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Pairing: Ruhana
Raiting:Nc-17/X (ma poi un po' S ^__=)





I hear your breathe so far from me
(please forgive me)


Di Chikara e Mel

 

 

 



“Bene ragazzi, basta così per oggi!”
La voce di Miyagi sovrastò ogni rumore della palestra, portando un notevole sollievo a tutti i giocatori dello Shohoku.
Le matricole, che per quella settimana erano addette alla pulizia della palestra, si affrettarono a raccogliere i palloni sparsi per tutto il campo, mentre gli altri si dirigevano con calma verso gli spogliatoi e l’edificio si svuotava di tutti i suoi spettatori.
“Ti fermerai per i tuoi tiri da tre anche questa sera, Hanamichi?” domandò Ryota quando vide il numero dieci cambiarsi semplicemente la maglietta.
“Sì, oggi il Tensai concluderà la sua serie!!” rispose con enfasi il rossino.
“Allora facciamo un po’ di conti - lo provocò prontamente il nuovo capitano della squadra - considerata la tua testa dura, il tuo livello di concentrazione e il fatto che ti alleni solamente da cinque giorni… quanti tiri hai fatto? Cinquanta, cento?”
“Che cosa!?! - scattò immediatamente indignato Hanamichi - mai sottovalutare il genio indiscusso del basket, tappetto, per tua informazione ho già eseguito una serie di millecinquecento tiri!”
“Beh, complimenti scimmia e quanti ne hai centrati… dodici?” intervenne anche Mitsui.
“Ti piacerebbe saperlo, Mitchi, eh? - chiese l’ala grande, rivolgendogli un sorriso furbo e dispettoso - ma io non vi dirò niente. Vi lascerò a bocca aperta nella prossima partita!!”
Senza aggiungere altro, Sakuragi afferrò il suo asciugamano pulito e si spostò di nuovo in palestra.


Kaede atterrò elegantemente sul parquet dopo un terzo tempo perfetto e senza nemmeno voltarsi sbuffò: “Quanto tempo ci hai messo, Do’aho?!”
“Scusa - replicò senza problemi il rossino - gli altri avevano voglia di scherzare!”
Hana si incamminò verso la panchina per lasciare lì le sue cose e solo allora notò il suo migliore amico seduto sul posto occupato solitamente dal signor Anzai.
“E tu che ci fai ancora qui?” domandò sorpreso il ragazzo dai capelli rossi.
“Rukawa mi ha chiesto di farti compagnia!” spiegò Mito con un sorriso non propriamente tranquillo.
“Che significa?”
A rispondere però non fu il diretto interessato, ma Kaede che, nel frattempo, aveva posato il pallone e si era avvicinato ai due ragazzi.
“Significa quello che ti ha detto, Hana, oggi non posso rimanere con te.”
“Perché, che devi fare?” continuò con le sue domande Hanamichi.
“Devo andare a casa - rispose di nuovo il volpino - ho una cosa da fare e non posso assolutamente rimandarla.”
“Ma Kaede sono gli ultimi cinquecento tiri…”
“Do’aho, non fare il bambino! Appena hai fatto mi raggiungi a casa e mi racconti tutto.”
Hanamichi non replicò a quelle parole ma, palesemente indispettito, si diresse alla cesta dei palloni cominciando il suo allenamento speciale.
“Io vado - annunciò allora il volpino - quando hai fatto torna subito a casa, ok? Non perdere tempo come tuo solito.”
Rukawa salutò anche Mito e uscì velocemente dalla palestra.

Forse Kaede era stato un po’ brusco con il suo rossino, ma non poteva proprio permettersi di rischiare che lo scoprisse.
Quella sera aveva in mente qualcosa di speciale per Hanamichi e voleva che tutto fosse perfetto: una cenetta romantica, un po’ di coccole sul divano, protetti dal morbido calore di un plaid e poi una notte infinita di passione, di amore, di dolcezza.
Rukawa voleva in quel modo ripagare tutti gli sforzi del suo compagno che, per migliorare ulteriormente la propria tecnica, si era esercitato con impegno e sacrificio anche dopo gli allenamenti più massacranti senza scoraggiarsi mai né lamentarsi.

Ma soprattutto voleva festeggiare una data importante che aveva cambiato la sua vita.
 


Quello stesso giorno di un anno prima, Kaede si era dichiarato al suo Do’aho.
 


Quelle stesse parole che, per almeno un miliardo di persone, non hanno poi tutto questo gran valore per lui erano state il momento più importante di tutta la sua vita.

Quella ricorrenza aveva un significato immenso per lui, poiché testimoniava una vittoria che lo aveva reso una persona migliore e serena.
Dopo una lunga lotta interiore aveva sconfitto la paura di un rifiuto umiliante, aveva abbassato le sue difese per mostrarsi ad Hanamichi per come era veramente e, fidandosi per la prima volta di un’altra persona, gli aveva affidato senza riserve il proprio cuore.
E la sua fiducia era stata ripagata completamente.
Certo, quel Do’aho non aveva risposto subito, quando però, dopo alcuni giorni di profonda meditazione, Hanamichi era tornato a scuola e gli aveva regalato quel sorriso immenso e pieno d’amore, la paura e l’angoscia si erano dissipate all’istante e la sua esistenza, da una macchia grigia e scolorita, si era trasformata in un bellissimo disegno colorato, dipinto dalla fantasia di un bambino vivace e geniale.
Per questo motivo, fino a quando la memoria non lo avrebbe tradito, Kaede avrebbe ricordato quel giorno, rivivendolo con il suo do’aho.

Sorrise alla notte, felice.
E con due buste in mano si sentì pieno d’ aspettativa, mentre camminava veloce sotto la luna amorevole.


Intanto in palestra Hanamichi tentava di portare a termine il suo allenamento, ma tiro dopo tiro, il numero dieci dello Shohoku continuava a sbagliare.
“Hana sta attento - lo riprese prontamente l’amico - hai pestato la linea!”
A quelle parole il rossino scagliò lontano il pallone che, sbattendo violentemente contro la parete, produsse un fragoroso boato.

“Sei impazzito?” domandò Mito colto totalmente di sorpresa.

Ma Hanamichi non rispose e, raggiungendo l’amico seduto sulla panchina, si limitò a proteggersi il collo sudato con l’asciugamano di spugna e a scolare in un sorso la bottiglietta d’acqua che Mito gli aveva gentilmente porto.
“Allora - incalzò ancora Yohei - perché non dici niente?!”
“Non c’è molto da dire, Yo, oggi non ho proprio voglia di fare questi maledetti tiri!!”
La risposta di Hana e i suoi movimenti stizziti fecero capire a Yohei che il rossino era arrabbiato e il motivo di quello stato d’animo era palese come un fascio di luce nella notte.
“Stai mandando a rotoli una settimana di sacrifici per una sciocchezza!”
“Non so di cosa tu stia parlando - si ostinò a mentire Hanamichi - in ogni caso non cominciare a farmi la predica pure tu. Se per una sera non mi alleno come un disperato non muore nessuno!”
“Hana n…”

“Usciamo insieme - lo interruppe bruscamente il rossino - ci facciamo raggiungere anche dagli altri e trascorriamo una notte come ai vecchi tempi!”

“Vuoi fare il giro delle sale giochi invece di finire i tuoi tiri?”

“Esatto. E’ una vita che non lo facciamo e magari tentiamo di entrare anche al pachinko, forse, ora che siamo cresciuti un po’, non si accorgeranno che siamo minorenni!”

“Hana, se anche ti ascoltassi, come farai con Rukawa?” domandò allora l’amico.
“Oh in qualche modo farò - replico in maniera sbrigativa il rossino - gli inventerò una balla, tanto, addormentato com’è, non se ne accorgerà nemmeno!”
“Ti sei dimenticato che ti ha espressamente chiesto di raggiungerlo subito a casa?”
Yohei era sicuro che Kaede avesse preparato qualcosa di importante per sé e per Hanamichi, così cercava in tutti i modi di convincere quel testone del suo amico a tornare a casa senza rovinargli la sorpresa.
“Io non mi faccio comandare a bacchetta da quella volpaccia, chiaro?! - continuò imperterrito Sakuragi - Se desiderava tanto la mia compagnia, sarebbe dovuto rimanere con me e invece se ne è tornato a casa. Per che cosa poi, che aveva di così importante da fare, da non poter rimandare?”
La voce di Hanamichi si alzava sempre di più e Yohei non riusciva nemmeno ad introdursi in quel fiume di parole.

“Te lo dico io - continuò infuriato, sollevandosi dalla panca - con tutta probabilità si è scordato di registrare una delle sue stupidissime partite di basket. Ecco perché è scappato di corsa subito dopo gli allenamenti! Figurati se quel fissato ne perde una per aiutare un deficiente che non sa nemmeno tirare a canestro. Ed io dovrei tornare a casa per vedere quella statua di ghiaccio così concentrata davanti al televisore da non trovare la voce per salutarmi e aspettare tutti i suoi comodi per scambiare due parole o per essere scopato?!”
Hanamichi si tolse l’asciugamano dalle spalle e terminò: “No grazie, questa sera voglio divertirmi!!”

“Adesso piantala - sbottò esasperato Mito - dici queste cose solo perché sei arrabbiato e ti comporti come un moccioso viz…”

Le parole dure del moretto si troncarono improvvisamente e il suo volto perse il proprio colore naturale per trasformarsi in una sbiadita maschera di gesso.
Il cuore di Hanamichi cominciò a martellare furiosamente nel suo petto, mentre il corpo si rifiutava di seguire la direzione di quello sguardo.

Non poteva essere vero.

Il fato non poteva punirlo così crudelmente per quelle perverse menzogne che aveva pronunciato soltanto a causa della sua rabbia insensata.

Il ragazzo che amava più di qualunque cosa al mondo non poteva essere lì.

In quell’interminabile momento di incertezza, Hanamichi sentì la terra sotto ai suoi piedi spalancarsi in una voragine buia ed infinita, che risucchiò all’istante la sua anima, facendola precipitare mille volte nel vuoto, costretta da un opprimente senso di claustrofobia e soffocamento.
Quando poi il ragazzo, trovato il coraggio di voltarsi, vide con i propri occhi Kaede sulla porta della palestra, con in mano le chiavi di casa che molto probabilmente si era dimenticato nella sua borsa, la folle caduta libera si arrestò di colpo e la sua anima andò a sbattere con una violenza inaudita contro un duro giaciglio di rovi, sbriciolandosi in miriadi di frammenti sanguinanti e pieni di spine.

Le mani di Hanamichi lasciarono istintivamente la presa su tutto ciò che tenevano e i suoi piedi mossero un passo incerto verso il ragazzo dai capelli neri e la pelle candida come le nuvole di un cielo estivo.
Ma fu tutto inutile.
Rukawa non gli andò incontro, al contrario si rifugiò negli spogliatoi, sbattendo la porta così forte da farla sembrare la detonazione di un cannone.
Sakuragi sussultò vistosamente, piantando gli occhi a terra senza un briciolo di coraggio.
“Oh Kami… che cosa ho combinato?” mormorò con voce tremante e incerta.
“Un disastro, Hana - lo assecondò Mito senza ipocrisia - adesso devi rimediare e, a quanto ha sentito, dovrai trovare tutte le parole di questo mondo per riuscirci!”
“Di tutto l’universo vorrai dire!” mormorò il rossino, lasciando che un sorriso triste increspasse le sue belle labbra.
“Beh, hai la tua occasione per dimostrare veramente di essere un Tensai - lo incoraggiò Yohei, alzandosi dalla panchina - non la sprecare!”
“Farò il possibile” promise subito al moretto.
I due amici raggiunsero assieme la porta della palestra, ma quando si immisero nel corridoio che portava agli spogliatoi e agli uffici del club, Hanamichi si bloccò di colpo nel vedere due buste di plastica abbandonate per terra.
“Cosa…”
Il rossino si avvicinò per controllare che cosa fossero e quando vide il loro contenuto, di nuovo gli mancò il respiro e i suoi occhi si velarono di lacrime.
All’interno delle buste, infatti, c’erano le prove inconfutabili della sua stupidità: contenitori di carta del suo take-away preferito, candele eleganti per rendere più romantica l’atmosfera della cena che Rukawa aveva in mente di fargli trovare pronta al suo arrivo e tante altre cose che avrebbero allietato la loro serata, se Hanamichi non si fosse comportato da vero do’aho.
“Tu lo sapevi?” domandò all’amico tornando in piedi.
“No, ma me lo ero immaginato.”
“Per questo prima…”
“Sì, ma non pensare più a prima - questa volta fu Mito ad interromperlo bruscamente  - adesso pensa solo a lui.”
“Va bene… però tu vai, ok?”
“Vuoi che ti aspetti al cancello della scuola?”
“Yo, non sono una ragazzina - sbuffò Hanamichi, lo sguardo fisso su quella porta  - ho sbagliato, ma saprò come rimediare!Adesso vai.”
“Ok, allora a domani” lo salutò Mito sebbene un po’ preoccupato.
“Ciao.”

***

Magnifico.
Il cielo scuro della notte.
Così nero.
Così ..furente. (Come lui)
Pieno di strappi che erroneamente vengano chiamati stelle. (Pieno di strappi…come lui)
Altro non sono che l’ira di cui si accende la volta celeste quando il sole fugge per riposare.
Scuro nello scuro.
Nero nel nero.
Inchiostro nella cenere. (Ridotto in cenere.. come lui)

Vuoto come una brace spenta Kaede guardava in alto.
Con una disperazione così folle da rasentare l’ incoscienza e l’ insensibilità più profonda.
Non sentiva neanche sulla pelle le lunghe dita del vento che tentavano di blandirlo.
Di riscuoterlo.

Si guardò le mani, improvvisamente.

Un anno di quella che aveva chiamato vera, piena vita.
Un anno di felicità.

Buttati via, così.

Un anno di bugie, dunque?


E quel nero delle sue iridi nel nero della notte era ancora più nero.


***



Hanamichi aspettò di essere rimasto completamente solo poi, trattenendo il respiro come se avesse dovuto tuffarsi nell’oceano profondo da una nave che stava per affondare, aprì la porta degli spogliatoi, disposto a qualunque cosa pur di farsi perdonare dalla sua kitsune.
Quando entrò fu avvolto completamente dal buio, Kaede non aveva nemmeno acceso la luce e se ne stava in piedi, davanti alla piccola finestra inferriata che dava sul cortile della scuola, con i pugni chiusi per trattenere la sua rabbia.
“Ka… Kaede” lo chiamò con voce incerta il rossino senza ottenere la minima risposta, il suo ragazzo non si voltò nemmeno.
Ovviamente Sakuragi non si arrese per così poco e, accendendo la luce, si avvicinò a lui di qualche passo.
“Per favore, Kaede, ascoltami - cercò ancora di catturare la sua attenzione - io… sono uno stupido, lo sai anche tu, ho detto quelle cattiverie solamente per ripicca. Quando sei andato via senza spiegarmi nulla, ci sono rimasto male e allora… ma te lo giuro nemmeno per un istante ho ritenuto vere quelle cose!”
“Perché le hai pronunciate allora?” la voce di Rukawa era così vibrante di collera che Hanamichi fu costretto ad usare tutta la sua forza per non indietreggiare.

