I Giardini di Pietra
cap. 8
Di Unmei
Ora sto qui,
davanti al fuoco crepitante di un camino, a fumare, e fuori ha iniziato a
piovere. Tra poco sarà pronta la cena, così ha detto la governante, e io non ho
voglia di mangiare….. ma con il medico a fare il cane da guardia sarà difficile
che riesca a saltare il pasto. Non posso fare altro che acconsentire al suo
volere e mandare giù qualche cucchiaio di consommé, sperando che in questo modo
si levi di torno al più presto.
Ma ho ancora
tempo, per ricordare, prima che mi chiamino a tavola
Dopo aver perso
Florent, per anni riempii la mia vita di rumore, di persone, di impegni.
Viaggiai,
insegnai nelle accademie più importanti, conquistai la fama, conobbi scrittori
e pittori che resteranno nella storia. Ero ammirato, ero invidiato.
Ebbi degli
amanti, storie brevi e scontate, prive di bellezza e di batticuore.
Ebbi qualche raro
amico, che oramai è morto.
Provavo a
fuggire, ma finivo con lo scappare proprio là dove mi sarei fatto più male. L'ho
già detto, no, che vissi per anni a Venezia, in quella che fu la sua casa.
Forse desideravo inconsciamente che il dolore infisso nel mio cuore continuasse
a farmi sanguinare, e lo coltivavo con dedizione perché crescesse e mettesse
radici in tutto il mio animo. Che fosse quella la mia punizione.
E così è passata
tutta la mia vita, e mi rendo conto che è stata insignificante e vuota, solo
forma priva di sostanza. Se pure in maniera diversa da prima mi barricai dentro
me stesso, quasi del tutto incapace di intraprendere rapporti profondi e
sinceri.
Uscivo spesso,
bevevo troppo e poi ridevo altrettanto, sfoderavo un cinismo brillante che non
ero a conoscenza di possedere….. e visto dal di fuori apparivo arguto ed
estroso, la gente mi cercava, mi voleva….. e tutto quel chiasso soffocava la
voce della disperazione. Così potevo andare avanti ancora un po', illudendomi
di stare vincendo, di stare diventando più forte, di non aver alcun bisogno di
ciò che avevo perduto.
Ma quando tutto
intorno a me taceva, e la mia mente non era più occupata dai vorticosi pensieri
con cui sempre la distraevo, mi colpiva infallibile e devastante la precisa
consapevolezza che sarei sempre stato solo.
Per tutta la
vita, fino alla morte….. solo.
Potevo vedere la
distesa dei giorni spiegarsi davanti a me come una pianura sempre uguale a se
stessa, il cui bordo andava a precipitare nel nulla. Una pianura deserta,
arida, dove nulla sarebbe mai germinato.
E quando mi
rendevo di quanto fosse enorme quel nulla, quante emozioni e quanta forza
interiore mi sarebbero state così negate, sentivo il respiro stringersi, e il
battere del cuore farsi sbagliato.
Sentivo le
lacrime risalire pericolosamente la strada verso i miei occhi, pronte ad
affacciarsi a veder la luce. Ma non glielo permisi mai, a quei tempi. Le
ricacciavo sempre nel più profondo pozzo di me stesso, lasciavo che si
accumulassero, forse sperando di riuscire ad affogarci dentro, prima o poi.
E mentre ingoiavo
le lacrime aggrottavo le sopracciglia e fuggivo nel mio studio, e colpivo la
pietra come se volessi assassinarla; le schegge mi volavano addosso, ferendomi
il volto. Una volta quasi persi un occhio. Tante volte distrussi le mie
creature, riducendole coscientemente ad un informe mucchio di pietra, e mi
sentivo un assassino.
Fu in quel
periodo, nel 1888, quando ormai i miei capelli stavano ingrigendo, che comprai
la villa veneziana; inseguendo il di lui fantasma. Respirando la stessa aria,
navigando gli stessi canali, camminando per le stesse calli che aveva percorso
lui da bambino e ragazzo, mi illudevo forse di trovare un varco nel tempo, e
svoltando uno stretto angolo, trovarmelo davanti splendente di gioventù.
Passeggiavo, scolpivo, e mi facevo raccontare dai domestici le vecchie storie
di fantasmi, di streghe, demoni e assassini che sembravano aver lungamente
popolato ogni calle e campo di quella strana città. Mi raccontarono anche degli
antichi padroni della villa, i Luinei De Noris e della loro fine sanguinosa,
senza sapere quanto il mio cuore si stringesse e soffocasse al sentir nominare
il loro figlio mezzano e le ipotesi che sulla sua sparizione s'erano fatte.
Ero sempre a
Venezia quando quel mattino d'estate del 1902 il campanile di San Marco crollò
su se stesso, con un boato che scosse la laguna e gli animi, lasciandosi
intorno rovine, e lo sgomento e l'orrore che porta la caduta di un simbolo
considerato immortale. Ma meno di dieci anni dopo esso svettava ancora:
ricostruito, identico, festeggiato come un dio risorto. I veneziani avevano
ripristinato la bellezza e la gloria da un cumulo di macerie….. mi sembrò
ingiusto che fossero riusciti dove io avevo fallito.
