
lo guardava, gli parlava.
Non c’era modo di
negare il possesso dell’altro sul suo corpo e sulla sua anima.
Una lacrima scivolò
oltre i suoi occhi spalancati e Rukawa si spinse in avanti, muovendosi sopra
di lui, dentro di lui, per raggiungergli il viso e cancellarla con un bacio.
“Ti amo..” gli sussurrò
contro i capelli arruffati prima di sollevarsi un poco e assestare una
prima, lieve, spinta.
Hanamichi emise un
piccolo lamento e il volpino lasciò che la mano, che teneva sul suo fianco,
scivolasse in avanti ad accarezzare la sua virilità, mentre si muoveva di
nuovo, violando quel calore troppo stretto.
Il rossino ansimò
pesatamente e il volpino prese a muoversi dapprima piano poi con maggior
impeto nel sentire i gemiti del compagno diventare grida.
Erano ormai entrambi al
limite, le spinte del moro erano diventate violente e profonde, affondava
con forza impellente, premendo il rossino contro il materasso, facendo
gemere anche il letto al ritmo del loro amplesso, quando bussarono alla
porta.
Il suono deciso e secco
vibrò nell’aria scuotendo Hanamichi.
Il ragazzo si irrigidì
violentemente, stringendo le cosce proprio mentre il volpino affondava in
lui.
Rukawa sbarrò gli occhi
sentendosi stringere improvvisamente, così, il suo sesso si fece brutalmente
strada dentro il calore del compagno, aprendolo fino in fondo, vincendone la
resistenza bollente, regalando ad entrambi un orgasmo violento che fece
gridare il rossino con tutto il fiato che aveva in gola mentre il moretto,
per la prima volta, si lasciava andare ad un lungo lamento di piacere.
Si accasciarono uno
sull’altro senza fiato, esausti e completamente stremati.
“Kami...” ansimò il
moro “...dove diavolo hai imparato a fare una cosa simile..?” gemette con
voce roca, irriconoscibile persino alle sue orecchie.
Il rossino non gli
rispose, troppo preso nel disperato tentativo di riprendere fiato.
“Hey, stai bene?” gli
chiese dolcemente scivolando fuori dal suo corpo, strappandogli un piccolo
lamento e un’altra lacrima.
“Hana!!”
La voce dietro la porta
fece sussultare il moro che si lasciò sfuggire un’imprecazione, si era
completamente dimenticato di dov’erano.
“Hana ti ho sentito
gridare!!”
La voce dietro l’uscio
suonava preoccupata.
Il rumore di veloci
scalpiccii avvertì il moretto che al primo seccatore se ne stavano
aggiungendo altri.
La maniglia vibrò
pericolosamente ma la porta era fortunatamente chiusa a chiave.
“Vai..” mormorò il
rossino con voce ancora provata, cercando di darsi stancamente una
sistemata.
“Non se ne parla
neanche..” ringhiò il moro chinandosi a sfiorare le labbra gonfie
dell’amante, cancellando con le dita la traccia delle lacrime dalle sue
guance.
“Hana che sta
succedendo!? Apri questa porta o la sfondo!”
Alcuni tonfi sordi lo
avvertirono che le persone dietro l’uscio stavano mettendo in atto quanto
appena minacciato.
“Vai!” sussurrò il
rossino con voce incrinata “Vai, ti prego!” mormorò “Se resti ti
uccideranno!” disse con voce spezzata.
Rukawa si morse le
labbra a disagio, combattuto.
Non gli andava l’idea
di lasciarlo lì così.
Non dopo quello che
avevano appena condiviso.
Ma se fosse rimasto la
situazione del rossino si sarebbe aggravata ancora di più.
“Riposa piccolo...”
sussurrò raccogliendo le coperte per rimboccargliele con cura “...tornerò a
vedere come stai..” gli promise con dolcezza, regalandogli un ultimo bacio
nel momento in cui la porta si schiantava, aprendosi, rivelando un trafelato
e preoccupatissimo Yohei, seguito da alcuni novizi curiosi.
Hanamichi ebbe una
fugace versione del pallore di Mito, del guizzo con cui Rukawa saltava fuori
dalla finestra e della faccia cadaverica degli altri Figli del Vento prima
di perdere i sensi.
....
“Kaede...”
“Kaede svegliati...”
“Io non perdono chi
disturba il mio sonno!” ringhiò il moro facendo scattare un pugno in avanti,
Akira sorrise afferrando prontamente la mano del fratello, evitando con
grazia il diretto al suo volto.
“Non cambi mai, eh?!”
gli chiese divertito.
Il moro si mise seduto
sul grande letto dalle lenzuola di seta, lasciando che queste scivolassero
sul suo corpo nudo con negligenza.
Sendoh non si
scandalizzava di certo.
“Che vuoi?” gli chiese
scocciato passandosi una mano tra i capelli corvini.
“Si tratta del tuo
rossino...” mormorò il ragazzo dai capelli a punta catturando immediatamente
l’attenzione dell’altro.
“Che fai lo spii?” gli
chiese sospettoso il volpino.
L’altro gli sorrise,
sedendosi accanto a lui su l’ampio giaciglio “Suvvia Ru!” mormorò “E’ un po’
di innocente curiosità!” si giustificò “Credevi che non ci saremo accorti di
come è diventato importante per te?” disse “Ti comporti in modo diverso dal
solito, e l’ultima volta sei tornato a casa decisamente... hmmm..” mugolò il
porcospino alla ricerca del termine esatto “..arruffato..” terminò con un
ampio sorriso.