Aveva visto la sua kitsune arrabbiarsi in diverse occasioni, ma mai tanto profondamente ed era la prima volta che si trovava di fronte al suo volto così spietatamente inespressivo.
Le sue labbra erano una rigida linea piatta e immobile, il timbro profondo della sua voce si era trasformato in un freddo alito di vento e i suoi occhi erano diventati un vuoto specchio della rabbia, della delusione e del dolore, che le parole di Hanamichi avevano scatenato in lui.

Sconvolto da quello sguardo, il rossino abbassò la testa, cercando una breve tregua da offrire al cuore che gli martellava disperatamente nel torace, prima di rispondere alla domanda del suo ragazzo, ma non fece in tempo a dire niente perché il suo gesto fu completamente frainteso da Rukawa che, considerandolo come un ammissione di colpa, sibilò:


“E’ così, continui a mentirmi …..”


“No!Io……ho detto la verità!!”


“Anche prima allora…..magnifico…..è questo quello che pensi di me?!”sarcastico, tagliente, sull’orlo.


“Kaede no, io ti…”


“CAZZO, DIMMI LA VERITA’!!!!!!!!UN ANNO!!E’ DA UN ANNO QUINDI CHE MI MENTI, CHE NON MI CONSIDERI ALTRO CHE UN PEZZO DI GHIACCIO BUONO SOLO A SCOPARTI LA SERA?”

“No..no ..Kaede…”


Ma Rukawa, infastidito da quella voce che nella sua testa risuonava troppo falsa per essere creduta, non lo fece parlare e, cogliendolo completamente alla sprovvista, si voltò di scatto, colpendolo al volto con tutta la sua forza.
Hanamichi non riuscì nemmeno a difendersi né, in qualche modo, ad attutire il colpo così, stordito dal dolore, cadde per terra con la faccia contro il pavimento.
Il sangue cominciò subito a fuoriuscire dal labbro spaccato e, colando dalla sua bocca in un sottile rivolo scarlatto, andò a macchiare le piastrelle candide come neve.

Scuotendo la testa per riprendersi dal pugno ricevuto, Hanamichi cercò di alzarsi con fatica da quella posizione umiliante e far ragionare la sua volpe violenta.
Tuttavia non ci riuscì, Kaede, infatti, si era portato sopra di lui e, inchiodandogli i polsi per terra all’altezza della faccia, lo aveva costretto a rimanere in quel modo, bloccandolo con il peso del proprio corpo.
“Kaede, cosa…” si agitò all’istante Hanamichi, spaventato dal comportamento del suo ragazzo.

“Fa silenzio, do'aho - sibilò freddamente il volpino piegando la testa per sfiorare con le labbra un orecchio dell’altro - ho deciso di assecondarti.”
“Che stai dicendo? Kaede, lasciami” ordinò Sakuragi stanco di quella situazione, iniziando a dibattersi violentemente per liberarsi dalla stretta di Rukawa.
Il moro però non si lasciò cogliere impreparato e, aumentando la stretta sui polsi del rossino, lo fece gemere debolmente per il dolore.
“Ti ho detto di stare buono - lo ammonì di nuovo con quel timbro di voce innaturale che fece salire le lacrime agli occhi di Hanamichi - visto che ci siamo, proporrei di cominciare con quella cosa dello 'scopare'. Tu che dici, do’aho?!”
“Kaede… ti prego.”
Ma la mente di Rukawa era ormai completamente avvolta dai fumi della rabbia e ignorò del tutto la sua supplica.

“Dato che ci tieni tanto, do’aho, ti farò conoscere il vero significato di ‘scopare qualcosa’, contento?”

A quelle parole Hanamichi chiuse gli occhi e posò la fronte sulle fredde mattonelle del pavimento, se per calmarsi Kaede aveva bisogno di prenderlo senza troppo riguardo, il rossino era disposto a lasciarglielo fare.
Così, conficcandosi le unghie sui palmi delle mani per resistere alla tentazione di lottare contro Rukawa, smise di opporre resistenza, permettendo all’altro di sfilargli i pantaloncini e la biancheria intima che indossava.

“Bravo, 'tesoro', lasciati sbattere in questo modo!!”

“AAAAAAAAH…Aaaaaaaah!!”

Il grido smisurato di dolore che nacque dal ventre del rossino si bloccò nella sua gola, troppo scioccato da quello che gli aveva fatto il suo ragazzo, per continuare ad emettere anche un solo respiro.
Kaede, infatti, liberando i polsi di Hanamichi dalla propria presa, aveva spostato le mani sui suoi fianchi e, sollevandoli all’altezza del proprio membro, lo aveva penetrato così, senza ammorbidirlo, senza la minima gentilezza, con un colpo brutale e cattivo che era andato subito a squarciare i muscoli impreparati del rossino.

“Ka…AAAh…Kaede…nhh…no!!”

Il pene duro del volpino si era conficcato ancora più dentro di lui, con una spinta così veloce e violenta da squassare ogni fibra del suo corpo straziato.
Cercando di allontanarsi dal ragazzo spietato sopra di lui, Hanamichi si dimenò forsennatamente, ma Rukawa non lo lasciò andare e, conficcandogli le dita sulla pelle delicata delle anche, lo spinse contro il proprio ventre, facendolo gridare ancora più forte.

Il rumore sordo dei piedi di Hanamichi che sbattevano sul pavimento risuonava basso.
Poi arrivarono le suppliche.

“Ba… basta, ti prego… ti…” il rossino continuò a implorarlo, mentre i singhiozzi cominciavano a scuotergli il petto e le lacrime a gonfiargli gli occhi.

Tutto però fu vano perché Kaede non si fermò, al contrario riprese a spingere con una foga tanto irrazionale e spietata da far morire anche l’ultimo barlume di energia del compagno.

Hanamichi era convinto di impazzire: troppa violenza, troppo dolore.
Le mani, che artigliavano irrazionalmente il pavimento per cercare una via di fuga, erano come punte da una miriade di spilli; il viso, premuto contro il pavimento, pulsava a causa del labbro spaccato che cominciava inevitabilmente a gonfiarsi; la pelle dei fianchi era come penetrata da dieci piccoli pugnali, mentre la carne soffice del suo intestino era seviziata dal membro turgido di Kaede.

“AAAAH……..Ahn…NNggh……..Ka…ti….suppl…ico.”


Paradossalmente però, la sofferenza più insostenibile proveniva dal suo cuore.

Quell’organo, contrariamente al resto del suo corpo, non era stato nemmeno scalfito dalla sofferenza fisica, ciò nonostante, per quello che stava patendo, aveva cominciato a pompare paura, rimorso, sconforto ed erano sentimenti del tutto inarrestabili, che devastavano l’anima di Hanamichi e sgorgavano fuori con le sue lacrime e i suoi lamenti.

“Smettila di agitarti!!” lo riprese con distacco Kaede, come se lo stato in cui si trovava il compagno per colpa sua gli scivolasse addosso senza concretizzarsi minimamente in una qualche sorta di preoccupazione.
Vedendo però che Hanamichi non intendeva assecondarlo, si sfilò bruscamente da lui e, spingendolo di lato, lo costrinse a distendersi con la schiena sul pavimento.
Per un attimo Hanamichi nutrì la speranza che Rukawa avesse riacquistato la ragione, ma i folli occhi che lo inchiodarono a terra smentirono prontamente la sua illusione.


“Non voglio …..più…” bisbigliò piano Sakuragi serrando le gambe per proteggersi dal suo ragazzo.


“Cos’è che non vuoi? Non vuoi capire? - gli domandò subito Kaede mentre con le mani gli ghermiva la pelle arrossata delle cosce e quella del torace ancora protetta dalla t-shirt - Ti sei spaventato? Non hai forse detto che questa è l’ unica cosa che sapevo fare? …Dormire e scoparti….giocare e scoparti….VEDERE QUELLE CAZZO DI PARTITE E CONTINUARE AD INFILARTELO DENTRO, NO?? NO?????? RISPONDIMI E NON TREMARE!!!APRI LE GAMBE!MUOVITI!ADESSO!”

Pur continuando a piangere in silenzio, il ragazzo dai capelli rubino cominciò a dischiudere molto lentamente le gambe perché, nonostante il terrore che quello strano sguardo gli infondeva, la volontà di avere ancora fiducia nella persona che amava era più forte di qualunque sentimento negativo.
Sentiva pesante la propria colpa.
La sentiva risuonare, rimbombare nella voce addolorata e folle che si alzava.
La voce di Kaede.


Aprendo le gambe avrebbe espiato l’immensa cattiveria di quelle frasi gettate in una palestra quasi deserta?

Farlo avrebbe colmato la voragine nera come la pece che osservava nel profondo di quegli occhi?



“Sì, così, bravo, ancora un po’” Kaede continuò a guidarlo, stringendo l’ incavo delle sue ginocchia finché non trovò abbastanza spazio per posizionarsi in ginocchio davanti a lui, dopodiché, con un movimento fulmineo, afferrò le cosce tese del compagno e, tenendole completamente divaricate, penetrò di nuovo la sua fessura umida con violenza.

Hanamichi non ebbe nemmeno la forza di gridare, semplicemente inarcò la schiena fino a sentirla quasi spezzarsi e spalancò gli occhi, lasciandosi abbagliare dalla luce cerea del neon.

Un pugnale nel ventre.
Flash di un mare bianco latte davanti allo sguardo.


Rukawa, intanto, per avere più libertà nei movimenti e il corpo dell’amante in suo completo potere, aveva portato una gamba del rossino sopra la propria spalla e, piegandogli l’altra verso il petto, aveva ripreso a muoversi sopra di lui, dentro di lui, senza freno, affondando ripetutamente in quel mare di viscido calore, facendosi largo fra i suoi muscoli umidi che, contratti a causa del dolore, si chiudevano in maniera sublime attorno al suo sesso congestionato.

Sfilò e lo riprese, molte volte, finché non se ne sentì soddisfatto.
Poi s’ immerse a fondo in quella carne fradicia di umori e di sangue.
Irrazionalmente cercò di stendersi su di lui, reclinando la fronte piena di fili sudati, chiudendo gli occhi, godendo.

Trascinato da quell’eccitante sensazione di potere, Rukawa decise di voler aprire fino in fondo il corpo del ragazzo sotto di sè così, trovando un punto d’appoggio migliore, spostò le mani sul pavimento accanto al volto del compagno e, preoccupandosi solo del proprio piacere, iniziò a penetrarlo ad un ritmo selvaggio che gli permetteva di sprofondare nell’intestino dell’altro fino alla radice, artigliando brutalmente l’interno del suo addome, facendosi risucchiare da quella carne soffice e contratta a tal punto da svenire.
Il moro cominciò per questo ad ansimare pesantemente.
Mai in vita sua aveva provato il piacere sconvolgente di un amplesso così violento e vertiginoso.
Il sangue gli ribolliva letteralmente nelle vene, le tempie gli pulsavano come se stessero per scoppiare da un momento all’altro e la vista gli si offuscava precludendogli, a tratti, la visuale dei denti di Hanamichi stretti dal dolore, del suo viso completamente bagnato, del suo labbro spaccato, dei suoi occhi di orzo liquido e di quant’ altro lo circondava.
Spinse ed entrò oltre ogni limite.
Seviziando atrocemente quel delicato anello di pelle con il collo del proprio sesso.
Perdendosi nei movimenti vigorosi che imponeva a quel corpo torturato.

Solo i gemiti strazianti del rossino soffocati nei singhiozzi e nel pianto arrivavano inconfondibili alle sue orecchie e un sorriso cattivo si disegno follemente sulle sue labbra.


“Da… da quando… - domandò respirando con affanno - pi… goli…come…un pulcino… mentre…mentre ti sto .. sbattendo?”


Hanamichi sentì il suo stomaco contorcersi per il disgusto e l’umiliazione.
Ormai completamente sconfitto, decise di arrendersi e, per non vedere più l’essere che lo stava uccidendo senza la minima pietà, voltò la testa di lato e chiuse gli occhi.
Fingendo di non appartenere più a questo mondo, il rossino riuscì ad ignorare i bassi gemiti del ragazzo sopra di lui.
Non badò al sangue denso e appiccicoso che gli colava lungo le cosce spalancate e dimenticò persino il dolore insopportabile che quel sesso duro continuava a procurargli, strofinando incessantemente contro la sua pelle dilaniata e, inerme, muto e ormai completamente svuotato, attese finché Rukawa non raggiunse l’orgasmo dentro di lui.

Come alcool puro su uno squarcio aperto e sanguinante, allo stesso atroce modo il seme bollente del ragazzo dai capelli d’ ebano schizzò, spargendosi fra le minute pieghe interne, su tutti quei piccoli brandelli di pelle brutalmente piagati, strappati, contusi.


Kaede era venuto così violentemente che per un attimo i suoi sensi lo avevano abbandonato, facendolo ricadere completamente spossato sul corpo del proprio ragazzo.
Pugnalandolo al ventre per l’ ultima volta.

Fu quiete finalmente, per qualche breve minuto.
Respiri ansanti, realmente affaticati.

Eppure sentendo la sua immobilità, quell’ immobilità…malata….il ragazzo dai capelli neri si affrettò a sollevarsi da Hanamichi ed in quell’ istante si rese conto.

Tutto ciò che vide lo traumatizzò profondamente.

Il suo do’aho era disteso per terra, con il corpo agitato da un tremore costante e marcato, le gambe ancora aperte imbrattate di sangue e sperma, che si erano mescolati dopo il suo vergognoso orgasmo, le braccia chiuse sul ventre per cercare in quel modo di placare il dolore martellante che ancora lo tormentava e gli occhi chiusi per fingere di trovarsi da tutt’altra parte – sarebbe andato bene anche l’inferno se qualcuno gli avesse assicurato che non aveva l’aspetto di uno squallido spogliatoio e che il demone custode non fosse un feroce traditore -.


E Kaede lo guardò, lentamente, incredulo.

Mentre da quelle cosce aperte e arrossate saliva alle sue nari l’ odore dolciastro e metallico del sangue di Hanamichi.

Rukawa non sapeva cosa fare, la paura e l’ improvvisa consapevolezza di quello che aveva fatto lo impietrì, impedendogli ogni genere di movimento, persino la sua mente, ora finalmente lucida e padrona di sé, era rimasta bloccata e riusciva solamente a riproporgli tutte le sue orribili azioni come un giradischi incantato.
Tuttavia, dopo interminabili secondi di shock, si decise a reagire per aiutare il compagno e, avvicinandosigli, lo chiamò piano: “Hanamichi…”

“Hana… ti… ti prego - insisté Kaede quando non sentì alcuna risposta - io non so cosa…”

Il volpino si bloccò quando vide gli occhi dell’altro aprirsi lentamente e fissarsi nei propri.