Perché soffrivo
così tanto, perché non sono mai riuscito a riprendermi, a lasciar andare il
passato?
Questo lo so
bene: non potevo incolpare nessuno del dolore, se non me stesso. Non era stata
la morte a strapparmi un amante….. non era stata colpa di un altro. Ero stato
abbandonato perché io ne avevo creato le condizioni.
Non mi maledirò
mai abbastanza.
Non so nemmeno
come raccontarlo, quello che fu l'inizio della rovina….. mi sembra di stare
vomitando il cuore, ma so che ormai questa confessione va portata fino in
fondo. E dunque, ecco come andarono le cose nella mia perduta gioventù.
La situazione
precipitò veramente tre giorni dopo l'incontro con Gabriele, un pomeriggio che
rincasai in seguito ad un appuntamento con un committente. La mia bravura era
riconosciuta e di ciò ero orgoglioso, ma la felicità di aver ottenuto un nuovo
lavoro era guastata dalla gelosia pulsante che aveva bruscamente invaso la mia
vita.. Ero ulteriormente irritato dal fatto che il mio rivale, reale o presunto
tale, avesse deciso di prolungare la permanenza a Genova. Lo aveva comunicato,
rivolgendosi anzi solo a Florent, il giorno in cui era stato a pranzo da noi.
Gli aveva affidato un piccolo e sottile quaderno dalla copertina di marocchino.
"I miei
piani di viaggio, i domicili dove soggiornerò, le mie residenze ufficiali. Lì
c'è tutto, ed esigo che tu ne tenga conto: non ho intenzione di perdere ancora
i contatti ed incontrarti solo per puro caso, chissà quando."
Florent aveva
sorriso, annuito e sbirciato tra le pagine, infilandosi poi nella tasca interna
della giacca quel libretto che io avrei volentieri buttato nel fuoco.
Tornando a noi,
quel giorno rientrando speravo di trovare il mio angelo silenzioso ad
accogliermi: volevo dimenticare le mie preoccupazioni amorose, raccontargli del
nuovo lavoro, chiedergli di posare ancora….. volevo che sentisse il mio stesso
orgoglio e ne fosse partecipe.
Ma non trovai
Florent, e le parole che avrei voluto dirgli dovetti tenerle a strozzarmi la
gola. Mi sembrò orrendamente vuota la casa senza di lui, e ancora non
immaginavo che a quel freddo mi sarei dovuto abituare. Quando chiesi
spiegazioni a Matilde lei disse che Florent era uscito in compagnia del giovane
gentiluomo veneziano che era stato nostro ospite.
Giuro che tutto
si fece scarlatto, per me, in quel momento. Che un velo sanguigno mi calò
davanti gli occhi e mi lasciò a guardare il mondo da dietro il sipario della
mia gelosia morbosa.
Non potevo in
nessun modo attendere a casa il loro ritorno, tranquillo come se nulla fosse,
sorseggiando una tazza di thè e cominciando a pianificare la mia nuova opera:
uscii di nuovo, immediatamente, senza sapere dove mai stessi andando a cercarli.
Uscii….. furioso
e terrorizzato, paranoico e ferito, dirigendomi verso il centro città, pensando
che….. che per un tradimento sarei stato capace di ucciderli entrambi. Un'idea
folle, feroce e disperata, ma l'amore è in fondo un sentimento crudele; in lui
c'è tanta ombra quanta luce. Non è fatto solo di gioia, sorrisi e di notti
d'amore e sogni di un futuro a due, radioso….. l'amore è anche rabbia, paura e
insulti, ombra e disillusione.
Baci e morsi.
Il mio desiderio
di possesso non lasciava spazio alla libertà, né per me né per lui.
Arrivai in città,
vagai, e forse fu l'istinto a guidare i miei passi. Sentii, ad un certo punto,
dolce musica di violini e col cuore pesante la seguii.
All'ombra della
bella cattedrale li vidi. Suonavano fianco a fianco, le custodie degli
strumenti aperte ai loro piedi. Restai a guardare loro e la gente che si
fermava ad ascoltarli, affascinati da musica e grazia, gettare qualche moneta
prima di andarsene, ma continuare a voltare la testa verso di loro
nell'allontanarsi, come se non si volesse staccare, attratti dal dorato
torrente di note.
L'aria romantica
si trasformò in un'allegra e vivace ballata, il sorriso sbocciò sulle loro
labbra. Si guardavano l'un l'altro e gareggiavano in bravura….. tale era la
bellezza e la perfezione di quella melodia che pure la mia gelosia per un
istante si sopì. Provai anzi fierezza nel pensare che quel giovane capace di
suonare musica divina vivesse al mio fianco, e una sensazione di pace mi scese
nel cuore nell'attimo in cui riuscii a dimenticare la presenza di Gabriele.
Sorrisi, persino.
La musica si
spense e l'applauso mi strappò al languore in cui ero sprofondato. Nelle
custodie volarono altre offerte tintinnanti, mentre loro ringraziavano con teatrali
inchini. Li vidi raccogliere il denaro guadagnato, e poi correre a distribuirlo
con grandi sorrisi ai mendicanti che stazionavano sulla scalinata della chiesa,
nel più assoluto stupore di questi ultimi.