“E’ ovvio che ci siamo
incuriositi!” mormorò.
“Hn..” sbottò il
moretto cupo.
“Non sarò io a
ricordarti che quello che stai facendo è proibito..” mormorò improvvisamente
serio il ragazzo più alto.
“Tu sei l’ultimo che
può parlare..” borbottò Kaede.
“Lo so, lo so..” disse
Akira sollevando le mani in segno di resa “...però io non sono nella TUA
posizione..” gli ricordò.
Rukawa sbuffò scendendo
dal letto, raccogliendo una voluminosa vestaglia di seta azzurro cupo “Non
ho scelto IO di essere quello che sono e comunque non ho nessuna intenzione
di rinunciare a ciò che voglio per questo!” ringhiò gelido.
Sendoh sorrise con più
calore, soddisfatto nel notare la luce scintillante che aveva acceso gli
occhi del fratello.
“Io e Ayako siamo dalla
tua parte..” gli assicurò “..e anche Hiro..”
“Hn..” mormorò il
volpino in quello che, Akira ormai aveva imparato a decifrare, come un
grazie.
“Allora, perchè mi hai
svegliato?” chiese riconducendo il discorso al punto da cui era partito.
Sendoh tornò serio,
ricordandosi che non aveva buone notizie da dargli, “Lo hanno esiliato..”
mormorò.
“COSA!?” esplose Rukawa
sbarrando gli occhi.
Akira annuì “L’ho
saputo solo pochi istanti fa...” mormorò “...pare che l’abbiano cacciato
dalla città per aver offeso il Dio delle Tempeste” borbottò cupo.
“Questa poi!” ringhiò
Kaede cominciando a vestirsi in fretta “Dov’è adesso?” chiese infilandosi un
mantello da viaggio sopra la semplice camicia bianca e i pantaloni neri.
“Hiroaki lo ha visto ai
confini della foresta, qualche chilometro a sud dalla sua città...” mormorò.
Rukawa annuì
dirigendosi verso la porta “Ti devo un favore...” sussurrò prima di varcare
la soglia in fretta.
Akira lo fissò
allontanarsi incredulo.
Rukawa... Rukawa che
diceva... ‘ti devo un favore’???
“Per tutti gli dei..”
ansimò incredulo “...è innamorato!” mormorò senza sapere se l’idea lo
rendeva più felice o più spaventato.
....
Rukawa trovò il rossino
rannicchiato sotto un albero, avvolto in un vecchio mantello, troppo logoro
per proteggerlo dal freddo della sera che stava calando.
“Hana..” lo chiamò
piano posandogli una mano sulla spalla.
Il ragazzo sussultò
sbarrando gli occhi, facendo un salto indietro prima di mettere a fuoco lo
sguardo su di lui.
Ha di nuovo la febbre,
constatò Rukawa preoccupato.
“Kaede...” sussurrò con
voce resa debole dalla stanchezza, il moro lo abbracciò stringendolo a se.
Voleva solo dargli un
po’ di calore non si aspettava l’ansito di dolore che spezzò il respiro
dell’amante.
“Che ti è...” cominciò
a chiedere prima di impallidire violentemente nel notare, sotto il mantello,
le macchie di sangue che sporcavano la stoffa logora della veste del
ragazzo.
I suoi occhi blu si
sbarrarono passando velocemente dall’azzurro cupo al più insondabile e
pericoloso dei blu notte.
“Che cosa ti hanno
fatto?” ringhiò con voce spaventosamente bassa.
“E’ colpa tua!” esplose
il ragazzo “Che cosa credevi?!” gridò “E’ la pena per chi offende il dio:
cento frustate e l’esilio!!” sussurrò con voce improvvisamente stanca,
barcollando pericolosamente in avanti.
Rukawa scattò verso di
lui, afferrandolo, facendo attenzione a non toccare la schiena ferita.
“Mi dispiace...”
sussurrò stringendolo delicatamente a te.
“Mi dispiace tesoro..”
ripetè sollevandolo tra le braccia come se fosse privo di peso “Adesso penso
io a te..” mormorò ma il rossino non lo sentì, aveva nuovamente perso i
sensi.
...
Hanamichi si svegliò in
un grande letto pieno di cuscini.
Si mosse con cautela ma
scoprì che la schiena non gli dava più nessun fastidio.
Arrischiò ad allungare
una mano, sfiorandosi una spalla trovando la pelle cicatrizzata, pulita.
Per quanto aveva
dormito?
Come avevano fatto le
sue ferite a guarire così in fretta?
Si passò una mano tra i
capelli arruffati, guardandosi attorno.
Si trovava in una
camera, non molto grande, lo spazio era sufficiente per l’ampio letto
matrimoniale su cui era sdraiato lui, un armadio e un comodino su cui era
posata un brocca con dell’acqua.
Se ne versò un
bicchiere, grato alla freschezza del liquido che gli ristorava la gola arida
e la bocca impastata, prima di cercare di alzarsi.
In quel momento la
porta si aprì e una bella donna dai capelli ricci fece il suo ingresso con
un vassoio carico di vivande.
“Oh sei sveglio!” disse
con un sorriso meraviglioso “Ti ho portato qualcosa da mangiare..” esclamò
“Sarai affamato! Hai dormito per due giorni di seguito!!” lo informò.
Hanamichi la fissò
cauto e lei gli sorrise di nuovo in quel modo materno e amorevole che lo
faceva sentire incredibilmente al sicuro.
“Dove sono?” volle
sapere guardandosi attorno.