Perché vedeva cenere anche lì dentro?

“Hana!! - lo chiamò per l’ennesima volta mentre le sue braccia, le sue dita, si allungavano per cercare di aiutarlo - Kami…”



“Non ti avvicinare!!”



La voce di Hanamichi era irriconoscibile: vuota, spaventata, furiosa, sofferente ed un abisso si aprì nel petto di Kaede quando si rese conto di essere la causa di tutto.
Senza fare niente lo guardò mettersi prono sul pavimento, afferrare con una mano i pantaloncini vicino a lui e poi, con quella stessa mano, fare forza per rialzarsi a fatica da terra. Fu tentato di correre da lui per sostenerlo, quando lo sentì gemere forte per il dolore e lo vide portarsi la mano libera al ventre, ma il suo sguardo, reso scuro dall’umiliazione, non lo lasciò avvicinare.

Hanamichi, nonostante tutto, riuscì a mettersi in piedi da solo e, ignorando il forte dolore viscerale e la schiena distrutta, raggiunse la porta degli spogliatoi senza farsi più sfuggire nemmeno un lieve lamento.

Quando Kaede rimase da solo cercò furiosamente un modo per farsi perdonare, ma più pensava più capiva la gravità del fatto compiuto e allora, schiacciato dalla vergogna, uscì a sua volta.
Rimase in ascolto per capire dove si fosse rifugiato il suo compagno e, nel momento in cui lo sentì piangere nell’ufficio di Ayako, si avvicinò alla porta posandovi lentamente una mano.

‘Saprò farmi perdonare - giurò fra sé con estrema determinazione Kaede - te lo prometto, Hanamichi!’


Le sue labbra però si mossero per pronunciare debolmente altre parole: “Hana… io… vado a casa.”




Stancamente Kaede accese le luci salendo le scale.
Il ticchettio dell’ orologio dal salotto lo accompagnò monotonamente.

Nella stanza da bagno il ragazzo moro si spogliò.
Strinse fra le mani i propri pantaloni, osservandoli.

L’ interno della patta era lievemente sporco.
Come se qualcosa d’insanguinato vi fosse stato sfregato sopra.

I suoi occhi blu allora scesero, passando dalla stoffa alla sua pelle.

Il suo membro riposava, macchiato di piccoli spruzzi rossastri.
Un cerchio appena distinguibile dello stesso intenso color porpora ornava la radice.

Gli occhi di Kaede si fecero scuri e lui entrò nella doccia, a passo lento.

Aprì l’ acqua fredda e si lasciò a quel getto purificante.

Gettò indietro la testa e fu in quel momento senza pensieri che si chiese perché, se stava sotto una doccia gelata, sentiva acqua tiepida sul viso.


Senza rispondersi continuò a piangere sotto un'acqua piena di dolore.






Il giorno seguente portò un risveglio dal sapore amaro.
Kaede si passò una mano sugli occhi.


“Ho violentato il mio Hana” disse alla stanza.


E si alzò.


La casa era vuota.



A scuola nessuno li vide.
Solo pochi minuti prima dell’ allentamento Rukawa entrò in palestra.

Varcò la soglia degli spogliatoi e si fermò.

Lì, proprio dove si era posato il suo sguardo.
In quello spazio bianco e pulito aveva tenuto steso il suo ….no….aveva tenuto stretto Sakuragi e lo aveva ….

..punito?
…..ferito?


Ucciso?

Rimase immobile, mentre le pareti, sadicamente, rilasciavano nell’ aria il ricordo delle grida che avevano ascoltato.


Fu Mitsui ad interrompere quel tormento.

“Ehi, Rukawa, ti sei addormentato sulla soglia? Lasciaci entrare” e Kaede si spostò, lentamente.
Abbandonando la terribile vista del suo mattatoio personale della notte prima.

Miyagi sbuffò adirato.
Altro che Tensai e Tensai.
Altro che duemila tiri.

Quel do’hao non si era affatto presentato!

“Qualcuno sa dove si è cacciato quello sbruffone?? Dannazione, aveva detto che ci avrebbe battuti tutti ed invece non è affatto venuto…..ma so io come fargli passare queste gloriose idee….domani non uscirà di palestra prima di notte!” minacciò il neo capitano.

E tutto riprese, lento e regolare come sempre.
Meno i pensieri interrotti dall’ ansia del numero undici.

In breve fu sera e poi quasi notte.
Con una lentezza estenuante Kaede infilò la chiave nella serratura ed entrò in casa.

Immediatamente un fascio di luce lo abbagliò.
Una luce accesa??

Possibile non l’avesse notata dalla strada?
Possibile l’ avesse dimenticata accesa per tutto il giorno?

Con passi tesi si diresse nel luogo dal quale la vedeva provenire.

Entrò e lo vide.

Steso sul divano.
Una piccola coperta che gli arrivava ai fianchi.
Una tuta da casa, blu scuro.
Gli occhi chiusi, un braccio sopra il viso.

Incredulo Kaede si chiese se non fosse un’illusione.

Hanamichi.

Il suo Hanamichi.

Ancora nella sua casa.

Dopo tutto quello che …dopo che….
Nella sua casa, davanti a lui.

Trepidante fece un passo, uno solo, deciso, ma subito si fermò.



“Non osare avvicinarti Rukawa.”



Una frase sola.
Fredda.
Bassa.

Categorica.


Pensava che stesse dormendo, pensava di potersi avvicinare, di poterlo accarezzare nel sonno, di potergli pronunciare tantissime parole di scusa all’ orecchio e magari svegliarlo così e scoprire che tutto poteva tornare come prima.

No.

Era solo un sogno.
Un suo esclusivo, utopico, viaggio mentale.

Cazzo, non aveva mai sognato, mai.
Non si era mai illuso di niente.

Che ironia bastarda aveva il destino.

Iniziare proprio adesso.
Per stare ancora peggio.

Silenziosamente andò via.


Non cenò.
In camera, la ‘loro’ camera, non andò.
Nemmeno quella notte.
Come anche quella prima dopotutto.

Preferì la piccola stanza accanto, quella per gli ospiti.
Si stese, poi si alzò di nuovo.
Inquieto.
Scese le scale, cercando di evitare ogni rumore.
Si sporse e lo guardò ancora.

Ancora lì.
Su quel divano.

(Non era un'illusione)

A riposare.
A rigirarsi lanciando piccoli mugolii bassissimi ogni qualvolta decideva di voltarsi.

Doveva sentire male.
Doveva averne sentito tutto il giorno.

Lo aveva preso così forte, così violentemente.
L’ aveva sentita persino lui quella pelle lacerarsi.
Quel sangue colare e raccogliersi su di un pavimento sporco.


Ed era stato un bastardo.
Un bastardo crudele, da disprezzare.
Una persona alla quale sputare addosso.



Perché aveva provato un piacere enorme nell’ aprirlo in quel modo.



Ed era anche un vigliacco.
Sapeva che spettava a lui fare quei tre o quattro passi fino al divano ed inginocchiarsi.
Chiedere perdono, implorare.

Ma non ne aveva il coraggio.

Rimandò.
Al giorno seguente.


E tornò al piano di sopra.
Lasciando socchiusa la propria porta.

Sperando assurdamente che, passando, Hanamichi si fermasse da lui, che magari si avvicinasse per primo.
Che lo picchiasse anche.
Ma che poi lo abbracciasse come solo lui sapeva fare.

Lasciò socchiusa quella porta di speranza, in fondo per fargli almeno sapere che era lì e non nell’altra stanza.
Caso mai avesse voluto raggiungerlo.


E cadde nel dormiveglia che precede il sonno cupo e buio.
Quello delle notti che non portano sogni né reale riposo.

E sembrò, a quel disperato angelo dai capelli neri, di sentirlo il respiro di Hanamichi.
Le notti che passavano insieme, in cui si addormentavano vicini.
Le ricordava nitidamente.
Ricordava di come, le poche volte che si svegliava nel cuore della notte, quel respiro accanto lo rallegrava, lo cullava fino ad un altro nuovo sonno.
Di come la vicinanza ed il mescolarsi dei loro ansiti addormentati lo rendesse segretamente, poeticamente felice.

Ed ora lo sentiva.
O così sembrava.

Come se avesse sceso le scale, come se fosse entrato in quel salotto.
L’ aria stantia della notte scura portava quel respiro fino a lui, per ricordargli ogni cosa.

Si risvegliò.
Di soprassalto.
Ricordando e comprendendo.

Si coprì quindi gli occhi con una mano, passandola poi, irrimediabilmente bagnata, fra i propri capelli.


“Ho sentito il tuo respiro così lontano da me” mormorò singhiozzando nella notte.


E prima di addormentarsi di stanchezza pianse amaramente tutte le proprie colpe.



Scese dal divano all’alba, per non impazzire.
Il sonno gli era sfuggito di continuo quella notte.
Si sentiva divorare l’ anima dall’ incertezza di tutto quello che era accaduto.
E non aveva trovato niente di meglio che rigirarsi dolorosamente tutta la notte.
Piangendo per ogni singolo movimento.
Non per il dolore fisico.
Nonostante si sentisse bruciare il ventre.
Ma perché ogni maledetta fitta riportava alla sua mente la realtà della loro situazione.


Ed aveva continuato a rigirarsi, tutta la notte, ripetendosi in mente.


“Il mio Kaede mi ha violentato.”



Era stato tutto così follemente terribile.
Così irreale quasi.
Che solo tornando in quello spogliatoio, dopo minuti interi di scioccante immobilità nelle stanze della manager, solo quando i suoi occhi liquidi e rossi si erano posati sulle macchie altrettanto scure di sangue, solo allora e non prima, solo in quel momento atroce si era reso effettivamente conto di quanto fosse accaduto.
A lui, a Kaede.
A loro.


Ed aveva pulito.
Disperatamente, fino a vedere di nuovo solo bianco.
Dappertutto.

Poi si era trascinato fuori, arrancando nei vicoli ed era tornato a casa.
La sua casa.

Quella che nessuno abitava più.

Sua madre, impiegata a Tokyo, sempre più spesso non aveva l’ energia di ritornare ed allora preferiva sistemarsi per la notte dalla sorella o dalla madre, nelle immediate vicinanze dell’ ufficio.
E lui, oramai, allo scadere dei sei mesi festeggiati felicemente con Kaede, ritenendo consolidata quella relazione, si era come trasferito.
Portando quasi tutto in quella casa che li aveva visti felici, insieme.
Ed ora non sembrava nemmeno abitabile il suo vecchio appartamento.

Ma ora non poteva vederlo.
Non voleva.

E così si era lasciato cadere su un futon pulito e lì, ancora sanguinante e sporco di sperma e lacrime, si era addormentato.

Non aveva voluto parlare con Mito né vederlo.
Non si era presentato a scuola.
Non avrebbe potuto partecipare agli allenamenti né mentire per giustificarsi.

E poi, stava male.
Dentro e fuori.

Nella mente.
Nel cuore.

E nel giorno seguente aveva finalmente deciso.
Sarebbe tornato da Kaede, ma senza portarsi dietro un perdono facile e pronto.

Tornava in quella casa, non per lui, ma per sé.
Non solo perché lì aveva tutto ciò che era importante nel suo presente, ma anche per orgoglio.

Non avrebbe abbandonato i suoi sentimenti.

Aveva sempre rispettato le proprie scelte e se il suo cuore e la sua anima avevano scelto fra tutti Kaede una motivazione profonda doveva esistere.
Un anno d’ amore e felicità non poteva morire per una mezz’ ora di violenza.
Non doveva.

Per rispetto, per orgoglio, per devozione.

Non l’avrebbe permesso.

In nome di tutti quei ricordi splendidi.
Che si ergevano adesso nella sua memoria come antiche rovine profonde e così care.

E tutto perché lui…
…lui lo amava.


Ancora.



E pianse, camminando nel corridoio del primo piano, poco lontano da quella porta socchiusa nella quale aveva guardato un attimo fa.

Kaede si svegliò con il rumore dell’ acqua che correva.
Incoerentemente pensò che fossero le proprie lacrime che continuavano a cadere, poi ricordò che le lacrime non hanno suono e si portò a sedere.

Hanamichi.

Nel bagno accanto.

Lentamente si recò alla soglia della porta ed attese.
Lo voleva vedere.
Era una necessità.

Passarono pochi istanti di soffocante attesa.
Poi Hanamichi uscì.

Gli occhi bagnati, una mano sul viso pallido e stanco.
I passi lentissimi e rigidi.
La difficoltà di muoversi assieme al dolore.

Kaede lo vide ed alzò il viso per cercargli gli occhi.

Li trovò e rimasero fermi.

Il rimorso e la colpa lo stavano sbranando, lo tenevano fermo, pugnalandogli la schiena.
Meritatamente.


Avanzando piano Hanamichi passò davanti al ragazzo che non poteva odiare e non lo guardò.


“Hana…se vuoi..io posso accompagnarti da ..un medico…mi prenderò ogni responsabilità…davanti a….”


“Di' a Ryota che per un paio di giorni non verrò a scuola.”


Kaede avrebbe voluto insistere sull’ argomento e di sicuro lo avrebbe fatto se fosse stato solo per quello.

Se per un maledetto istante non avesse pensato che le spire viscide che strangolavano la sua coscienza si sarebbero allentate un po’ qualora il dottore gli avesse assicurato che niente di grave era successo al corpo di Hanamichi.

Fu quell’ennesimo pensiero egoistico a far desistere Rukawa dall’afferrare il compagno per un braccio e costringerlo a guardarlo di nuovo per parlare ed evitare che la crepa, formatasi fra di loro, si trasformasse in un baratro senza fine.

Restò immobile fino a quando non sentì più alcun rumore, poi finì di prepararsi velocemente e si diresse a scuola.

Vigliacco e codardo.
Vile e bastardo.

Si offese a lungo, accompagnandosi con quelle parole in mente, correndo veloce sulla sua bici.



Rimasto solo Hanamichi scese in cucina per mangiare qualcosa. Erano più di ventiquattro ore che non toccava niente e, anche se la fame non era altro che una parola dal significato oscuro, doveva sforzarsi per non cedere sempre più alla debolezza.

Quel giorno non aveva alcuna voglia di pensare e di sicuro, se fosse rimasto chiuso in casa, la sua mente avrebbe ripreso a ricordare in maniera logorante sugli avvenimenti di quella dannatissima sera così, senza sapere dove andare o cosa fare, prese la sua giacca ed uscì.

Sperando che il vento di maggio portasse in cielo con sé, oltre alla foglie, anche tutte le sue ansietà.