E poi finalmente
Florent si accorse di me e mi venne incontro, con sul viso un'espressione
lieta, ed io non capivo più nulla, così diviso tra i miei sentimenti. Mi diedi
dell'idiota, dicendomi che non mi avrebbe mai ingannato….. ma una voce maligna
prese a sussurrarmi che forse in realtà lo aveva sempre fatto.
<Pensaci…..
viveva per la strada, e ha incontrato uno stupido benestante che si è
innamorato di lui, gli ha offerto denaro e una casa accogliente. Può aver
calcolato che fingere amore e darti del sesso fossero un prezzo vantaggioso,
per una vita comoda.>
Scacciai
quell'idea, infuriato con la parte di me che l'aveva concepita. E poi…..
Florent non si sarebbe mai comportato così. Aveva vissuto come un vagabondo per
anni, sebbene con il suo aspetto e le sue doti avrebbe potuto trovare facilmente
qualcuno che lo mantenesse. Uomini ben più ricchi e di più alti natali….. però
era me che aveva scelto, me che aveva seguito.
<Chi ti dice
che abbia seguito 'solo' te? Forse sei solo uno dei tanti. Forse passa da uno
stupido all'altro!>
Aggiunse ancora
la voce, beffarda, e la zittii ancora, turbato. Florent mi prese una mano,
guardandomi negli occhi ancora accesi dalla musica, e di lì a poco sopraggiunse
anche Gabriele, con entrambi i violini. Mi salutò con cortesia e porse lo
strumento nella sua custodia nera al mio amato.
"Sei davvero
ancora più bravo di allora. Il più grande talento che io abbia mai incontrato,
amico mio. - si rivolse poi a me - Vi ringrazio per la cura che vi state
prendendo di lui. Saperlo al sicuro con qualcuno che gli vuole bene mi toglie
dal cuore il peso che mi ha oppresso per anni."
Erano parole
sincere ….. davvero mi era grato quell'uomo, ed ora mi sento così cieco e
vigliacco per non aver creduto subito ad esse. Per aver voluto a tutti i costi
leggervi malizia e inganno. Non è solo a Florent che debbo delle scuse, ma
anche davanti a Gabriele dovrei cospargermi il capo di cenere. Quel giorno mi
limitai a salutarlo freddamente, e trascinai via Florent a passo veloce,
strattonandolo quando lui oppose resistenza. Non mi voltai, non aspettai;
marciai fino alla carrozza che avevo lasciato in sosta e comandai di tornare
velocemente a casa.
Mi fu difficile
sostenere lo sguardo di Florent, ancora una volta. La delusione, il dispiacere,
la confusione e anche l'ira nei suoi occhi. Anche se la parola 'scusa' premeva
sulle mie labbra, non la pronunciai. È vero che ero uno sciocco ed un egoista,
ma vero anche che stavo soffrendo tanto da voler urlare….. da voler pregare
Florent di strapparmi quella parte malata di cuore che stava rovinando la
nostra serenità. Lui lo sapeva. Col volto stanco di chi non sa più come farsi
capire venne a sedersi accanto a me e mi prese la testa, portandosela sul petto
dove potei sentire il suo calore, il profumo, il battito del suo cuore.
"Non posso
farci niente - mormorai, chiudendo gli occhi – Niente…..”
Mi chiesi se
ormai avrei perennemente dovuto convivere con il terrore che qualcuno me lo
portasse via. L’amore si era trasformato in ossessione, e a malapena me ne
rendevo conto.
_
Quel fine
settimana si rese necessario che mi allontanassi dalla città per alcuni giorni,
per affari. Avrei desiderato portare con me Florent, dicendomi che forse
insieme a lui avrei potuto prolungare la durata del viaggio, sicché al nostro
ritorno a Genova Gabriele sarebbe stato già lontano. Diedi per scontato che
Florent sarebbe stato lieto di accompagnarmi, e gli dissi di prepararsi al
viaggio.
Invece Florent
non volle, e proprio perché gli restavano pochi giorni da passare in compagnia
del suo vecchio amico. Mi chiese di capire….. che da troppo tempo non lo
vedeva, che tanto avevano ancora da dirsi. Gli vidi negli occhi l'ansia, così
insolita da parte sua. Temeva, a ragione, che fraintendessi il suo desiderio e
prendessi male le sue parole. Mentre mi porgeva il suo rifiuto sentii i muscoli
del collo irrigidirsi, le mascelle serrarsi dolorosamente. Acconsentii, che
altro potevo fare? Certo non costringerlo a venire con me, mangiandomi così ciò
che restava della mia dignità. Ma per ritorsione mi comportai molto freddamente
con lui fino al momento della partenza, il che fu probabilmente anche peggio.
Non gli rivolsi più la parola se non il minimo necessario, né prestai
attenzione al suo sguardo ferito fino a quando non fui sulla mia carrozza,
ormai lontano da casa, e mi sentii un essere indegno, infantile e idiota. E lo
ero, ovviamente. Progettai di tornare il prima possibile, carico offerte di
pace: gli avrei comprato spartiti, profumi, libri, cravatte della seta più
pregiata….. gli avrei chiesto scusa e tutto sarebbe tornato come prima. Ci
credevo davvero.