“Oh, questa..” disse
Ayako posando il vassoio sul comodino accanto alla brocca “..è la casa che
usa Rukawa quando scende qui, e io sono Ayako, la sorella minore di Kaede”
spiegò con un sorriso “..come va la schiena?” volle sapere poi.
“Sei stata tu a
medicarmi?” le chiese il rossino perplesso.
In città solo gli
uomini potevano diventare guaritori e, per quanto ne sapeva, nessuno sarebbe
riuscito a far scomparire il dolore così in fretta.
Lei tuttavia annuì in
conferma e Sakuragi la fissò sempre più stupito “Come hai fatto? Non mi fa
più male..” constatò.
“La nostra sorellina è
una vera... dea... della guarigione!” disse una voce allegra precedendo un
giovane dalla carnagione candida e dai capelli a punta.
“Akira!” protestò la
ragazza dandogli una leggera gomitata nel fianco.
Il porcospino sollevò
entrambe le mani in segno di resa mentre il rossino li fissava sorpreso.
Erano uno più bello
dell’altro.
Certo erano i fratelli
della volpe, gli fece notare la sua mente, spargendo un istantaneo rossore
sulle sue guance.
“Lui dov’è?” si lasciò
sfuggire prima di riuscire a mordersi la lingua.
Akira gli porse un
sorriso solare “Oh.. il nostro Kaede sta facendo tuoni e fulmini!!”
disse con una scrollata di spalle.
Hanamichi li fissò
perplesso “Non capisco..” ammise.
“Era molto arrabbiato
per quello che ti hanno fatto..” gli spiegò Ayako.
“Arrabbiato è un
eufemismo..” borbottò Akira togliendosi il mantello e solo allora Hanamichi
si rese conto che era zuppo di pioggia.
“Volete dire che è
andato a parlare con il Gran sacerdote!” esclamò preoccupato.
Akira scosse il capo
“Più o meno..” mormorò.
“Ma se lo trovano lo
uccideranno!” protestò il rossino, pallido, cercando di alzarsi dal letto.
Ayako però fu più
veloce, intuendo le sue intenzioni si era avvicinata a lui e lo costrinse
dolcemente, ma con risoluzione, a mettersi sdraiato.
“Rukawa non corre
nessun pericolo..” gli assicurò con dolcezza passandogli una mano tra i
capelli rossi “..e tu devi riposare ancora un po’...” mormorò.
“Ma...!!” protestò il
rossino ma la ragazza non volle sentire ragioni e, per quanto la
preoccupazione per Kaede restasse latente nel suo animo, Hanamichi non
riuscì ad opporsi alla volontà della donna.
Possibile che i
fratelli Rukawa riuscissero sempre a fargli fare quello che volevano loro?
Pensò contrito.
“Cerca di dormire
ancora un po’..” gli disse la donna quando lui ebbe finito di mangiare e,
come gli era già accaduto con il volpino, non appena lei ebbe pronunciato
quelle parole la stanchezza lo sopraffece facendolo scivolare nel sonno.
Ayako lo fissò riposare
prima di voltarsi verso il fratello maggiore.
“Che sei venuto a fare
qui?” chiese rimboccando le coperte al rossino.
“Ero solo curioso...”
mormorò Sendoh “..non ero ancora riuscito a vederlo..” disse osservando il
ragazzo più da vicino, la fronte leggermente aggrottata.
“Che c’è?” gli chiese
la ragazza notando quella sua strana espressione.
“Non so...” mormorò il
moro perplesso “E’ come...” si aggrottò ancora di più “...ti sembrerà
stupido ma.. mi pare di averlo già visto da qualche parte...” borbottò
aggrottando la fronte mentre cercava di ricordare.
Lei lo fissò senza
capire mentre osservava Sendoh allungare una mano e sfiorare la fronte del
ragazzo addormentato facendo scivolare le dita tra le ciocche rosse.
“Non può essere...”
mormorò ritraendo la mano di scatto, come se si fosse scottato.
“Akira..?” lo chiamò
Ayako posandogli una mano sul braccio “..che sta succedendo?” domandò
perplessa ma il moro si limitò a scuotere il capo allontanandosi dal letto a
grandi passi “Devo chiedere a Hiroaki di fare delle ricerche per me...!”
borbottò prima di afferrare di nuovo il suo mantello e uscire in fretta
lasciando la sorella a fissarlo sorpresa.
Non l’aveva mai visto
così turbato.
....
“Buon giorno..”
Hanamichi sbattè le
palpebre un paio di volte fissando lo sguardo in quello blu del volpino.
“Kaede..” sussurrò
arrossendo violentemente quando si rese conto che il moro si era sdraiato a
letto, accanto a lui.
“Come stai?” gli chiese
il volpino passandogli con dolcezza una mano sulla guancia.
“Bene..” mormorò il
ragazzo in imbarazzo “...ho conosciuto i tuoi fratelli..” disse dopo pochi
istanti di silenzio.
Rukawa sollevò un
sopracciglio sorpreso “Avevo chiesto ad Ayako di medicare le tue ferite..”
mormorò “...ma nessun altro doveva essere qui..” disse.
Hanamichi scosse il
capo “C’era anche un’altra persona, con una strana pettinatura..” mormorò
cercando di ricordare il nome del ragazzo.
“Akira!” sbottò il
moretto togliendolo d’impaccio.
“Non è tuo fratello?”
chiese perplesso Hanamichi e Rukawa sbuffò “Sì, lo è..” borbottò “...anche
se dovrebbe imparare a non ficcanasare negli affari miei!” disse burbero,
tuttavia nella sua voce non c’era rabbia o risentimento, e, nonostante le
parole Hanamichi non ebbe difficoltà ad immaginare quanto si volessero bene
quei tre.