Camminò lentamente vagando senza meta poi, stanco, decise di riposarsi su una panchina del parco.
Non si era mai accorto di quanto fosse gremito di vita in quelle ore del giorno: gente che passeggiava tranquilla per gustarsi i pallidi raggi di sole che, se pur debolmente, riuscivano a riscaldare quella mattina di fredda primavera; gente che, approfittando di un momento libero dal lavoro o dagli impegni quotidiani, correva con convinzione per mantenersi in forma e bambini, bambini ovunque che giocavano, che ridevano e gridavano, che si arrabbiavano e si mettevano a piangere, attirando subito l’attenzione delle loro madri.


“E’ bello, vero?”

Il rossino voltò la testa in direzione di quella voce sconosciuta, e solo allora si rese conto dell’anziano signore che si era seduto accanto a lui.

“Cosa signore?” domandò il rossino assorto.

“Quello che ci circonda, l’ enorme varietà di persone, tutti i loro sentimenti …. ” rispose l’uomo continuando a guardare dritto davanti a sé, con le mani e il mento appoggiati alla lucida impugnatura del suo bastone da passeggio.

“Beh, non saprei…”

Lo spirito di Hanamichi non era abbastanza sereno da vedere della poesia in quello che lo circondava.

“A volte, guardare le altre persone vivere riesce a farci dimenticare i nostri problemi… Soprattutto i bambini… Tu hai fratelli minori, figliolo?” chiese improvvisamente il vecchietto.

“No, sono figlio unico.”

“Peccato… neppure io ho dei nipotini, i miei figli sono troppo impegnati con il loro lavoro per rendersi conto di quello che stanno perdendo, sai, ogni giorno perdiamo tante cose e non ce ne accorgiamo nemmeno, il tempo scivola, figliolo e non restituisce mai ciò che ha portato via.”

Era vero.
Crudelmente vero.

Si ritrovò ad annuire.
Anche loro, lui e Kaede, stavano perdendo il loro tempo.
Si rincorrevano in attesa di un perdono simmetrico, perfettamente speculare e quanto mai miracoloso.
E nel frattempo si chiudevano nel riccio che li avvolgeva e perdevano inevitabilmente la reciproca compagnia, la serenità, la gioia di condividere amore.

Il vento soffiò e Hanamichi tornò a guardare l’ uomo seduto accanto a sé.

Non fu in grado di dire niente per alleviare la solitudine ed il rimpianto di quell’anziano signore, perché anche lui in quel momento si sentiva terribilmente solo.

Come si era ripromesso, per tutta la mattina era riuscito a non riflettere sulle proprie colpe, sulla furia di Kaede, sulla sua violenza ma, eliminando quei nefasti pensieri, dentro di lui era comunque rimasto un senso opprimente d’isolamento, ancora più angosciante dei suoi ricordi.

Poco più di un giorno senza le dolci attenzioni del suo ragazzo e si sentiva irrimediabilmente perso e spaventato.
Orfano e senza scopo, senza gioie.

Lui era certo di amare ancora quella stupida volpe impazzita, ma se Kaede non avesse più avuto il coraggio di stargli accanto?
Se non avesse avuto la forza di aspettare il suo 'perdono' o peggio ancora se avesse deciso di non combattere per riconquistare la sua fiducia?


Come avrebbe potuto superare anche quel dolore?



“Scusami giovanotto, non volevo avvilirti con i miei tristi discorsi da vecchio!”

La voce dell’uomo catturò ancora una volta la sua attenzione, salvandolo dai suoi stessi pensieri.

“Oh, non si preoccupi, non è colpa sua!” lo rassicurò il rossino.



“Sei credente, figliolo?”

Hanamichi rifletté un istante.

“Forse…”

“La fede è una cosa meravigliosa…sai non importa quale religione sceglierai da adulto, ho sempre ricordato una cosa in tutti questi anni…..ci sono chiese che non sono fatte d’ oro e d’ argento, ci sono sentimenti che sono più importanti degli insegnamenti divini, ci sono verità e menzogne ovunque……….capire che nome ha la cosa più importante nella tua vita è il sacramento fondamentale, la meta…………la felicità…..”


Silenzio.


La cosa più importante.
Perché quel bastardo di Kaede doveva farsi ricordare in quel momento?
Perché vedeva il suo viso nell’ acqua della fontana poco distante?
Perché vedeva i suoi occhi negli spicchi di cielo liberi dalle nuvole?
Perché vedeva i suoi capelli nelle fronde cadenti degli alberi?

Sospirò.

E subito dopo si alzò dalla panchina.
Guardò quell’ uomo dai pensieri strani e profondi, intrisi dal sapore polveroso dell’ esperienza.

“Spero che presto i suoi figli riescano a renderla più felice” gli augurò come saluto.

“Ti ringrazio figliolo…”
E quando Hanamichi fece per allontanarsi, aggiunse con la medesima calma che aveva contraddistinto la loro strana conversazione: “Quando si è giovani è molto più difficile risolvere i problemi che ci affliggono, e tutto è vanità, quello che ci sembra importante in fondo non lo è e la difficoltà è tutta nelle scelte giuste da fare, ascolta le parole di quest’ uomo vecchio e chiacchierone…."

D’istinto Sakuragi piegò le labbra e, anche se solo per un istante, regalò all’uomo un dolce sorriso pieno di gratitudine e s’ incamminò.

Sul sentiero immaginario che seguiva improvvisamente incontrò con lo sguardo un acero.

Kaede.

Ed il pensiero della sua violenza lo colse nuovamente.
Lo avrebbe perdonato?

Si fermò a riflettere.
Quando il tradimento viene da una persona di cui non ti sei mai fidato non è che un’ eventualità di cui avresti dovuto tenere conto, ma Dio, un pezzo del tuo cuore che ti tradisce così……

E Kami, se non era masochista a considerare ancora quel ragazzo come la sua personale chiesa.





Quando a sera inoltrata Rukawa tornò a casa e la trovò completamente vuota, per un attimo fu sopraffatto dal timore.

Hanamichi se ne era andato.

La sua mente per interminabili minuti di smarrimento riuscì a concepire solo quel pensiero agghiacciante e soltanto l’ ira e la delusione, che provava nei propri confronti, riuscì a distoglierlo da quel torpore.

Se Hana, giorni prima, era tornato a casa, nonostante tutto il male che gli aveva fatto provare, significava che non lo odiava completamente e che la speranza di riconquistare la sua fiducia e il suo amore non era poi un parto della sua follia come aveva creduto.

Pertanto non doveva più permettere alla paura di bloccarlo.


Se Hanamichi se ne era andato… lui lo avrebbe riportato indietro.
Doveva finire il tempo dell' incertezza.

Incoraggiato da quella decisione, volò verso l’ingresso per uscire a cercare il suo ragazzo, ma nel momento in cui afferrò la maniglia, la porta si aprì rivelando il rossino.

“Ha… Hana?!”

Sakuragi passò oltre, mormorando appena un saluto di circostanza.

“Credevo… …. ho pensato che te ne fossi andato….stavo per …” balbettò Kaede ancora un po’ incerto.
“Dove dovrei andare? Tutte le mie cose sono qui” replicò Hanamichi, incolore.
“Sei stato dal medico?”
Il ragazzo dai capelli carminio non rispose, con calma prese la teiera, la riempì d’acqua e la mise a bollire, solo dopo si voltò verso Rukawa, fissandolo con decisione negli occhi.

“Non c’ è niente di cui parlare, cosa fai ancora lì?”

Lo sguardo d’ambra lucida sfidò Kaede a controbattere alla sua pungente risposta e questi lo fece, ricordandosi della risoluzione che aveva preso pochi attimi prima.

“Volevo solo sapere se…”


“Cosa? - non lo lasciò terminare Hanamichi - Se sto bene? Davvero stavi per farmi una domanda tanto stupida?”


“Io…… volevo sapere se quello che ho fatto ti ha causato ….complicazioni… se dentro …tu…”


Kami, non sapeva nemmeno trovare le parole per accertarsi del suo stato di salute!


“Dovevi pensarci prima! - esclamò Hanamichi con malcelata insofferenza - Adesso potresti lasciarmi in pace, per favore?”


Rukawa decise di non insistere, anche se l’altro non aveva risposto alle sue domande e lo aveva trattato con disprezzo, erano comunque riusciti ad avere una conversazione o quello che più si avvicinava ad essa.

E fu mentre se ne andava che lo sentì.
Distintamente.


“Che pena, Kaede, non riesci nemmeno a pronunciare parole di scusa…..parole d’ affetto…..”


E disperatamente non rispose, andando via.


Trascorsero il resto della serata in perfetto silenzio, ognuno assorto nelle proprie frenetiche elucubrazioni, con lo sguardo fisso in un televisore che, almeno per loro, non sembrava altro che una scatola vuota e malriuscita poi, quando Hanamichi si accorse che l’altro si era addormentato sulla poltrona accanto, restò a guardarlo per alcuni istanti, pensando, permettendosi di toccarlo con gli occhi, prima di salire al piano superiore e chiudersi a sua volta nella loro stanza, quella in cui Kaede non aveva più il coraggio di andare a riposare.





Kaede uscì da casa, il mattino dopo, senza disturbare il riposo del suo ragazzo.
Quando era salito per andare in bagno, si era arrischiato a socchiudere lentamente la porta della stanza in cui riposava Hanamichi e, nel momento in cui lo aveva visto dormire con un’espressione più tranquilla e del tutto priva della sofferenza che lo aveva tormentato la notte scorsa, si richiuse la porta alle spalle, sollevato.

Almeno fisicamente Hanamichi stava guarendo.


Arrivato a scuola si rifugiò nella sua aula e, fingendo di addormentarsi come sempre con le braccia e la testa appoggiate sul banco, iniziò a riflettere su quei tre giorni di inferno.

Hanamichi lo aveva deluso, ferito nel profondo con quelle parole ciniche e sprezzanti, ed era la prima volta che Kaede si sentiva così, non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi tanto e, proprio per questo, nessuno aveva mai potuto causargli un dolore così sordo ed intimo.
Per questo semplice, quanto dannato, motivo aveva perso completamente la ragione e la sua furia lo aveva portato a compiere quel gesto crudele, tanto basso e meschino che aveva spaventato persino sé stesso, fino a quel momento inconsapevole di essere capace di azioni tanto spregevoli.
Lo shock e la disperazione nelle ore successive lo avevano trasformato in una specie di ombra senza vita, incapace di qualunque tipo di reazione a quell’apatia che lo avvolgeva come una crisalide.
Poi.. semplicemente.. Hanamichi era tornato.
Lo aveva trovato sdraiato sul divano del suo salotto ed una molla in lui era scattata.
Certo, non aveva riconosciuto subito il significato della sua presenza, per diversi e lunghi istanti aveva continuato così ad aver timore di un confronto con lui, poi però si era reso conto che non era quello l’atteggiamento giusto per riconquistare il suo do’aho e per mantenere la promessa che aveva fatto a lui e a sé stesso davanti a quella maledetta porta.

E finalmente si era deciso a riprendere in mano le redini della propria vita.
Della loro vita.

Ma i due giorni seguenti non erano stati che un mero stallo, peraltro malriuscito.
Una tregua che però sapeva di amaro.

Un continuo, vile, rimandare da parte sua.

‘Domani gli parlerò.’
Così si prometteva e puntualmente non si rispettava.

L’ incertezza di una risoluzione da prendere lo aveva accecato.
Proprio come non sapere dove sbattere la testa.

Ogni tentativo si era irrimediabilmente macchiato d' inadeguatezza.
L’ astio, come succo di un limone acerbo, aveva inasprito ogni accenno di dialogo.

E la paura, sì, una fottuta paura di sbagliare ancora, lo avevano sempre fermato dal prendere effettivamente in mano la situazione.

Ma adesso, adesso che la lontananza faceva più male della paura e gli segava a pezzi l’ anima ogni notte che passava da solo, ascoltando il suo respiro troppo lontano ed il suo pianto sommesso ed invisibile…..adesso…doveva svegliarsi dal torpore e fare….

Fare.
E mantenere la propria parola.

Sei Kaede Rukawa, ricordalo!



Subito dopo gli allenamenti Kaede, forte dei pensieri che si trascinava dietro da quella mattina di decisioni importanti, si precipitò a casa per stare con Hanamichi.
Avrebbe tentato di parlare con lui e se non ci fosse riuscito, beh, non avrebbe avuto alcuna importanza.
Gli sarebbe stato accanto ugualmente, anche in perfetto silenzio.

E così fece.
Soli con il proprio silenzio, ma finalmente un po’ più vicini.
Se non con l’ anima ancora, almeno nello spazio.


Il mattino seguente, quando si alzò, Kaede trovò Hanamichi in cucina.
Indossava la divisa e stava preparando la colazione.
“Torni a scuola questa mattina?” domandò sorpreso il volpino.
“Sì.”
“E per gli allenamenti?”
“Farò anche quelli” rispose Hanamichi con voce atona.
“Nh…stai meglio allora…..mi fa piacere..” lo assecondo Kaede, sparendo al piano di sopra.

Il rossino finì velocemente di fare colazione e uscì per andare a scuola.
Non appena varcò il cancello dello Shohoku, Ryota e Mitsui gli si avvicinarono con il chiaro intento di riempirlo di domande (e poi di pugni) per farsi spiegare il motivo di quei tre giorni d’assenza, ma la sua fedelissima armata intervenne giusto in tempo per salvarlo dall’inevitabile terzo grado.

Hanamichi restò con loro per tutto il tempo e, evitando accuratamente lo sguardo inquisitore del suo migliore amico, si sforzò di apparire il solito Tensai allegro, sbruffone e scanzonato.

Tutto ciò che era successo non era affare di Yohei.
Non era affare di Mitsui o Miyagi.
Non era affare di nessuno.

Solamente suo e di Kaede.


Quando le lezioni terminarono si diressero al club di basket e, mentre l’armata si accomodava direttamente in palestra, Hanamichi si preparò ad affrontare i propri compagni ed il suo personale inferno.

Dopo quella sera era la prima volta che rientrava negli spogliatoi e non aveva la più pallida idea di come si sarebbe potuto sentire.
Proprio come aveva fatto tre giorni prima, prese un grosso respiro ed entrò, sperando ardentemente che non ci fosse nessuno, almeno per i primi, decisivi, istanti.

“Eccoti finalmente!!” sbottò Miyagi con un ghigno soddisfatto quando lo vide entrare.

Contrariamente a quello che si era augurato, lo spogliatoio era quasi pieno, solamente Rukawa e qualche altra matricola non erano ancora arrivati.

Ma almeno i corpi dei ragazzi, le borse sparse sul pavimento e i loro vestiti lasciati qua e là, impedivano ai suoi occhi di riconoscere il palcoscenico bianco e freddo della sua umiliazione e del suo dolore.