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Quell'idea mi
accompagnò per tutta la durata del viaggio; lo rese più sereno e al contempo
insostenibile, tanta era l’impazienza di essere di nuovo al suo fianco e
guadagnarmi l'assoluzione. Durante gli spostamenti in carrozza gli scrissi una
lunga lettera, in cui mi sforzai di dire tutto ciò che avevo taciuto, trovando
consolante mettere su carte quei pensieri. Liberatorio. Mi aiutava a far luce
in pieni su paure e sentimenti, di riflettere su essi e guardarli sotto nuova
luce.
Mantenei ciò che
mi ero proposto, e tornai a casa con un giorno di anticipo sul previsto, a metà
mattina di un giorno assolato. La governante non c’era e immaginai fosse in
città per delle commissioni, ma anche Florent sembrava assente. Non trovandolo
sé in salotto né in giardino mi precipitai al piano superiore, in camera sua:
forse stava ancora dormendo, o era al suo scrittoio, o magari leggeva. Bussai
alla porta della sua camera, per annunciarmi, ma quando l'aprii la trovai
vuota. Mi saltò subito agli occhi il letto completamente sfatto, e venni
avvolto dal profumo che aleggiava nella stanza, che era ambra e muschio, molto
diverso da quello che usava Florent. Una fragranza sensuale, inconfondibile,
che riconobbi subito come quella che si sentiva stando accanto a Gabriele. Il
cuore mi precipitò nel più profondo, ghiacciato, pozzo dell'inferno.
Mi avvicinai al
giaciglio ma fui troppo vigliacco per cercare su di esso la prova del
tradimento, e poi i miei occhi si erano già fermati su qualcos’altro. L’oggetto
che scintillava sul comodino: l’orologio da tasca dell’odiato veneziano.
Impossibile non riconoscerlo: d’oro smaltato, elegante e prezioso, che a occhio
doveva essere di fine settecento.
Oltre il dolore e
la rabbia sentii montare in me un consumante senso di umiliazione,
immaginandoli amoreggiare, possedersi e ridere alle mie spalle. Avrei voluto
rovesciare ogni mobile di quella stanza, prendere a calci le pareti, urlare.
Forse se l’avessi fatto, sputando subito tutto il veleno che mi scorreva
dentro, poi le cose sarebbero andate meglio: sarei stato più lucido, meno
impulsivo e tutta questa patetica confessione non sarebbe esistita.
Passò circa
un’ora prima che Florent tornasse; io attendevo in salotto e avevo mandato giù
più brandy del dovuto. Sul momento l’alcol aveva anestetizzato il dolore, ma
aveva offuscato ancor di più la mia mente, e quando mi trovai davanti il viso
di Florent l’incendio del mio rancore divampò ancora, violento. Forse fu la sua
espressione tranquilla, innocente….. forse lo stupore che gli passò negli occhi
quando mi vide. Venne verso di me sorridendo, tendendomi le braccia, ma dovevo
avere la faccia scura e quando s'accorse che non lo ricambiavo si fermò, esitò
e mi fissò con espressione curiosa, e preoccupata. Forse presagì il pericolo.
Mosse le mani per parlarmi….. ed io persi di vista me stesso.
Mi è straziante
raccontare, mi sento soffocare di agonia e vergogna, ma giunto a questo punto
non è possibile tacere….. perché se fino ad ora ho avuto la vostra compassione
è giunto il momento che mi venga tributato il disprezzo che merito.
Aggredii il mio
Florent con parole terribili, e non riesco a ripeterle perché provo un
sentimento tale che mi incenerisce il cuore e la lingua. Gli gridai insulti e
accuse, tremante di rabbia. Mi alzai e andai verso di lui, e mi sembrava di
stare muovendomi fuori dalla realtà. Oh, se almeno avesse potuto parlare!
Se avesse a sua
volta potuto urlare, darmi del maledetto imbecille, forse le sue parole
avrebbero penetrato i fitti veli in cui mi dibattevo….. mi avrebbero svegliato
e mi sarei calmato. Forse sarebbe bastato. Ma a respingere le mie accuse c'era
solo il suo silenzio stordito e incredulo.
Florent
indietreggiò, d'istinto….. provando timore di me! Orribile, orribile! Mosse
ancora le mani ma io l'afferrai per i polsi e lo spinsi, bruscamente,
rovesciando una pesante sedia nel cammino, fino a costringerlo contro il muro.
"Che cosa
hai fatto? Come hai osato tradirmi? Cosa hai fatto? Con lui….. Cosa hai
fatto?"
E dopo aver posto
ossessionato la domanda, da solo diedi la risposta, tremenda, volgare,
inascoltabile. Gli rinfacciai crudelmente di averlo raccolto dalla strada, di
averlo accettato in casa mia, ripulito e vestito, di averlo fatto vivere negli
agi. E lui mi ringraziava con l’infedeltà! Poi cominciai a ripetere anche
quella frase, <Che cosa hai fatto con lui?>, intercalandola con epiteti
orribili, col respiro che mi mancava, strattonandolo, stringendo sempre più i
suoi polsi sottili. Oppose resistenza, ma io ero più forte, e furioso al punto
da avere le energie moltiplicate: tenerlo imprigionato era facile, e mi dava un
perverso sentimento di piacere, di potere. Ero soddisfatto dalla sua espressione
di panico, la consideravo un'ammissione di colpevolezza, la dimostrazione che
avevo ragione.