Quel pensiero gli
riportò alla mente il volto dell’unica persona che gli era sempre stata
amica e che per lui era quasi un fratello.
“Yohei...” sussurrò
piano.
Kaede lo fissò con un
lampo di tristezza negli occhi blu.
Per colpa sua il
rossino era stato cacciato dalla sua casa, separato dai suoi amici.
“Mi dispiace..”
sussurrò “..non volevo farti del male..” disse piano.
Il rossino sospirò
chiudendo gli occhi per poi riaprirli lentamente “Mi ami davvero?” domandò.
Rukawa gli sorrise,
passandogli con dolcezza due dita sulla guancia destra “Sì, ti amo” mormorò.
“Anch’io ti amo”
confessò il rossino facendo spalancare gli occhi del moro.
Ormai Kaede aveva
capito di non essergli indifferente ma non sperava di essere già arrivato al
suo cuore.
Lo strinse a se con
gioia e Hanamichi ridacchiò “Adesso che sono un dissacrato...” mormorò piano
“...che ne farai di me?” chiese “Mi insegnerai a rubare nei templi come fai
tu?” domandò.
Rukawa scosse il capo
con un sorriso.
“Do’aho..” mormorò.
Era ora di spiegare
qualcosa al suo piccolo rossino.
Tuttavia fece appena in
tempo ad aprire bocca che delle grida furiose li fecero sussultare.
Rukawa balzò in piedi
vestendosi in fretta, seguito a ruota dal rossino.
Davanti alla piccola
radura, in cui sorgeva l’abitazione del moretto, stava l’intero consiglio
dei sacerdoti con una decina di soldati armati di picca alle loro spalle.
“Tu!” gridò il Gran
Sacerdote indicando Hanamichi con un dito tremante di rabbia “Ti abbiamo
risparmiato la vita e tu che fai?” chiese con voce stentorea “Ti ritiri qui
con.. con.. lui!” gracchiò indicando Rukawa che li fissava tra lo scocciato
e l’infastidito.
“Sparite!” sbottò con
un gesto noncurante della mano, voltando loro le spalle.
“Maledetto!” gridò uno
dei sacerdoti dall’abito bianco “Che l’ira del dio ti punisca!” tuonò.
Il moro si volse
lentamente.
Molto lentamente.
Gli occhi blu due pozzi
scuri, tempestosi.
“Adesso basta!”
ringhiò con voce spaventosamente bassa.
Le fronde degli alberi
intorno a loro rabbrividirono spaventate, sussurrandosi avvertimenti
concitati mentre lontano il rombo di un tuono si faceva minacciosamente
sentire.
“Uccidetelo!” tuonò il
Gran Sacerdote impallidendo e facendo un passo indietro senza nemmeno
rendersene conto.
“Aspettate!” gridò
Hanamichi cercando di fermarli in qualche modo.
Successe tutto in un
momento.
Uno dei picchieri
sollevò la sua arma e, con uno scatto del braccio possente, la lanciò contro
il volpino.
Sotto gli occhi
increduli di Sakuragi la lunga asta di legno dalla punta acuminata tagliò
l’aria con un sibilo feroce conficcandosi con uno disgustoso suono lacerante
nel petto del volpino.
Hanamichi sbarrò gli
occhi osservando la scena come se si svolgesse al rallentatore, in un luogo
mille miglia lontano da lì.
Il rumore della carne
lacerata, lo scricchiolio delle ossa spezzate.
Il moretto venne
sbalzato indietro dalla forza del lancio e cadde pesantemente a terra con un
tonfo pesante.
“Kaede!!” gridò
Hanamichi riemergendo improvvisamente dal suo stato catatonico per lanciare
un grido di puro terrore, osservando l’amante giacere a terra, inerte.
“E’ la giusta punizione
per lui!” gracchiò il sacerdote con una nota di esaltata soddisfazione nella
voce “Prendetelo!!” gridò subito dopo, indicando Sakuragi.
Il rossino non riuscì a
muoversi neanche quando vide il picchiere farsi avanti.
Lo sguardo incredulo
piantato sul corpo del volpino.
Immobile.
A terra.
Kaede... il suo Kaede
era...
Morto.
Il soldato lo colpì
dietro la nuca e Hanamichi perse i sensi, nella mente l’ultima immagine del
corpo senza vita del suo compagno.
....
“Hana...”
Il rossino sollevò le
palpebre a fatica, per un lungo istante speranzoso di trovare Kaede chino su
di lui, ma quello inginocchiato accanto a lui era Mito
Un Mito dagli occhi
rossi di pianto e dall’abito marrone.
Già, il suo amico era
stato scacciato dall’ordine quando aveva cercato di impedire l’esilio di
Hanamichi.
“Hana..” ripetè Yoehi
abbracciandolo con foga, singhiozzando.
“Cos’è successo...”
sussurrò il rossino mettendosi a sedere, massaggiandosi la nuca, lì, dov’era
stato colpito.
Il moro sospirò
pesantemente “Da quando sei stato esiliato qui ha cominciato a piovere..”
prese a raccontare “...ma non una pioggia normale..” sussurrò “...grandina,
piove, nevica.. tutto insieme..” mormorò ricordando il terrore che quel
fenomeno gli aveva causato la prima volta che l’aveva visto “..il cielo
tuona incessantemente e i fulmini cadono in continuazione.” Mormorò e
Hanamichi tendendo l’orecchio notò che, effettivamente sentiva il
rumoreggiare del tuono, fuori dalle mura della sua prigione.