“Ehi testa rossa, hai perso qualcosa?” si informò Mitsui vedendo lo sguardo del kohai piantato a terra.
“No, no, non ho perso niente, stavo solo pensando!!”
“A cosa? - intervenne il capitano - Alla scusa che dovrai darmi per giustificare la tua assenza? Scommetto che non hai finito nemmeno i tuoi tiri...”
“Non ho bisogno di nessuna scusa - esordì glaciale il rossino, cambiandosi il più velocemente possibile - non sono stato tanto bene, tutto qui.”
“Caspita, proprio un’influenza fulminea - lo prese in giro la guardia - è venuta e se n’è andata in un lampo!”
Sakuragi si alzò di scatto dalla panca in cui si era seduto per allacciarsi le scarpe e guardò a disagio il vicecapitano.
Non era mai stato bravo a dire le bugie e chi lo conosceva un po’ meglio se ne accorgeva immediatamente quando lo faceva.

Ma lui non poteva raccontare la verità, non perché non avesse fiducia in loro -in quegli anni era diventato veramente amico di quei due scapestrati- ma semplicemente perché quello che stava provando in quel momento non lo avrebbe mai confidato a nessuno, nemmeno a sua madre o a Yohei, suo amico fraterno.
Era il proprio orgoglio ad imporglielo, a gridargli che quella situazione doveva risolverla da solo… no… da solo no, ma solamente con Kaede.

Loro due e nessun altro.

E poi non voleva che qualcuno giudicasse le proprie azioni e quelle di Kaede.
Entrambi avevano sbagliato –di sicuro in misura diversa, ma ugualmente grave - e avrebbero pagato per i loro errori, ma tuttavia senza l’intromissione di nessuno.

“Eh che vuoi farci Mitchi… - Sakuragi cercò di mascherare quell’attimo di esitazione con il solito tono da proclamo - i Tensai guariscono prima di voi comuni mortali!!”

Ma ai due amici ovviamente non sfuggì lo smarrimento del ragazzo.

“Hana?” lo chiamò seriamente il capitano, il sorriso sardonico sparito assieme ad ogni tono scherzoso.

E quando vide gli sguardi sinceramente preoccupati dei due ragazzi in piedi accanto alla porta, al kohai non restò altro che sorridere lievemente, mentre cercava di guadagnare l’uscita per la palestra, unica sua via di fuga, dando le spalle agli altri.

E fortunatamente vi riuscì.

Prima che le lacrime rompessero gli argini che la volontà si era imposta.

Tsk, i suoi amici.
Esaltati e fanfaroni, ma forti come un vero rifugio e veramente devoti al sentimento che li univa.
Scosse la testa, lentamente, sorridendo, nel corridoio deserto, mentre una lacrima gli fuggiva via dall’ angolo di un occhio.


E si fece forza, prendendo un pallone, provando qualche tiro.
Ascoltando se il proprio corpo poteva sopportare quello sforzo o se avrebbe dovuto nuovamente fingere di non sentirsi bene per tornare a casa.

Mugolando tra sé decise di provare a sostenere l’intero allenamento e pian piano tutti gli altri lo raggiunsero in palestra.

Ma il suo personale martirio ebbe inizio con l’ arrivo di Kaede.

L’ onda dei ricordi legati a quella sera nella palestra lo distruggeva lentamente, ad ogni minuto che passava sotto l’ esame di quei preoccupati occhi blu, sbattendolo contro gli scogli appuntiti del dolore e del rimorso.

Se solo non avesse pronunciato quelle parole.
Se solo Kaede non si fosse trovato lì.
Se solo….


Una fitta fece improvvisamente perdere un respiro a lui ed un canestro a Rukawa, che da lontano lo teneva sotto osservazione.
Effettivamente si sarebbe dovuto sentire lusingato da tutta quell’ attenzione, ma come poteva dimenticare di chi era la colpa se sentiva ancora dolore?
Scosse la testa, liberando i capelli da miriadi di gocce di sudore e faticosamente riprese a correre.
In un perfetto silenzio che fece riempire di sospetti persino le matricole in panchina.

Due ore passarono così e, stanchi e muti, tutti i giocatori si diressero negli spogliatoi.

Tranne gli addetti giornalieri alla pulizia della palestra e Rukawa.

‘Che vigliacco sono! - si disse - Non ho nemmeno il coraggio di restare nello stesso spogliatoio con lui, non voglio che nessuno di noi ricordi, aspetterò che abbia finito e poi anch’ io correrò a casa, per stargli accanto.’


E riprese a tirare.

Nello spogliatoio aleggiava una triste attesa.
Miyagi e Mitsui si guardarono per poi voltarsi contemporaneamente verso il loro kohai.

Quei suoi capelli rossi appena lavati facevano risaltare ancora di più il pallore che aveva preso a regnare sull’oro della sua pelle.
Eppure non capivano.
Di segni sul corpo non ne aveva.
Fatta eccezione per due lividi su un'anca.

Quindi non era in pensiero per una rissa che lo avrebbe fatto squalificare.
E tranne una sorta di ‘attenta e calcolata’ lentezza nel compiere certi movimenti non vi erano segni che il dolore alla schiena fosse tornato a tormentarlo.

Non capivano.

Perché i suoi occhi non brillavano più?
Perché le sue labbra non ridevano o proclamavano?

“Ehi, vieni fuori con noi stasera, Hana?” buttò lì Ryota.

Il rossino alzò gli occhi che, da vacui, ripresero il loro intenso e giusto colore.

“No, no, ragazzi stasera no, grazie” e riabbassò la testa per finire di prepararsi la borsa.

Ancora uno sguardo allarmato che correva da Hisashi a Ryota.


“Problemi seri, testa rossa?”chiese allora, grave, Mitsui.


E Hanamichi si alzò.
Lentamente, prendendo la borsa e dirigendosi alla porta.
Davanti al suo percorso i suoi compagni lo guardavano, in attesa.
Pensò di superarli senza rispondere.


“Ehi, cosa…" il bisbiglio sottile di Ryota s' interruppe bruscamente ed i suoi occhi si spalancarono per l’infinita sorpresa: Hana si era fermato davanti a lui e lentamente aveva chinato la testa appoggiandola sulla sua spalla destra.

“Va tutto bene Ryo-chan - mormorò con voce stanca Sakuragi - solo… basta con le domande!”

“Tranquillo Hana” lo rassicurò il senpai, sollevando un braccio sulla sua schiena.

E la mano grande di Mitsui, che si posò delicatamente su quella testa rossa, confermò le parole di Miyagi.

Kami, in quel momento Hanamichi era così fragile e stanco da non sembrare nemmeno il loro compagno!

“Basta una tua parola, Hana - lo blandì la voce profonda del tiratore da tre punti - è vero , ci divertiamo spesso a prenderti in giro, ma sai perfettamente che puoi contare su di noi, per qualunque cosa. Ricorda, basta una parola..”

“Ok - rispose Sakuragi, staccandosi imbarazzato dal capitano - grazie!”


E lentamente scivolò via, incontro alla notte alla volta della casa di Kaede, nei cui occhi si era specchiato uscendo dallo spogliatoio.
Ringraziando Kami per aver evitato di mostrare al suo ‘nemico’ la debolezza, che in quegli istanti, lo attanagliava.

E ben presto fu un nuovo giorno.
Hanamichi si svegliò stiracchiandosi intensamente nel letto che, fino ad una settimana prima, aveva felicemente diviso con il suo amante.
Da un paio di giorni lo spiava, se così si poteva dire.
Sapeva che la sera, quando si ritirava, Kaede non andava in camera loro a dormire.
Pensò che fossero la vergogna ed il rimorso a fargli evitare proprio la stanza in cui tanto erano stati felici.

E così la sera prima se ne era impossessato da solo.
Nella più disperata mancanza di quel suo ‘santuario’ così tenero e caldo, che era sempre stato il corpo di Kaede accanto al suo nella drogante sensazione di benessere che avevano così tante volte provato dopo l’amore fisico.


Ed il sole era sorto ed un altro giorno li aspettava.
Negli spogliatoi Hanamichi si sentì libero di respirare un po’ di più.
Il peggio sembrava essere dunque passato.

Sorridendo Miyagi e Mitsui fecero il loro ingresso.
“Ehilà, testa rossa!!”

In risposta Hanamichi sorrise, quasi come un tempo.

“Aaah…sono proprio stancoo!”disse in tono lamentoso Ryota stravaccandosi sulla panchina accanto ad Hana, gettandosi quasi su di lui.

“Ehi!Tappetto!!Mi sgualcisci la divisa..”si lamentò il numero dieci, divertito.

“Ah davvero?Sentito Mitsui, abbiamo la sartina qui!!”

“Sentito, sentito, che ne dici allora di procurargli un po’ di lavoro?”

E senza aggiungere altro i due senpai si avventarono su Hana, stropicciandogli la maglia, allentandogli un paio di punti sulla manica della maglietta.
Fingendo di lottare, ma con il segreto scopo di trasmettergli un po’ di calore e qualche abbraccio, senza per questo essere costretti a vergognarsi troppo.

Ridendo Hanamichi cercò di difendersi e poco dopo Mitsui annunciò la resa.

“Ma adesso basta con le smancerie!! - sbottò Miyagi, riacquistando il suo miglior tono da capitano dopo tutte le risate - Se non sbaglio hai una serie di tiri che ti aspetta, Hanamichi!!”

E proprio mentre Kaede entrava negli spogliatoi con gli altri ritardatari, Hanamichi varcò la soglia della palestra, riprendendo a scherzare con i suoi amici.


Incoraggiato dal calore e dall’appoggio che i senpai avevano dimostrato nei suoi confronti, il numero dieci dello Shohoku riuscì ad allenarsi senza pensare a niente se non al basket e alla carica, che sempre e comunque, riusciva a trasmettergli quello sport.
Nonostante l’ attenzione che doveva ancora fare nel non compiere movimenti bruschi e dolorosi riuscì un istante a divertirsi e sorrise.
Meno tristemente dei giorni appena passati.

E quel salubre sfogo contribuì a mantenere un’atmosfera distesa anche dopo, quando tornò a casa con Kaede.
Non parlarono molto, affatto quasi, ma prepararono assieme la cena, muovendosi come ombre nella cucina, ma sempre uno accanto all’altro e sempre assieme riuscirono a guardare di nuovo un incontro di basket alla televisione.
Rukawa aveva cercato di cambiare canale non appena aveva visto la partita, ma Hanamichi lo aveva tranquillamente fermato dicendogli che anche lui aveva voglia di vederla.


Nel momento in cui l’arbitro aveva fischiato la fine, il rossino si era alzato dalla poltrona in cui era rimasto accucciato per tutto il tempo e, stiracchiandosi con naturalezza i muscoli contratti, guardò il volpino dritto negli occhi e mormorò: “Sono stanco, vado a dormire!”
“Ok, buonanotte!” lo salutò con un leggero sorriso Kaede.

“Tu non vieni?”

Il sorriso sparì all’istante per lasciare il posto ad un’espressione sorpresa e felicemente incredula.

“Hana… vu… vuoi… mi stai dicendo che posso venire a dormire con te?” balbettò Kaede con il fiato sospeso.

“Ti sto semplicemente dicendo che quella stanza, per me, la puoi ancora usare, proprio come la sto usando io, ma sia chiaro, se ti avvicini verrò a dormire in salotto!”

“Non lo farò” giurò prontamente il volpino, cercando di tenere a bada il suo cuore che, impazzito, rischiava di schizzargli fuori dal petto.


Ed insieme erano saliti in camera.
Nel silenzio più completo.
E Kaede era andato in bagno, mentre Hanamichi si spogliava.
Per non doverlo guardare.
Per non doverlo desiderare.

E a luce spenta tornò in camera e si stese nel letto.


Ed ora il respiro del suo Hana non era più così lontano.


Ed il suo cuore fu subito più sereno.




Quell’apparente tranquillità li aveva accompagnati benevola anche il giorno seguente e Rukawa si sentiva sempre più vicino alla realizzazione del suo desiderio.
Fu a causa di quella frettolosa conclusione che, al termine dei loro allenamenti supplementari, Kaede fece la sua rischiosa proposta al rossino.

I ragazzi si erano trovati di nuovo soli negli spogliatoi ma, contrariamente a quello che il moro si era aspettato, Hanamichi non era affatto preoccupato: aveva fatto con calma la doccia e, dopo essersi asciugato accuratamente le ultime, galeotte, goccioline rimaste sulla sua pelle ambrata come un bastoncino di profumata cannella, aveva preso a vestirsi senza mostrare alcun segno di inquietudine.

Distogliendo lo sguardo da quel corpo magnifico e quella pelle nuda, Kaede si concentrò su quello che doveva dire al suo compagno.

“Ti prego Hana, perdonami…” mormorò improvvisamente, tagliando l’ aria improvvisamente densa, chiudendo l’anta metallica del suo armadietto, voltandosi subito dopo verso il suo rossino per fissarlo negli occhi e dimostrargli quanto fossero sinceri i propri.

Il rossino smise all’istante di abbottonarsi la camicia e si concentrò sul ragazzo di fronte a lui: non si aspettava una richiesta di perdono così esplicita.

E dopo tutte quelle ore di assoluto silenzio finalmente lo sentì: un battito del suo cuore.
Uno… uno soltanto, ma chiaro e inequivocabile, che per un breve attimo gli aveva concesso una boccata di aria fresca e deliziosa da respirare.

“Ho bisogno di tempo, Kaede” rispose dopo diversi minuti di silenzio.

“Non mi odi per quello che ho fatto?”

“Ci ho provato, giuro, ma no…… non ci riesco e non ci riuscirò” lasciò uscire in un sospiro stanco e rassegnato.

A quelle parole il moro staccò la schiena dal suo armadietto e si avvicinò ad Hanamichi, lentamente, con estrema cautela, come se davanti a lui ci fosse un cucciolo di tigre ferito che non doveva assolutamente spaventare per non rischiare di vederlo fuggire davvero.

“Allora… - continuò, scacciando l’indecisione che ancora mordeva la sua mente - permettimi di rimediare al mio errore…di dimostrarti quello che provo veramente…..”

Una breve pausa.
Mentre, abbracciato gelidamente da una comprensione nera come la morte, Hanamichi tratteneva il fiato pregando che non si avverasse il suo presentimento.




“Permettimi di fare ancora l’amore con te nel modo giusto, qui, in questo stesso luogo dove tutto è cominciato. Per esorcizzare insieme, Hana, io e te. Permettimelo, ti prego.”
 


L’ aria vibrava satura dell’intensità di quella richiesta.
Il silenzio poi coprì ogni cosa.

Veramente a lungo.







“No.”







Per tutto il tempo che era rimasto a riflettere Hanamichi non aveva mai distolto lo sguardo da quello del compagno poi, senza il minimo turbamento, aveva comunicato la sua risposta.
E non c’era rabbia o sdegno in quel monosillabo, solo decisione ed un’infinita tristezza.





“Perché no, Hana?” chiese in un soffio atono Kaede.





Il ragazzo dai capelli rossi si sedé.
Con calma e lentezza.



“Vuoi sapere perché?” domandò retoricamente, osservando le profondità marine e lucide dei suoi occhi seri, ma spersi per quel rifiuto inatteso.