Ma non durò
molto, e i suoi tratti si indurirono; aveva capito di non poter liberare le
braccia e mi sferrò un calcio. Il dolore fu un lampo acuminato, vidi scintille
infuocate davanti agli occhi e provai una nuova ondata di rabbia; strinsi più
forte e gli storsi i polsi. Boccheggiò, vacillò, ed ogni colore svanì dal suo
viso, dalle sue labbra, lasciandolo di un bianco cereo. Inspirò bruscamente il
fiato, appoggiandosi al muro dietro di sé, gli occhi lucidi, senza più lottare,
e solo allora mi resi conto del leggero eppure assordante rumore di un attimo
prima….. mi parve di risentirlo nelle orecchie, mentre mi prendeva la nausea,
il suono del suo polso che si spezzava.
Inebetito
continuai a stringere, senza rendermene conto. Quale dolore terribile deve aver
provato in quel momento? Quanto avevo peggiorato il danno?
Come….. ho
potuto….. fargli una cosa simile?
Rinsavii
all'istante, drenato di ogni collera ma anche di ogni forza. Tremante, mi
inginocchiai sussurrando non so quali stupidaggini, per rassicurare lui, o
forse me stesso. Cercai di aiutarlo, lo desideravo davvero; feci il tentativo
di prendergli la mano, di controllare la ferita, ma lui veloce si alzò,
allontanandosi da me. Prese la porta, barcollante, finendo quasi addosso a
Matilde che allarmata dal mio gridare, lo aveva sentito sin dal giardino, si
era diretta verso di noi. Si occupò lei di Florent, ed io lì, pietrificato,
inerme, e terrorizzato come appena sveglio da un incubo.
Tempo dopo,
quando ebbi accompagnato il medico alla porta, mi ritrovai senza il coraggio di
tornare da Florent. Il suo polso era rotto.
Ed ero stato io.
Per chissà quanto
non avrebbe più potuto suonare il suo amato violino….. e poi, sarebbe tornato
come prima, con la frattura che gli avevo causato? Se avesse perso la capacità
di suonare, anche solo parzialmente, il rimorso mi avrebbe ingoiato tutto
intero. Ma il peggio lo avrei scoperto di lì a poco, perdendo anche l’unica
giustificazione che credevo di avere per la violenza.
Mi ero rifugiato
nella biblioteca, in preda allo sconforto; desideravo solitudine e silenzio
credendo che mi avrebbero permesso di dissipare l’amarezza, la paura, e non di
meno i fumi del brandy che mi ottundevano. Sarei stato probabilmente capace di
rimanere lì nascosto per giorni, se dopo qualche ora non fosse giunta la mia
governante. Entrò senza bussare, guardandomi severamente, sconsolatamente, e
sentii di non avere la forza, o il diritto, di riprenderla. Sapevo che in quei
mesi si era molto affezionata a Florent.
“Si è
addormentato poco fa.”
Mi informò, con
un tono che vibrava d’accusa. Io assentii, ma non risposi, e lei parò ancora.
“Ho sentito
quello che gli dicevate, prima. Come non avrei potuto? Stavate urlando!”
Già. Se aveva
capito ciò che c’era tra me e il mio modello e violinista, Matilde non ne aveva
mai fatto cenno. In ogni caso, se non lo sapeva prima lo aveva appena scoperto.
Essendo stata in casa durante la mia assenza, doveva sapere ciò che era
accaduto tra Florent e Gabriele….. se il veneziano si era fermato una notte o
più….. se tra i due c’erano stati sguardi lunghi e troppo espressivi.
“E cosa mi dici,
allora?In fondo la mia azione non è stata peggiore della sua.”
“Come avete
potuto pensare che….. quel ragazzo che vi vuole così bene…..”
“Così bene? –
sentii la mia voce alzarsi ancora una volta - Così bene? Tanto da tradirmi? Ho
visto il letto sfatto, e l’orologio prezioso che quel farabutto ha dimenticato
sul tavolino!
Ormai
completamente dimentico di preservare quello che avrebbe dovuto essere un
segreto, parlai con furia, per sfogarmi. Lei mi lasciò fare e solo dopo,
quietamente, cominciò a spiegare. Non avrebbe potuto usare un tono migliore,
per umiliarmi.
“Florent è stato
male, ieri. Gli era salita improvvisamente la febbre, si sentiva molto debole.
Il signor Gabriele era passato per salutarlo, poiché sarebbe partito nel
pomeriggio, ma vedendolo così si preoccupò. Andò di persona a chiamare il
medico, che Florent aveva rifiutato fino a quel momento, pagò di propria tasca
il dottore e la medicina e poi si fermò da noi. Rimandò la partenza al mattino
successivo, cioè oggi, restando a vegliare Florent. Il signor Gabriele è stato
sveglio tutta la notte….. lo so bene, diverse volte sono andata a vedere se
avesse bisogno di qualcosa, e come stesse il malato.”
“Florent….. è
stato male?”
Alitai, mentre
sprofondavo.