“Molti hanno colpito il
monastero e i nostri campi...” continuò Mito “...il granaio è stato
letteralmente polverizzato, gran parte delle stanze del consiglio sono state
distrutte o allagate e non c’è una finestra intera in tutto l’edificio..”
raccontò “...fortunatamente ancora nessuno è stato ucciso ma diverse persone
si sono ferite e il gran sacerdote ha chiamato il consiglio d’urgenza.”
sospirò piano ricordando quei momenti.
“Hanno cominciato a
dire che si trattava dell’ira del Dio delle Tempeste. Che egli era furioso
perchè ti avevano semplicemente punito con l’esilio invece di donargli la
tua vita...” singhiozzò “...hanno mandato delle sentinelle a cercarti e poi
sono venuti a prenderti..” sussurrò “...hanno deciso di giustiziarti domani
all’alba, di fronte al tempio...” terminò.
Hanamichi abbassò il
capo con un sospiro.
Stranamente l’idea
della morte non lo terrorizzava tanto.
“Kaede è morto..”
comunicò all’amico.
Yohei sussultò
sollevando il capo di scatto “Cosa?” sussurrò.
“Quando sono venuti a
prenderci.. uno dei soldati lo ha.. lo ha..” Hanamichi strinse la mascella
mentre lacrime roventi gli scivolavano lungo le guance.
“Ti eri innamorato di
lui..” constatò Yohei piano.
Il rossino non annuì,
la sua disperazione parlava per lui.
“Mi dispiace Hana..”
mormorò stringendolo in un abbraccio gentile.
Rimasero così a lungo
prima che Mito si staccasse delicatamente da lui “Hana.. troverò il modo di
farti uscire di qui.. di farti scappare...” mormorò ma il rossino scosse il
capo.
“Nessuno ti aiuterà
Yohei..” mormorò “..se è vero quello che mi hai raccontato..” sussurrò “...saranno
così spaventati dall’idea dell’ira del dio che nessuno ti aiuterà..”
ragionò, incredibilmente freddo, “...finirai solo per essere giustiziato
insieme a me..” disse.
Yohei lo fissò
incredulo “Vuoi andare incontro alla morte senza fare niente?” chiese.
“Questa storia finirà
qui Yohei..” sussurrò “..raggiungerò Kaede...” mormorò piano spezzando il
cuore dell’amico.
“Ti prego.. non voglio
avere sulla coscienza anche la tua vita.. promettimi che non farai cose
stupide!!” lo supplicò prendendo le mani di Mito tra le sue.
“Hana!” gridò il
moretto scuotendolo “Come puoi chiedermi questo!!” singhiozzò “E’ stata
colpa mia.. se non fossi piombato così in camera tua...” mormorò ma il
rossino lo interruppe posandogli una mano sulla spalla.
“Non è stata colpa
tua...” sussurrò “..prima o poi sarebbe successo lo stesso...” lo rassicurò
dolcemente.
“Non voglio che tu
faccia niente Yohei! Promettimelo!” lo pregò ancora “Non voglio più vedere
nessuno morire..” sussurrò coprendosi il volto con le mani “Ti prego...
esaudisci il mio ultimo desiderio...” singhiozzò e la sua voce era così
affranta, così spenta, che Yohei chiuse gli occhi e abbassò il capo.
“Te lo prometto..”
sussurrò con il cuore a pezzi.
Hanamichi gli porse in
risposta il suo ultimo, lieve, sorriso.
....
Pioveva.
La grandine e la neve
sembravano aver deciso di smettere di cadere quel giorno, quasi a dar
ragione al consiglio.
I fulmini saettavano
fugaci, tra le nuvole, curiosi, mentre i tuoni rumoreggiavano sommessamente
seguendo il corteo che procedeva verso il tempio candido, sulla scogliera.
Hanamichi sollevò il
volto stanco verso quella pioggia furente, lasciando che permeasse i suoi
abiti, che bagnasse il suo corpo.
Presto... presto quell’acqua
avrebbe cancellato anche le tracce della sua linfa vitale lasciando
finalmente libero di andare.
Sulla sommità della
collina, con alle spalle l’incombente sagoma bianca del tempio, il consiglio
attendeva.
Accanto al gran
sacerdote un giovane novizio reggeva il cuscino su cui riposava la lama
sacra, in attesa del suo sangue.
Tutt’attorno alla
radura il popolo era accorso numeroso a presenziare all’esecuzione di colui
che aveva offeso il più potente tra gli dei.
Il vento urlò e il gran
sacerdote si volse verso il tempio sollevando entrambe le braccia.
La sua veste svolazzò
enorme e incredibilmente candida contro il cielo scuro mentre egli rivolgeva
la sua voce al cielo.
“Oh potente tra i
potenti!” gridò “Siamo qui, di fronte alla tua casa per consegnarti il
sangue e la carne dell’impuro che ha osato insultare il tuo nome!” gridò
mentre la folla gli faceva da eco con un basso mormorio di assenso, gli
occhi pieni di biasimo e paura rivolti verso il rossino che aveva causato la
rabbia del loro dio.
Ma Hanamichi non li
vedeva.
Non sentiva niente.
Intontito dal freddo si
limitava a rimanere immobile, in piedi, i polsi incatenati, trattenuti da
due picchieri.
Ad un gesto del gran
sacerdote i due uomini lo sospinsero in avanti fino a portarlo di fronte
alle porte del tempio, sotto gli occhi di tutti.