Un cenno d’assenso.


Hanamichi abbassò la testa, i gomiti poggiati sulle ginocchia schiuse, le mani intrecciate fra di loro, stanche di ripetere ogni volta con i loro gesti la medesima rassegnazione.
Passò un istante e l’ aria si fece densa come olio di frantoio.

Poi il ragazzo dai capelli rossi sollevò il bel viso ambrato.
E affermò con tutto il suo cuore la realtà che sentiva dentro da qualche giorno.





“Perché la verità è che io non sono più sicuro di volerlo il tuo corpo dentro di me......”





E fu come se il mondo si ripiegasse in sé stesso e sprofondasse nella tempesta furiosa che il blu scuro degli occhi di Kaede aveva scagliato contro sprazzi di dolore grigio-viola ai limiti dell’ iride.
E senza una sola sillaba Kaede andò via, la testa china, il cuore morto.




Quella stessa sera tutto tornò come pochi giorni prima.
Alzandosi per coricarsi Kaede preferì tornare nella stanza degli ospiti ed Hanamichi pianse a lungo, gemendo nel sonno.


E di nuovo i loro respiri erano così lontani…..così come i loro odori e faceva male, la notte, averlo così distante....


‘Sei il mio santuario Kaede…sei ancora il mio santuario….ma sconsacrato, hai ucciso tutta la mia fede, come puoi pensare che io creda ancora in te??’


E di nuovo Kaede dovette ascoltare il suo pianto fragile e tenero senza potersi alzare, senza potersi avvicinare.
Lo assaggiò come se fosse lì vicino, come se lo sentisse contro la propria pelle.
E fu un incubo lungo una notte intera.



E così passarono pochi altri giorni.
Nella divorante attesa che qualcosa cambiasse.
Ma tutto fu come sempre, forse ancora più incolore.

Anche l’ unico, importante traguardo raggiunto, il condividere nuovamente quella loro preziosa stanza, anche quel piccolo, importante traguardo era stato perso.

Ma Kaede non volle arrendersi.
La morte piuttosto, ma non la resa, non l’ abbandono.

E rimase vicino al suo ragazzo, per quanto poté.
A scuola, agli allenamenti, la sera.
Prima che arrivasse la notte a dividerli, ed anche se faceva male sentirsi così distanti, Kaede lo sopportò.
Per la promessa che aveva fatto al suo amore, quel sentimento meraviglioso che tristemente lo aveva guardato allontanandosi un poco la sera che, dopo la violenza, una porta li aveva divisi.

Ma di tempo per pensare e ricordare ce n’ era troppo.
Hanamichi non riusciva a trovare un equilibrio.

Un immensa vena d’ insofferenza lo coglieva nell’ animo, ogni volta che assisteva a quei tentativi inconcludenti.
Impossibile non riflettere nelle notti buie e profonde.

E se tutto non fosse che un inganno?
E se l’ unico scopo di Kaede non fosse quello di recuperare un rapporto d’ amore, ma unicamente quello di recuperare un corpo da usare per soddisfarsi?

E com’ era da considerarsi quella richiesta pochi giorni prima negli spogliatoi?
Come poteva davvero avergli chiesto di tornare lì a fare l’ amore?

Perché, maledizione, perché sembrava sempre che Kaede pensasse esclusivamente ai propri, egoistici, interessi?

Eppure se ne doleva profondamente.
Non lo voleva lasciar andare.
Sentire il suo respiro leggero venire da un’ altra stanza lo uccideva di dolore.
Ma al tempo stesso ogni sua ‘premura’, ogni sua azione sembrava nascondere un doppio fine.

Ed era così lacerante.
Così…..atroce.


Vivere nel dubbio.
Chiedendosi sinceramente se, alla fine di tutta quella storia, avrebbe potuto dirsi ancora ‘credente’.
Avrebbe potuto ancora dire di avere una chiesa dagli occhi azzurri da amare immensamente e con devozione.

E Kaede provò a moltiplicare i suoi sforzi, si privò di ogni altro interesse, arrivò a trascurare spudoratamente il proprio programma d’ allenamento.
Anche solo per preparare due ramen con Hanamichi.
Anche solo per tornare insieme, in rigoroso silenzio, dalla palestra.

Ma tutto continuava a sembrare inutile.
Ed una sensazione di vuoto insuccesso si fece largo nel suo cuore.
Appianando la strada per l’ ira ed il nervosismo.


Quella sera Kaede rientrò sbattendo la porta.

Era stanco.
Non credeva di essere nel giusto o almeno non era affatto convinto di esserlo sempre stato, ma adesso era passato troppo tempo.

Non cenò, attese nel salotto, aspettando che spontaneamente Hanamichi lo raggiungesse.
Cercando nel silenzio di quella sala vuota le parole adatte, nel ticchettio dell’ orologio la calma che sentiva di stare per perdere.

Ed Hanamichi varcò poco dopo la soglia, sedendosi sulla poltrona per guardare cinque minuti di televisione.
Ma nessuno la accese e, nel preciso momento in cui il ragazzo dai capelli corallo si allungò per afferrare il telecomando, Kaede parlò.


“Quando hai intenzione di risolvere questa situazione insieme a me?”


Diretto.
Conciso.
Come sua abitudine.


Con un lieve cipiglio alterato Hanamichi si volse a guardarlo.
Aveva scelto proprio la sera sbagliata.
Era stanco ed irritato.

E l’ ultima cosa che voleva fare era pensare e parlare.


“A cosa ti riferisci?”


Cercava di guadagnare tempo.
Sperando che Kaede capisse e cambiasse argomento.

Ma Kaede voleva tutto fuorché cambiare argomento.
Era stanco di giorni interi di stallo pesante ed apatia.


“Non fare finta di niente, parlo di noi Hana, di me e te, della nostra relazione.”

“Non stasera Kaede, non ho voglia di discuterne” disse accennando ad alzarsi.

“Certo, aspettiamo che passino giorni e poi mesi e magari anni, sono convinto anch’ io che la soluzione pioverà dal cielo!”

“Cosa cerchi Kaede? Perdono? Non riesci più a dormire? Te l’ ho già detto una volta se non sbaglio.. dovevi pensarci prima!”


“Non osare parlarmi così Hana, io ho fatto tutto quello che ho potuto dopo, mi sono sforzato, ma tu non hai accettato, non hai ..capito.”


“No, ti sbagli ho capito perfettamente, meglio di quanto tu non creda…sono state chiare le tue intenzioni, le ho comprese bene dopo l’ altro giorno….QUANDO MI HAI CHIESTO DI FARE L’ AMORE NELLO STESSO LUOGO DOVE MI HAI VIOLENTATO!”

“Era per ricominciare, per dimenticare! Ma tu non hai voluto soffermarti sulle mie buone intenzioni, hai visto solo l’ apparenza, come sempre del resto.. ma in fondo cosa mi aspettavo? Io sono uno stupido freezer che si scongela solo pensando al basket o al sesso …vero? No, non posso assolutamente avere pensieri di un certo valore né tantomeno sentimenti, non è così Hana?”

“Sei tu a dirlo, non io. E ad essere sinceri poi avresti il coraggio di negare di esserlo davvero stato qualche volta??”


“Il passato è passato…non lo nego…. ma il presente è fatto apposta per cambiare, Hana…”

“Hai ragione il passato è passato….meglio dimenticarlo vero? - ironico - Tanto più che non c’ è molto di piacevole da ricordare in fin dei conti…sì, è meglio….perché mi guardi così? Ho forse qualcosa da conservare?”


“Dimentichi che io ti ho amato..” un sussurro.


“Tsk!Tutto ciò che non riesco a dimenticare è che tu mi hai violentato!!”


“Adesso basta!!!Almeno non prendiamoci in giro, SE HAI GIA’ DECISO DI NON PERDONARMI MAI COSA CI FAI ANCORA IN QUESTA CASA?VATTENE UNA VOLTA PER TUTTE!!”


“Meraviglioso!Adesso sono io ad avere torto, io il mostro cattivo che non riesce a perdonare !NO, io non me ne andrò, sarebbe troppo comodo, troppo comodo per te! Darti così la facoltà di poter pensare che tu non abbia in fondo tutte le responsabilità? Ma ti rendi veramente contro di quello che è successo quella sera, Kaede?Quella sera è morto quasi tutto quello che avevamo costruito insieme.Ti rendi conto del male che mi hai fatto? TE NE RENDI MINIMAMENTE CONTO???”

Ed in mezzo a quella tempesta di grida e di parole Kaede si alzò.


“SI’, IO AVRO’ ANCHE SBAGLIATO QUEL GIORNO, MA TU, TU, SEI CERTO DI NON AVERE NULLA DA FARTI PERDONARE????”


“Di cosa stai parlando?”


“Le tue parole, le tue parole taglienti di quella sera..devo ripetertele? Io avrò pure ferito il tuo corpo, ma tu hai davvero fatto a pezzi quello straccio di anima che avevo!!!Proprio la sera in cui avrei voluto festeggiare con te l’ anniversario della mia dichiarazione!!”


“La tua ..dichiarazione??Volevi…festeggiare???”


“Sì! – gettandosi a peso morto sulla poltrona, stanco e con la gola in fiamme –Volevo farti una sorpresa, prima del nostro anniversario, sai che il giorno in cui ci siamo messi insieme non è lo stesso in cui ti ho confessato i miei sentimenti…..”


Silenzio.


Hanamichi avanzò di un passo, stringendo un pugno e gli occhi.


“Complimenti! Bel modo di festeggiare che hai trovato!!”


Acido.
Crudele.

Nel giusto, ma anche nel torto.

E Kaede si alzò.
Pieno d’ ira.
Avvicinandosi a lui.



“Vuoi che ti chieda scusa, vuoi che faccia veramente di tutto??”


Nessuna risposta.


“Domani sera…non trattenerti con i tuoi amici, torna qui dopo l’allenamento, avrai quello che cerchi.”


Un sibilo, basso, bassissimo.
E fu quella la nuova promessa di Kaede Rukawa.





E passò la notte.
Divisi.
Ed il giorno.
Divisi.

E si fece sera.
Senza che Kaede si presentasse in palestra.

Subito dopo gli allenamenti Hanamichi incontrò Mito ed il suo guntai.
I suoi amici desideravano coinvolgerlo in un giro epico fra tutti i locali e le sale giochi.
Con apprensione Yohei, suo amico di sempre, voleva che la sua testa rossa si divertisse.
Dall’ aria sembrava averne un gran bisogno..

Non sapeva cos’ era successo effettivamente quella sera quando li aveva lasciati soli in palestra.
Ufficialmente niente sembrava essere cambiato.
Ma poteva tranquillamente essere tutta apparenza…


“Mi dispiace..stasera non posso…devo tornare a casa..”

Le parole di Kaede che gli vorticavano in testa, salendo a confondergli i pensieri e scendendo a fargli battere, dolorosamente preoccupato, il cuore.
Cosa voleva dire?
Cosa sarebbe successo?

Ed ora da una parte la curiosità e la voglia di liberarsi da quell’ angosciosa attesa lo spingevano a darsi una spinta e correre, correre fino a casa, dall’ altra la tensione e la paura del peggio, che poteva sempre accadere, frenavano in lui ogni velleità alla fretta.

E combattuto, devastato, camminò a passo regolare per tutti gli isolati che lo dividevano dalla casa di Rukawa.

Entrò.
Le dita tremanti che reggevano le chiavi.
Aveva dovuto provare più volte ed imporsi, per riuscire ad infilarle nella toppa.

Avanzò nella semioscurità, che sempre avvolgeva la casa al tramonto incerto che diviene crepuscolo.
E non sentiva nessun rumore.

Salì piano le scale, poi l’ ira lo accese lievemente.

In fondo cosa doveva temere?

Un’ altra violenza?
Oh no, stavolta si sarebbe difeso.
Avrebbe lottato e presumibilmente vinto..
…e poi se ne sarebbe andato per sempre.



Con questa triste visione del futuro si fermò davanti alla porta della loro stanza.
Pensava fosse lì.

E, incoerentemente, bussò.
Sì, bussò proprio alla porta di quella stanza che tante volte aveva spalancato senz’ alcun riguardo.
Che vi fosse Kaede spogliato o meno…


“Hanamichi…vieni…”

Un tono normale, senza inflessioni.
Ed Hanamichi entrò.

Sul letto, il loro letto, Kaede stava semidisteso.
Le gambe allungate sotto il tweed nero dei pantaloni, le mani abbandonate sul ventre avvolto di bianco.
La schiena contro la testiera di legno intagliato.


E luccicanti sotto la luce morente del sole un paio di manette, abbandonate sul copriletto.


Senza capire Hanamichi rivolse uno sguardo al suo compagno.


E senza dire una sola parola Kaede si alzò.
Gli occhi….gelidi.. ..ma non irati, né risentiti, né rassegnati.

Fieri e decisi.


Con pochi, semplici gesti si spogliò completamente rivelando la pelle chiara e le forme precise e flessuose.

I capelli così scuri, neri come il peccato.
Gli occhi insondabili adesso che, dando le spalle all’ ampia vetrata rossaviola del tramonto, il suo viso si riempiva di ombre e giochi di luce.


Kaede si riavvicinò quindi al letto e vi salì sopra, raccogliendo con la mano destra le manette argentate.
E tenendole fra le dita, come a doverle usare fra poco, si voltò verso Hanamichi.




“Bene…questo è tutto quello che posso offrire…..legami e prendimi……”




Incredulo il ragazzo dai capelli di fuoco non riuscì a dire che:


“Cosa?”


“Sì, esattamente come ti ho preso io in quello spogliatoio, ma so che probabilmente il dolore mi convincerebbe a lottare e quindi ho comprato queste…..perché tu possa avere tutta la libertà di continuare se una volta sola non ti è poi sufficiente..”

Silenzio.
Mentre Kaede sistemava i cuscini sotto di sé ed alzava le lenzuola, parlando con voce tranquilla e sobria, come se discorresse del tempo, certo di avere tutta l’ attenzione di Hanamichi.




“Sai bene che sono vergine da questo punto di vista, come tu lo sei dall’altro, è una cosa perfetta, sentirò tutto il dolore possibile e forse anche di più, lo lascerò parlare per me, ti dirà lui tutte le parole e le scuse che vuoi sentire…”



Silenzio.
Scioccato silenzio.


“Beh? Perché sei ancora vicino alla porta? Chiudila e spogliati, vieni a legarmi e poi fammi tutto quello che credi giusto…”


E Hanamichi fece un passo.
Uno solo.


“Tutto, però, ad una condizione……” aggiunse Kaede.

Ed quell’ istante sembrò dilatarsi ed anche il sole, il cui tempo affacciato a questa terra era ormaii scaduto, anche il sole, rubò minuti alla luna.
In attesa di quell’ unica, importantissima, condizione.