“Non era nulla di
grave, forse il troppo sole preso l’altro giorno, e poi il fresco della sera;
una notte con le finestre aperte, ed ecco la febbre. Ma stamattina si era quasi
completamente ripreso e ha voluto ad ogni costo accompagnare il signor Gabriele
al porto. Non c’è stato verso di tenerlo tranquillo, alla fine l’ha avuta
vinta….. per maggiore sicurezza sono andata anche io con loro.”
Capite il
terribile equivoco, la mia idiozia, il male che avevo causato? Mi sentii
assalire dalla nausea, dalle vertigini. Le mie parole crudeli mi pesavano
addosso come macigni, mi soffocavano, l’aggressione era come una fredda lapide
per la nostra felicità. Chinai la testa, la presi fra le mani sperando di
soffocare il dolore e il ronzio che la riempivano, ma Matilde non ebbe pietà di
me e aggiunse qualche altro dettaglio alla sua spiegazione, perché il senso di
colpa potesse rodermi ancor più. Tra le altre cose, il gioiello che io credevo
Gabriele avesse dimenticato accanto al letto quando si era rivestito, dopo
l’amore….. quell’orologio era un pegno, un regalo, che aveva lasciato a Florent
in amicizia, semplicemente.
Guardati, o
mio signore, dalla gelosia: è il mostro dagli occhi verdi che schernisce la
carne di cui si nutre.
Vorrei aver
rammentato questa citazione allora, e gli occhi di Florent, pieni di luce
quando mi guardava, le carezze, quelle sue mani così fresche e fini, con i
polpastrelli resi duri dall’esercizio al violino. Se fossi stato più lucido mi
sarei reso conto che non era possibile alcuna menzogna in lui. Avevo creduto di
dover essere io ad assolverlo, invece era l’opposto….. e il mio tradimento era di
tipo peggiore di quello solo immaginato.
Per quanto già
avvertissi il peso del senso di colpa, subito non mi resi del tutto conto della
gravità della situazione; dentro di me credevo che domandando perdono, che
chinandomi umilmente davanti a lui, ne avrei ottenuto il perdono. M'illudevo
che l’amore fosse una medicina universale….. ed invece a volte l’amore non è
abbastanza; nemmeno lui può far dimenticare ogni torto.
Rimasi al suo
fianco mentre dormiva, volevo che appena sveglio mi trovasse lì, e per ore non
riuscii a smettere di pensare alle parole che poi gli avrei detto, cercandole
freneticamente, trovandole, soppesandole, scartandole, fino a che trovai quelle
giuste per fargli capire quanto mi sentissi perduto e vergognoso.
Ecco, io credevo
di aver trovato quelle giuste. Quando Florent aprì gli occhi e mi vide, io
sentii il fardello che impietoso mi schiacciava raddoppiare, e non riuscii a
controllarmi e il mio bel discorso andò in fumo. Tra le lacrime iniziai a
parlare. Piansi, chiesi perdono e con frasi incoerenti cercai di spiegare ciò
che avevo equivocato. Non ce n'era bisogno, questo lui lo sapeva già; lo aveva
ovviamente capito sin dal primo istante, sin da quando lo avevo aggredito, e
delle mie scuse non sapeva che farsene. Le ascoltò, indifferente e lontano,
guardando dritto davanti a sé, senza curarsi delle mie mani che disperatamente
esitanti lo cercavano. Mi stava punendo, ed aveva ragione.
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Quei giorni mi
appaiono immersi in un'acqua scura e fredda, che leva il fiato e intorpidisce
il corpo. Ricordo lui, il braccio al collo, accarezzare con amore e desiderio
il violino, e trarre qualche nota al piano, con una sola mano, per distrarsi.
Ricordo la speranza con cui ogni giorno aprivo gli occhi….. che lui si sarebbe
di nuovo avvicinato a me, avrebbe sorriso e tutto sarebbe tornato come ai tempi
migliori. E ricordo altrettanto bene la delusione e l'angoscia che mi erano
compagne al momento di richiuderli e dormire.
Doni, preghiere,
pianti e promesse, nulla valse. Minacciai d'uccidermi, mi guardò come si guarda
un povero idiota. Passava lunghe ore lontano da me, fuori di casa, passeggiando
sul lungo mare o chissà dove, ed allora pensai che forse per convincerlo ad
accettarmi dovevo meglio dimostrargli quanto fossi disperato, dovevo obbligarlo
a passare il suo tempo con me, togliergli la possibilità d'evitarmi o
ignorarmi.
Ciò che dunque
feci, in sostanza, fu confinarlo nella sua stanza, dove mi chiudevo con lui per
ore; lì gli portavo i pasti, e a lungo gli parlavo….. lasciavo la sua stanza il
meno possibile, spesso restavo a dormire, sulla poltrona, con la chiave della
stanza appesa al collo, nascosta nella camicia.. Ero pazzo,
Inseguivo
testardamente il perdono, senza accorgermi che con quella follia lo allontanavo
ancor più, che perdevo ogni giorno un po' della sua fiducia. Il modo per
addolcirgli il cuore sicuramente esisteva, perché lui era fiero ma non crudele;
avrebbe accolto e sanato il mio dolore, accettato il mio pentimento, se fossi
stato capace di porgerlo nel modo giusto.