Il gran sacerdote
afferrò dunque il coltello, con fermezza, mentre un terzo uomo faceva
piegare all’indietro il capo ad Hanamichi.
Il rossino si ritrovò
così a fissare il cielo, attraverso le palpebre poteva vedere la pioggia
cadere da quel manto scuro mentre attendeva che la lama straziasse la sua
gola.
“O potente!” gridò il
gran sacerdote sollevando il coltello.
Il cielo si aprì,
spezzandosi in fulmini violenti, lampeggiando minaccioso sulla lama lucente.
“Per te, o potente!”
gridò l’uomo fervente spingendo l’arma contro la pelle dorata.
“Per me..?”
La voce attraversò la
valle bassa, vibrante e fredda.
La lama si bloccò
ghiacciata a pochi centimetri dalla carne viva.
Il gran sacerdote
sbarrò gli occhi mentre il silenzio bloccava il respiro in gola ai presenti.
Il vento innalzò un
ululato di gioia mentre il cielo veniva squarciato da una stilettata di luce
incandescente e la pioggia si tramutava in neve, svolazzando come
tantissime, minuscole, anime candide, nella valle incredula.
“Per me...?!”
Ripetè quella voce
senza tempo, che sembrava provenire da ogni luogo e da nessuno.
Le nubi presero a
vorticare, furiosamente, mentre il vento gridava senza sosta.
Il cielo si aprì,
spezzandosi, con un ansimo violento.
La prima folgore cadde
in mare, contorcendosi tra le acque scure improvvisamente tramutate in un
fumante oceano di luce e vapore.
La seconda si schiantò
a terra, facendo volare alberi, zolle, massi, con una detonazione spaventosa
che assordò i presenti e fece gemere di dolore l’intera scogliera.
La terza accese il
cielo, intrappolando le correnti d’aria nella sua ira, accendendole con le
sue spire elettriche, disegnando acuminate lame tra le nubi nere.
L’ultima, maestosa,
gigantesca, colpì il tempio.
Il marmo bianco
sfrigolò per un lungo, eterno, istante, pervaso dalla furia elettrica della
saetta e poi.. semplicemente.. divenne cenere.
Nel silenzio, attonito,
irreale che seguì quella domanda vibrò nuovamente.
Bassa.
Gelida e al contempo
rovente.
“Per me..?!?!?!”
Come un sol uomo, con
un unico, delicato, fruscio delle vesti, il popolo si accasciò a terra, le
gambe incapaci di sorreggerli, gli occhi sgranati a fissare il punto in cui,
prima, si ergeva la casa del loro dio.
Solo Hanamichi rimase
fermo.
In piedi.
Perchè quella voce...
Quella voce che portava
in se la profondità della notte, la freddezza del vento e la collera del
fulmine...
Quella era...
Il vento vorticò
ululando, sollevando la cenere e la polvere, turbinando, ringhiando,
ingrossandosi sino a tramutarsi in un’enorme tromba d’aria.
Dalle nubi scure un
fulmine, un unico fulmine del candido color della neve, si staccò
piantandosi al centro dell’uragano.
Le correnti d’aria
intrappolarono la luce e l’elettricità danzò con esse per un eterno,
perfetto, momento, prima di esplodere in milioni di scintillii iridescenti.
La neve smise di
fluttuare.
Il vento smise di
soffiare.
I tuoni zittirono.
Le folgori si
cristallizzarono nel cielo nero.
Lì, immobile, laddove
prima c’era il tempio, lì, dove ancora le faville dell’esplosione danzavano
come piccoli spettri lucenti, una figura regale, vestita di nero, blu e
viola, volteggiava a pochi metri da terra.
I capelli neri come
quella notte che li schiacciava con il suo dominio.
La pelle candida come
quel tempio che si era eretto altezzoso, in quello stesso punto, pochi
istanti prima.
Gli occhi blu come
l’oceano che aveva smesso di infrangere le sue onde, accucciato, tremante,
sotto la scogliera.
“Per me...?”
mormorò egli mentre un sorriso ferino gli incurvava le labbra perfette.
Il gran sacerdote aprì
e richiuse la bocca, gli occhi fuori dalle orbite, il corpo intero pervaso
da un violento, inconsulto, tremore.
“Kaede..” sussurrò
Hanamichi, incredulo, mentre l’amante in tutta la sua maestosa, altera
bellezza, poggiava piede a terra, muovendosi verso di lui.
Il moro ignorò i
picchieri inginocchiati e il gran sacerdote che lo fissava cinereo
sollevando la mano per posarla sulle catene che serravano i polsi del
compagno e queste caddero con un debole tintinnio.
“Tu..?” sussurrò il
rossino senza fiato.
“Do’aho..” mormorò
dolcemente Rukawa allungando una mano per accarezzargli la guancia,
cancellando una lacrima che il rossino non si era nemmeno accorto di
versare.
Si tolse il mantello e
lo mise sulle spalle del compagno avvolgendolo nella suo tepore di velluto
nero.
“Tu..?” ripetè il
rossino con una nota di panico nella voce roca.
Il volpino sollevò gli
occhi al cielo e poi si chinò chiudendogli le labbra con le proprie,
attirandolo nel proprio, protettivo, abbraccio, mentre il popolo osservava
con occhi sgranati e il consiglio si accasciava privo di sensi tra l’erba
bagnata.
....
Hanamichi si mosse
lievemente tra le braccia del compagno, assaporando il calore della sua
vicinanza.
“Ti ho creduto
morto...” mormorò piano sfiorando il petto candido, coperto dalla veste
regale del dio.