E lo sguardo blu di Kaede si fece di vetro, lucido.
Ma determinato.





“Dopo….dopo che…….. dovrai prenderti cura di me…..non lasciarmi sanguinante su questo letto……….. nonostante lo meriterei più di chiunque altro…..tu non lo fare e per te sopporterò anche l’intera notte di rapporti completi….”






“Kaede…” un soffio.




E Hanamichi seppe in quel preciso istante che tutti i suoi segreti, sacri, sogni non sarebbero mai falliti.

Amava la persona giusta.



“Cosa aspetti, Hanamichi? Non mi fare alzare.. mi fa freddo senza vestiti…..vieni qui…vieni a ….prendere le mie scuse.”


Ed il ragazzo dai capelli rossi si sbottonò la giacca, lasciandola frusciare e cadere a terra, sulla moquette nera e morbida.
Poi toccò alla camicia.
Stesso, delicato e lento, trattamento.
Ed infine anche i pantaloni baciarono il pavimento.


Kaede inspirò profondamente.
Il suo dannatissimo cuore non ne voleva sapere di calmarsi..

In fondo meritava tutto questo.
Perché temere?

Il perdono di Hanamichi valeva tutto il sangue e le grida ed il dolore a cui andava incontro.
E sorrise mentre lo vedeva avanzare verso di sé.

Decise in cuor suo che avrebbe cercato di sorridere il più a lungo possibile, anche durante la violenza.

Hanamichi salì sul letto.
Un’ espressione indecifrabile sul viso.

Senza una parola Kaede gli porse le manette.
Le labbra morbidamente incurvate.

E Hanamichi le prese e le apri.
Osservandole curiosamente.

Poi cinse i polsi di Kaede e sollevandoli, con tutta la calma di questo mondo, li legò alla testiera del letto, incastrando la corta catena fra gli intagli mentre, sorridendo, diceva con voce morbida:


“Che volpe idiota sei…..non bastava trovare due belle frasi un po’ più lunghe del solito?”


“Sai che non sono bravo ad esprimermi e poi il casino che ho in testa non riesco a capirlo neppure io, come potrei mai spiegarlo a te?”


“Volpe scema…”


“Hana..spostati ..così non posso aprire le gambe….”


“Non avere fretta…prima rispondimi, tu pensi di risolvere sempre tutto con la fisicità?”

Detto accarezzandogli il ventre, salendo su per lo sterno, fino al collo.

“No, ma è l’ultima carta che posso giocare con te…l’ ultima, la più importante, sai che non mi sono mai concesso a nessuno e che…..”

“Cerchi forse di muovermi a compassione?”

“No, a te ogni decisione sul mio corpo, te l’ ho già detto!”


“Bene…”


E con voluta sensualità Hanamichi iniziò una lunga e lenta danza sulla pelle dell’ amante.
Strusciandosi, vezzeggiandolo con tocchi blandi, ma possessivi.

Lo accarezzava su tutto il corpo con tutto il proprio corpo.
E basta.
Mugolando.


“Hana…..ahn…”


“Cosa c’è, Kaede?” sadicamente innocente.


“Aah….”


Quel movimento non accennava a fermarsi.
Ed il piacere saliva.


“Hana….”


E con un mugolio gutturale il ragazzo dai capelli rossi venne.
Così.

Senza fare altro che non strusciarsi sulla pelle di velluto del suo compagno.

Senza forze Hanamichi si lasciò andare su di lui, riposando contro il suo petto bagnato di sudore e seme.
Il viso soddisfatto.

Un sospiro lento.

Il membro di Kaede eretto contro lo stomaco.

“Hana …cosa..?”

“..di che ti sorprendi? Era tanto che non …forse troppo…”

Una risata leggera salì alle labbra di Rukawa, ma i movimenti sopra di sé gliela strapparono ben presto.

Con una mano Hanamichi era sceso a stringergli i glutei, con eccitante forza.
Kaede si tese.

E senza lasciarlo il suo compagno dagli occhi d’ orzo chiese.

“A cosa stai pensando adesso Kaede….ti sei pentito?”

Il moro scosse con decisione la testa.

“Pensi forse che non ne abbia il coraggio? O speri che, apprezzando anche solo il pensiero, io decida di abbandonare questo folle, tuo, progetto? Oppure vuoi veramente che accada, vuoi sentirti libero dai sensi di colpa? Rispondimi onestamente Kaede..”


“Accidenti do’aho, hai troppa considerazione di me….non ho fatto tutti questi pensieri…sono un tipo più semplice….”

Silenzio.
 

"Rispondi chiaramente..."

E Kaede lo guardò negli occhi.

Un sorriso morbido.
Così come si era ripromesso.


Spostandosi solo con il viso si sporse in avanti, toccò quelle labbra dannatamente rosse e dannatamente impertinenti e poi soffiò fuori.


“Lo voglio, so solo questo, come lo sapevo prima lo so anche adesso…”



Hanamichi sorrise.

“Bene. Iniziamo.”
 

E con forza lo colpì con un pugno, facendogli voltare la testa di lato, costringendolo ad affondare nel cuscino.

E sorridente lo guardò.
Perché così era cominciato tutto in quello spogliatoio...

Poi strinse la sua carne, che ancora teneva fra le mani, più forte.

Strusciandosi su di lui disse infine.


“Pronto, Kaede, a conoscere per la prima volta il significato di ‘farsi scopare’?”


E lui dagli occhi di cielo di primavera, lasciò andare la testa indietro e chiuse le palpebre e sospirò.
“Sì.”


Hanamichi sollevò due proprie dita.
Nello stesso istante in sui schiudeva le labbra.
Presumibilmente per accoglierle.

Le lambì con la lingua, le fece entrare, fino in fondo.
Suggendole e bagnandole.




“No…….io non te l’ ho usata questa gentilezza…non farlo Hana…..no.”


Hanamichi lo strinse all’ altezza della vita e con un po’ di sforzo, lo girò.
Costringendolo prono davanti a sé.

Senza rispondere alle sue parole.


Ed un attimo dopo con una spinta quasi causale le fece entrare.
Esclusivamente la prima falange di entrambe.



“Nnngh…..ah..”

Piccoli suoni soffocati.


“Vedi Kaede, abbiamo le mani apposta per poterle usare e abbiamo le dita apposta per accarezzare, ma se tu improvvisamente le spingi su con troppa forza e troppo a fondo, così – e lo penetrò con forza, infilando in lui le dita in tutta la loro lunghezza, sentendo l’ irrigidimento del corpo morbido sotto di sé ed il suo forte lamento – perdono il loro scopo e tutto il loro significato, capisci cosa voglio dire?”

“Hana……”


“So cosa senti Kaede, è un dolore che mi è stato familiare, che tu hai provveduto ad insegnarmi in ogni sua sfaccettatura o moltiplicazione…”

E sollevandosi Kaede si spinse contro di lui.
Contro quella mano.
Volontariamente.
Per espiare.
Gemendo, non di piacere, sommessamente.


Sotto lo sguardo di Hanamichi.

Mentre una parte dell’ inquieta colpa che si sentiva addosso scivolò via con quel profondo movimento, facendolo sentire ..bene.


E nell’istante in cui avrebbe voluto farlo un’ altra volta si sentì fermare.
La mano del suo compagno dai capelli di sole lo stringeva.


“Non così kitsune, ci devo pensare io….”


E Kaede si lasciò a lui.
Alla sua mano, alle sue dita.

Mentre sottovoce Hanamichi gli parlava ogni tanto.
Accarezzandolo dentro.
In un modo che ben presto era diventato piacevole e subito dopo ancor più meraviglioso.

E, odiandosi, il coraggio di dirgli ancora di fargli del male Kaede sapeva che non l’ avrebbe più trovato.
Non così.
Non in quei movimenti gentili.

Non in quelle parole che spiegavano sensazioni.

“Kaede….non pensi debba sempre essere sempre così? Dolce e lento……Kaede che ne pensi? Anche questo è unirsi, è una parte del tutto che forma l’ amore fra due persone……lento e dolce ….e gentile….non dimenticarlo, Kaede…..”


“Nnh….Hana…Hana…”



“E’ esattamente questo il modo in cui piace a me…te lo sto mostrando, te lo spiegando perché tu possa ricordarlo per sempre…ogni volta che mi avrai sotto di te….ogni..singola..volta…Kaede…”

Mentre con un singulto spezzato Rukawa sentiva il proprio calore abbandonarlo per abbracciare le lenzuola tiepide.


E subito dopo Hanamichi lo lasciò.
Uscendo dal suo corpo, lentamente.


Non avrebbe voluto nemmeno sfiorarlo il suo interno.
Né violarlo.

Ma aveva dovuto.
Kaede doveva provare almeno un po’ di dolore per capire quanto meravigliosa fosse la gentilezza negli amplessi.

Per non dimenticare che spesso la parte della sofferenza e delle lacrime era toccata ad Hanamichi, non a lui.


Così il ragazzo dagli occhi dolci di castagna afferrò le manette e liberò i polsi di Kaede.

Mentre un’ espressione incerta si delineava fra i tratti determinati del ragazzo moro.


“Hana…non può bastarti così…..non liberarmi….”


“E’ stato un pensiero bellissimo da parte tua Kaede, questo cambiare per ricominciare, ma non è questa la soluzione….”

Kaede si girò, ritrovandosi sotto lo splendido corpo bronzeo del compagno, guardandolo intensamente, con gli occhi socchiusi, ancora lievemente provato dalle strane sensazioni di prima.

“Dimmi tu, allora, cosa devo fare…perché io..non lo so più…”

E con una mano Hanamichi raggiunse il suo viso e lo carezzò a lungo.

“Più tardi vieni di là , da me, nell’altra stanza, quella che abbiamo usato in questi giorni di divisione, e voglio sentire dalle tue labbra una spiegazione, la verità, esclusivamente la verità..”

“Su cosa?”

“Sul perché quella sera mi hai riservato tanta violenza.”


Attimo di sospensione.


“Quando saprai dirmi il perché vieni di là, ti aspetterò anche tutta la notte…”


E in silenzio se ne andò.
Senza raccogliere i propri vestiti.
Senza coprirsi.


Come un glorioso dio che avanzava nelle tenebre, rischiarandole.


E passò un’ ora.
Confuso da quel benessere che sentiva nel corpo per essere appartenuto ad Hanamichi.
Teso per quella risposta che doveva ancora trovare.
Desideroso di andare da lui.
Di vederlo.
Di stringerlo.
Di abbracciarlo e toccarlo.

Si alzò, ergendosi dal mare bianco lunare delle coperte e si accostò ai vetri, osservando il cielo scuro.

In fondo lo sapeva quel perché.




Poi lo sguardo gli cadde sulla sua scrivania.
Su una foto dai contorni che stavano cominciando a sbiadire sotto la cornice colorata.
Non voleva, non voleva che anche la realtà cominciasse per loro a sbiadire.
E senza dire niente, con un solo sospiro, abbandonò la stanza.

Bussò, anche lui incoerentemente.


“Kaede…”


Un richiamo che sapeva d’ invito.

Kaede entrò, chiudendo la porta, guardando il corpo senza veli di Hanamichi, steso sul letto, sotto la candida luna.

Si lanciarono uno sguardo.

Poi sollevandosi leggermente, Hanamichi domandò:


“Allora Kaede, cosa mi rispondi, perché mi hai violentato?”



“Perché ti amo.”



Hanamichi sorrise, tristemente.
“Con tutto il rispetto, volpe, torna di là a pensarci..”


“No, Hana, fammi finire..”


E si sedé ai piedi del letto, vicino alle caviglie di Hanamichi.
Allungando di tanto in tanto una mano ad accarezzarle, gentilmente.


“Quando ho sentito quelle parole, le tue parole, mi sono sentito …andare a pezzi….perché per la prima volta ho capito che poteva essere tutto vero….”

“No, non pensarlo!” lo fermò Hanamichi.

“Non interrompermi, non è facile per me..parlarne..”

Silenzio.
Rinnovato.



“E così in quello spogliatoio mi sono visto scorrere davanti un anno intero ed il semplice, quanto devastante, pensiero che fosse stata tutta un’enorme farsa mi ha fatto impazzire di dolore, poi sei arrivato tu e hai cercato di parlarmi, di spiegarti ed io, che proprio in quei momenti avevo maturato il pensiero di averti amato come tu non avevi veramente mai fatto, ho trasformato tutta la sofferenza in rabbia e furia ed era come…se non capissi più niente …..non sentissi più niente….”


“Nemmeno le mie suppliche, le mie urla?”

Kaede scosse lentamente la testa.
“In quel momento mi sembravano giusti tributi per tutto il mio dolore…..”


“E dopo quando ho visto il sangue e le tue lacrime, allora ho capito che l’ amore che volevo dimostrarti te lo avevo sbattuto in faccia nel modo sbagliato….ma era ..troppo tardi…e potevo solo promettermi di riconquistarti…”


“Capisco.”


Silenzio.



“Io, Kaede, ho le mie responsabilità, so che alle volte parlo prima di pensare e ..quella sera non ha fatto eccezione, credimi…..”

“Perché hai detto quelle cose, Hanamichi?”

“Ero furioso anch’io, ma in un modo diverso, pensavo di non valere poi così tanto per te, pensavo che nessuno dei miei sogni, fosse anche quello di finire insieme i nostri tiri, ti stesse a cuore, che forse era tutto un gioco di interessi il motivo per cui stavamo insieme…”

“Hana…..” sussurrò lui, risalendo dal piede verso la gamba, in una carezza d’ amante.

“Lo so che non è bello quello che ho pensato, almeno tu non mi hai tolto l’ illusione che fosse davvero amore, non te ne sei andato a casa trattandomi male, io invece ti ho ferito davvero Kaede e forse comincio a pensare che davvero ho meritato tutte le conseguenze…”

“Non giustificarmi….non si può accettare il modo in cui mi sono lasciato andare…ci sono cose e parole che anche nell’ ira non si dovrebbero mai fare, né dire…..”

“Penso sia vero…”

“Perché non mi hai voluto ascoltare in questi giorni?” chiese Kaede.

“Non so, ero nervoso, temevo di non essermi sbagliato su di te, che davvero fossero tutti sentimenti d’ interesse e nemmeno più tuo e mio insieme, ma solo tuo…..poi, di là, sul tuo corpo e forse anche prima, ho capito che semplicemente non ho visto la cosa più ovvia….”

“…” una muta domanda nello sguardo.

 

 


“Che avevi paura quanto me, se non di più…..”
 




Silenzio.
La luna cambiò posizione nel cielo.



“E’ così il mio ragazzo mi ha violentato per amore…..eh eh ..” ne rise Hanamichi, sommessamente, senza rabbia né troppa tristezza.


“Che vuoi farci…vivo di contraddizioni….me ne sono anche preso una per fidanzato….” lieve sorriso di scherno, mentre il loro cielo interno si rischiarava dalle nubi.


Silenzio.
La mano di Kaede che ancora vagava sulla pelle delle caviglie, dolcemente.