Ma quale? Ancor
oggi non l'ho capito, e allora tremavo nel profondo del cuore quando lui
schivava il mio sguardo. Non valsero le volte che mi inginocchiai di fronte a
lui, che pregai, che gli carezzai le guance lisce….. le volte in cui gli
poggiai la testa in grembo e quelle che le mie lacrime gli inumidirono la veste
da camera di seta scura. Piangevo, singhiozzando aspro, aspettavo di sentire la
sua mano tra i capelli, ma nulla mai avvenne….. nulla, per tutto il tempo in
cui il suo polso rimase immobile a guarire.
E guarì, infine.
Il dottore disse che ne avrebbe riacquistato il pieno uso, un po' alla volta,
che forse avrebbe potuto avere dolori al mutare del tempo. Ma bastava aspettare
e sarebbe tornato a suonare il violino come sempre; questa consapevolezza
illuminò gli occhi di lui e fece respirare meglio me, ma quel sollievo non era
sufficiente a darmi la pace, ad alleviare in qualche modo il peso del mio atto.
Non ebbi la forza o il coraggio di andare da Florent ed esprimergli il mio
sollievo: temevo la sua reazione, temevo la freddezza e temevo che mi odiasse,
che mi ricordasse che ero stato io a fargli male. Per non parlare degli insulti
di cui l'avevo ricoperto….. di quelle parole mi vergognavo tanto che avrei
voluto morire. Rimasi così in disparte, a guardarlo da lontano, ripensando ai
giorni in cui non esistevano pensieri cupi e a come li avevo creduti eterni.
Fu Florent a
venire da me, che stavo immobile, sicuro che mi avrebbe colpito, a ragione.
Anzi, mi auguravo che lo facesse, mi rendesse ciò che gli avevo inflitto.
Lui mi guardò
serio, e poi sorrise lievemente; in cuor mio imploravo non so chi di un
miracolo. Dopo avermi a lungo osservato mi prese il viso tra le mani e posò un
lieve bacio sulle mie labbra, indugiando su di esse per un momento. Io,
incredulo, mi persi nei suoi occhi. Con la punta delle dita gli sfiorai la
bocca, le guance, i capelli e infine lo avviluppai tra le braccia. Quello è
l'ultimo momento di pura felicità che io ricordi: il mio animo si innalzava, il
mio respiro era leggero, il futuro era di nuovo un posto in cui era possibile
vivere. Quel suo atteggiamento affettuoso era un canto di sirena, la dolcezza
che mi rovinò.
Diedi a Matilde
il giorno successivo libero, perché volevo restare solo con Florent; io e lui
uscimmo, quella sera. Cenammo fuori, andammo a teatro, poi una lunga
passeggiata e il ritorno in carrozza, finalmente di nuovo seduti vicini.
Riempivo di baci e carezze quel polso che avevo spezzato. A casa, sul divano,
lo baciai ancora; a lungo, profondamente, facendo correre le mani sotto i suoi
vestiti, inebriandomi della sua pelle calda, sussurrando il suo nome, il mio
amore, e mille promesse. Desideravo fare l'amore con lui per ore, per giorni!
Ma quando mi feci più audace Florent mi fermò, gentile ma sicuro; capii allora
che non potevo ottenere subito tutto il suo favore. Dovevo pazientare e
sopportare il castigo: me la meritavo, ma sarebbe stato più facile sapendo che
ora il suo cuore mi avrebbe accolto. Tornai a soli baci e carezze, versai per
entrambi calici di vino rosso, forte e profumato, e poi fu lui a versare,
ancora e ancora, finché mi sentii illanguidito dall'alcol e dalla felicità.
Sopraffatto mi addormentai, sul divano, ebbro e sorridente, insieme a lui.
Quando mi
svegliai il sole era alto e Florent non era accanto a me. Mi alzai un po'
dolorante per aver dormito in una brutta posizione e lo chiamai. Lo chiamai, lo
chiamai.
Lo cercai in
camera sua, dove tutto era intatto, e poi per tutta la casa, fino in solaio, in
giardino, facendomi sempre più frenetico e spaventato. Avevo già capito, anche
se tentavo di negare con tutto me stesso, e perseverai nella menzogna per ore
intere mentre il mio cuore sembrava rallentare, battere sempre più piano ma
senza mai spegnersi, in agonia. Vagai in città, in ogni angolo e via, fino al
porto, fermando la gente e descrivendo Florent, chiedendo se l'avevano visto.
Nulla. Quando rincasai era buio, ormai; nell'anima nutrivo ancora la folle speranza
che rientrando l'avrei udito suonare il violino. Lui sarebbe stato lì, perché
era solo uscito per una passeggiata e le nostre strade non si erano
incrociate….. gli avrei raccontato di quanto mi ero spaventato e lui avrebbe
scosso la testa e sorriso della mia sciocca paura, ed alla fine ne avrei riso
anche io. Ma tutte le finestre erano buie, nessuno c'era ad aspettarmi.