Rukawa sospirò “Mi
dispiace..” mormorò.
“Perchè non li hai
fermati allora..?” gli chiese il rossino curioso sollevandosi su un gomito.
Il moro arricciò le
labbra “Avrei voluto farlo ma quella picca mi ha colpito di sorpresa..”
borbottò scocciato “Vedi noi dei..” spiegò divertendosi a vedere gli
occhi del suo compagno sbarrarsi nel sentirgli usare quel termine “..per
scendere sulla terra dobbiamo condensare la nostra aura in un corpo umano”
spiegò “..e questo corpo ha sensazioni umane...” continuò “...non ero mai
sceso a lungo sulla terra prima e non mi era mai capitato di essere ‘ucciso’...”
spiegò “...per questo mi ci è voluto qualche momento per riprendermi...”
disse con una scrollata di spalle.
“Nel nostro regno il
tempo passa in maniera diversa da qui..” mormorò “..quelle che per noi sono
poche ore qui sono giorni...” sussurrò “...per questo ci ho messo tanto a
tornare da te..” terminò.
Hanamichi rimase in
silenzio rimuginando su tutte quelle informazioni.
Kaede era un dio.
Anzi.. era il dio delle
tempeste!
Il suo dio.
“Kami sama..” mormorò
piano.
“Sì?” mormorò il moro
voltandosi verso di lui “Che cosa c’è?”
Hanamichi lo fissò per
un secondo prima di impallidire.
“Non mi ci abituerò
mai..” gemette.
Rukawa ridacchiò
divertito “Dovrai farlo, ti ricordo che tu eri un dono per me...” mormorò
malizioso “..dono che io ho accettato!” disse rovesciandolo contro il
materasso per sdraiarsi su di lui.
Hanamichi gli allacciò
le braccia al collo per baciarlo ma un timido bussare alla porta lo fece
desistere.
Il moro ringhiò
qualcosa ma il rossino mormorò un divertito “Avanti!” sistemandosi la veste
che il compagno gli aveva fatto indossare per sostituire la sua, lacera e
zuppa di pioggia.
Yohei fece capolino da
dietro la soglia fissando l’amico prima di spostare lo sguardo sul moretto e
diventare pallido come un cencio.
“Si..siete ancora
qui..” ansimò sprofondandosi in un inchino.
Rukawa aveva portato il
compagno negli appartamenti del gran sacerdote per farlo riposare e per
potergli finalmente parlare in pace.
Le finestre si erano
perfettamente rimarginate al suo comando e Hanamichi si era seduto sul letto
guardandosi attorno stupito.
Non si aspettava che il
loro rigido capo vivesse in un lusso simile.
“Perchè dovrei
andarmene?” domandò serafico il moro facendo tremare Mito.
Hanamichi però gli
rifilò una gomitata nelle costole e il dio sbuffò addolcendo il tono “Non ho
intenzione di tornare a casa a breve comunque..” comunicò.
Mito si azzardò a
sollevare lo sguardo incontrando gli occhi blu di Kaede per un fugace
istante “Credevo.. visto che è uscito il sole..” mormorò.
“Hn?” chiese sorpreso
il moro lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
In effetti aveva smesso
di piovere e tra le nubi spuntavano grossi fasci di luce.
Poteva voler dire una
cosa sola...
“Kaede!” Akira comparve
nella stanza in uno scintillio di luce incandescente.
Ecco appunto... pensò
il moretto passandosi una mano tra i capelli corvini.
Tuttavia il commento
velenoso che gli era salito alle labbra sparì nello scorgere il livido rosso
che si stava allargando sulla guancia del fratello.
Aveva la forma di
cinque dita...
“Hai litigato di nuovo
con Hiroaki?” chiese il moro sorpreso, sollevando un sopracciglio.
“Già..” mormorò
massaggiandosi la guancia offesa “..però ho una buona notizia per te!” disse
cambiando velocemente argomento.
“Oh salve!” disse
notando solo in quel momento gli altri due che lo fissavano con occhi
sbarrati.
“Il dio.. del... del..
sole?” ansimò Yohei mortalmente pallido.
“Chiamami pure Akira!”
disse tranquillamente il moretto sventolando una mano con indolenza.
Mito emise un gemito
accasciandosi in avanti e Hanamichi scattò in suo aiuto, afferrando l’amico
svenuto.
“Ops..” esclamò Sendoh
divertito.
“Che cosa sei venuto a
dirmi?” volle sapere Rukawa, riportando la sua attenzione su di se,
conoscendo il vizio del fratello di divagare.
“Ah sì!” disse l’altro
“Tu sai che ci è proibito portare del mortali nel nostro regno ma che al
contempo non possiamo passare troppo tempo qui, nel loro mondo...” cominciò
facendo impallidire il rossino.
Rukawa sospirò “Dovevo
ancora spiegargli questa parte..” borbottò.
Avrebbe preferito
spiegarglielo con più calma, dopo.
Senza contare che il
rossino era mortale mentre lui.. no.
Dovevano ancora
discutere del loro futuro.
Lui poteva scatenare
una tempesta, distruggere intere città, comandare la luce e l’acqua ma non
cambiare il ciclo vitale della persona che amava.
Che cosa avrebbe fatto
quando il rossino sarebbe inesorabilmente giunto alla fine dei suoi giorni?
“Bhe.. non ti devi
preoccupare!” esclamò Sendoh giulivo.
“Hn??” chiese perplesso
il moretto.
“Ho scoperto chi era il
padre del rossino!!” sentenziò con uno strano lampo nelle iridi blu.