“Ti sembrerei troppo sfacciato a chiederti se posso fare qualcosa per …..te?”


Detto guardando la virilità di Hanamichi, che, di nascosto, si era svegliata per quelle mani sulle caviglie.


E senza replicare il ragazzo dai capelli di fuoco sollevò le braccia, le tese verso il suo Kaede e lo invitò a raggiungerlo.
Pensando.

 

 

'Vale sempre la pena di cercare, prima di ogni altra cosa, il calore e la felicità dell' unica chiesa che ci siamo scelti'

 

 


Era dunque un sì.


Con le labbra Rukawa raggiunse il suo collo, lasciandovi sopra due baci appassionati, mentre le mani, irrequiete e felici, vagavano sulle strade seriche dell’ addome e del petto, fino ai capezzoli bruniti. Hanamichi gemé profondamente, inebriato da quel solo abbraccio. I loro corpi incastrati alla perfezione già rilucevano di sudore nell’ oscurità.
Kaede lo strinse forte, respirando a pieni polmoni il suo odore di ragazzo e con estrema sensualità risalì fino al mento, per guardarlo poi negli occhi e baciarlo.
Kami, erano quasi secoli che non lo faceva e quanto gli era mancato!

“Kaede…” mormorò quando la sua bocca fu libera, dopo un tempo indefinito.

“Questo letto è troppo piccolo per entrambi, Hana…..”

“Non voglio spostarmi, rimanimi sopra.”

“Hanamichi.”

E nuovi baci soffici, nuove carezze.
Kaede passò il palmo aperto sul costato, saggiando la levigatezza di quelle forme che, ancora una volta, gli consentivano l’ accesso alla sua oasi. Hanamichi reclinò la testa, i cuscini morbidi erano un ottimo appoggio per sopportare la lava intensa che si dipanava in onde concentriche attorno al suo sesso. Le mani di Kaede sapevano ancora farlo impazzire, era passato così tanto dall’ ultimo, vero, amplesso degno di questo nome ed ora l’attesa era quasi un dolore fisico. Con passione il ragazzo moro scivolò con tutto il corpo verso il basso, accogliendo sul palato la sua erezione, baciando la pelle tesa, le terminazioni nervose ed ogni vena.

“Ti ho…ti ho insegnato cosa fare Kaede….e come ..farlo..vero?”


“Sì.”


E prese le proprie dita in bocca, Kaede le leccò a lungo, rendendole tiepide e umide, scivolose e pronte alla penetrazione. Hanamichi seguì i suoi movimenti. Pensieri e ricordi si mescolavano nei suoi occhi, precludendogli a tratti la visione della premura del suo amante. Vide quindi un ultimo guizzo di quella lingua e si scostò, lasciandogli spazio.
Fu stringendosi a lui che si sentì invadere, con gentile delicatezza.

Senza protestare troppo i suoi muscoli si allargarono accogliendo tre lunghe dita all’ interno della guaina calda che era il suo ventre.

Con un ansimo arrochito di desiderio Kaede giocò nel corpo del suo Hanamichi. Premendo a tratti sembrava segnare la via, per poi cancellarla e segnarne di nuove, in un' eterna, estenuante carezza, rendendosi conto di come doveva essere delicata quella pelle liscia che sentiva sotto i polpastrelli e di quanto pazzo fosse stato a trattarla con quella violenza crudele e dolorosa.
Ancora si chiedeva se fosse veramente guarito.

“Hana…tu stai bene..dentro?”


“Kaede…non farti odiare, spingi…”

E con dedizione, il ragazzo dagli occhi di mare, cercò di ricordare tutti i movimenti che Hanamichi gli aveva insegnato direttamente sulla pelle.
La gentilezza, la morbida calma con cui passare il dito e raccogliere quell’ umidore bagnato di cui era pieno il suo interno, il ritornare verso la piccola apertura, per premere sui bordi e penetrarla innumerevoli volte, entrare ed uscire, per vezzeggiare e donare piacere prima dell’ intrusione.

Fra le sue mani, ora sapienti, Hanamichi s’ inarcava ad intervalli regolari, piacevolmente si contorceva sotto le sue cure e con due lame d’ occhi socchiusi lo spiava, osservando compiaciuto quanta attenzione il suo amante stesse mettendo in quei pochi gesti.

E dopo un attimo ancora, per non venire senza neppure aver iniziato, entrambi si separarono.

Il respiro corto, le guance arrossate.

“Kaede..”


“Hana……”


“Hana …stai tremando..”

Detto sentendolo sotto le mani, ferme sui suoi fianchi, mentre ancora il ragazzo dai capelli corallo non si decideva ad aprire le gambe per lui.


“Senti freddo?” chiese Kaede.


Hanamichi scosse la bella chioma infuocata.

“No, è paura, Kaede, l’ ultima volta che ti ho visto tenermi così…non è poi finita molto bene per me…”

“Hana, Hana cosa posso fare? Cosa devo fare?”affranto, veramente affranto.

“Niente, hai fatto già tutto, è la fiducia Kaede, non la puoi incollare come un vaso rotto, non la puoi far rinascere in due giorni e due carezze….”

“E’ qualcosa che si costruisce, lo so…”

“E tu ci eri riuscito, Kaede, credimi.”

Glielo soffiò sul viso arrossato, tenendo le mani sulle sue guance, asciugando le piccole goccioline di sudore che dai capelli scivolavano verso il mento, come lacrime non versate.


“Ed è per questo che so che ce la farai ancora….ci riuscirai, ci vuole solo un po’ di tempo, io …io non posso offrirti un perdono facile e pronto………non è giusto per me e non lo è neppure per te…..”

E lasciò finalmente il suo volto, per stringere le sue spalle bianche e larghe.
Strusciando il ventre contro il suo, aprendo finalmente la via per il piacere.

E Kaede, senza attendere altro invito, si insinuò nel suo calore con la sola punta, lasciandola lì, in bilico fra l’ interno e l’esterno, gemendo estasiato per la piacevolezza che poteva di nuovo avvertire.

“Aah amore mio…” mugolò estasiato Rukawa, inglobato di pochi altri e preziosi centimetri.

“Da tanto..non mi chiamavi in questo modo….lo fai così raramente….”

“E’ per le occasioni importanti….”

“Ah…baka…”

Ed Hanamichi lo accolse, finalmente, facendolo rabbrividire, gemendo solo di forte piacere.
E non c’ era più dolore.
Solo caldo ed intimità.
In fondo il vuoto di una violenza, per quanto intenso, non avrebbe mai potuto cancellare dai loro corpi l’ inestinguibile necessità dell’ unione.
Ne avrebbe fatto loro dimenticare come si amava.


E stretto in lui, come avvolto da una plastica sottile ed incandescente, Kaede godé a lungo dell’ amore e della gentilezza che riversava in lui.
Con studiata calma lo accarezzò completamente in due spinte consecutive, nel momento preciso in cui quelle pareti di lava si scostarono per farlo passare.
Una mano scese lieve sul sesso eretto fra di loro, ad assicurarsi che Hanamichi provasse un piacere completo, mentre onde di calore migravano nelle loro menti, avvolgendo i sensi in un vaporoso biancore.

Ed i primi, ritmici, movimenti furono coordinati e precisi.
Sincroni.
Nelle spinte armoniose di Kaede, negli spostamenti con cui Hanamichi, espertamente, gli veniva incontro.
Mentre insieme facevano di tutto per darsi piacere.
Con le mani, la bocca ed un abbraccio Kaede, stringendolo in sé Hanamichi.
Contrazioni che fecero ansimare la bella volpe bruna, mentre la sua bocca sotto l’ orecchio del compagno portava alla follia Sakuragi.

Mai, in tutta la loro vita, avrebbero più potuto sfiorare la perfezione di quell’ amplesso.
Fra tutti quelli di cui sarebbero stati protagonisti.

E Kaede sorrise, mentre stringeva le sue cosce fra le mani ed imprimeva le ultime, potenti spinte.
Sentendo il corpo di Hanamichi come mai prima d’ ora.
In tutta la sua dorata bellezza.

“Mmh……Kae..de.”

Oh sì, la sentiva la sua voce che cominciava ad incrinarsi.
Dopo tutto il piacere stava, quindi, per regalargli l’estasi.

Lo strinse forte fra le braccia, chiamandolo ancora una volta ‘amore’.
Mentre si scioglieva e gettava nel profondo di lui le basi per ricominciare a costruire quella meraviglia umana chiamata fiducia.



Il piccolo letto li accolse entrambi.
E fu meraviglioso rimanere lì, stretti per non cadere, continuamente abbracciati, paghi nei sensi e nell’ anima.
Mentre il sole cercava il modo di forare le nubi e di affacciasi per vedere come si era conclusa la vicenda di quei due umani dall’amore strano e profondo.

Silenziosamente Kaede continuò a passare le mani fra i capelli di Hanamichi, mentre veniva ricambiato dalle sue dita sul collo, dalla nuca alla schiena, incessantemente.
Si guardarono negli occhi, per tutta la durata di quell’alba meravigliosa di rinascita.

E Kaede lo pensò per la prima volta.
Ne ebbe coscienza.


‘Sei tu il mio sacramento, l’ unico per cui valga la pena di vivere.’


E non lo disse.
Lo tenne per sé.

Per ricordarselo in silenzio ogni giorno ed essergli devoto.

Il suo sacramento.


Il suo sacramento di calore e di amore.





Il pallone, abbandonato in palestra, lasciava dietro di sé una lunga ombra dipinta dal sole di quel tardo pomeriggio.
Silenziosamente Kaede raggiunse Hanamichi alle spalle.
Erano negli spogliatoi.


Colto di sorpresa Hanamichi si ritrasse, spaventato.
Poi guardò gli occhi di Kaede, tranquilli come il mare d’ estate e sorrise dolcemente.

“Mi hai spaventato..”

Era quello il prezzo.
Dovrai pagarlo Kaede, ancora a lungo.
 

Ricordi?
Nessun perdono facile e pronto...


Così ti avvicini ancora e la leggi palesemente la sua inquietudine nascosta nelle pieghe d’ orzo dell’ iride.
E lo abbracci, stretto stretto.
In quello stesso spogliatoio di dolore.


“Mi dispiace per i tuoi tiri, li hai finiti con Ryota, vero? Avrei voluto esserci anch’ io….”


Ma Hanamichi lo zittì con un dito sulle labbra.
“Tsk, non sono un Tensai sprovveduto, vieni con me.”


E lo prese per mano.
Trascinandolo in palestra.
Illuminandola di luce con il suo sorriso.

E raccolse la palla, stringendola bene, portandosi nella lunetta, impostando le mani, visualizzando bene il canestro.

E tirò.

E si voltò verso Kaede.
Bello davvero come il sole.




“Duemila, kitsune!”








Fine







Epilogo




Era quello che per lui valse più di tutto.
Quel sorriso ed il sapere che, anche nel periodo in cui i loro respiri erano stati lontani l’ uno dall’ altro, Hanamichi aveva creduto in lui.
Nella sua capacità di rimediare, di farsi perdonare.

Ed è davvero amore incondizionato quello che ti consente di pensare a queste cose quando davvero tutto va male.


Insieme rientrarono in palestra dopo la pausa, parlottando fra loro.
Attirando la curiosità dei ragazzi.


“Dimmi una cosa..”

“..?”

“Che bisogno c’ era poi di festeggiare quel giorno?”


“Era l’ anniversario della prima volta che in tutta la mia vita ho detto ‘ti amo’.”

E Hanamichi immediatamente sorrise.
Di riflesso.


“No, volpe, era solo l' anniversario della prima volta che mi hai molestato.”


E Kaede rise, di cuore, a voce bassa, ma non così tanto da evitarsi sguardi sorpresi.
Mentre con un gesto semplice Hanamichi gli prendeva il viso fra le mani e dolcemente lo baciava.



La sua chiesa.
Non di oro.
Non di argento.









Fine

 

 

 

 


Annotazioni.

Mel:Alcune frasi sono state prese e/o ispirate ad una canzone degli Him, The sacrament.
Chikara: Siamo ben consce che in Giappone è un po' fuori luogo parlare di chiese in argomento religioso, ma perdonate Mel che ha voluto tenere la traduzione originale della canzone perché i suoi neuroni le si erano affezionati...... ed io sono del parere che mai e poi mai si debba contraddire i neuroni di Mel ^^
Ancora una cosa, benché abbia scritto io quella parte della fic, per la frase: “Da… da quando… pi… goli…come…un pulcino… mentre…mentre ti sto .. sbattendo?”  non mi assumo nessun tipo di responsabilità >.< non l' ho scritta io.....
Tutti quanti(compresi Ru e Hana):Se non l'hai scritta tu, considerando che è una cofic .......MEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEL


Per la serie'Continuano a degenerare....' anche quando Mel non scrive da sola.....

**Sorrise alla notte, felice.
E con due buste in mano si sentì pieno d’ aspettativa, mentre camminava veloce sotto la luna amorevole.
(Ed ecco che Kaede guarda romanticamente il cielo con due sacchetti gialli dell'Esselunga giapponese, ma si sa, il nostro Kae trova il romanticismo dove noi tutte non lo vediamo e con altrettanta precisione rovina i pochi, giusti, attimi di vera romanticheria.)



**A quelle parole Hanamichi chiuse gli occhi e posò la fronte sulle fredde mattonelle del pavimento, se per calmarsi Kaede aveva bisogno di prenderlo senza troppo riguardo (lui ha ancora le sue pie illusioni), il rossino era disposto a lasciarglielo fare.



**Sperando assurdamente che, passando, Hanamichi si fermasse da lui, che magari si avvicinasse per primo.
Che lo picchiasse anche.
Ma che poi lo abbracciasse come solo lui sapeva fare.(Anche Kaede, come possiamo notare, ha le sue pie illusioni...che fic di visionari ¬_¬)



Saluti e dediche:

Mel e Chikara: siamo contentissime di aver finito insieme questo progetto, è stata un' esperienza unica e divertentissima (sopratutto la correzione eh eh) e di comune accordo abbiamo deciso di dedicarcelo sperando che dopo di esso nasca una collaborazione periodica (dato che Lem si trova mooolto in sintonia con le lemon scritte da Chikara) e ovviamente abbiamo poi deciso di fare un megasaluto a tutte le ragazze delle mail che conosciamo.
Qundi un bacione ed un 'hug' forte forte a Akemi, Angel (rispondimi!!!!!!! Nd.Mel), Anny, Chicca, Elyxyz, Eny, la mia George, Gyh, il mio Hachi, Hymeko, Kadath, Kieran, Kira, Lara T., Leyla, Lucy, Marty, Masha, Monyr, Naika, Parsy, Ria, Saya, Silene (la mia mitica beta_capo Nd.Chik) e Tesla.

Fiuuu...speriamo di non aver scordato nessuno...

 

Sayonara
Mel e Chikara

 


 

 


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