Florent s'era
portato via solo il violino….. un pettine, uno specchio ed una boccia di
profumo, come quando era fuggito anni prima. Aveva preso anche l'orologio
lasciatogli dal suo amico. Nessun vestito tranne quello che portava addosso, e
dal guardaroba capii che aveva scelto il più semplice. Non aveva preso denaro,
nemmeno una moneta; forse li considerava soldi miei, e non aveva voluto
toccarli. Nella mia preoccupazione avrei preferito si fosse portato via tutto,
che avesse depredato anche l'argenteria, purché ciò gli assicurasse un po' di
benessere.
Ciò che provai,
ciò che pensai è avvolto nella nebbia del trauma; per tutta la notte rimasi
sveglio, seduto immobile sul letto di lui, strizzando gli occhi di tanto in
tanto e scuotendo la testa come si fa quando ci si accorge di stare avendo un
incubo. Certe volte lo faccio pure adesso, ma ancora non riesco a destarmi.
La sua lettera la
trovai solo il giorno successivo.
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Non ho niente più
da aggiungere, anzi, ho parlato più che abbastanza.
Florent, ho
detto, l'ho cercato affannosamente, ma non l'ho trovato mai, né ho avuto sue
notizie, quasi fosse esistito solo nei miei pensieri. Lui aveva con sé quel
taccuino lasciatogli da Gabriele: forse lo aveva raggiunto da qualche parte,
forse no….. mi sono maledetto tante volte per non aver dato un'occhiata a quel
quadernetto, memorizzando almeno un paio di indirizzi.
Florent….. se è
vivo, adesso anche lui è vecchio, però non riesco ad immaginarlo canuto e
fragile, ammalato. Sarà sempre l'angelo splendido del Sonno Eterno, dal sorriso
dolce, misterioso e un po' irridente, che se dio e gli angeli esistessero
davvero, vorrei fosse lui a venirmi a chiudere gli occhi, quando morrò. Ma in
dio e negli angeli non credo; nessun paradiso ci sarà in cui potrò incontrarlo
e chiedergli scusa….. ma nella morte buia, almeno, lo potrò finalmente
dimenticare.
~°~
Riccardo,
pure se ora io
dicessi d'amarti tu forse non mi crederesti. Eppure nonostante tutto ancora ti
amo! E se ti angusti per ciò che è successo probabilmente lo fai per i motivi
sbagliati. Ti perdono per le parole cattive, che un uomo preso da rabbia e
gelosia spesso parla al di fuori di se stesso, senza distinguere più tra il
vero e l'illusione che i suoi occhi vogliono vedere. Anche per il mio polso ti
perdono: so che ne sei straziato e hai già patito abbastanza, per il senso di
colpa e per la lontananza che ti ho imposto. Non devi credere che per questi
motivi io, offeso, me ne sia andato, né che lo abbia fatto per paura nei tuoi
confronti. No, perché in realtà questa dimostrazione della tua superiore forza
fisica ha finito con il lasciarti del tutto debole e indifeso di fronte a me,
come mai lo sei stato.
Ciò che mi ha
addolorato, amareggiato e che mi porta fuori da questa casa è più grave,
Riccardo….. è la mancanza di fiducia che mi hai dimostrato. Così poco credi in
me e nel mio amore, da pensare che potrei tradirti non appena tu ti volti? Così
poca fede hai in me e nel sentimento che ti porto? Mi pensi così superficiale e
falso?
E anche un'altra
cosa: non avrei desiderato al mondo nulla di più che tu e Gabriele diventaste
amici. Le persone più importanti per me siete voi due: colui che amo come
compagno e colui che è stato il mio buon custode. Sarei stato felice nel avervi
insieme, accanto a me….. ma tu per lui hai dimostrato solo astio, gelosia, quasi
disprezzo. Non lo hai detto ad alta voce ma l'ho capito, e così anche lui,
credo. Ciò mi ha fatto arrabbiare, disperare….. e piangere, quando tu non
potevi vedermi.
In questa storia
il nostro amore si è ammalato, sai? Vorrei pensare che tutto possa tornare
subito come un tempo, ma ciò che leggo nei tuoi occhi è una tale paura di
perdermi che temo mi rinchiuderesti ancora, come hai fatto negli ultimi giorni.
In una gabbia più grande, forse, ma pur sempre una gabbia. Il tuo sguardo su di
me sarebbe completamente diverso da quello che mi ha fatto innamorare. E avrei
sempre presente il ricordo di come hai respinto una delle cose più importanti
della mia vita, evidentemente amando di me solo ciò che ti piace, solo ciò che
ti appartiene.
Vado via,
Riccardo, anche se ti amo come forse non amerò mai più nessuno….. ma non voglio
soffocare me stesso in un rapporto che potrebbe recar danno a entrambi. Credo
che tu soprattutto abbia bisogno di riflettere. Cercami, se vuoi: forse mi
troverai, e forse quel giorno avrai capito….. e se così sarà potrei tornare da
te. Ma ora addio; scusa solo per il piccolo inganno amoroso con cui ti ho fatto
abbassare la guardia, per l'ultima passione che non ti ho concesso e il vino
con cui abbiamo brindato, per cui tu ora dormi sognando sereno ed io scrivo e
sono pronto ad andare….. sì, in parte questa è anche una vendetta, una ripicca.
Sono orgoglioso, e tu lo sai. Ma sicuramente sai anche che se tu avessi avuto
fede avrei preferito morire che lasciarti. Sono io, il tuo
Florent.