“Mio padre!” esclamò
Hanamichi sbarrando gli occhi, deponendo con cautela Yohei su una poltrona
prima di voltarsi verso Akira.
Il ragazzo dalla strana
capigliatura annuì con il capo “Sì. Ho scoperto chi è...” disse tornando
improvvisamente serio.
“Akira..” sussurrò
Rukawa fissandolo incredulo “Vuoi dire che.. suo padre era..” ansimò.
“Era un dio” concluse
per lui il fratello.
“UN DIO?!” ansimò
Hanamichi, cinereo.
Credeva che niente,
dopo la scoperta della natura di Rukawa, sarebbe riuscito a sconvolgerlo
tanto... ma si sbagliava.
Akira annuì mentre
Rukawa lo fissava attento “Vuoi dire che lui ha sangue divino nelle vene?”
chiese.
“Proprio così!” disse
Sendoh soddisfatto e Kaede lasciò andare un incredulo sospiro.
Voleva dire che il
rossino.. il rossino avrebbe vissuto quanto lui!
E avrebbe potuto andare
con lui nel loro regno.
Certo non poteva
passarci tutta la vita perchè anche la sua metà umana avrebbe avuto bisogno
di passare del tempo sulla terra ma quello... non era certo un problema!
“Chi era..?”
La voce di Hanamichi lo
riscosse dai suoi pensieri.
Akira aveva detto di
aver scoperto l’identità dell’uomo.
Ma non aveva fatto
nomi.
Kaede si voltò a
fissare il fratello notando nuovamente il grosso livido rosso.
“Oh Kami..” ansimò.
“Temo di sì..” borbottò
Sendoh arrossendo.
“Hey mi spiegate che
diamine succede?” volle sapere il rossino che li fissava senza capire.
Kaede scosse il capo
incredulo, gli occhi sbarrati e una strana espressione sul volto più pallido
del solito “Mi sono innamorato di mio nipote..” gracchiò.
Hanamichi fissò prima
lui poi Akira.
Questi sospirò facendo
un piccolo passo verso di lui “Io...” sussurrò “Io sono tuo padre”.
Il rossino sbarrò gli
occhi.
“Tu.. tu?” gemette
piano.
Akira annuì con il
capo.
“Papà..” sussurrò
Hanamichi, basito, saggiando il suono di quella parola che non aveva mai
potuto pronunciare.
Sendoh annuì facendo un
altro passo verso di lui “Mi dispiace io non sapevo che Mei fosse rimasta
incinta..” mormorò.
Il rossino lo fissò
scuotendo il capo, sotto shock.
“Papà..” ripetè con un
pigolio incredulo.
Akira sorrise
teneramente allargando le braccia per stringere a se il figlio ritrovato ma
il ragazzo fu più veloce.
“Papà!” esclamò facendo
partire un diretto che mandò il dio del sole lungo disteso sul pavimento.
....
“Hiro quante volte
ancora te lo devo ripetere..” mormorò Akira seguendo da presso il ragazzo
dalla carnagione candida e dall’aria imbronciata “Era durante quel periodo
in cui TU mi avevi lasciato..” cercava di farlo ragionare mentre il ragazzo
continuava imperterrito per la sua strada, ignorandolo.
Hanamichi li fissò
passare con uno sguardo divertito, Kaede sbuffò, la testa appoggiata sulle
gambe del compagno.
“Fanno sempre così?”
volle sapere il rossino riprendendo a passare le mani tra i capelli
dell’amante.
Stare sdraiato su un
prato di soffici nuvole bianche non era poi molto diverso che stare sdraiato
su un prato d’erba e i grandi castelli di cristallo non erano poi così
diversi, sebbene molto più belli, dei templi.
Aveva fatto presto ad
abituarsi alla casa di Kaede e a vedere la gente che svolazzava invece di
camminare.
Lui in quello non era
ancora un gran che.
Scoperta la sua duplice
natura Ayako e gli altri dei lo avevano accolto tra le loro schiere e ora
Hanamichi stava imparando i ‘fondamentali’ nell’uso di quei poteri che non
sapeva nemmeno di avere.
“Ogni due o tre secoli
si lasciano per qualche mese..” mormorò il moretto con voce assonnata “...ma
si amano troppo per stare a lungo l’uno senza l’altro..” mormorò.
“Credi che lo
perdonerà?” domandò il rossino che dopo il primo pugno era comunque stato
felice di riscoprire una propria famiglia.
“Probabilmente lo ha
già fatto...” disse il moretto, aprendo gli occhi “...ma è giusto che lo
faccia patibolare un po’..” borbottò.
“Povero papà..” mormorò
divertito il rossino.
“Non chiamarlo così,
che mi fa impressione..” sbottò Kaede con una smorfia.
“Scusa zio..” ridacchiò
il rossino ben sapendo che effetto faceva quella parola sul compagno.
“Do’aho!” esclamò
infatti il volpino balzando a sedere per sbatterlo contro la soffice
consistenza delle nuvole “Usa questa tua boccaccia per qualcosa di più
piacevole..” gli soffiò sulle labbra prima di chiudergliele con le sue.
Due minuti più tardi
Kaede li smaterializzò entrambi per farli atterrare con un morbido tonfo sul
loro grande letto matrimoniale.
“Non riesco ancora ad
abituarmici..” mormorò il rossino, guardandosi sorpreso attorno.
“Non importa...”
sussurrò il moro cominciando a slacciargli la veste “...avrai tutta
l’eternità per farlo..” sussurrò chiudendogli nuovamente le labbra con le
proprie.
Fine....
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